ROTH, Rudolf
Indianista, nato a Stoccarda il 3 aprile 1821, morto a Tubinga il 24 giugno 1895. All'università di Tubinga iniziò gli studî di teologia, durante i quali cominciò con H. Ewald, professore di lingue orientali nella facoltà filosofica, lo studio del persiano e del sanscrito; a volgere la sua attività a quest'ultimo lo incitò una piccola raccolta di manoscritti portati in Germania dal missionario J. Häberlin. Recatosi nel 1843 a Parigi, centro fiorentissimo in quel tempo di studî indologici, fu scolaro di Eugène Burnouf; di là si recò a Londra e a Oxford, dove ebbe modo di consultare numerosi manoscritti, dai quali poi trasse materia a importanti dissertazioni filologiche ed a edizioni di testi.
Nel 1846, subito dopo il suo ritorno dall'Inghilterra, pubblicò il volume zur Litteratur und Geschichte des Weda, piccolo libro dichiarato da A. Schleicher tale da far epoca, che venne ben presto tradotto in inglese e in francese. In esso, che comprendeva quattro studî pubblicati prima a parte, il R., oltre a descrivere i manoscritti che aveva compulsati e dare, per primo, la distinzione in 10 libri (maîḍala) del Ṛgveda e prendere in considerazione commentarî dei Veda e opere appartenenti ai cosiddetti Vedāñga "membra del Veda" (le ultime propaggini della letteratura vedica, di argomento rituale, etimologico, fonetico, metrico), determinò la data di autori e di opere, criticò l'opera del commentatore del Ṛgveda (e d'altri testi vedici), Sāyaṇa, diede saggi di indagine storica del Ṛgveda e di interpretazione di questo e anche dell'Atharvaveda e palesò una particolare conoscenza del più venerando documento della letteratura indiana, tale da far stupire, dati gli scarsissimi mezzi di studio di cui egli poteva ancora disporre. Il R. apparve così da allora il vero fondatore della filologia vedica.
Nel 1847 pubblicava (a Gottinga), su manoscritti di Parigi, di Londra e di Berlino, la prima e più famosa opera esegetica del Ṛgveda che ci sia giunta, il Nirukta "etimologia", di Yāska, anteriore al celebre grammatico Pāṇini (sec. V a. C.), raccolta (nighaṇṭu) di parole rare ed oscure ricorrenti negli inni vedici (über das Nirukta und die verwandte Litteratur, mit einer Abhandlung itber die Elemente des indischen Accentes). A questa pubblicazione, che conteneva testo e introduzione e una prima trattazione sull'accento vedico, il R. fece seguire una seconda parte nel 1852, rimasta, come la prima, di capitale importanza anche oggi negli studî indologici. Per essa il difficile testo veniva reso chiaramente accessibile agli studiosi europei.
Nel 1856 pubblicava (Berlino), in collaborazione con W.D. Whitney, il testo dell'Atharvaveda-saṃhitā (recensione appartenente alla scuola Śunaka). Un secondo volume, che avrebbe dovuto contenere introduzione, note critiche, una concordanza con le altre raccolte vediche, non apparve, essendo stata l'attività del R. tutta presa dalla sua collaborazione con O. Böhtlingk al grande vocabolario sanscrito, che, iniziato sotto gli auspici dell'Accademia di Pietroburgo nel 1855, si compì nel 1875. In esso il R. raccolse tutti i preziosi risultati della sua indagine filologica e storica nell'ambito degli studî vedici. Per la stessa causa rimase inedita una sua versione, che era già pronta, dell'Atharvaveda, con commento critico ed esegetico, che venne poi compiuta dal Withney e rielaborata e pubblicata molti anni più tardi da Ch. R. Lanman (Cambridge Mass. 1905, Harvard Oriental Series). Il R. diede inoltre alla luce minori pubblicazioni di indole vedica (sull'età più recente dell'Atharvaveda, in confronto a quella del Ṛgveda fondata su esame linguistico delle due raccolte, Tubinga 1856; descrizione di una recensione kaśmiriana dell'Athanvaveda della scuola Paippalāda, Tubinga 1876, riprodotta poi in cromolitografia da M. Bloomfield, da R. Garbe, Stoccarda 1901, ecc.) e contributi allo studio della botanica (Festgabe für A. Weber, 1895) e della medicina indiane (Zeitschr. der deutsch. morgenl. Gesellsch., XXVI, 1872, ecc.): studî tutti di importanza notevolissima. Ma, caratteristica fondamentale della sua indagine esegetica, fu la persuasione che i testi si dovessero studiare per ben comprenderli, in sé stessi, attraverso l'esame dei passi paralleli e con l'aiuto di quanto i risultati delle moderne indagini scientifiche potevano offrire.
A tal proposito il R. considerò che, per la grande distanza di tempo che divideva ormai il commentatore del Ṛgveda, Sāyaṇa (sec. XIV d. C.), dal suo testo, questi non poteva essere ritenuto guida sicura all'interpretazione del più venerando documento religioso e letterario dell'India, non solo, ma della comunità aria, dato che egli, se era in grado di ben comprendere la letteratura posteriore teologica e rituale, non altrettanto esperto era in quella svoltasi tanti secoli avanti, la quale, per di più, non si era trasmessa con perfetta continuità di tradizione. Agli studiosi europei giovavano, inoltre, il confronto col testo dell'Avesta, così strettamente connesso col Ṛgveda e i risultati della comparazione linguistica. Tale opinione non sempre inoppugnabile (il maggiore oppositore di essa fu Th. Goldstüker), venne giustamente temperata dalla scuola posteriore vedica (Ludwig, Pischel, Geldner), che credette giusto non negare al commentatore indiano quel valore che per ragioni di ambiente e di tradizione, doveva essergli evidentemente assegnato.
Notevolissima fu l'opera del R. anche quale maestro (fu professore a Tubinga, dal 1848 alla morte): dalla sua scuola uscirono, infatti, indianisti di grande valore, tra i quali oltre ai già ricordati R. Garbe e M. Bloomfield, anche L. von Schodrer e M. Haug.
Bibl.: R. Garbe, in Allgemeine deutsche Biographie, LIII, pp. 549-564; E. Windisch, Geschichte der Sanskrit-Philologie und indischen Altertumskunde, in Grundr. der indo-arischen Philologie und Altertumskunde, Berlino e Lipsia 1920, II, pp. 254-265; L. Renou, Les maîtres de la philologie védique, Parigi 1928, pp. 5-11.