RUFFO, Fabrizio, principe di Castelcicala
RUFFO, Fabrizio, principe di Castelcicala. – Nacque a Napoli il 6 aprile 1763 da Paolo, primo principe di Castelcicala, e dalla sua seconda moglie, Dorotea Ligni, duchessa di Marzano. Fu quindi il secondo principe di Castelcicala e poi assunse anche il titolo – di provenienza materna – di primo duca di Calvello.
Si sposò giovanissimo nel maggio 1780 con Maria Giustina Pinto, dei principi di Ischitella, con la quale ebbe sei figli. Studiò diritto, ma invece di intraprendere la professione di avvocato, come avrebbe preferito, fu inserito fin dalla giovane età nella carriera diplomatica. Nel 1789 fu per un breve periodo ambasciatore a Lisbona, ma presto lasciò il Portogallo per un viaggio di istruzione nelle principali capitali europee. Nel giugno del 1790 si trovava a Londra quando morì improvvisamente l’ambasciatore napoletano Ferdinando Lucchesi Palli: da lì a poco – il 6 luglio – Ruffo fu nominato ministro plenipotenziario del Regno di Napoli.
Nel primi due anni di attività non diede grande prova di sé, limitandosi – come egli stesso scrisse – a fare il gazzettiere, cioè a informare Napoli della politica estera inglese nei confronti della Francia rivoluzionaria e a negoziare un trattato di commercio in cantiere da tempo, che non fu possibile concludere, perché – scrisse in seguito – «quando si fu alla diminuzione dei dazi sui vini, che era per noi la più importante, non vollero ammetterla» (Maturi, 1939, p. 264). A Londra Ruffo maturò posizioni apertamente filobritanniche, che avrebbe confermato in altri importanti momenti della sua vita, accanto a quelle di legittimista estremo, ma allo stesso tempo capace anche di disubbidire agli ordini di Napoli, forte dell’appartenenza a una delle principali famiglie feudali napoletane.
Da qui la sua resistenza all’ordine di John Francis Edward Acton – nel gennaio del 1793 – di recarsi a Parigi «con il doppio incarico di ristabilire normali relazioni diplomatiche e di offrire» (Colletta, 1969, I, p. 299) la mediazione di Napoli nella guerra tra la Francia e le potenze europee. Ruffo, «fautore instancabile d’un’alleanza anglo-napoletana contro la Francia» (Nicolini, 1939, p. 50), non lasciò Londra, nonostante le lettere sdegnate inviategli dalla regina Maria Carolina e i rimproveri di Acton, per il pericolo di far uscire dalla neutralità un Paese non in grado di affrontare una guerra contro la Francia. Nonostante l’arrivo nella capitale britannica del suo giovanissimo sostituto, Giambattista Tocco Cantelmo duca di Sicignano, Ruffo per alcune settimane continuò in modo autonomo a trattare con il ministro degli Esteri inglese William Wyndham Grenville, finché nel maggio fu autorizzato dal suo governo a tenere colloqui insieme a Sicignano. Quando questi si suicidò il 31 maggio 1793, Ruffo riprese la sua veste ufficiale e poté concludere nel luglio l’alleanza con l’Inghilterra.
Nel settembre la corte di Napoli lo sostituì con Tommaso di Somma marchese di Circello e gli ordinò di tornare a Napoli, ma dovette prima intervenire per pagare i debiti da lui contratti a Londra (oltre 42.000 ducati), con anticipi di stipendio, gratifiche e una pensione annua di 3000 ducati sulla badia di S. Bartolomeo in Galdo. Non bastavano; Ruffo dovette lasciare la famiglia a Londra quasi in ostaggio, in attesa di una definizione delle pendenze.
In quel momento la famiglia era composta dalla moglie e da quattro figli: Vittoria, Dorotea (morta a Parigi nel 1859), Edoardo (morto a Parigi nel 1821) e Paolo, futuro principe di Castelcicala. In seguito, nacquero Pasquale (Napoli, 1796-1797) e Carlo (Napoli, 16 dicembre 1798 - Castellammare di Stabia, 27 luglio 1875), che fu ministro plenipotenziario del Regno delle Due Sicilie a Berlino e a San Pietroburgo.
Rientrato a Napoli nel marzo 1795, alla fine di aprile fu nominato direttore degli Affari esteri, della Marina e del Commercio e poco dopo presidente della nuova giunta inquisitoria di Stato, il tribunale che si occupava dei dissidenti politici e dei movimenti cospirativi, in sostituzione di quella da poco sciolta dopo l’arresto del suo presidente Luigi de’ Medici.
Svolse questo ruolo in un modo giudicato severamente da Attilio Simioni (1995): «le oscure inquisizioni a lui affidate tra il ’95 e il ’98, il procedere implacabile senza riguardo ad alcuno, lo spionaggio eretto a sistema circondarono di sinistra luce presso i patrioti quest’uomo, che una memoria degli esuli dice basso e strisciante, servitore di Acton senza dignità» (II, p. 236). «Ambizioso e cupido, tutto intento a compiacere il suo protettore, che gli era stato largo, con pochi meriti, di ducati e di onori, [...] era il meglio indicato a dirigere, senza scrupoli, le inquisizioni di stato, colpendo il male fino alle radici, secondo la volontà della Corte e specialmente di M. Carolina» (p. 237). Meno duro il giudizio di Giuseppe Galasso (2007a), il quale tuttavia ricorda che «con l’assunzione della direzione della Giunta inquisitoria da parte del Castelcicala, arresti e procedimenti si moltiplicarono» (p. 42).
Nel gennaio 1798, nell’ambito di un rimpasto ministeriale, Ruffo fu nominato segretario di Stato «per il dipartimento di Grazia e Giustizia, Stato e Alta Polizia della città e regno». Frattanto fu creata (25 gennaio) una suprema giunta decretoria di Stato per giudicare gli accusati, in cui rifluirono quasi tutti i componenti della giunta inquisitoria. Ma non Ruffo, che rimase presidente del vecchio organismo. Nel dicembre, all’approssimarsi delle truppe francesi, lasciò Napoli con Ferdinando IV e rimase con lui a Palermo anche dopo la sconfitta della Repubblica napoletana. Nel 1800 fu protagonista di una sorta di congiura ministeriale, insieme ad Antonio Pignatelli, principe di Belmonte, tendente a scalzare Acton. Ma la manovra non riuscì e Ruffo fu inizialmente confinato nelle sue terre e poi nel settembre inviato a Londra come ministro plenipotenziario in sostituzione del marchese di Circello. Qui svolse un’intensa attività diplomatica durante gli anni della prima Restaurazione, in una situazione non facile in cui la diplomazia napoletana si barcamenava tra la fedeltà all’alleato inglese e la necessità di intessere buoni rapporti con la Francia, per impedire una seconda invasione. Appena arrivato a Londra si adoperò affinché «un corpo inglese sbarcasse nel regno [ma] non ottenne che buone parole» (Pieri, 1927, p. 33). In seguito, si dimostrò «poco entusiasta dell’amicizia inglese pur essendo nettamente ostile alla Francia» (p. 58). All’Inghilterra rimproverava la decisione di non restituire Malta al Regno di Napoli e quella di proteggere con le proprie navi la sola Sicilia; poi, in occasione della crisi del 1806, rinfacciò gli errori politici del governo britannico, perché a suo avviso «soltanto lo sbarco russo-inglese [in Puglia alla fine del 1805], voluto unicamente dagli alleati, aveva attirato sul regno di Napoli, l’ira di Napoleone» (p. 83).
Durante il decennio in cui Ferdinando IV regnò sulla sola Sicilia sotto la protezione dell’ingombrante alleato inglese, Ruffo svolse un importante ruolo diplomatico presso il governo britannico. Il maggior impegno in tal senso fu profuso dopo il 1811, quando fu nominato governatore inglese dell’isola lord William Cavendish Bentinck e ancor più dopo la concessione della costituzione alla Sicilia e la nomina del principe ereditario Francesco a vicario del padre. Ruffo da Londra avversò apertamente la svolta politica siciliana, comportandosi da «agente personale del Re» e gettando «discredito sul governo siciliano» (Rosselli, 2002, p. 217). Nel marzo del 1814 attaccò violentemente Bentinck per la proposta di cedere la Sicilia all’Inghilterra ed esortò Francesco a perseguire la stessa politica del padre e a scrollarsi di dosso l’influenza del potente alleato: «V.A.R. è assolutamente lo schiavo attualmente di lord William Bentinck, è egli che fa tutto. Egli dispone di tutto e lo comanda a bacchetta» (Maturi, 1938a, p. 39). Il principe ereditario non lo ascoltò, ma Ferdinando IV concordò perfettamente con Ruffo, che continuò a svolgere un’intensa attività diplomatica per far riguadagnare il trono di Napoli al legittimo sovrano: in missione a Parigi, ebbe in merito lunghi colloqui con Luigi XVIII; a Londra con una nota dell’11 aprile «propose formalmente al governo inglese che l’Inghilterra, la Russia, la Francia e la Spagna, le quali, a differenza dell’Austria, erano libere da ogni impegno formale con Murat, gli intimassero di lasciare al legittimo sovrano il regno di Napoli» (Maturi, 1938a, p. 43). Ad agosto assicurò Robert Stewart visconte di Castlereagh che, una volta tornato sul trono, Ferdinando avrebbe concesso un’ampia amnistia, tranquillizzandolo rispetto ai timori di un ritorno alle sanguinose scene del 1799. Rispetto alla Sicilia Ruffo si pronunciò contro la costituzione concessa nel 1812 e, di conseguenza, per una sua abrogazione proprio da parte degli inglesi che l’avevano promossa.
Negli ultimi mesi del 1814 partecipò al Congresso di Vienna come delegato dei Borbone di Napoli insieme a Luigi de’ Medici, Antonio Maresca duca di Serracapriola e Alvaro Ruffo. Tornato a Londra, all’inizio del 1815 fu designato come ambasciatore a Parigi, con l’obbligo di fare la spola con Londra fino all’arrivo dell’ambasciatore lì destinato; ad aprile fece un ultimo tentativo con Castlereagh per non perdere lo Stato dei Presidi, assegnato dal Congresso di Vienna al granduca di Toscana, e per ottenere un compenso per la perdita di Malta, ricevendo le inevitabili risposte negative.
Dopo Waterloo iniziò a ricoprire stabilmente l’incarico parigino, salvo una breve interruzione come inviato a Londra nel 1816 per concludere con la Gran Bretagna un trattato di commercio, che si rivelò «in pura perdita» (Nuzzo, 1990, p. 159) per il Regno delle Due Sicilie. Nei cinque anni che precedettero la rivoluzione napoletana del 1820 sostenne da Parigi la politica estera del ministro de’ Medici fornendo il proprio apporto soprattutto nel 1816 per ottenere l’assenso internazionale all’unificazione sotto Ferdinando dei due regni di Napoli e Sicilia. Nel 1820, chiamato dal governo di Napoli a giurare fedeltà alla monarchia costituzionale, che lo aveva trasferito a Madrid, si rifiutò e restò a Parigi, perché si sentiva vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al sovrano assoluto. Fu perciò destituito il 1° settembre 1820, ma la Francia di Luigi XVIII si rifiutò di accreditare il suo sostituto. Dopo la sconfitta dell’esercito napoletano contro gli austriaci nel marzo 1821, fu riammesso nel ruolo di ambasciatore a Parigi, carica che avrebbe ricoperto fino alla morte. Nei confronti della dura repressione verso i liberali messa in atto a Napoli dal ministro Antonio Capece Minutolo principe di Canosa fornì solo «un tiepido assenso» (Cassina, 2010, p. 21) considerandola inevitabile ma anche pericolosa perché – come scrisse a de’ Medici nell’ottobre 1822 – «questa misura è più fatta ad attirare una rivoluzione, e a discreditare un governo» (ibid.).
Negli anni Venti non si occupò di affari diplomatici di particolare rilevanza. Nel 1829 si adoperò per ottenere l’estradizione di Antonio Galotti, un carbonaro che aveva partecipato alla rivolta del Cilento dell’anno precedente, si era rifugiato in Corsica ed era stato condannato a morte in contumacia. In questa circostanza Ruffo fu duramente attaccato da alcuni giornali liberali francesi che l’accusarono di aver fatto parte di un tribunale che aveva comminato molte condanne a morte. L’accusa non era vera, perché durante la sua permanenza presso la giunta inquisitoria di Stato non erano state pronunciate tali condanne; tuttavia essa dimostrava che il clima politico francese stava cambiando, come provò la rivoluzione del luglio 1830 che avrebbe messo sul trono Luigi Filippo d’Orléans.
Ruffo non condivise la scelta del principe, parente dei Borbone e per di più sposato con la sorella del re delle Due Sicilie, di accettare una sovranità che gli proveniva dal popolo, in una monarchia costituzionale che a suo avviso sarebbe stata presto soppiantata da una repubblica.
Nere previsioni di un legittimista estremo nettamente contrario al governo rappresentativo, forte di «una concezione patrimonialistica e personale del potere, un senso di devozione assoluta nei confronti del re e dei membri della famiglia reale, l’idea che la felicità dei popoli risieda nelle mani dei sovrani e che questi ultimi abbiano ricevuto il loro mandato tramite la Provvidenza» (p. 24).
Fu sul punto di abbandonare Parigi, ma fu fermato dal governo di Napoli che lo confermò ambasciatore presso il nuovo regime francese.
Morì di colera a Parigi il 16 aprile 1832.
Fonti e Bibl.: Brevi biografie in Nouvelle biographie générale depuis les temps les plus reculés jusqu’à nos jours, Paris 1857-1885, XLII, ad vocem; A. Cutolo, R., F., principe di Castelcicala, in Enciclopedia italiana, XXX, Roma 1936, pp. 221 s. Notizie genealogiche sulla famiglia sono reperibili nei seguenti siti: Enciclopedia genealogica del Mediterraneo, http://www.genmarenostrum. com/pagine-lettere/letterar/Ruffo/Ruffo% 20di%20bagnara.htm (9 luglio 2017); Nobili napoletani, http://www.nobili-napoletani.it/ Ruffo-Castelcicala.htm (9 luglio 2017). Sull’ultimo decennio del Settecento: A. Simioni, Le origini del risorgimento politico dell’Italia meridionale, I-II, Messina-Roma 1925-1930, rist. anast., I-II, Napoli 1995, ad ind.; N. Nicolini, La spedizione punitiva del Latouche-Treville (16 dicembre 1792), Firenze 1939; P. Colletta, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, I-III, Napoli 1969, ad ind.; G. Nuzzo, Il mancato trattato di commercio tra Inghilterra e Napoli nella seconda metà del Settecento, in Scritti in memoria di Leopoldo Cassese, a cura di A. Cestaro - P. Laveglia, I, Napoli 1971, pp. 323-329; Id., La monarchia delle due Sicilie tra ancien régime e rivoluzione, Napoli 1972, pp. 399 s., 409-411, 418 s.; Id., L’ambasciata in Gran Bretagna di un legittimista napoletano. La prima missione Castelcicala a Londra, in Studi in memoria di Nino Cortese, Roma 1976, pp. 383-437, ora in Id., A Napoli nel tardo Settecento. La parabola della neutralità, Napoli 1990, pp. 157-233; M. Grimaldi, Giambattista Tocco Cantelmo Stuart duca di Sicignano, in Appunti e documenti per la storia del territorio di Sicignano degli Alburni, Sicignano 2012, pp. 341-369. Sul suo operato di ambasciatore in Inghilterra durante la prima Restaurazione: P. Pieri, Il Regno di Napoli dal luglio 1798 al marzo 1806, in Archivio storico per le province napoletane, n.s., XII (1927), pp. 33 s., 37, 40-44, 48, 53, 58, 61 s., 72, 76, 82 s.; L. Blanch, Il regno di Napoli dal 1801 al 1806 e la campagna del 1815 di Gioacchino Murat, in Id., Scritti storici, a cura di B. Croce, I, Bologna 2002, ad ind. Sullo stesso ruolo durante il governatorato inglese della Sicilia: J. Rosselli, Lord William Bentinck e l’occupazione britannica in Sicilia. 1811-1814, Palermo 2002, ad indicem. Limitatamente al 1814, W. Maturi, Il congresso di Vienna e la restaurazione dei Borboni a Napoli, in Rivista storica italiana, s. 5, III (1938a), 3, pp. 32-36, 38-43, 47-49, 56 s., 59-63, 66, 68-70; ibid., s. 5, III (1938b), 4, pp. 4, 9, 13, 18, 41 s., 44-47, 49, 52, 55. Sulla sua attività come ambasciatore a Parigi dal 1815 in poi: A. Cutolo, La rivoluzione di luglio e il principe di Castelcicala, in Archivio storico italiano, s. 7, XX (1934), pp. 263-290; W. Maturi, La politica estera napoletana dal 1815 al 1820, in Rivista storica italiana, s. 5, IV (1939), 2, pp. 228 s., 234, 236, 238 s., 241, 251 s., 255 s., 264-268. Sull’affare Galotti: L. De Viel-Castel, Histoire de la Restauration, XX, Paris 1878, pp. 113-118. Sul suo conservatorismo: C. Cassina, Incomprensioni controrivoluzionarie: il caso di F. R., principe di Castelcicala (1763-1832), in Trimestre, XLIII (2010), 1-4, pp. 11-26. Varie notizie su di lui anche in libri di carattere generale sui Borbone o sul Regno di Napoli, tra cui: H. Acton, I Borboni di Napoli, (1734-1825), Milano-Firenze 1974, ad ind.; G. Galasso, Storia d’Italia, XV, 4, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno borbonico e napoleonico (1734-1815), Torino 2007a, ad ind.; Id., Storia d’Italia, XV, 5, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno borbonico e risorgimentale (1815-1860), Torino 2007b, ad indicem.