RUFFO, Paolo,
principe di Castelcicala. – Nacque a Richmond, in Inghilterra, il 2 luglio 1791 da Fabrizio, principe di Castelcicala, ambasciatore del Regno di Napoli a Londra, e da Maria Giustina Pinto, dei principi di Ischitella.
Ebbe i titoli di terzo principe di Castelcicala e di secondo duca di Calvello. Studiò al collegio militare di Eton, da cui uscì tenente nel 6° reggimento dei dragoni. Con questo grado partecipò alla battaglia di Waterloo nel 1815, dove in pieno combattimento fu due volte impiegato come portaordini dal duca di Wellington, che da quel momento lo ebbe in grande stima, anche a causa della grave ferita riportata alla testa il 3 maggio, per la quale ottenne un anno di aspettativa. In seguito tornò in servizio, in qualità di avvocato nella corte marziale di Birr. Lasciò l’esercito inglese il 24 ottobre 1821 e di lì a poco fu a Napoli, dove alcuni mesi prima l’armata austriaca aveva posto fine al breve periodo costituzionale iniziato con la rivoluzione del luglio 1820.
Il 30 maggio 1824 fu nominato colonnello dell’esercito napoletano e a luglio gentiluomo di camera di Ferdinando I. Negli anni successivi, l’impegno di Ruffo si esplicò in campo diplomatico. Il suo primo incarico, dal 1825 al 1830, fu di inviato straordinario a Berna, per il reclutamento dei quattro reggimenti svizzeri che sostituirono l’esercito austriaco di stanza nel Regno dal 1821. Durante la sua permanenza a Berna, conobbe Thaddée de Zeltner, figlia dell’ambasciatore svizzero a Parigi, che sposò il 25 marzo 1835 a Solothurn. Dal matrimonio nacquero due figli: Fabrizio (destinato a breve vita, morto nel 1838) e Giustina (1839-1906). Frattanto, Ruffo era stato nominato prima ambasciatore a Vienna (ottobre 1831) e poi a San Pietroburgo (giugno 1832), ma presto rientrò a Napoli, come generale di brigata e aiutante di campo di Ferdinando II.
Nel 1838 scoppiò la crisi diplomatica con la Gran Bretagna per la questione degli zolfi siciliani, poiché il governo di Napoli ne aveva concesso lo sfruttamento a una compagnia francese rinnegando gli accordi contratti nel 1816 con i mercanti inglesi. Per ricucire le relazioni con la potenza britannica, che aveva inviato la flotta nel Tirreno, alla fine di marzo 1840 Ruffo fu inviato a Londra allo scopo di scongiurare un’azione militare inglese. Superata la crisi, il 27 ottobre 1841 fu nominato ministro plenipotenziario del Regno delle Due Sicilie a Londra, ma la carica non fu di suo gradimento: perché non voleva perdere «l’avanzamento ordinario nella carriera militare» che – affermò in una lettera a Ferdinando II – «preferisco alla diplomazia»; inoltre non esitava a definire l’Inghilterra, dov’era nato e vissuto per più di trent’anni, «paese noioso e costosissimo per la vita» (Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, f. 812, I).
Da quel momento ebbe incarichi molto importanti, in campo diplomatico e politico, che lo videro al centro di alcuni dei momenti di svolta della storia del Regno: prima i non facili rapporti con la Gran Bretagna e in particolare la ‘crisi delle lettere di Gladstone’, poi le insurrezioni siciliane della seconda metà degli anni Cinquanta fino alla spedizione dei Mille.
In Inghilterra Ruffo fu ambasciatore per un decennio. Inizialmente si occupò soprattutto dei problemi derivanti dal soggiorno a Londra del principe Carlo di Borbone, fratello del re in volontario esilio per aver sposato senza autorizzazione del sovrano una nobildonna inglese non di sangue reale. Poi, per diversi anni, si impegnò a valutare l’adattamento delle macchine a vapore nelle navi a vela costruite nei cantieri britannici; a partire dal 1843 comprò pertanto due corvette e cinque fregate, di cui l’ultima – acquistata nel 1849 dal governo rivoluzionario siciliano – fu posta sotto sequestro a Liverpool su istanza di Ruffo per due anni, per poi essere consegnata al governo napoletano. Frattanto svolse un ruolo importante nella stipula del trattato di commercio con l’Inghilterra del 1845, soprattutto per l’efficace «azione persuasiva» (Pontieri, 1965, p. 347) verso il diffidente governo di Napoli. Nel 1848-49 ottenne dal ministro degli Esteri inglese Henry John Temple, visconte di Palmerston, che la Gran Bretagna non intervenisse in difesa dei rivoluzionari siciliani.
Nell’aprile del 1851, William Ewart Gladstone, tornato da poco da un lungo soggiorno a Napoli, inviò al primo ministro lord George Hamilton Gordon, conte di Aberdeen, una lettera in cui condannava la forte repressione in atto nel Regno delle Due Sicilie e le terribili condizioni di vita dei prigionieri politici, arrivando a definire l’assolutismo borbonico «la negazione di Dio eretta a sistema di governo».
Prima di consentirne la pubblicazione, Aberdeen comunicò l’accaduto a Ruffo, palesando la possibilità di impedirne la stampa se Ferdinando II si fosse impegnato a mitigare la condizione carceraria dei patrioti. Ruffo, che era stato informato anche dallo stesso Gladstone, ne scrisse a Napoli, ma non ebbe risposta dal ministro degli Esteri Giustino Fortunato e dal segretario particolare del re, Leopoldo Corsi. La lettera venne pubblicata l’11 luglio, seguita da una seconda più circostanziata pochi giorni dopo. Entrambe furono diffuse, tramite gli ambasciatori inglesi, tra le corti europee. Qualche tempo dopo, Charles Macfarlane scrisse un pamphlet in contrapposizione a quello di Gladstone di cui Ruffo chiese invano a Palmerston un’analoga diffusione. Ritenuto responsabile dell’incidente da Ferdinando II, Ruffo venne richiamato a Napoli, e qui rese noto l’andamento dei fatti ottenendo la destituzione dei responsabili.
Rimasto senza incarichi per circa tre anni, con l’eccezione di una breve missione a Vienna nel marzo del 1853 per portare le felicitazioni del re all’imperatore Francesco Giuseppe, scampato a un attentato, nel 1855 fu scelto per sostituire come luogotenente generale in Sicilia il dimissionario Carlo Filangieri. La nomina avvenne il 13 marzo, ma Ruffo non partì subito a causa della malattia della moglie, morta il 6 aprile successivo; quindi si recò a Palermo solo a fine maggio.
Non fu una scelta felice; Ruffo venne considerato dai contemporanei inadatto a un compito così gravoso: «apatico e poco intelligente» (Curato, 1995, p. 250) lo giudicò Alexander von Hübner, inviato austriaco a Napoli; mentre per altri osservatori era «stupidissimo, [...] inetto [...] anche a comprendere quanto gli si esponeva» (Di Marzo Ferro, 1863, p. 343); «imbecille [...] inetto a governare, essendo stato circuito dallo scaltro Maniscalco direttore di polizia, abbandonò a lui ogni potere» (Bracci, 1870, pp. 113 s.). In seguito, la storiografia è stata più benevola, ma sempre molto critica: Raffaele De Cesare, ad esempio, si limita a definirlo «privo di attitudine negli affari di amministrazione civile» (I, 1975, pp. 64 s.). L’analisi dei suoi rapporti ai sovrani consente però di valutare l’attendibilità di questi giudizi e mitigarne la severità.
Il sentimento di ostilità e sfiducia verso le sue capacità non dovette sfuggire a Ruffo stesso che, fin da subito, in più occasioni sentì l’esigenza di lamentarsene con Ferdinando II, non perdendo occasione di sottolineare le sue divergenze con le vedute del ministro per la Sicilia Giovanni Cassisi e con i direttori dei vari dicasteri siciliani, a eccezione di Salvatore Maniscalco, direttore della Polizia.
A tale proposito nell’agosto del 1855 scriveva al sovrano: Maniscalco «è il solo che fa il suo dovere [...] e ciò dispiace sommamente al Ministro [Cassisi], che nutre odio contro di lui, e che avrebbe amato, che egli avesse usato con me quella stessa indifferenza, che con me serbano gli altri Direttori ed anche gli intendenti delle Provincie ai quali ho dovuti far minacce per chiamarli al dovere». Infatti, ogni affare in Sicilia «procede[va] da sé» senza tenere in «niun conto» Ruffo, che aggiungeva: «Io non sono ambizioso, Vostra Maestà lo conosce, ma essendo il rappresentante Suo, voglio esserlo con quella dignità che richiede l’alto posto che occupo, e non posso permettere, che mi si faccia fare la figura d’imbecille» (Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, b. 1009).
Nel corso della sua luogotenenza svariati furono i problemi di carattere civile di cui Ruffo si occupò cercando appoggio al centro, in diretto contatto con il monarca. Un problema molto sentito fu la diffusa povertà, per cui propose varie soluzioni, senza successo. Nell’agosto del 1856, alla speculazione dei fornai di Palermo che alzavano il prezzo del pane con vari espedienti, rispose facendo scendere in piazza la polizia e requisendo il pane per darlo ai poveri.
La condizione dello spirito pubblico fu una costante preoccupazione per Ruffo, consapevole del municipalismo e autonomismo che caratterizzava ampi strati della popolazione dell’isola. Fin dall’inizio del suo incarico si confrontò con alcune turbolenze che cercò di sminuire agli occhi del sovrano con rassicurazioni e soluzioni rapide; nel contempo moderò alcuni provvedimenti fortemente repressivi, come le pene per i detentori di armi (arresti in luogo della pena capitale). Nel biennio iniziale della luogotenenza fronteggiò prima i disordini di Messina e Catania (ottobre 1855) e un anno dopo il tentativo insurrezionale di stampo mazziniano di Francesco Bentivegna. Ai primi rispose con l’invio di una colonna mobile per percorrere le due province; al secondo con l’invio del VII battaglione Cacciatori e di un plotone di cavalleria, che gli consentì di riprendere nel giro di poco meno di un mese il controllo della situazione e di ricevere gli elogi del re per la fermezza mostrata.
Negli anni successivi, il timore delle ripercussioni sul Regno dei nuovi equilibri politici che si andavano delineando in Europa dopo gli accordi di Plombières (21 luglio 1858), lo avvicinarono ancora di più alle posizioni del sovrano, rafforzandolo nella sua opposizione a ogni forma di liberalismo. Per impedire la diffusione delle idee mazziniane tra i carcerati, ottenne il trasferimento di quindici reduci della spedizione di Sapri nel carcere di Favignana; tenne alta l’attenzione sui segnali delle possibili ingerenze straniere sullo spirito pubblico dell’isola, intensificando le segnalazioni sui consoli degli altri Paesi, sui comportamenti degli equipaggi delle navi straniere nei porti, sulle manifestazioni di dissenso della popolazione, sullo stato dell’esercito e sulla fermezza del corpo ufficiali; acuì la sorveglianza per contrastare l’eventuale ritorno di esuli.
Dal giugno del 1859, l’avvicendamento al trono di Francesco II e il mutato scenario politico italiano, portato dalle vittorie franco-piemontesi nella seconda guerra d’indipendenza, aprirono una fase di crescenti preoccupazioni, che spinsero Ruffo a chiedere la sua sostituzione con un principe di stirpe reale, per lusingare una popolazione che da sempre ambiva alla presenza di una corte e togliere così l’appoggio agli agitatori. L’obiettivo di preservare l’immagine della monarchia e il consenso verso di essa fu a guida della sua azione anche di fronte all’intensificarsi delle manifestazioni di dissenso, in aperto contrasto con l’azione repressiva di Maniscalco. «La gravità dei tempi» – scriveva al re nell’ottobre del 1859 – «ingiunge la più stretta vigilanza [ma] meglio prevenire, scoprendo le mene dei tristi, che far loro paura con apparato di forza» (La fine del Regno, 1960, pp. 145 s.). Il dissenso nei confronti di Maniscalco procurò a Ruffo l’accusa di averlo delegittimato e di essere stato dunque la causa indiretta dell’attentato subito dal direttore della Polizia il 27 novembre 1859. Egli respinse con fermezza queste accuse, assicurando di aver sempre fornito tutto l’appoggio necessario a Maniscalco, anche se lo faceva «perché il bene del servizio del Re lo richiedeva, e non per simpatia», fino al punto da sentirsi dire che si «facea guidar per naso da lui troppo ciecamente» (5 dicembre 1859, p. 164). La divergenza era insanabile: «sarà mai contento di me? – scriveva al re di Maniscalco – Nol potrà esser mai: egli è uomo di partiti, io non ò partiti: egli crede che il governo ordina, io credo che il Re governa» (p. 165).
Frattanto, non sempre si mostrò consapevole della gravità della situazione e pur riferendo di sommosse e scorribande di ‘banditi’, diede poco credito al pericolo rivoluzionario. Il 12 ottobre scrisse al re che non bisognava «mostrare il paese in uno stato di agitazione maggiore di quello che è in realtà» (p. 136); a dicembre si vantava di non essere «della scuola di quelli, che vogliono allarmando riuscire [...] dipingendo il paese sempre pronto alla sommossa» (p. 167); il 28 gennaio 1860, dopo la repressione delle agitazioni nella Sicilia orientale, dichiarava: «la tranquillità, grazie al Cielo, perdura in tutta l’Isola» (p. 180). Nel marzo successivo, Ruffo si recò «a Napoli per discutere nei dettagli la prossima visita del sovrano in Sicilia» (p. 84), ma durante la sua assenza il 4 aprile scoppiarono a Palermo i cosiddetti moti della Gancia. Tornato nell’isola il 5 aprile, non seppe affrontare efficacemente la difficile situazione, sulla cui gestione si incrinò il rapporto con Francesco II. La rottura maturò sulla mancanza di tempestività che il sovrano gli attribuì sia nell’affrontare le bande armate che assediavano Palermo dopo quei moti, sia in occasione dello sbarco dei Mille. La mancata adozione di una vigorosa strategia offensiva e la incessante richiesta di rinforzi – giustificate con la volontà di non sguarnire Palermo – aveva permesso, nel primo caso, la diffusione della rivolta in tutta l’isola e – dopo lo sbarco dei Mille – l’amplificarsi della rivoluzione e l’avvicinarsi a Palermo del nemico.
Il 17 maggio venne sostituito alla luogotenenza di Sicilia e al comando militare dal generale Ferdinando Lanza e lasciò Palermo prima dell’arrivo di Garibaldi. Rientrato a Napoli, fu ben accolto da Francesco II e fino all’arrivo di Garibaldi dimorò in una stanza del Palazzo reale. Il 6 settembre fu inviato a Roma con compiti diplomatici non chiari, finalizzati presumibilmente a fermare l’offensiva nemica.
In seguito, Ruffo si ritirò a Parigi con la figlia Giustina e da lì intrattenne buoni rapporti con Francesco II in esilio a Roma, al quale nell’agosto del 1861 manifestò la sua disponibilità per «un servizio qualunque» (Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, f. 1133); tuttavia nell’autunno 1862 non seppe – o non volle – avvicinare il ministro di Napoleone III, Édouard Drouyn de Lhuys, suo parente, per perorare la causa del sovrano deposto in funzione di un’utopistica restituzione del Regno.
Morì a Parigi il 12 novembre 1865.
Fonti e Bibl.: Un’ampia e documentata biografia, anonima e molto di parte, è Le prince de Castelcicala, Paris 1866; un breve profilo biografico (con molti errori) è nel Dizionario del Risorgimento nazionale, diretto da M. Rosi, IV, Milano 1937, ad vocem. Notizie genealogiche sulla famiglia sono reperibili sul sito Enciclopedia genealogica del Mediterraneo, http://www. genmare nostrum.com/pagine-lettere/letterar/Ruffo/Ruffo %20di%20bagnara.htm (21 ottobre 2016). Sulla carriera militare nell’esercito inglese si consulti il sito The Napoleon Series, http:// www.napoleon-series.org, ad vocem (11 luglio 2016). Sul suo ruolo per l’arruolamento di reggimenti svizzeri: A. Genoino, Le Sicilie al tempo di Francesco I (1777-1830), Cava dei Tirreni 1982, pp. 251 s., 257, 301 s., 318. Sul suo operato in occasione della crisi con l’Inghilterra per la questione degli zolfi: V. Giura, La questione degli zolfi siciliani. 1838-1841, Genève 1973, ad indicem. Per il periodo in cui fu ambasciatore a Londra è fondamentale il carteggio con il sovrano e la corte in Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, f. 811, II; 812, I; 812, II; 1036. Sul suo ruolo nel trattato di commercio con l’Inghilterra: E. Pontieri, Il riformismo borbonico nella Sicilia del Sette e dell’Ottocento, Napoli 1965, ad ind.; sull’acquisto delle navi a vapore: L. Radogna, Storia della marina militare delle Due Sicilie (1734-1860), Milano 1978, ad indicem. Sulla pubblicazione delle lettere di Gladstone: Lettres addressed to several members of the British Cabinet, and speeches on various subjects, delivered in several towns and cities in England, Ireland, and Scotland, Dublin 1856, p. 119; G. Ricciardi, Histoire de l’Italie et de ses rapports avec l’Autriche depuis 1815 jusqu’a nos jours, Paris 1861, pp. 131 s.; P. Calà Ulloa, Il Regno di Ferdinando II, a cura di G.F. de Tiberiis, Napoli 1967, ad ind.; R. De Cesare, La fine di un regno, I-II, Roma 1975, ad indices; R. Cotugno,Tra reazioni e rivoluzioni. Contributo alla storia dei Borboni di Napoli dal 1849 al 1860, Lucera s.d., pp. 24 s., 32-38, 40, 42, 46-51, 54, 59, 63-65, 69, 83, 88, 90, 93, 111; F. Curato, Il regno delle Due Sicilie nella politica estera europea 1830-1859, Palermo 1995, ad indicem. Il periodo di luogotenenza in Sicilia è esaminato in tante cronache coeve e nelle successive ricostruzioni storiche, con particolare riferimento ai movimenti rivoluzionari che precedono la spedizione dei Mille. Se ne riportano le principali: G. Di Marzo Ferro, Un periodo di Storia di Sicilia dal 1774 al 1860 da servire di continuazione alla storia di Di Blasi, II, Palermo 1863, pp. 342 s.; Cronaca degli avvenimenti di Sicilia da aprile 1860 a marzo 1861, Italia 1863, pp. 6, 10, 23-25, 58-60, 88-91, 103; F. Bracci, Memorie storiche intorno al governo della Sicilia dal 1815 sino al cominciamento della dittatura del generale Garibaldi, Palermo 1870, pp. 113 s., 125 s., 131; F. Guardione, Il dominio de’ Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861 in relazione alle vicende nazionali, II, Torino 1907, ad ind.; F. Crispi, I Mille. Da documenti dell’archivio Crispi, Milano 1911, pp. 372 s., 380-392; F. Guardione, I Mille, Palermo 1913, ad ind. (in appendice quindici lettere di Ruffo al ministro per la Sicilia tra il 15 giugno 1859 e il 3 giugno 1860); R. Composto, La situazione rivoluzionaria nei primi giorni del 1860 e un dispaccio inedito del principe di Ca-stelcicala, in La Sicilia verso l’unità d’Italia, Palermo 1960, pp. 47-52. Si vedano anche: H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, 1825-1861, Milano 1962, ad ind.; R. Giuffrida, Lo spirito pubblico in Sicilia dal settembre 1859 al maggio del ’60 nei rapporti del Castelcicala, in La Sicilia dal 1849 al 1860, a cura di G. di Stefano, Trapani 1962, pp. 169-250; F. Brancato, La dittatura garibaldina nel Mezzogiorno e in Sicilia, Trapani 1965, ad ind.; G. Galasso, Storia d’Italia, XV, 5, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno borbonico e risorgimentale (1815-1860), Torino 2007, ad ind.; G. Astuto, Garibaldi e la rivoluzione del 1860. Il Piemonte costituzionale, la crisi del Regno delle Due Sicilie e la spedizione dei Mille, Acireale-Roma 2011, ad indicem. Su questo periodo è molto utile il fittissimo carteggio tra Ruffo e i sovrani (Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, ff. 1009, 1010, 1133), e con il solo Francesco II: 1860. Documenti riguardanti la Sicilia, s.l. s.d., ma 1863, pp. 1-159, 263-291 (5 aprile-18 maggio 1860); La fine del Regno di Napoli. Documenti borbonici del 1859-60, a cura di R. Moscati, Firenze 1960, pp. 93-205 (26 maggio 1859 - 12 aprile 1860).