Rugby
Come per altri sport giocati con la palla, anche per il rugby si possono rintracciare le origini nella tradizione greco-romana. Nell'antica Grecia è documentata la pratica di giochi come l'epìskyros, nel quale i giocatori si dividevano in due campi delimitati da linee (per questo paragonato da alcuni all'odierno rugby), e l'apòrraxis, che imponeva di battere la palla violentemente sul pavimento per poi farla rimbalzare contro il muro e ribatterla fino all'errore. La palla era normalmente realizzata in cuoio, colorata e riempita di vari materiali (piume, crine, lana, farina, sabbia), ma in caso di necessità poteva anche essere fatta di stracci.
Il gioco che, tuttavia, più si avvicina all'attuale rugby è l'harpastum, di origine spartana ma diffuso soprattutto in ambiente romano (il termine deriva dal greco harpastòn "palla da gioco", a sua volta derivato dal verbo harpàzo "rapire, strappare a forza"). Raccomandato dal medico greco Galeno (2° secolo d.C.) come esercizio igienico, secondo la testimonianza dello scrittore latino Sidonio Apollinare (5° secolo) si giocava su un terreno rettangolare, con una linea mediana e due linee di fondo campo. Lo scopo era quello di conquistare la palla nel corso di mischie affollate per portarla oltre la linea degli avversari. A tal fine i giocatori avevano facoltà di passarsi la palla e ingannare gli avversari con alcune finte; si aveva il diritto di giocare la palla al primo rimbalzo, mentre al secondo non era più giocabile. La palla era di materiale duro e non poteva essere calciata. Era possibile fermare l'avversario in due modi: placcandolo oppure afferrandolo per qualsiasi parte del corpo, collo compreso.
Nel Medioevo, a causa della frammentarietà delle fonti, non è facile seguire l'evoluzione dei giochi con la palla. Si conosce il gioco della soule, praticato in Francia già nel 12° secolo e popolare soprattutto in Piccardia, Normandia e Bretagna, e poi nelle regioni al di là della Manica, dove avrebbe preso il nome di football. Lo scopo del gioco era portare la palla oltre un limite designato, che poteva essere anche un muro di cinta o addirittura il portale di una chiesa. Per raggiungere tale obiettivo era permessa qualsiasi azione, tanto da rendere il gioco molto pericoloso, costringendo di conseguenza alcuni sovrani a emettere editti per vietarlo. Gli incontri, disputati di preferenza durante le feste del carnevale, si risolvevano in autentiche sfide fra squadre di due villaggi o di due corporazioni. Soule era anche il nome della palla usata nel gioco, una vescica riempita d'aria, di paglia o di fieno e ricoperta di cuoio; l'etimologia è incerta e potrebbe rimandare simbolicamente al Sole o più semplicemente al verbo soulager "alleviare". Poiché il gioco appare molto simile all'harpastum, sembra plausibile che questo sia stato esportato dai Romani al momento della conquista della Gallia; da qui la soule sarebbe passata in Inghilterra probabilmente nei secoli successivi alla conquista normanna. Il francese Jean-Jules Jusserand, che nel 1901 pubblicò Les sports et jeux d'exercise dans l'ancienne France, offre un'eccellente descrizione della soule praticata nel 12° e 13° secolo.
In Italia la tradizione dell'harpastum è stata raccolta soprattutto nel calcio fiorentino, il più vicino al rugby moderno sia nelle regole sia nello spirito. Nella Venezia del 18° secolo era praticato un gioco che consisteva nel passaggio con le mani di una grossa palla fra i giocatori di quattro squadre (formate da quattro elementi ciascuna) con l'obiettivo di portarla in campo avversario; la palla era fatta di cinque strati, quattro di pelle di capra e quello più esterno di filo finemente ritorto, ed era gonfiata con una pompa di legno.
La data di nascita ufficiale del rugby è il 1823, come certifica la lapide affissa sul muro della Rugby School, nella cittadina inglese di Rugby (Warwickshire), dove studiava William Webb Ellis, cui tradizionalmente si attribuisce l'invenzione del gioco, nonostante egli non ne avesse mai rivendicato la paternità. La questione dell'origine del rugby resta dunque controversa e sostanzialmente legata a testimonianze locali.
Nel corso dei decenni successivi, mentre il rugby si diffondeva nelle scuole secondarie e nelle università, si sentì il bisogno di attuare una codificazione meno estemporanea delle sue regole. Il gioco presentava alcune caratteristiche peculiari: la libertà di correre con la palla in mano e di placcare il giocatore che la porta; l'ammissione dello hacking, cioè la possibilità di dare calci negli stinchi. Il rugby, tuttavia, era considerato ancora una variante del football, tanto che molti club, almeno fino alla nascita a Londra della Rugby Football Union (RFU) nel 1871, continuarono a definirsi football clubs. Fino al 1863 si distinguevano fondamentalmente due tipi di football: il 'gioco di dribbling' (calcio), giocato nelle scuole di Eton, Harrow, Westminster e Charterhouse, e il 'gioco alla mano' (rugby), praticato a Rugby, Marlborough e Cheltenham. A renderli inconciliabili era soprattutto l'applicazione o meno della regola dello hacking. Nel 1863, durante una riunione tenuta a Cambridge, si propose la messa al bando del placcaggio e della possibilità di correre con la palla in mano; fu proprio a questo punto che il gruppo di Rugby si ritirò dai lavori: poteva accettare l'abolizione del calcio negli stinchi, che in seguito in effetti sarebbe stato bandito dal regolamento del rugby, ma non il divieto di portare il pallone con le mani. Il 26 ottobre 1863 undici club e scuole di Londra mandarono loro rappresentanti alla Freemason's Tavern per stabilire almeno le regole fondamentali. Nasceva così la Football Association, ultimo tentativo di sintesi fra quelli che ormai stavano diventando due sport diversi. I motivi di disaccordo tra calciatori e rugbisti riguardavano ancora in particolare la regola dello hacking, che Ebenezer Coll Morley, segretario della Football Association, voleva eliminare e il rappresentante del club rugbistico Blackheath voleva, invece, conservare. L'8 dicembre 1863, a seguito del prevalere della linea fautrice dell'eliminazione della regola che permetteva il calcio negli stinchi, Blackheath e altri club rugbistici abbandonarono la Football Association.
Il 26 gennaio 1871 venti club di rugby si riunirono a Londra e fondarono la RFU (Rugby Football Union), stabilendo un regolamento unico di gioco i cui punti principali riguardavano l'abolizione dello hacking, l'impiego della palla ovale (con l'esplicito intendimento di renderla difficilmente controllabile con i piedi) e la possibilità di correre con la palla fra le mani. Il numero dei giocatori venne fissato prima a 20 e poi a 15 qualche anno più tardi (1875-76). Abolito lo hacking, era proibito anche il placcaggio alle gambe che, però, fu presto adottato.
Praticato nelle public schools dell'aristocrazia inglese, il rugby si diffuse nei territori dell'impero britannico al pari del cricket. La sua gestione fu affidata alla International Rugby Board (IRB), nata nel 1886 con sede a Londra (nel 1995 è stata trasferita a Dublino), che contava 6 rappresentanti inglesi contro 2 per ciascuno degli altri tre membri dell'Unione (Galles, Scozia, Irlanda).
Nel corso del tempo la supremazia inglese nel rugby andò via via limitandosi, ma non si perse del tutto; ancora oggi, infatti, è saldamente conservata, nonostante gli ingressi successivi nell'IRB di Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica (dal 1° gennaio 1949), poi della Francia (1978), quindi di Argentina, Canada, Giappone e Italia (1990), che hanno portato a 12 i paesi membri e a 20 il numero dei voti. Il blocco anglosassone è sempre largamente maggioritario: Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda, Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica, infatti, con 2 membri ciascuno, dispongono di 14 voti, mentre agli altri paesi ne rimangono 6 (2 alla Francia). Un seggio lo ottenne anche la FIRA (Fédération internationale de rugby amateur), fondata in Francia nel 1934 come reazione all'espulsione subita per professionismo dal 1931 al 1947; dal 1999 la denominazione è cambiata in FIRA-AER (Fédération internationale de rugby amateur - Association européenne de rugby). Alla fine del 2004 è stato proposto il doppio rappresentante anche per gli altri paesi.
Inghilterra. - È stabilmente fra le prime quattro potenze rugbistiche mondiali ed è il paese che vanta più giocatori di rugby in assoluto. Nel 2003 a Sydney, superando in finale l'Australia per 20-17, ha conquistato la quinta edizione della Coppa del Mondo, vinta in precedenza dalla Nuova Zelanda, dall'Australia, dal Sudafrica e ancora dall'Australia.
La divisa della squadra è costituita da maglia e pantaloncini bianchi; il simbolo è la rosa rossa.
Irlanda. - Fu il primo paese, dopo l'Inghilterra, ad adottare il rugby, introdotto nel 1854 nel Trinity College di Dublino. Nell'area occidentale dell'isola era in uso un gioco simile al rugby, il caid, ma non ne giunse alcuna influenza a Dublino. Fu soltanto nel 1868, per merito di due ex allievi del Trinity College, C.B. Barrington e R.M. Wall, che si riuscì a dare ordine alle regole di gioco per consentire la nascita di due club al di fuori dell'università: i Wanderers (1870) e il Lansdowne (1872), località quest'ultima dove fu eretto nel 1878 il Lansdowne Park, il più antico dei grandi stadi del mondo e ancora oggi tempio del rugby irlandese.
Nel 1874 Richard Milliken Peter fondò a Dublino la Irish Football Union (IFU). Precedentemente nel Nord dell'Irlanda era sorto a Belfast, nel 1859, il North of Ireland Football Club (NIFC) e, dieci anni dopo, il Queen's University Football Club; quindi, in risposta a Dublino, anche a Belfast venne fondata una nuova associazione, la Northern Football Union (NFU). Nel 1875 arrivò la proposta inglese di un confronto fra le nazionali inglese e irlandese; l'Irlanda perse, ma in quell'occasione fu fondata la Rugby Football Union, la federazione unitaria che divenne effettiva già nel 1879. In tutti gli altri sport l'Irlanda si presenta ancora oggi divisa in Ulster ed Eire, mentre soltanto nel rugby la nazione è rappresentata da giocatori indifferentemente provenienti dal Nord di Belfast e dall'Irlanda repubblicana di Dublino.
Attualmente il rugby irlandese si inserisce fra la sesta e l'ottava posizione nella classifica mondiale. Dal punto di vista organizzativo esso si divide in quattro branches che corrispondono alle province: Leinster, Munster e Connacht nella Repubblica d'Irlanda; Ulster nell'Irlanda del Nord.
La divisa della squadra è costituita da maglia verde e pantaloncini bianchi; il simbolo è il quadrifoglio.
Scozia. - Anche in Scozia il rugby fu introdotto da studenti: nel 1855 i due fratelli Alexander e Francis Cromie, che avevano praticato questa disciplina a Durham (nel Nord dell'Inghilterra), si iscrissero all'Edimburgh Academy e nel 1858 fondarono il primo club scozzese, gli Academicals.
Dapprima il rugby fu praticato soltanto fra tre club: Academicals, Merchiston Castle e Royal High School. Le regole erano ancora piuttosto elastiche, ma nel 1867 si giunse a un accordo in proposito e nel 1871 Scozia e Inghilterra disputarono il primo match internazionale di rugby. La Scottish Rugby Union nacque due anni dopo, nel 1873.
La Scozia è anche la patria del rugby a 7 (Seven-A-Side Rugby), in procinto di entrare nel programma olimpico e di cui attualmente si disputa la Coppa del mondo.
La Scozia si distingue fra le grandi nazioni del rugby per la relativa esiguità del numero dei suoi praticanti. Nonostante ciò riesce a rimanere fra le prime otto squadre del mondo, incalzata da paesi emergenti come l'Italia e le Figi.
La divisa della squadra è costituita da maglia blu con doppia striscia bianca e pantaloncini blu; il simbolo è il fiore di cardo.
Galles. - Con l'introduzione del rugby verso la metà del 19° secolo, le prime squadre si formarono negli anni subito successivi: Neath, Llanelli, Newport e Swansea non rappresentavano scuole, né club, ma città. Si trattava di veri e propri club aperti che coinvolgevano studenti, minatori e operai, attirando molti spettatori.
La Federazione giunse per ultima fra i paesi britannici, tra il 1881 e il 1882, ma si distinse subito per le sue capacità organizzative; sul piano tecnico, inoltre, nel 1884 portò a 4 (su un totale di 15 giocatori) il numero dei trequarti, un'innovazione che fu seguita dagli altri paesi britannici solo dieci anni più tardi.
Attualmente il Galles è tra i primi otto paesi della classifica mondiale. La divisa della squadra è costituita da maglia rossa e pantaloncini bianchi; il simbolo è il dragone rosso.
Francia. - Il rugby giunse in Francia nel 1870 circa, e nel 1872 nacque il primo club, il Le Havre Athletic Club, i cui colori sono la combinazione di quelli dei colleges inglesi di provenienza: Oxford (blu scuro) e Cambridge (blu chiaro). Nel 1879 fu fondato il Paris Footbal Club, che tuttavia praticava ancora i due codici del football e del rugby. In seguito, nel 1882 e nel 1883, nacquero a Parigi i due club più celebri di Francia: il Racing Club de France e lo Stade Français.
Nel 1887 nacque l'Union des sociétés françaises des sports athlétiques (USFSA) con l'intento di fondere giochi come la soule e la barette; il segretario era il barone Pierre de Coubertin, che nel 1894 promosse l'istituzione delle Olimpiadi moderne. Le società affiliate erano 14, di cui 13 a Parigi. Sotto la spinta di de Coubertin si giocò, nel 1890, il primo campionato a livello scolastico e due anni dopo le società divennero 43 con oltre 5000 soci. Il successo di pubblico portò la Francia ad accettare, nel 1910, l'offerta di partecipare al torneo annuale delle quattro nazioni britanniche, che così divenne a cinque. Non esisteva ancora una federazione specifica per il rugby, che fu costituita soltanto nel 1919.
Nel primo dopoguerra il rugby continuò a crescere in popolarità, soprattutto nel Sud del paese, ma per alcuni episodi di eccessiva esuberanza e violenza nel gioco la Francia fu estromessa dall'IRB nel 1931, per rientrarvi soltanto nel 1947.
La divisa della squadra è costituita da maglia blu e pantaloncini bianchi; il simbolo è il galletto.
Australia.- Giunto anche in Oceania intorno alla metà del 19° secolo, nel 1860 il gioco del rugby fu messo al bando per violenza dal parlamento, ma già nel 1864 nacque il primo club ufficiale presso la Sydney University.
In questo paese il rugby incontrò la concorrenza di un particolare tipo di football, denominato Australian Rules, e più tardi anche del Rugby League, la variante professionistica a 13 giocatori, ma le due forme di rugby e l'Australian Rules si divisero equamente i favori del pubblico. Nel 1870, quando si costituì la Southern Rugby Union, i club erano diventati oltre cento e nel 1883, a Brisbane, si costituì anche la Northern Rugby Union.
Nel 1949 fu fondata la Australian Rugby Union, e Wallabies (dal nome di varie specie di canguri) è il nomignolo che contraddistingue i rugbisti australiani. La divisa della squadra è composta da maglia gialla e pantaloncini verdi; il simbolo è il canguro.
Nuova Zelanda. - La Nuova Zelanda è il paese dove il rugby ha attecchito maggiormente, e gli All Blacks, la nazionale di rugby neozelandese, sono la squadra più popolare e seguita nel mondo.
La prima partita ufficiale di rugby si giocò a Nelson il 14 maggio 1870, un anno prima della nascita della Rugby Football Union. Il rugby divenne rapidamente sport nazionale e, nel 1876, le province neozelandesi più abitate decisero tutte di giocare secondo le regole della RFU. Nel 1880 erano 78 i club riconosciuti.
Nel 1888 partì il primo tour europeo di una squadra neozelandese, la Native Team, capitanata da Joe Warbrick e formata da 26 giocatori, di cui 22 maori: fu la prima squadra a indossare la divisa integralmente nera con la felce argentata e il motto "Play Up New Zealand", e la prima a eseguire la haka, la danza di guerra maori che ancora oggi precede ogni incontro. Impressionante fu il ritmo degli impegni: dal 23 giugno i neozelandesi disputarono 11 incontri in Nuova Zelanda e Australia; poi partirono per la Gran Bretagna, dove giocarono 74 partite in 6 mesi; nella primavera del 1889 si imbarcarono per l'Australia e la Nuova Zelanda, nei quali due paesi disputarono gli ultimi 22 incontri. In totale ottennero 78 vittorie e 23 sconfitte (in Gran Bretagna 49 vittorie e 20 sconfitte) in 14 mesi.
Nel successivo tour in Gran Bretagna, nel 1905, si affermò il mito degli All Blacks, il nomignolo dei giocatori neozelandesi derivato da un refuso tipografico: "they are all backs" diventato "they are all blacks", equivoco rafforzato dalla loro divisa nera. Per il rugby neozelandese fu una tournée davvero storica: 30 partite disputate e 29 vittorie; una sola sconfitta, quella di Cardiff contro il Galles per 0-3, che può però essere considerata un'altra vittoria per via di una meta non concessa al neozelandese Bob Deans dal giovane arbitro scozzese John Dallas. Sulla regolarità di questa segnatura, che avrebbe sancito l'imbattibilità degli All Blacks, tutti i diretti protagonisti furono concordi.
La New Zealand Rugby Football Union non è soltanto il mito del rugby, ne è anche l'espressione tradizionalmente più alta, anche se su cinque edizioni di Coppa del mondo finora disputate se ne è aggiudicata soltanto una, la prima, nel 1987, svoltasi proprio in Nuova Zelanda. Probabilmente gli All Blacks pagano la politica di non schierare nella loro nazionale giocatori militanti all'estero, rinunciando così a elementi di grande pregio.
La divisa della squadra è costituita da maglia e pantaloncini neri; il simbolo è rappresentato dalla felce argentata e dall'uccello kiwi.
Sudafrica. - Anche in Sudafrica il rugby giunse intorno alla metà del 19° secolo. Nel 1858 le regole furono ufficializzate presso la Diocesan Collegiate School di Città del Capo e, nel 1862, apparve sul giornale Cape Argus il primo resoconto di un match. L'articolo parla di "Gog's Football", dove Gog è il soprannome di George Ogilvie, un ex studente di Winchester e Oxford che, una volta stabilitosi a Città del Capo, nel 1858 si adoperò per imporre le regole della RFU, riuscendovi definitivamente a partire dal 1876, quando i club più importanti, come Hamilton, Villagers e Gardens, decisero tutti di optare per il rugby. Negli anni successivi il rugby si estese anche ad altre province sudafricane: dopo la Western Rugby Union (Città del Capo) nel 1883, si organizzarono in rapida successione la Eastern Province (Port Elizabeth) nel 1888, il Transvaal (Johannesburg) nel 1889 e infine il Natal (Durban) nel 1890. L'anno dopo ebbe luogo l'incontro con la rappresentativa britannica (inglesi e scozzesi) che si aggiudicò tre match su tre, mentre nel successivo incontro del 1896 la South African Rugby Football Union perse i primi 3 dei 4 match disputati, ma a Johannesburg segnò ai britannici le prime due mete della storia; nell'ultimo match, giocato a Città del Capo, la squadra sudafricana riuscì ad aggiudicarsi il suo primo successo internazionale.
Nel primo tour europeo (1906) la squadra sudafricana, che in quell'occasione prese il soprannome di Springboks (una specie di gazzelle), disputò 28 partite perdendone solo 2 (contro la Scozia e contro il Cardiff). Anche gli Springboks entrarono nella leggenda del rugby, pur con minore popolarità rispetto agli All Blacks neozelandesi.
Nella storia più recente la squadra sudafricana ha attraversato un grave momento di crisi quando, fra il 1981 e il 1992, fu isolata a causa della politica di apartheid del suo governo e costretta perciò a disputare poche partite internazionali. Gli Springboks non furono espulsi dall'IRB, ma non parteciparono alle due prime Coppe del Mondo nel 1987 e nel 1991. Favorito dagli accordi e dalle politiche conciliatorie del presidente della Repubblica Frederik Willem De Klerk e poi di Nelson Mandela, finalmente il rugby sudafricano si riunì sotto una stessa bandiera nel 1992, venendo immediatamente riammesso all'attività internazionale e partecipando ai Mondiali universitari che si sono disputati in Italia. Nel 1995 al Sudafrica fu assegnata dalla Rugby Board l'organizzazione della Coppa del Mondo di quell'anno.
Con 514.000 giocatori tesserati il Sudafrica si colloca al secondo posto nel mondo per numero di praticanti, dopo l'Inghilterra. Quest'ampia base consente agli Springboks di mantenersi stabilmente al vertice del rugby mondiale, insieme ad Australia, Nuova Zelanda, Inghilterra e Francia. La pratica del rugby, tradizionalmente esclusiva dei bianchi, si è diffusa sempre più fra la popolazione nera, e ai selezionatori degli Springboks è fatto obbligo di inserire nelle squadre un numero prefissato di giocatori neri.
La divisa della squadra è composta da maglia verde e oro, pantaloncini bianchi; il simbolo è la gazzella.
Argentina. - Affermatosi negli anni Ottanta del 19° secolo, fino alla seconda guerra mondiale il rugby fu praticato soprattutto dalle classi medio-alte, formatesi presso scuole inglesi e francesi. Soltanto nel dopoguerra si cominciò ad attingere alle seconde e terze generazioni, e la popolarità del rugby si diffuse da Buenos Aires a Tucumán, Mendoza, Santa Fe, Rosario e Córdoba, conquistando l'ambiente italiano. L'allargamento della base iniziò a portare risultati concreti già nel 1968, quando la nazionale del Galles fu sconfitta in Argentina per 9-5; stessa sorte toccò alla Scozia, nel 1969, con un perentorio 20-3; nel 1977, con il 18-18 contro la Francia, cominciarono i risultati positivi contro le grandi potenze mondiali.
La crescita del rugby argentino fu rallentata dalla crisi economica degli anni Settanta e dalla guerra delle Falkland del 1982. Iniziò così un vero e proprio esodo di giocatori verso l'Europa ‒ come nel caso di Diego Domínguez, trasferitosi a Milano dove divenne uno dei pilastri della nazionale italiana degli anni Novanta ‒ che proseguì per tutto il secolo a causa del perdurare delle difficoltà economiche.
Dal 1995, tuttavia, con l'introduzione del professionismo da parte dell'IRB, molti talenti argentini che erano andati a giocare nei club più importanti del mondo poterono tornare a rinforzare la propria nazionale, l'Unión argentina de rugby, grazie a una preparazione tecnica che non avrebbero avuto se fossero rimasti nei dilettantistici club argentini.
In anni recenti la squadra argentina, nota con il nome di Pumas, ha raggiunto ottimi livelli, nonostante non riesca ancora a figurare nella Coppa del mondo; è forse l'unico paese che possa contare numerosi professionisti di alto livello nei migliori club del Regno Unito, di Francia, Italia, Spagna, Australia e Sudafrica.
La divisa della squadra è composta da maglia celeste a strisce orizzontali bianche e pantaloncini bianchi; il simbolo è il puma.
Le isole del Pacifico. - L'autentico fenomeno del rugby mondiale è rappresentato da Figi, Samoa Occidentali e Tonga. I tre paesi raccolgono insieme poco più di un milione di abitanti e tuttavia le rispettive squadre raggiungono alti livelli nelle classifiche internazionali. Alla fine del 2004 il ranking mondiale le vedeva tutte e tre inserite tra i primi venti paesi del mondo, con le Figi in decima posizione, davanti all'Italia, Samoa dodicesima e Tonga diciannovesima.
Per le popolazioni indigene il rugby divenne rapidamente lo sport nazionale. Le Figi, con oltre 151.000 giocatori, sono al quarto posto per numero di praticanti nel mondo dopo Inghilterra, Sudafrica e Francia.
Dal 1982 i tre paesi hanno avuto modo di sfidarsi annualmente prima nel Triangolare, disputato fino al 1993 (Samoa ne ha vinti 10, Figi 8, Tonga 3), quindi nell'ambito del Pacific Rim, una competizione inizialmente dedicata ai quattro più forti paesi rugbistici del Pacifico settentrionale (Canada, Giappone, Stati Uniti, Hong Kong) e allargata, a partire dal 1999, anche ai tre paesi insulari del Pacifico meridionale. Le prime tre edizioni sono state appannaggio del Canada, mentre nel 2000 il successo è andato a Samoa e nel 2001 alle Figi. Nel 2002 il torneo fu sospeso per la concomitanza con le qualificazioni ai mondiali e successivamente fu soppresso.
Per compensare la cancellazione del Triangolare e del Pacific Rim, nel giugno-luglio 2004 una rappresentativa mista di Tonga, Figi e Samoa Occidentali, denominata Pacific Islanders, ha disputato cinque partite in Australia e Nuova Zelanda affrontando a Gosford, nel New South Wales, le tre nazionali che sono ai vertici mondiali: Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica. Dopo aver vinto nelle partite di avvicinamento con i Queenslands (48-29) a Brisbane e con i Waratahs (68-21) a Sydney, i Pacific Islanders sono usciti sconfitti negli scontri, comunque impegnativi, disputati contro le tre superpotenze rugbistiche, riportando il punteggio di 14-29 contro l'Australia, di 26-41 contro la Nuova Zelanda e di 24-38 contro il Sudafrica.
Italia. - Il rugby approdò in Italia nei primi anni del 20° secolo. La diffusione di questa disciplina, a partire dal 1909, si dovette a Pietro Mariani, giovane emigrante che aveva scoperto e praticato il rugby in Francia.
Tornato in patria per il servizio militare, Mariani si adoperò per raccogliere consensi, aiutato da un giocatore francese, Gilbert, residente in Lombardia. I primi nomi noti sono quelli dei fratelli Grezzi, di Trinchero, Veronesi, Bonfanti e Grassi, giocatori che trovarono ospitalità presso gli impianti del Milan Calcio e dell'US Milanese.
Nel frattempo anche a Torino si cominciò a organizzare incontri, come quello del 1910 tra il Racing Club di Parigi e il Servette di Ginevra; subito dopo venne costituito il Rugby Club Torino, che fu la prima squadra italiana, sciolta però molto presto dopo una partita contro la Pro Vercelli.
L'asse portante, tuttavia, rimaneva il movimento milanese, che il 2 aprile 1911 organizzò all'Arena una partita internazionale tra l'US Milanese e la squadra francese del Voiron contro la quale perse 15-0: oltre a Mariani e a Gilbert, il gruppo italiano schierò anche Bellandi, Bonfanti, Guerin, Grassi, Drinkwater, i fratelli Grezzi, Tadini, Bianchi, Veronesi, MacCornac, Trinchero e Raimondi. La Gazzetta dello sport scrisse dell'entusiasmo con cui i numerosi spettatori avevano accolto questo incontro di football.
Fu Stefano Bellandi a ideare il Comitato nazionale della propaganda del gioco della palla ovale, il cui atto di nascita venne pubblicato sulla Gazzetta dello sport il 26 luglio 1927; Mariani ne era il presidente e Bellandi il segretario.
Ottenuto il riconoscimento del CONI, si disputarono due grandi partite internazionali al Velodromo di Bologna e all'Arena di Milano fra SC Italia di Milano e la selezione francese del Litoral. L'Italia lottò molto bene, ma perse 18-27 e 35-46, suscitando comunque notevole entusiasmo. Gli scambi con i club francesi si intensificarono: il PUC (Paris Université Club) giocò a Torino, Milano e Brescia.
Nel 1928 venne fondata la Federazione italiana rugby (FIR), cui aderirono sedici società: US Milanese, Rugby Club Piemonte sabaudo di Torino, Nucleo universitario fascista di Udine, Bologna sportiva, Vomero di Napoli, Rugby Club littorio di Padova, AS Roma, Forza e coraggio di Milano, Officine meccaniche di Milano, Rugby Club Padova, Sport Club Michelin di Torino, SS Lazio, Sport Club Italia di Milano, XV Legione Leonessa d'Italia di Brescia, Pro Vercelli e Stamura CVIII Legione milizia di Ancona.
Il 12 febbraio 1929 la FIR organizzò il primo Campionato italiano: sei squadre divise in due gironi da tre. Nel girone A l'Ambrosiana di Milano (ex Sport Club Italia), la Leonessa Brescia e il Michelin Torino; nel girone B la SS Lazio, la Bologna sportiva e i Leoni di San Marco di Padova. La SS Lazio e l'Ambrosiana si qualificarono per la finale, conclusasi allo spareggio con la vittoria dell'Ambrosiana per 3-0. Fu il primo di una lunga serie di titoli per il club milanese (che poi prese il nome di Amatori Milano), interrotta soltanto da due vittorie della Rugby Roma nel 1935 e nel 1937.
La crescita e l'affermazione improvvisa del rugby nello spazio di due anni, fra il 1927 e il 1929, si spiega con l'atteggiamento del regime fascista, che dapprima fu molto cauto e poi sempre più favorevole, considerando questa disciplina particolarmente adatta alla formazione e allo spirito di combattimento.
Tuttavia, poiché nel rugby non era prevista un'attività giovanile, gli atleti provenivano per lo più da altre discipline, in particolare l'atletica, e molti praticavano il rugby come secondo sport, come il lottatore Umberto Silvestri, lo schermitore Renzo Nostini, il nuotatore Carlo Pedersoli e persino il dirigente sportivo Primo Nebiolo. Fino agli anni Ottanta mancò pertanto una preparazione specialistica, anche se vi furono alcuni episodi importanti, come la famosa partita contro la Francia a Grenoble il 4 aprile 1963, persa dall'Italia per 14-12, quando a 5 minuti dalla fine gli azzurri dell'esordiente Marco Bollesan (che proveniva dal canottaggio) conducevano per 12-6.
Dopo il secondo conflitto mondiale il rugby, ritenuto uno sport troppo vicino allo spirito fascista, attraversò un periodo di crisi, durante il quale fu sostenuto dalle attività di promozione e organizzazione svolte dalle truppe di occupazione britanniche dell'VIII Armata, in cui molto nutrita era la rappresentanza neozelandese, australiana e sudafricana; si formarono così club dislocati in buona parte della penisola, da Trieste a Napoli e all'Aquila. Ma fu sempre il rugby delle grandi città ad avere un ruolo fondamentale: fu infatti l'Amatori Milano a riconquistare il primo scudetto del dopoguerra nel 1946, seguito dalla Ginnastica Torino nel 1947 e dalla Rugby Roma nel 1948 e nel 1949. Ciò nonostante, il clima della provincia ‒ in particolare quella emiliana e veneta ‒ si mostrava più favorevole, in quanto meglio si riusciva a raccogliere energie e attenzioni e soprattutto a curare i rapporti fra atleti e ambiente sociale. Negli ultimi trent'anni del secolo vi fu il dominio incontrastato del rugby veneto: iniziarono i militari delle Fiamme Oro di Padova, proseguirono Rovigo, Padova e Treviso. Tuttavia, anche l'apporto della provincia sarebbe servito a poco per la crescita del rugby italiano se non fossero intervenute due circostanze ben precise.
La prima grande svolta si ebbe nella seconda metà degli anni Settanta, quando il rugby, seguendo l'esempio di altri sport stimolati dall'impulso propositivo e finanziario del CONI, istituì i primi CAS (Centri di avviamento allo sport). Sotto la presidenza di Sergio Luzi Conti, Mario Martone e Aldo Invernici, la FIR istituì il minirugby per favorire la formazione e la preparazione di bambini interessati a questa disciplina, nell'intento di creare un vivaio dove reperire potenziali talenti, evitando così di affidarsi ad atleti di riporto. Il definitivo salto in avanti del rugby italiano, infatti, si compì negli anni Novanta, quando iniziò a emergere la generazione proveniente dal minirugby.
La seconda svolta fu l'avvento, nel 1995, del professionismo, che incentivò le capacità organizzative e imprenditoriali dei club di provincia, in particolare quelli distribuiti nell'area tra Parma e Brescia. Il massimo campionato italiano professionistico Super 10 vide l'asse rugbistico spostarsi dal Veneto verso il Centro-Nord, tanto che la metà delle squadre proveniva da quella zona (Calvisano, Leonessa Brescia, Viadana, Parma e Parma Noceto), anche se lo 'squadrone' Benetton Treviso continuava ad aggiudicarsi gli scudetti.
A livello internazionale, la storia dell'Italia del rugby (fuori dall'IRB fino al 1991, ma membro della FIRA francese) si caratterizza sia per una serie di sconfitte con la Francia, fino allo storico 32-40 del 22 marzo 1997 a Grenoble, sia per sfide invece vinte contro la Spagna e, per alterne vicende, contro la Romania e la Russia. Gli anni Settanta e Ottanta furono un periodo negativo per l'Italia: la Francia affrontava l'Italia con la formazione B; in Gran Bretagna le selezioni italiane erano mascherate sotto il nome di qualche club; nei primi scambi ufficiali con le potenti squadre dell'Australia e della Nuova Zelanda gli azzurri uscirono sempre perdenti. Tuttavia, nella prima Coppa del Mondo, svoltasi congiuntamente in Australia e Nuova Zelanda nel 1987, l'Italia di Bollesan non entrò nei quarti di finale solo perché, a pari punti in classifica con le Figi e l'Argentina, segnò una meta in meno degli isolani.
Nella successiva Coppa del Mondo del 1991 in Inghilterra gli azzurri persero per soli 10 punti con gli All Blacks, mentre a Brisbane nel 1994 furono sconfitti dall'Australia per soli 3 punti (20-23). L'Italia si guadagnò così un posto nei massimi livelli, pur con molte sconfitte, talora vincendo a spese delle seconde squadre di Francia (1993, 16-9), Scozia (1993, 18-15) e Argentina (1995, 31-25), e poi anche delle nazionali maggiori di Argentina (1995, 31-25) e Irlanda (1997, 39-27), fino alla storica vittoria del 1997, di cui si è detto, sulla prima squadra della Francia, reduce dal Grande Slam nel Cinque nazioni.
Questa serie di successi dimostra la crescita reale e sostanziale del rugby italiano, tanto che nel 1998 l'Italia è stata ammessa dall'IRB, a partire dal 2000, al Torneo Cinque nazioni, che di conseguenza prese il nome di Sei nazioni. Nel match di apertura allo stadio Olimpico di Roma l'Italia sconfisse per 34-20 la Scozia, campione uscente di quel Torneo, suscitando grande meraviglia. Tre edizioni dopo, nel 2003, il Galles uscì sconfitto per 30-22, e l'anno dopo la Scozia perse di nuovo a Roma per 20-14, vedendosi assegnato il wooden spoon (cucchiaio di legno, oggetto virtuale destinato simbolicamente a chi perde tutti e cinque gli incontri e che l'Italia, fino al 2005, ha ricevuto in tre edizioni).
Ai Mondiali del 2003 gli azzurri furono penalizzati dal comitato organizzatore che, per facilitare al Galles il raggiungimento della seconda posizione nel girone D dietro i favoritissimi All Blacks, aveva varato un calendario in cui l'Italia era obbligata a disputare quattro partite in 14 giorni, contro i 19 del Galles. Gli azzurri superarono Canada e Tonga, ma si presentarono sfiancati al virtuale spareggio con il Galles tre giorni dopo la durissima sfida contro il Canada, mentre il Galles aveva avuto cinque giorni per recuperare la precedente partita contro Tonga. L'Italia dominò il primo tempo, ma la mancanza di energia la fece crollare sulla distanza, nonostante l'evidente superiorità. Il trattamento subito dall'Italia suscitò l'indignazione generale e l'ammonimento verbale da parte dell'IRB e del presidente del mondiale, l'irlandese Syd Millar.
Il riconoscimento del valore ormai raggiunto dal rugby azzurro si è confermato ancora nel 2004 con l'inserimento dell'Italia nella prima fascia dell'IRB, costituita dai 10 paesi leaders, e con la proposta di portare a due i rappresentanti italiani nel massimo organismo mondiale, al pari delle altre nazioni. Anche nel Torneo delle Sei nazioni del 2004 è stata sancita la parità assoluta fra l'Italia e gli altri cinque paesi membri.
La crescita del rugby italiano negli ultimi anni è ravvisabile a tutti i livelli, dall'aumento del numero di giocatori a quello degli allenatori, delle squadre e degli arbitri. L'affermazione di questa disciplina si è sviluppata intorno alla presidenza di Giancarlo Dondi e del consiglio federale da lui guidato, a partire dalle elezioni del 1996 (incarico che gli è stato rinnovato per gli anni 2000-04 e 2004-08).
La divisa della squadra è composta da maglia azzurra e pantaloncini bianchi; il simbolo è il tricolore.
Il massimo campionato italiano, chiamato serie A fino al 2000-01, ha assunto la denominazione di Super 10: dieci squadre (Brescia, Calvisano, Viadana, Parma, Parma Noceto, Rovigo, Padova, Treviso, L'Aquila, Catania) che si contendono il titolo con una retrocessione e una promozione dalla serie B. Fino alla stagione 2003-04 sono stati disputati 74 campionati, con la seguente classifica di scudetti vinti: 17 Amatori Milano; 11 Treviso, Rovigo e Petrarca; 5 Rugby Roma, L'Aquila e Fiamme Oro Padova; 3 Parma; 2 Partenope Napoli; 1 Ambrosiana Milano, Ginnastica Torino, Brescia, Viadana.
Le società del Super 10 sono organizzate in lega e gestiscono l'attività del loro torneo e di quelli europei in stretta collaborazione con la FIR. La presidenza della LIRE (Lega italiana rugby eccellenza) è affidata al presidente del club campione d'Italia. La LIRE ogni anno organizza la partita All Stars-Azzurri: i migliori talenti del campionato affrontano la nazionale italiana alla vigilia della prima partita del Sei nazioni.
Alle Coppe europee, disputate dal 1997, partecipano tutte e dieci le squadre del campionato Super 10. La vincitrice dello scudetto e la seconda classificata prendono parte alla Heineken Cup (Coppa campioni). Le altre otto squadre partecipano al Parker Pen Challenge, che a sua volta si suddivide dopo i turni iniziali in European Shield e Challenge Cup. Il miglior piazzamento raggiunto da una squadra italiana è stato conseguito nello European Shield 2004 dal Viadana, che si è qualificato per la finale, poi persa contro i francesi del Montpellier (19-25).
Gli altri campionati italiani sono suddivisi in: serie A, con due gironi da 10 squadre e una promozione in Super 10; serie B, con quattro gironi da 12 squadre; serie C, con nove concentramenti interregionali per un totale di 137 squadre; campionato under 21, riservato ai club di Super 10; campionato under 19, diviso in due livelli (a quello di eccellenza partecipano 20 squadre suddivise in due gironi); campionato under 17, alla cui fase finale prendono parte le vincitrici di quattro trofei federali interregionali; campionato under 15, con una fase interregionale che porta a semifinali e finali nazionali.
Il campionato femminile, la cui prima edizione si è svolta nel 1985-86, si disputa in due gironi: Nord e Sud. Le prime 18 edizioni sono state sempre appannaggio della Benetton Treviso. Lo scudetto 2003-04 è stato vinto dal Riviera del Brenta, che ha superato la Benetton per 10-8.
Tra i più antichi e noti club rugbistici vanno menzionati quello dei Lions e quello dei Barbarians. Il nome ufficiale del primo è British Isles Rugby Union Team: si tratta della rappresentativa ufficiale delle quattro nazioni del Regno Unito che raduna i migliori giocatori delle Home Unions quasi esclusivamente per esibizioni all'estero.
L'attività di questa squadra ebbe inizio verso la fine del 19° secolo, quando cominciarono a essere sempre più frequenti i viaggi delle rappresentative di rugby verso i dominions. Il primo tour ufficiale, con giocatori provenienti da tutte e quattro le Home Unions, si ebbe nel 1910 in Sudafrica. La denominazione Lions arrivò in occasione del tour sudafricano del 1924 per via della cravatta ufficiale che per la prima volta portava impresso il leone, simbolo della forza e dell'orgoglio britannico. La divisa di gioco raccoglie i colori delle quattro nazioni britanniche: la maglia rossa come quella del Galles, i calzoncini bianchi per l'Inghilterra, i calzettoni blu per la Scozia con i risvolti verdi per l'Irlanda. Sullo scudetto quadripartito sono ricamati i simboli delle squadre britanniche: la rosa inglese, il trifoglio irlandese, il cardo scozzese, le tre piume gallesi. In teoria i Lions dovrebbero essere la squadra più forte del mondo, in quanto selezione fra nazionali tutte inserite stabilmente fra le prime otto del ranking mondiale. In pratica, per quanto preparati con estrema attenzione, i Lions soffrono di un affiatamento approssimativo. Il mondo anglosassone dà grande importanza alle vicende dei Lions, tanto che in occasione del tour 2005 il tecnico Clive Woodward si è allontanato dalla guida della nazionale inglese per dedicarsi interamente alla preparazione della spedizione. Con l'avvento della Coppa del mondo nel 1987 e del professionismo nel 1995, i tour hanno iniziato ad avere cadenza quadriennale, per consentire all'IRB di destreggiarsi in un calendario internazionale molto intenso. Tranne che per una partita giocata in Francia, i tour dei Lions avvengono sempre verso l'emisfero australe (Sudafrica, Nuova Zelanda e Australia). Sono considerati test matches anche le partite giocate contro le Figi e il Canada. Prima del tour 2005 nella sola Nuova Zelanda, con 3 test matches, il bilancio dei Lions era di 49 vittorie, 53 sconfitte e 9 pareggi.
Il club dei Barbarians è a inviti e non partecipa ad alcuna competizione ufficiale: viene coinvolto soltanto in occasioni tradizionali o particolari come il tour in Gran Bretagna di Nuova Zelanda, Australia o Sudafrica. I Barbarians sono parte integrante della tradizione del rugby e la loro attività ad alto livello continua a trovare spazio in calendari affollatissimi. Il club fu fondato nel 1890 a Bradford (Yorkshire), a conclusione del tour di una selezione inglese. Fu uno dei giocatori, William Percy 'Tottie' Carpmael, a lanciare l'idea del Barbarian Football Club: un superclub che a ogni fine stagione radunasse giocatori appartenenti a club diversi, aventi in comune la voglia di giocare un rugby d'attacco divertendosi. È un club senza sede e senza campo di gioco; non vi sono quote per i soci, né si fa domanda per esservi ammessi. I Barbarians ‒ o Baa-baas come vengono anche chiamati per via del monogramma sulla maglia e dell'agnello portafortuna ‒ non esistono sul piano finanziario perché sono spesati da chi li ospita, club o nazionali. I tour furono effettuati prima sul suolo britannico, poi anche all'estero e perfino in Italia. Sono tredici i giocatori italiani chiamati a indossare la prestigiosa divisa Baa-baas (maglia a strisce orizzontali bianco-nere, pantaloncini neri, calzettoni del proprio club di appartenenza) tra il 1988 e il 2004: Stefano Bettarello, i fratelli Massimo e Marcello Cuttitta, Diego Domínguez, Julian Gardner, Mark Giacheri, Massimo Giovannelli, Luca Martin, Aaron Persico, Cristian Stoica, Alessandro Troncon, Paolo Vaccari e Andrea Lo Cicero.
Nella storia del rugby sulla scorta dei Barbarians sono sorti molti altri superclub a inviti, ma nessuno della celebrità e della longevità dei Baa-baas. Anche in Italia nacquero alcuni club di successo: i Dogi, selezione del Triveneto nata nel 1973; le Zebre, fondato da Marco Bollesan nello stesso anno; i Lupi, promosso a Roma da Italo Lo Cascio nel 1977; la Colonna, costituitasi a Padova nel 1980. Questi superclub hanno rappresentato un buon traino per la promozione e lo sviluppo del rugby italiano negli anni Settanta e Ottanta, mentre con la successiva crescita della nazionale azzurra il loro ruolo si è progressivamente esaurito.
Il rugby è uno sport di combattimento, vera e propria metafora di una battaglia. Le due squadre si schierano sul campo come due eserciti; l'obiettivo è quello di mettere fuori gioco gli avversari portando il pallone ovale, una sorta di vessillo, oltre la linea di difesa dell'area di meta; si gioca con il massimo impegno e rispetto delle regole e dell'avversario, specie se perdente, che si onora non concedendogli mai tregua.
Il rugby esalta il gruppo, poiché la segnatura è raramente il frutto di un'iniziativa individuale; le strategie sono programmate e preparate collettivamente e soltanto rare volte trovano la conclusione in un solo giocatore. Il valore della prestazione di un atleta durante una gara non è legato tanto alla realizzazione di una meta o alla vittoria della sua squadra, quanto alla sua personale capacità di impegno nella gara. In base a tale principio viene applaudita dal pubblico anche una squadra perdente che dimostra però di saper lottare fino in fondo.
Il rugby è dunque una battaglia che si svolge per 80 minuti attraverso una lunga serie di scontri individuali. Ogni giocatore deve affrontare battaglie personali con l'avversario che gli sta davanti: lo deve superare con la palla in mano; lo deve arrestare placcandolo quando è lui a possedere la palla; deve saltare più in alto per raccogliere la palla in touch; deve spingere più energicamente nelle mischie aperte o chiuse. La strategia di difesa è assolutamente fondamentale: un salvataggio soddisfa il giocatore più di un'azione offensiva.
Una partita di rugby dura complessivamente 80 minuti ed è divisa in due tempi di 40 minuti con un intervallo di 10-15 minuti, dopo il quale le squadre, composte da 15 giocatori ciascuna, invertono le posizioni in campo.
A ogni interruzione del gioco l'arbitro segnala al quarto uomo di conteggiare il tempo perso per calcolare il recupero alla fine di ognuno dei due tempi. Non sono rari recuperi di 5 minuti e più, resi necessari dai numerosi cambi previsti (al massimo sette).
La partita non si chiude allo scadere del tempo regolamentare né di quello di recupero, ma quando l'azione in corso termina per interruzione di gioco (in avanti, uscita del pallone dal touch ecc.); non è considerato interruzione di gioco un fallo da penalità, che può essere piazzato oppure giocato alla mano o trasformato in una mischia chiusa: il principio è sempre quello di non favorire l'ostruzionismo e la slealtà. Questa regola rende possibile il proseguimento della partita ben oltre il limite previsto. Non è raro che durante il recupero una squadra possa segnare e ribaltare una situazione di svantaggio.
La regolarità del gioco e il rispetto delle norme comportamentali sono garantiti da un sistema di arbitraggio che, ai più alti livelli nazionali e internazionali, vede l'intervento di cinque figure: l'arbitro, due giudici di linea, un quarto uomo e un TMO (television match officer), ossia l'addetto alla moviola.
L'arbitro dirige le operazioni all'interno del rettangolo di gioco ed è collegato via radio con i due guardalinee, con il quarto uomo e con il TMO per continui scambi di informazioni. L'arbitro segnala le proprie decisioni a voce e a gesti, fornendo indicazioni ai giocatori sulle azioni che si svolgono in campo e avvertendo di eventuali comportamenti scorretti o rischi di fuori gioco; segnala inoltre le interruzioni di gioco che giudica opportuno recuperare e chiede l'intervento del TMO in occasione di segnatura dubbia di meta. Poiché si tratta di un arbitraggio molto articolato, è richiesto un ottimo livello di professionalità. Per tale ragione l'IRB divide gli arbitri di alto livello in tre categorie (panels): fascia A, riservata ai soli professionisti, cui si richiede la massima disponibilità; fasce B e C, riservate a professionisti e non. Nella fascia B dell'IRB figurava nel 2004 l'arbitro internazionale romano, non professionista, Giulio De Santis.
I due guardalinee hanno responsabilità importanti: oltre a regolare tutto ciò che concerne le linee laterali e i touches, hanno facoltà di esprimersi in qualsiasi altra situazione di gioco in cui siano coinvolti dall'arbitro; in particolare possono denunciare falli da penalizzazione non riscontrati dal direttore di gara. Fra l'arbitro e i giudici di linea esiste grande collaborazione senza limitazione gerarchica.
Il quarto uomo è una sorta di notaio della partita, con il compito di registrare i tempi di interruzione e di recupero e di regolare il flusso delle sostituzioni e del movimento delle panchine in relazione ai cambi temporanei per ferita sanguinante. In particolare, è sua responsabilità intervenire nel caso in cui una delle due squadre ‒ a causa di cambi, infortuni o sospensioni, temporanee o definitive ‒ si trovi nella condizione di non poter schierare in campo giocatori di prima linea. Infatti, poiché questi ultimi devono avere una notevole preparazione fisica per essere al centro di una spinta collettiva che va ben oltre gli 800 kg, se una squadra si trova in difetto in questo senso il quarto uomo deve informare l'arbitro che la partita prosegue con mischie chiuse simulate, dove non si spinge per il possesso della palla, che perciò viene conquistata dalla squadra che inserisce il pallone nel tunnel senza difficoltà.
Una grande novità per il mondo dello sport è l'introduzione nel rugby, ai massimi livelli nazionali e internazionali, del TMO. Il direttore di gara chiede la collaborazione di quest'ultimo (tracciando in aria il segno di un quadrato) soltanto in caso di dubbia segnatura di una meta, per esempio in occasione di raggruppamenti che precipitano in area di meta senza che sia evidente quale giocatore abbia la palla in mano e quale effettui il 'toccato a terra'. L'apporto della telecamera risulta fondamentale, infatti, sia per le molte e diverse inquadrature sia per la possibilità del replay rallentato. Oltre alle telecamere che seguono la partita per la trasmissione pubblica, ai quattro angoli delle due aree di meta sono disposte altre quattro telecamere con il compito preciso di riprendere ciò che accade in quelle parti di campo. Una volta chiesto l'intervento del TMO, l'arbitro è obbligato a ratificarne il verdetto. L'intera operazione elimina qualsiasi tipo di contestazione, anche da parte del pubblico.
Fino alla fine degli anni Sessanta non erano previste sostituzioni in campo, neanche in caso di infortunio, principalmente per due motivi: perché il rugby, come metafora di una battaglia, non poteva ammettere che un uomo infortunato dovesse essere rimpiazzato; per il timore che dietro una sostituzione potessero celarsi ragioni tecniche. Tuttavia, tale rigore poteva provocare un esito ben più grave, cioè l'adozione da parte di una squadra di un gioco intimidatorio e violento diretto a neutralizzare l'avversario. Con gli anni Settanta furono finalmente ammesse le prime sostituzioni per infortunio, in virtù del principio sportivo dell'equilibrio delle forze in campo. In seguito anche l'avvento del professionismo favorì questo principio, offrendo l'opportunità di sostituire fino a sette giocatori infortunati.
L'ultimo regolamento del rugby prevede una squadra composta da 15 uomini (formazione iniziale) più 7 in panchina (nei test matches le riserve non siedono in panchina, ma in tribuna). Le sostituzioni tecniche sono definitive, tranne che per la prima linea in caso di necessità, mentre può essere sostituito provvisoriamente il giocatore che presenta una ferita sanguinante. La squadra si compone di due reparti: gli avanti, con 8 uomini, e i trequarti, con 7 uomini. Le azioni di gioco dei due reparti vengono raccordate da due mediani: mediano di mischia e mediano di apertura. La numerazione assegna le maglie da 1 a 8 agli avanti e da 9 a 15 ai trequarti; la panchina va da 16 a 22.
Avanti (pack): è un reparto formato da uomini forti, alti e pesanti, perché il loro compito è quello di impegnarsi nella conquista di palloni, soprattutto nelle fasi statiche, nelle mischie e nei touches. Quando il rugby reclutava i giocatori dall'atletica leggera, si cercavano gli avanti fra i lanciatori di peso (prima linea: piloni), i discoboli (seconde linee e terza linea centro), i decatleti e i quattrocentisti (terze linee).
Piloni (props): indossano le maglie numero 1 e 3, rispettivamente pilone sinistro e pilone destro, con riferimento allo schieramento della mischia chiusa. Il pilone sinistro, che ha la testa verso l'esterno, ha un compito tecnicamente e fisicamente più impegnativo: poiché è dalla sua parte che il mediano di mischia introduce il pallone, egli deve lasciare libero il tunnel tenendo arretrato il piede sinistro ma pronto tuttavia a portarlo avanti per chiudere il tunnel dopo l'introduzione, il tutto senza perdere la linea di spinta orizzontale. La corporatura ideale per un pilone, cui è spesso affidato il compito di sollevare il saltatore ('ascensore') nelle rimesse in touch, è di l,80-1,85 m di altezza per 110-120 kg di peso.
Tallonatore (hooker): indossa la maglia numero 2. Inizialmente aveva un ruolo meramente tecnico che non richiedeva particolari qualità fisiche perché il suo compito era sostanzialmente quello di abbracciare i due piloni, impegnarsi nella mischia chiusa e allungarsi appeso ai piloni per agganciare il pallone e portarlo dalla sua parte; non aveva neanche responsabilità di spinta. Quando negli anni Settanta si cominciarono a ripensare le possibilità dei singoli ruoli, si intuì che al tallonatore potevano essere affidati altri incarichi, come il lancio della palla in touch, e gli si poteva chiedere una partecipazione più attiva soprattutto in chiave difensiva. Da quel momento il tallonatore ideale è quello che possiede caratteristiche di agilità, ma che sa anche spingere e correre, una sorta di terza linea aggiunta.
Seconda linea (lock): è formata da due giocatori che indossano le maglie numero 4 e 5 e che hanno il compito principale di spinta nelle mischie chiuse e quello di agganciare i palloni alti nelle rimesse in touch. Di conseguenza possono essere considerati come 'torri' in campo, di cui viene cercata e apprezzata la massima statura accoppiata a un'adeguata fisicità. Una seconda linea di circa 2 m per 110-115 kg rappresenta un buon potenziale per una squadra di rugby in campo internazionale.
Terza linea: in mischia è la terza linea di spinta. I giocatori indossano le maglie numero 6, 7 e 8. Il numero 8 si chiama anche terza linea centro. I numeri 6 e 7 sono definiti terze linee ali o flankers. Il numero 8 in mischia chiusa spinge sulle seconde linee, i flankers su seconde linee o piloni. Nessuno può lasciare lo schieramento di mischia chiusa prima del tallonaggio e dell'uscita del pallone. Nelle rimesse laterali almeno una delle terze linee deve essere in grado di fungere da terza opzione di salto e ricevimento del pallone. È apprezzata una statura attorno a 1,90 m e oltre. Al reparto è richiesta una particolare presenza attiva nelle manovre al largo (cioè lontano dal pack), siano esse offensive o difensive. In particolare, i flankers devono poter assicurare la massima copertura del territorio. Va però osservato che il rugby più moderno, accentuatamente totale nel senso di una minore specializzazione e di una maggiore intercambiabilità funzionale, rende meno rigide le definizioni di ruoli e compiti dei giocatori, specie una volta sganciati dalle fasi statiche. Si parla infatti di prima linea, seconda linea e terza linea di attacco e di difesa, con partecipazione paritaria di tutti e 15 i giocatori senza distinzione di ruoli.
Trequarti (backs): tradizionalmente il reparto aveva il compito di sfruttare il potenziale legato al possesso di palla degli avanti. Avevano a disposizione un'ampia fetta del terreno di gioco non affollato da avversari dove correre con la palla in mano ‒ o incunearsi tramite abili 'calci a seguire' ‒ verso la meta. Una sorta di cavalleria leggera le cui qualità preferite erano agilità e velocità. Pertanto, fino alla rivoluzione strategica avvenuta nell'ultimo ventennio del secolo scorso, i trequarti venivano scelti nell'atletica leggera fra gli sprinters puri. Discorso diverso per i mediani, in particolare per il mediano di mischia che si doveva possibilmente cercare fra i piccoli di statura, più capaci di sottrarsi al- la presa dei prestanti avanti avversari. Naturalmente le nuove strategie hanno modificato radicalmente l'approccio alle qualità fisiche dei trequarti, anche se scatto e velocità sono sempre apprezzati. La figura più rappresentativa del trequarti è sicuramente Jonah Lomu, degli All Blacks, un trequarti alto come una seconda linea (1,96 m) e pesante come un pilone (120 kg), ma capace di correre i 100 m in meno di 11 secondi.
Estremo (fullback): gioca con il numero 15. È il giocatore più arretrato della squadra; il suo compito tradizionale è quello di raccogliere i calci avversari che non vanno in rimessa laterale e ribattere il pallone in campo avverso o in touch per guadagnare terreno. In difesa è l'ultima speranza di placcare un giocatore avversario sfuggito ai compagni. Nel rugby moderno è anche l'uomo che lancia i contrattacchi e quello che si inserisce negli attacchi dei trequarti per creare la condizione di uomo in più. Deve essere dotato di un calcio forte e preciso ed essere un ottimo placcatore. Può essere anche lo specialista della squadra per i calci piazzati.
Trequarti ala: sono i due giocatori che indossano le maglie numero 14 e 11, a seconda che siano schierati a sinistra o a destra. Il loro compito è quello di correre verso la meta per concludere il lavoro svolto dalla squadra, teso a consegnare loro la palla con uno spazio a disposizione perché possano sfruttare le proprie doti tecniche e di velocità. Devono disporre anche di un buon calcio, poiché spesso si trovano a dover calciare palloni lanciati dagli avversari. In teoria dovrebbero essere gli sprinters più veloci della squadra. Nel rugby più recente ci sono due prototipi di ala: quella di corporatura possente e quella di costituzione piccola e scattante, come i due gallesi Stephen e Mark Jones. L'Inghilterra campione del mondo in Australia nel 2003 si è imposta grazie alla potenza fisica di Ben Cohen e alla funambolicità tutta scatti e ripartenze di Jason Robinson.
Trequarti centro: indossano le maglie numero 13 e 12. La loro abilità era tradizionalmente quella di creare, attraverso azioni e passaggi, le opportunità per l'ala ed eventualmente agire anche da soli. Nel rugby più moderno spesso il loro compito è quello di impegnare l'avversario il più possibile sul suo campo, oltre la linea del vantaggio (linea ideale che passa dal punto in cui il pallone è partito in quell'azione), per dare luogo a un 'punto di incontro' da cui far partire una successiva fase di gioco offensivo. Oltre alle indubbie qualità tecniche e alla velocità, il trequarti centro deve avere un fisico possente per riuscire a difendere il possesso della palla nei 'punti di incontro' e per rompere il placcaggio alto dell'avversario. Importante in questo senso è la capacità di correre con angolature che spiazzino l'intervento dell'avversario. Il migliore rappresentante di questo tipo di giocatore negli ultimi anni è sicuramente il centro e capitano dell'Irlanda Brian O'Driscoll.
Mediano di apertura (fly half): era ed è il regista del gioco della linea arretrata (trequarti) e indossa la maglia numero 10. È lui che decide tatticamente come impostare il gioco quando il mediano di mischia gli trasmette l'ovale: passare, avanzare, calciare tatticamente o per conquistare territorio. Deve trasmettere perfettamente e rapidamente la palla a destra e a sinistra e calciare con entrambi i piedi. Deve disporre di un gran bagaglio tecnico. Inizialmente gli era richiesta soprattutto agilità, e quindi il ruolo è stato spesso coperto da giocatori di scarso peso. Il rugby più recente, invece, richiede per ricoprire questo ruolo giocatori tecnici ma provvisti di buon placcaggio, poiché è proprio nella zona dov'è piazzato il mediano di apertura che vanno a colpire gli attacchi delle terze linee, nella speranza di trovare una resistenza fisicamente più debole. Il famoso mediano di apertura italo-argentino Diego Domínguez, campione di Francia ritiratosi nel 2004, era infatti un grandissimo placcatore. Altro ottimo placcatore è il numero 10 dell'Inghilterra, Jonny Wilkinson, campione del mondo 2003, buon calciatore ma insormontabile difensore nell'uno contro uno. Spesso è lo specialista designato dei calci piazzati.
Mediano di mischia: indossa la maglia numero 9. È il vero regista della squadra poiché è lui che decide come gestire il possesso di palla in mano ai propri avanti e quando farsela passare, che studia forza e debolezza degli avversari scegliendo i momenti più opportuni per lanciare le linee arretrate. Tecnicamente deve essere perfetto: calciatore completo e dotato di passaggio lunghissimo, teso e preciso. Fino agli ultimi decenni del Novecento per rendere il passaggio dal mediano di mischia al proprio mediano di apertura lungo e preciso questo avveniva in tuffo. In seguito è andata sviluppandosi la tecnica del passaggio avvitato che consente traiettorie lunghe e precise, tecnica assimilata da tutti i giocatori. In difesa i migliori mediani di mischia rappresentano l'uomo in più, perché a palla persa non restano inutilmente dietro ai propri avanti, ma vanno a coprire il territorio rimasto scoperto. La tecnica di passaggio in piedi con avvitamento a siluro del pallone non impone più taglie piccole: si trovano mediani di mischia di tutte le stature purché agili, pronti e tecnicamente preparati.
Il rugby è l'unico sport di squadra che presenta una classifica mondiale generale permanente. Tutti i 95 paesi affiliati all'IRB che svolgono attività internazionale, infatti, sono inseriti in una graduatoria in cui figurano accreditati con un certo punteggio (rating) che è la conseguenza dell'attività svolta da quando hanno aderito all'IRB.
Ogni incontro (test match) organizzato dall'IRB produce un aumento o una diminuzione del rating secondo un meccanismo di calcolo che in base al risultato premia la squadra vincente e penalizza quella sconfitta. Il rating, negativo o positivo, varia in dipendenza di tre elementi: il fattore campo; la classifica generale prima della partita; la differenza dei punti segnati in gara a seconda che sia inferiore o superiore a 15. Se la squadra che in classifica possiede un rating inferio- re batte fuori casa una squadra che le sta davanti aggiunge punti importanti alla propria classifica ai danni dell'avversaria di rango superiore, cui spetta un rating negativo ancora superiore.
Con questo sistema vengono premiate: la vittoria della squadra che si trova più indietro in classifica; la vittoria esterna; la vittoria con una differenza di punti superiore a 15. Al contrario, la vittoria dei favoriti produce scarse conseguenze in termini di bonus. In Coppa del mondo punti negativi e positivi vengono raddoppiati.
La classifica (ranking) dell'IRB è una graduatoria che accompagna ogni nazione nel suo percorso senza limiti di tempo; la crescita è pertanto un processo molto lento. Ne consegue un ranking piuttosto rigido, modificabile sostanzialmente soltanto nell'arco di molti test matches, quindi di alcuni anni, poiché ogni nazionale gioca annualmente circa dieci test matches.
In generale, il valore rugbistico di un paese è direttamente proporzionale al numero di giocatori in assoluto e alla loro densità in rapporto alla popolazione. Tuttavia, le graduatorie del ranking mondiale tengono conto anche di elementi esterni alla disciplina, come la capacità organizzativa e la situazione economica e sociale di una nazione. L'Italia, per esempio, con una densità dello 0,16% che la poneva al quattordicesimo posto alla fine del 2004, grazie a un ottimo assetto finanziario e organizzativo faceva segna- re una posizione nel ranking migliore di tre posti, figurando all'undicesimo. Le Figi, che vantano il primo posto in densità con il 30% e il quarto nel numero di giocatori (151.039), sono decime nel ranking del 2004, proprio in conseguenza della precarietà della loro situazione economica e organizzativa. Stesso discorso per Tonga e Samoa Occidentali. Per i restanti paesi i tre valori sono generalmente molto prossimi, tranne che per Nuova Zelanda e Australia, dove l'ambiente molto favorevole compensa ampiamente i numeri relativi ai giocatori e alla densità.
Il terreno di gioco si compone di un rettangolo che non deve eccedere i 100 m di lunghezza e i 70 m di larghezza. La linea che delimita il campo sui lati corti e su cui sorge la porta si chiama linea di meta. Oltre le linee di meta sono situate le due aree di meta, che non possono essere profonde più di 22 m e meno di 10 m, per una larghezza, naturalmente, di non più di 70 m. La linea che delimita questa zona verso l'esterno si chiama linea di pallone morto. Al centro delle due linee di meta sono situate le porte a forma di H; i due pali sono posti alla distanza di 5,6 m tra loro e hanno altezza minima di 3,4 m; la barra trasversale è posta a 3 m dal terreno. La linea di meta e i pali della porta sono parte integrante dell'area di meta e quindi idonei per la segnatura di una meta. Sul terreno di gioco sono inoltre segnate in senso orizzontale, la linea di metà campo, dal centro della quale si effettuano i calci di inizio e di ripresa dopo segnatura; la linea dei 10 m (tratteggiata), oltre la quale devono sostare i giocatori della squadra che riceve il calcio di inizio; la linea dei 22 m, dietro la quale la squadra in difesa effettua i calci di ripresa di gioco dopo un annullato. In senso verticale, parallelamente alla linea laterale o di touch (touchline), che non fa parte del campo di gioco (nel senso che chi la tocca con il pallone in mano è considerato fuori e il gioco si arresta), alla distanza di 5 m è segnata una linea (tratteggiata) a indicare la distanza minima che devono rispettare i due schieramenti in occasione delle rimesse laterali. Infine, sempre in senso verticale, parallelamente alla linea dei 5 m è segnata, a 15 m, una linea (discontinua) che indica la massima distanza dalla linea laterale consentita agli schieramenti di touch.
Ogni intersezione delle linee a segno continuo verticali e orizzontali viene segnalata da una bandierina; quelle relative all'area di meta sono inserite all'intersezione e sono parte del terreno di gioco: se vengo- no toccate è come se si uscisse fuori dal campo. Se un giocatore che si tuffa in meta nei pressi di una bandierina la tocca con una qualsiasi parte del corpo prima del 'toccato a terra' o la tocca un altro giocatore a lui legato, la meta viene annullata. Le altre bandierine sono soltanto indicative e disposte a distanza di sicurezza dalla linea laterale.
Il rugby richiede un'unica attrezzatura obbligatoria, il pallone, che si è voluto ovale per soddisfare una doppia esigenza: la prima è quella di produrre rimbalzi irregolari in modo da aumentare l'imprevedibilità di un pallone calciato a favore di un pallone passato con le mani da giocatori in movimento; la seconda è quella di facilitare il passaggio rapido, la presa, il possesso in corsa, la lunghezza e la precisione del lancio con le mani.
La storia del pallone usato in giochi di squadra, dall'harpastum al calcio fiorentino e alla soule, racconta sempre di involucri fatti con tessuti animali e più o meno pesanti, a seconda del riempimento. Anche il rugby seguì questa tradizione, senza regole specifiche neanche per quanto riguardava dimensioni e forma. Il pallone era inizialmente realizzato con una vescica di maiale riempita di fieno o di paglia, che presentava forma ovale perché le vesciche erano naturalmente di quella forma. Il primo artigiano che si applicò seriamente alla costruzione di palloni da rugby fu William Gilbert, un calzolaio che aveva il suo laboratorio proprio di fronte alla scuola di Rugby: gonfiava le vesciche, ricoperte con quattro pezzi di cuoio essiccato cuciti fra loro. I suoi palloni furono così apprezzati che all'Esposizione universale di Londra del 1851 era presente anche lo stand di Gilbert, diventato il fornitore di tutte le squadre del Regno Unito. Alla sua morte, nel 1877, gli succedette il figlio James. Ancora oggi la ditta Gilbert figura ai primi posti della produzione mondiale. Nel 1870, però, Gilbert incontrò la forte concorrenza di un altro calzolaio, Richard Lindon, che, sempre a Rugby, anziché usare la vescica di maiale si ingegnò a fabbricare un involucro di caucciù. Cedette poi l'invenzione alla MacIntosh & C. che ne fece un successo immediato.
Ancora nel 1871, quando la Rugby Union nacque ufficialmente con tanto di statuto e di regole, dimensioni e forma della palla non erano affatto definite. Soltanto nel 1892 furono codificate le caratteristiche dell'ovale, che non erano però quelle del rugby di un secolo dopo. L'ovale, infatti, risultava meno allungato (all'incirca 270 mm di lunghezza, 750 mm di circonferenza massima, 620 mm di circonferenza minima) e il peso era di 400 g.
Per rendere più maneggevole lo strumento, fra il 1926 e il 1931 uno dei personaggi più influenti della tradizione rugbistica mondiale, Percy Royals, propose nuove dimensioni. Royals, ammiraglio della Royal Navy, ma anche nazionale inglese, arbitro internaziona- le, presidente della Rugby Union e rappresentante inglese presso l'International Board, godeva del massimo rispetto, e la sua proposta venne accettata. Lunghezza e circonferenza massima rimasero inalterate, ma mutò la circonferenza minima, che fu ridotta di un pollice (2,5 cm). Ne conseguì anche una diminuzione di peso di circa 100 g.
Le Laws of the game, pubblicate dall'IRB nel 2004, per quanto riguarda forma, dimensione, materiale e pressione del pallone danno le seguenti specifiche: lunghezza, 280-300 mm; circonferenza massima, 760-790 mm; circonferenza minima, 580-620 mm; peso, 410-460 g; materiale, cuoio o adeguato materiale sintetico, che può essere trattato per rendere il pallone più resistente all'acqua e di presa più agevole (da alcuni anni il cuoio non viene più utilizzato); la pressione all'inizio del gioco deve essere di 0,67-0,70 kg per cm2. La squadra ospitante deve garantire la disponibilità di palloni di riserva adeguati.
L'abbigliamento obbligatorio si compone di maglia, calzoncini, calzettoni e scarpe. Il materiale con cui si realizzano tali indumenti può avere valore tecnico e strategico: in questo senso la confezione e il tessuto della maglia assumono rilevanza particolare. In particolare, la maglia può rappresentare per l'avversario un ottimo punto di presa, perciò è bene che sia aderente al corpo, modellata sul fisico, per offrire meno occasioni di presa. Per migliorare l'aderenza i fabbricanti hanno usato tessuti molto elastici e resistenti. Lo sponsor tecnico della nazionale italiana ne aveva adottata una aderente, ma troppo elastica, che consentiva perciò agli avversari di trattenere il giocatore azzurro già liberatosi dalla presa. La maglia proposta successivamente, superato questo problema, presenta sulla parte anteriore una lavorazione particolare che impedisce al pallone di scivolare una volta a contatto; il rovescio della medaglia è una certa rigidità e la scarsa traspirazione del tessuto.
L'abbigliamento aggiuntivo si compone di diversi articoli ammessi, i più importanti dei quali sono: il caschetto protettivo, che evita ferite lievi al capo; il paradenti; il parastinchi; i bendaggi alle cosce, che diventano punti di appiglio per chi sia incaricato in touch di sollevare in 'ascensore' il compagno che deve conquistare la palla.
Un altro elemento importante è il supporto per tenere in piedi il pallone in occasione di calci piazzati. In passato il calciatore usava invece come rampa un mucchietto di sabbia o di erba; in caso di forte vento, era un compagno che, sdraiato a terra, teneva verticale il pallone con un dito.
Gioco estremamente complesso, con numerose situazioni di gioco da gestire, il rugby presenta un complesso di regole molto dettagliato, ma piuttosto semplice nelle norme di base. È rimasto sostanzialmente lo stesso dal 1823, mantenendo inalterati spirito e valori, poiché i suoi promotori e dirigenti hanno saputo gestire le regole del gioco in modo da evitare situazioni di stallo e fenomeni di inquinamento di tipo speculativo o antisportivo.
Le regole di base si sono perciò conservate, ma il regolamento nel suo sviluppo sul campo ha dovuto essere modificato in più circostanze, soprattutto quando l'adozione di particolari strategie minacciava la qualità del gioco a favore della ricerca del risultato. Sono state le evoluzioni tattiche a produrre le nuove regole, e queste ultime hanno a loro volta portato nel tempo allo sviluppo di nuove strategie.
Il punteggio. - Il regolamento del rugby prevede cinque modi possibili di conquistare punti.
Meta (try): si ha quando un giocatore riesce a depositare il pallone con un 'toccato a terra', ossia schiacciando a terra la palla con la parte superiore del corpo, fra il collo e il bacino (incluse naturalmente le mani e le braccia), nell'area di meta avversaria, cioè oltre (e compresa) la linea di meta, che è quella che taglia il campo trasversalmente all'altezza dei pali. Vale 5 punti ed è quindi la segnatura più alta.
Trasformazione (conversion): è una nuova segnatura cui dà diritto l'assegnazione di una meta. Consiste in un calcio verso i pali dalla perpendicolare alla linea di meta passante per il punto dove la meta è stata realizzata. Se il calciatore riesce a far passare il pallone fra i due pali e sopra la traversa aggiunge 2 punti ai 5 della meta.
Calcio di punizione (penalty kick): è un calcio piazzato effettuato dal punto dov'è stata rilevata una penalità grave. Se passa tra i pali e sopra la traversa fa conquistare 3 punti.
Drop: è un calcio di rimbalzo che si infila fra i pali e sopra la traversa. Si può avere in una fase di gioco attivo oppure in condizioni di gioco fermo e calcio di punizione tirato di rimbalzo anziché piazzato. Vale 3 punti.
Meta tecnica (penalty try): si tratta di un altro sistema di segnatura di meta, anche in assenza di 'toccato a terra'. Viene assegnata dall'arbitro in due casi: quando un intervento falloso impedisce l'evolversi di un'azione che avrebbe con molte probabilità portato a una segnatura di meta (per esempio, un giocatore calcia in avanti il pallone che va in area di meta avversaria, ma la sua corsa vincente viene arrestata fallosamente con una vistosa ostruzione o un placcaggio in ritardo che meriterebbero una penalità), oppure in seguito a un fallo (professionale) di ostruzione commesso dal pack difensivo per impedire l'avanzamento in spinta del raggruppamento (ordinato o spontaneo) avversario. In questi casi la trasformazione seguente all'assegnazione della meta viene effettuata dalla perpendicolare alla linea di meta passante tra i pali.
Regole di base e regole accessorie. - Le regole di base del rugby sono tre. 1) Si può correre con il pallone in mano, passandolo però soltanto indietro. Il concetto di 'in avanti' è basilare anche oltre il momento del passaggio; il gioco, infatti, si deve arrestare ogni volta che l'ovale urta la parte superiore del corpo di un giocatore e finisce avanti, anche se sfugge dalle mani in seguito a un placcaggio. L''in avanti' rappresenta il momento più frequente di perdita del possesso del pallone. Si può commetterlo anche nel tentativo di raccogliere al volo un pallone calciato alto o anche durante un raggruppamento. L'unica situazione in cui un 'in avanti' è ammesso è la stoppata, ossia il tentativo ravvicinato di frapporsi a un tentativo di calcio (non di punizione) di un avversario. 2) Un giocatore può calciare avanti il pallone ma questo non può essere raccolto da un compagno che era già avanti nel momento del tiro. 3) Il portatore del pallone può essere arrestato mediante un placcaggio. Questo è, insieme all'atto di correre con la palla in mano, il gesto caratteristico del rugby, e consiste nel fermare un avversario con il pallone in mano afferrandolo in qualsiasi parte del corpo al di sotto delle spalle. Il giocatore placcato (che deve avere almeno un ginocchio a terra) deve lasciare il pallone e il placcatore deve immediatamente lasciare il placcato. Se placcatore e placcato rimangono in piedi e un terzo giocatore si unisce al raggruppamento si verifica una maul. Se questo raggruppamento si verifica con il pallone a terra si forma una ruck.
Le altre regole del rugby sono accessorie a questi tre principi di base e servono a renderli meglio attuabili, nonché a consentire che il gioco sia scorrevole e che i suoi valori siano salvaguardati. Anche le norme che riguardano i valori numerici delle segnature sono cambiate più volte per indirizzare il gioco nel senso so- pra detto. È infatti privilegiata la segnatura di mete, che rappresenta l'obiettivo della corsa, rispetto alle segnature prodotte da calcio, che sono conseguenza di penalità o di gioco senza sfogo oppure ancora di impossibilità di avanzare fino all'area di meta avversaria, e che in definitiva optano per la difesa piuttosto che per l'attacco.
Le regole di natura accessoria si possono raggruppare in insiemi di norme che riguardano le varie possibili situazioni di gioco. Le infrazioni sono sanzionate in maniera più o meno grave a seconda dell'intenzionalità del fallo, in rispettosa osservanza del principio della lealtà e della sportività. Il gioco può riprendere, a seconda dei casi: con una mischia ordinata; con un calcio di punizione; con una sospensione temporanea del giocatore indisciplinato per 10 minuti (cartellino giallo); con l'espulsione definitiva (cartellino rosso).
Fuori gioco: la posizione del pallone a terra divide in senso orizzontale il campo in due sezioni. Tutti i giocatori che si trovano avanti rispetto al pallone sono in fuori gioco e devono astenersi dall'intervenire in senso passivo (ostruzione) o attivo. Se, anche sbadatamente, un giocatore con il pallone in mano va a urtare un compagno che gli sta davanti è infrazione. In occasione dei raggruppamenti ordinati (mischie, scrum) e di quelli spontanei come mischie aperte in piedi (maul) o con pallone a terra (ruck), la linea del fuori gioco è quella tangente al piede dell'ultimo uomo del raggruppamento e orizzontale rispetto al terreno di gioco. Un comportamento che ignora tale linea è sanzionato.
Mischia ordinata (scrummage): è il sistema per riprendere il gioco interrotto per un'infrazione non grave o per l'impossibilità di giocare la palla, magari perché sepolta sotto un raggruppamento. Vi partecipano i reparti degli avanti (packs) di ciascuna squadra, generalmente formati da 8 giocatori (ma in teoria possono comprenderne di meno o di più) che, disposti in formazione a testuggine, si battono, spingendosi, per portare dalla propria parte il pallone che è stato inserito nel tunnel (lasciato libero fra le prime linee dei due schieramenti) da un giocatore (mediano di mischia) della squadra svantaggiata dall'arresto del gioco. I due schieramenti sono formati da tre linee: la prima è composta da 3 giocatori legati fra di loro che si incastrano con la prima linea avversaria (il pilone sinistro è quello che ha la testa esterna); la seconda linea è formata da 2 uomini che spingono sulla prima; la terza è formata da 3 giocatori che spingono sulla prima o sulla seconda linea. Una volta formata la mischia ordinata, nessun giocatore può staccarsi prima dell'uscita del pallone. Le vicende di questa regola rappresentano un buon esempio dell'aggiornamento normativo necessario in risposta a situazioni tattiche che mortificano il gioco. In precedenza, infatti, la regola della mischia ordinata concedeva a un giocatore di staccarsi dal raggruppamento prima dell'uscita della palla (spostandosi indietro e rispettando così la linea del fuori gioco) e di posizionarsi in modo di rafforzare la linea di difesa, per prevenire la possibilità che gli avversari, con in mano la palla uscita dalla mischia, azzardassero una manovra di attacco: un'ottima trovata tattica destinata però a isterilire il gioco. La rettifica della regola, che obbliga i partecipanti alla mischia a restare legati fino all'uscita del pallone, ha fatto sì che gli attaccanti potessero affrontare una pari linea di avversari e trovare modo di batterla grazie alla propria bravura. L'ipotesi di schierare fin dall'inizio meno uomini in mischia ordinata (7 o anche 6) per rafforzare la linea di difesa è verosimile, ma sconsigliata per il rischio che, ridotta nel numero, la stessa mischia finisca per restare travolta dalla superiore spinta avversaria, con danno maggiore di quello che si voleva evitare.
Rimessa laterale (line-out): quando la palla esce lateralmente dal campo il gioco riprende con una rimessa dal touch, ossia dalla zona esterna alla linea di touch. Due schieramenti variabili nel numero di uomini, normalmente composti dagli stessi della mischia ordinata (ossia dagli avanti), si pongono allineati parallelamente e rivolti entrambi alla linea di touch per contendersi il pallone lanciato, da una distanza minima di 5 m, per la linea mediana dei due schieramenti da un giocatore (generalmente il tallonatore) della squadra non responsabile dell'uscita dell'ovale dal campo. Dietro i due rispettivi schieramenti può stare un solo uomo (mediano di mischia), mentre gli altri giocatori devono trovarsi ad almeno 10 m di distanza finché la palla non sia pervenuta nelle mani del mediano di mischia oppure, se essa è trattenuta in un raggruppamento, finché questo non si sia mosso sensibilmente in avanti o indietro.
L'innovazione più importante nel gioco di touch è consistita nel permettere di sollevare un giocatore per facilitare la conquista dell'ovale. In gergo questo movimento viene detto 'ascensore'. La nuova norma si è resa necessaria per ridurre il vantaggio di quelle squadre che potevano contare su uomini di statura superiore. L'avvento dell''ascensore', che costituisce inoltre un elemento di spettacolarità, ha consentito un maggiore equilibrio nelle conquiste dei palloni dalle rimesse laterali offrendo maggiori opportunità di risultare competitivi a paesi, come il Giappone, con ridotte possibilità di reclutare atleti molto alti.
L'impiego del calcio. - L'uso delle mani nel rugby non ha mortificato quello dei piedi, che continua ad avere la sua dignità in coerenza con la denominazione storica del gioco, che è Rugby Football. Le norme, tuttavia, hanno cercato di regolamentare nel tempo l'utilizzo dei piedi per armonizzare e favorire il più effervescente gioco con le mani.
La partita inizia con un calcio da effettuarsi dal centro della linea di metà campo. Il pallone, colpito di rimbalzo (drop), deve percorrere almeno 10 m in avanti; se ne compie di meno il gioco si interrompe e riprende, a scelta della squadra in difesa, o con un nuovo calcio o con una mischia al centro della linea mediana nella quale essa ha diritto all'introduzione del pallone. Stessa cosa avviene se il pallone supera direttamente la linea laterale: in questo caso la squadra ricevente gode di un'opzione in più, ossia quella di riprendere il gioco con una rimessa dal touch a metà campo e con proprio lancio. Se il pallone che non ha compiuto i 10 m viene raccolto da un avversario, il gioco prosegue. Se il pallone termina in area di meta senza aver toccato o essere stato toccato da un giocatore, la squadra che riceve ha tre possibili scelte: annullare con un 'toccato a terra' (azione identica a quella della segnatura di una meta); rendere il pallone morto (nel qual caso può chiedere la mischia a centrocampo con il diritto di introdurre il pallone o la ripetizione del calcio d'invio); proseguire il gioco. Un calcio d'inizio che manda la palla oltre la linea di demarcazione estrema del campo (linea di pallone morto) oppure oltre la linea laterale dell'area di meta, senza che nessun difensore l'abbia toccata, ha sempre come conseguenza la ripetizione del calcio o una mischia a centrocampo.
Le stesse regole valgono per il calcio di ripresa di gioco a seguito di segnatura: la squadra che l'ha subita riprende il gioco con un calcio di rimbalzo effettuato dalla linea centrale del campo. Altri importanti tipi di calcio sono descritti di seguito.
Calcio di rimessa dai 22 m: si ha quando la squadra in difesa annulla il pallone nella propria area di meta. Il gioco riprende con un calcio di rimbalzo che il difensore effettua da dietro la propria linea dei 22 m; tutti i suoi compagni di squadra, al momento del calcio, devono trovarsi dietro al pallone, pena una mischia al centro della linea dei 22 m con pallone agli attaccanti avversari.
Calcio in touch: per evitare un uso eccessivo dei piedi è ammesso il calcio che manda il pallone direttamente oltre la linea laterale solo se effettuato nella zona del proprio campo limitata dalla linea dei 22 m. L'infrazione è sanzionata con una rimessa laterale che sarà effettuata dalla squadra avversaria dalla perpendicolare alla linea di touch passante per il punto da cui il pallone è stato calciato.
Calcio di punizione in touch: è sempre ammesso e la successiva rimessa laterale avviene con lancio della squadra del calciatore.
Calcio da mark: viene concesso dopo la presa al volo di un pallone, calciato dagli avversari, da parte di un giocatore che si trova su o dietro la sua linea dei 22 m. Il giocatore deve accompagnare il gesto con la voce pronunciando la parola "mark". Se il calcio seguente va oltre la linea laterale, esso dà luogo direttamente a una rimessa dal touch effettuata dall'altra squadra.
La regola del vantaggio. - Si tratta di una peculiarità del rugby e di una delle basi dell'etica di questo gioco, volta a favorire la fluidità delle manovre piuttosto che la loro discontinuità. Perciò, in occasione di qualsiasi tipo di infrazione, l'arbitro ha il dovere di concedere il vantaggio, ossia di offrire alla squadra penalizzata dall'infrazione (voluta o involontaria) la possibilità di sfruttare al meglio la situazione, e segnala tale concessione alzando il braccio. Se il vantaggio non si concretizza, l'arbitro interrompe il gioco per dare seguito alle conseguenze iniziali dell'infrazione. La peculiarità del rugby rispetto ad altri sport dove pure è previsto il vantaggio riguarda la sua durata, che è a discrezione dell'arbitro il quale decide dopo un certo lasso di tempo se il vantaggio si è estinto o no e, quindi, dopo l'esaurimento dell'azione di gioco, se ritornare alla situazione antecedente o ignorarla definitivamente e proseguire come se non si fosse verificata.
L'antigioco e il fallo professionale. - Il mancato rispetto del principio della lealtà genera l'antigioco, mentre si considera fallo professionale ogni tipo di ostruzione sistematica mirante a condizionare irregolarmente le manovre dell'avversario.
È fallo professionale lo schierarsi in difesa in fuori gioco per anticipare la chiusura dell'attacco avversario; in mischia chiusa è ostruzionistico l'angolo di spinta non perpendicolare del pilone, così come il tirare verso terra il pilone avversario o collassare il proprio schieramento per arrestare l'avanzamento in spinta della mischia avversaria; il collasso proditorio riguarda anche l'avanzamento delle mauls. È antigioco inserirsi lateralmente nel raggruppamento sia nelle mischie aperte con il pallone a terra (rucks) sia nelle mauls con il pallone in mano. Nelle rucks è molto comune che il pallone sia giocato con le mani da un giocatore a terra o che questi trattenga il pallone nelle braccia e non lo faccia uscire (tenuto), oppure che un giocatore si lasci cadere oltre il pallone, in campo avversario, per impedire l'uscita rapida e pulita della palla o infine che il giocatore a terra nel raggruppamento non faccia di tutto per liberare il terreno della sua presenza. È antigioco intervenire nella trasmissione del pallone fra gli avversari non con il proposito di intercettare l'ovale ma soltanto per deviarne la traiettoria, così come lo è effettuare il 'velo', cioè frapporsi senza avere la palla fra il proprio compagno con l'ovale in mano e l'avversario, impedendo a questi di intervenire in maniera tempestiva e adeguata. Il placcaggio in ritardo è antigioco, come pure trattenere un avversario per la maglia.
Il fallo professionale è sanzionato con il cartellino giallo e, se viene ancora ripetuto dopo la sospensione di 10 minuti, con il cartellino rosso. Nel caso in cui il fallo professionale non sia da addebitarsi al comportamento di un singolo giocatore ma a quello della squadra, il cartellino giallo sarà comminato all'ultimo giocatore che incorre in quella determinata infrazione o al capitano responsabile di non aver saputo imporre ai suoi un corretto comportamento. Quando l'arbitro si rende conto che un giocatore o una squadra tendono a reiterare un determinato comportamento ostruzionistico o di antigioco deve richiamare il giocatore o il capitano della squadra. Il richiamo inascoltato porta alla sanzione.
Il gioco pericoloso. - È un'azione che può mettere a repentaglio l'integrità fisica dell'avversario. A seconda del livello di gravità porta dalla penalità alla sospensione per 10 minuti (cartellino giallo), fino all'espulsione definitiva (cartellino rosso). Il più comune di questi falli è il placcaggio al collo; l'indice della gravità è proporzionale al livello di intenzionalità e di evitabilità. Oltre al placcaggio al collo è penalizzato il tentativo di arrestare l'avversario a braccio teso a sbarra e, più in generale, il placcaggio eseguito intenzionalmente per danneggiare fisicamente l'avversario. Si tratta di una difficile valutazione, che viene lasciata interamente all'interpretazione dell'arbitro. Nelle rimesse dal touch è antigioco classico e grave, oltre che gioco pericoloso, sbilanciare il saltatore avversario o, peggio, impedirgli di ricadere sul punto di stacco, dopo l'elevazione tramite 'ascensore', spostandogli le gambe e provocandogli una caduta rovinosa. Viene inoltre considerato gioco pericoloso placcare alle gambe un avversario che salta per afferrare al volo un pallone calciato in alto. Anche lo stamping (calpestare un giocatore a terra in modo violento, anche se questi fa ostruzione) rientra nel gioco pericoloso ed è sanzionato con un provvedimento severo.
Colpi proibiti. - Gli episodi di reazione tra giocatori, con colpi proibiti come il pugno, non sono di norma sanzionati se non con un richiamo verbale, qualora vengano giudicati dall'arbitro come reazioni limitate. Diversamente, se la situazione dovesse degenerare in una rissa, allora il provvedimento sarebbe commisurato alle circostanze, alla gravità e alla reiterazione. La provocazione è comunque sanzionata almeno quanto la reazione, se questa è limitata. Una reazione eccessiva può però determinare l'inversione della penalizzazione: l'arbitro che avrebbe deciso una penalità in favore di una squadra può invece sanzionarla per eccesso di reazione (o anche di proteste). I colpi proibiti e le risse vengono spesso rilevati dai guardalinee, che hanno modo di osservare lo scenario con più tranquillità e possono informare l'arbitro dell'accaduto.
L'arbitro. - Uno sport di combattimento come il rugby, con frequenti situazioni di difficile lettura, ha necessità di avere nell'arbitro un giudice assolutamente inappellabile perché il gioco non finisca nel caos. Solo il capitano ha il diritto-dovere di parlare con l'arbitro. Proteste o gesti plateali di contestazione sono puniti, ai primi accenni, con un calcio di punizione; se il comportamento indisciplinato segue una precedente sanzione, il punto dove eseguire la penalità viene spostato in avanti di 10 m. Lo stesso spostamento in avanti di 10 m si ha quando i giocatori avversari non si spostano di 10 m dal punto di battuta, ovvero se intervengono nel gioco senza rispettare il vincolo della distanza prevista qualora l'attacco decida di giocare il pallone con la mano (dopo avere riavviato il gioco toccando il pallone con il piede). Le proteste possono comportare l'inversione di una penalità avuta in proprio favore.
Nonostante la molteplicità delle situazioni e delle regole, la strategia di base nel rugby è molto semplice. Sono quattro i principi fondamentali.
1) Possesso: assicurarsi il possesso del pallone, ossia l'elemento indispensabile per fare punti e quindi vincere.
2) Avanzamento: con il pallone in mano è imperativo avanzare, cioè avvicinarsi alle retrovie avversarie in maniera da favorire varie ipotesi alternative di segnatura e rendere più difficile la difesa avversaria.
3) Sostegno: è fondamentale che ogni affondo offensivo individuale si avvalga del sostegno dei compagni per essere efficace; diversamente, pur ottenendo un iniziale successo, il giocatore può presto rimanere isolato e perdere il possesso della palla.
4) Continuità: elemento indispensabile per la riuscita delle varie manovre d'attacco, attraverso le quali non si deve concedere tregua e possibilità di riorganizzazione alla difesa avversaria.
Oltre a questi quattro principi va ricordata anche l'importanza della gestione del territorio: una buona strategia, infatti, deve poter controllare il terreno di gioco in ogni circostanza. Tutti i 15 giocatori devono sapersi muovere, in attacco come in difesa, in modo da poter fronteggiare qualsiasi evenienza. Il rugby si fa veramente totale e i giocatori fisicamente tendono ad assomigliarsi tutti prescindendo dai ruoli.
In questo sport sono necessari anche il calcolo e la riflessione; le manovre devono essere articolate e preparatorie. Le continue sortite dei giocatori in possesso di palla sono dirette non tanto all'infiltrazione nelle maglie della difesa avversaria, quanto al tentativo di impegnarla in una serie di progressivi 'punti di incontro': si tende a raccogliere e bloccare in un determinato punto del campo più avversari possibile, per poi spostare questa sorta di finta offensiva in altre zone ‒ cosa importante ogni volta che si supera la linea del vantaggio, cioè il punto da cui la palla era stata inizialmente giocata ‒ fino a trovare la superiorità numerica per correre in meta.
Lo stesso atteggiamento di ponderazione è richiesto ai difensori, che devono evitare l'affanno con il conseguente ricorso all'indisciplina, all'antigioco, al fallo professionale. L'importante è non impegnare nei 'punti di incontro' più giocatori degli attaccanti e ricostituire sempre ai lati del raggruppamento nuove linee di difesa. Lasciarsi tradire dall'indisciplina significa incorrere in sanzioni penalizzanti ancora più dannose, fino al cartellino giallo per fallo professionale, che lascia la squadra con un uomo in meno e ancora più in balia dell'avversario.
Questo tipo di strategia di base, incentrata sui 'punti di incontro', comporta che le azioni con il pallone vivo possano durare più minuti, con una resa emozionale e spettacolare altissima ma anche con un notevole consumo di energie fisiche e mentali.
Fermi restando i principi sopra descritti, il rugby ha modificato nel tempo le proprie strategie di battaglia. Tuttavia, fino agli anni Novanta il rugby si giocava con gli 8 avanti impegnati a conquistare il possesso del pallone e gli altri giocatori, i trequarti, a correre con il pallone in mano per segnare la meta. Eccezioni a questa regola si sono registrate, ma erano sporadiche e mai divenute vere e proprie strategie. Ne sono esempi il 'rugby totale' dei neozelandesi, che già agli inizi del Novecento era caratterizzato da giocatori tutti arretrati, ovvero trequarti; oppure la modifica del ruolo dell'estremo, che prima degli anni Settanta si limitava a raccogliere il pallone e a calciarlo in touch, mentre in seguito, con il francese Pierre Villepreux (poi allenatore in Italia), partecipò più attivamente al gioco; o ancora il lancio nel touch, una volta affidato all'ala e poi al tallonatore; o infine l'impiego dell'ala dalla parte chiusa (quella che si trova, inutilizzabile, nei pressi della mischia quando questa è impegnata presso una zona laterale del campo) come primo attaccante al posto del mediano di apertura. Si trattava, tuttavia, di modeste variazioni sul tema. In realtà il rugby è rimasto quasi sempre ancorato alle strategie tradizionali; ogni innovazione, infatti, era obbligata a fare i conti con la tradizione che in essa vedeva soltanto un tentativo sleale di sovvertire lo stato delle cose.
Le innovazioni nella strategia avrebbero avuto bisogno del supporto di regole, ma quelle controllate dai tradizionalisti dell'IRB anglosassone potevano essere modificate soltanto nel senso di un rafforzamento della strategia tradizionale, insidiata da accorgimenti tattici minori. Soltanto l'imponente crescita dell'interesse per questo sport, scaturita dall'introduzione della Coppa del mondo nel 1987, e il successivo avvento del professionismo nel 1995 sono riusciti a modificare le strategie del rugby, consentendo una più libera visitazione del gioco.
A questo punto si è ottenuto l'adeguamento delle regole. Inizialmente, infatti, il sistema basato sui 'punti di incontro' era protetto dal regolamento che di fatto rendeva inutile la difesa: una volta in possesso del pallone, la squadra attaccante poteva contare su una segnatura praticamente sicura, o per meta o per penalità. In caso di non giocabilità del pallone durante un raggruppamento, la regola concedeva il possesso alla squadra attaccante tramite l'introduzione in mischia. In tal modo si tradiva uno dei fondamenti del rugby che è il placcaggio, ovvero la risposta del coraggio all'abilità tecnica e fisica. Una grave ingiustizia che tra l'altro, negli anni Novanta, stava rendendo il rugby una disciplina scontata e monotona. La nuova regola prevede invece che, se il pallone non è giocabile durante un raggruppamento spontaneo, l'introduzione in mischia sia assegnata alla squadra in attacco soltanto in caso di maul, mentre in caso di ruck viene assegnata alla squadra in difesa; in questo modo sono stati rilanciati sia il placcaggio sia la difesa, restituendo più entusiasmo al rugby.
L'impegno del placcatore non è più tanto quello tradizionale di fermare un avversario e metterlo a terra, quanto quello di impedirgli la trasmissione del pallone e il superamento della linea del vantaggio (cioè l'avanzamento rispetto al punto da dove l'azione era partita) o di fargli cadere il pallone in avanti in modo da poterglielo sottrarre (turnover). In altri termini la difesa deve risultare avanzante e il placcaggio alto, magari non in grado di arrestare, ma tale da consentire a un altro compagno di realizzare un placcaggio più positivo.
Un altro apporto significativo verso la limitazione del possesso del pallone è costituito da una norma relativa alle mischie chiuse: se la mischia ruota di più di 90° (mischia girata) il gioco si interrompe e la nuova introduzione nella mischia spetta all'altra squadra.
Per almeno un secolo a partire dai tempi di William Webb Ellis i ruoli di capitano e di allenatore si sono confusi nella stessa persona: il capitano era anche guida tecnica della squadra. La tradizione impone ancora negli anni Duemila che nei test matches l'allenatore sieda in tribuna e che a comandare in campo sia il capitano, anche se, in effetti, gli allenatori meno rispettosi della tradizione fanno ugualmente pervenire gli ordini al campo tramite lo staff tecnico (massaggiatori, portatori d'acqua ecc.) autorizzato a stare al bordo del terreno di gioco.
Durante tutto il Novecento popolarità e impegno sempre crescenti portarono a un'inevitabile distinzione dei ruoli, pur permanendo la massima collaborazione formale. La figura dell'allenatore assunse un'importanza rilevante proprio nei paesi neofiti, come l'Italia degli anni Trenta e Quaranta, perché era vitale poter contare su esperienze provenienti da paesi rugbisticamente più evoluti. Negli anni Trenta il punto di riferimento per l'Italia fu la Francia dei vari Saby e Bucheron, in omaggio alle posizioni anglofobe del regime fascista. Il rilancio tecnico postbellico fu supportato nei club dai tecnici anglosassoni delle truppe di occupazione. Con il loro rimpatrio si ritornò all'autarchia anche a causa delle ristrettezze economiche. Soltanto qualche club isolato poteva permettersi di ingaggiare giocatori-allenatori stranieri, come negli anni Settanta il Rugby Roma Olimpic con il nazionale inglese Rick Greenwood. Il boom economico degli anni Sessanta cominciò a produrre apporti organizzativi anche nel rugby. Dal Galles arrivarono autentici 'guru' quali Roy Roy Bish, Carwin James e Gwyn Evans; dalla Francia preparati e motivati avventurieri come Pierre Villepreux, Bertrand Fourcade e George Coste. Questi personaggi nel club o in nazionale facevano tutto da soli: al massimo era concesso loro un assistente-interprete.
Attorno al 1995, con l'avvento del professionismo, il quadro generale in termini di allenamento cominciò radicalmente a trasformarsi sull'esempio dei paesi più avanzati come Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda. Si introdusse il termine di staff per indicare il gruppo operativo che fa capo all'allenatore, il quale diventò head coach (capo-allenatore), coordinatore di altro personale con specifici incarichi.
Nell'autunno del 2004, in occasione del match contro gli All Blacks a Roma, lo staff della squadra italiana si componeva di 14 persone tutte professionalmente qualificate. Da questo numero si può facilmente desumere quanto l'allenamento per il rugby ad alto livello sia cambiato nel giro di quasi due secoli. Nella seconda metà dell'Ottocento si svolgevano incontri settimanali di selezione fra club, poi divenuti più frequenti, ma un addestramento specifico non è stato contemplato fino al secondo dopoguerra. I primi rudimenti di rugby ai bambini cominciarono a essere forniti, negli anni Sessanta e Settanta, attraverso il sistema di allenamento tecnico-fisico delle 'griglie': non più sessioni separate per preparazione fisica e preparazione tecnica e tattica, ma sistemi di lavoro che soddisfacessero contemporaneamente le due esigenze. All'epoca, infatti, era buona norma per un giocatore ambizioso e responsabile curare per proprio conto la preparazione fisica ‒ correndo, frequentando una palestra o praticando un'altra disciplina ‒ e disputare due allenamenti collettivi con la squadra.
Il sistema delle griglie si è poi rivelato utile anche per i giocatori navigati e, riveduto, ampliato e corretto, fa parte integrante della metodologia di allenamento di qualsiasi squadra a qualsiasi livello appartenga. Allenatori non ci si improvvisa più: è necessario studiare e frequentare corsi per imparare le corrette didattiche. Gli allenatori dei bambini devono essere soprattutto educatori; agli altri si chiede di dimostrarsi buoni tecnici, ma anche psicologi.
Le metodiche per l'élite professionistica e per la base dilettantistica sono le stesse: cambia soltanto l'intensità. Al volgere del Novecento si è passati dai due allenamenti alla settimana ai cinque giorni di impegno, due o tre dei quali con doppia sessione, mattutina e pomeridiana-serale. Le squadre professionistiche e le nazionali programmano il lavoro alternando l'addestramento collettivo a quello di reparto, l'allenamento di attacco a quello di difesa. Ore e ore giornaliere dedicate a curare tutti i dettagli degli attacchi e a simulare ipotesi di gioco da realizzare in campo. Lo studio dei propri difetti e di quelli della squadra da incontrare è esasperato. Il videoanalyst si avvale di programmi speciali per selezionare ogni elemento tecnico e tattico in modo da fornire indicazioni per migliorare il rendimento proprio e pregiudicare quello dell'avversario. Viene realizzata per ogni giocatore una scheda che descrive tutto il suo comportamento: placcaggi fatti, mancati, utili, in avanzamento; palle recuperate, palle perse; guadagno della linea del vantaggio, corsa con il pallone in mano; passaggi eseguiti, mancati; penalità commesse, e via dicendo. Si filmano i propri allenamenti e si ricercano i filmati degli avversari. Gli schemi di gioco vengono variati ogni volta che si è convinti che gli avversari ne siano a conoscenza.
Le squadre più avanzate prestano particolare attenzione all'allenamento della difesa, che ha visto l'avvento di professionisti assai ricercati, in gran parte provenienti dall'esperienza del rugby a 13. Infatti, con l'affermarsi degli attacchi portati attraverso una paziente opera di 'punti di incontro' alla ricerca dell'occasione propizia per trovare un varco, una buona difesa con un appropriato metodo di placcaggio è l'unico mezzo per riuscire a strappare il possesso del pallone all'attaccante ed evitare una segnatura altrimenti certa. Si inverte, nel rugby moderno, il detto comune agli sport di squadra "la miglior difesa è l'attacco" in "il miglior attacco è la difesa". Anche perché il pallone recuperato dalla difesa consente nel contrattacco di trovare un assetto avversario scompaginato. Durante l'allenamento della difesa si insegna a placcare l'avversario in avanzamento, ossia facendolo cadere non nel proprio campo ma in quello avverso, magari facendogli rotolare via il pallone; immediatamente dopo si inizia a organizzare la ruck o la maul conseguente. Sugli attacchi al largo da fasi statiche è importante prevedere una seconda e una terza linea di difesa che vengono disposte secondo schemi previsti richiamati sul campo dai giocatori in posizione per attuarli.
Gli attaccanti, tramite il tecnico preposto, rispondono a questa difesa con una serie di varianti tattiche che prevedono passaggi fintati, veli legittimi, passaggi saltati di uno o due uomini alla ricerca di cambi improvvisi dell'angolo di corsa o di impatto con l'avversario, che si può trovare sbilanciato con il peso del corpo. Per eseguire questi allenamenti e per simulare le situazioni di gioco ci si avvale di attrezzature che ammorbidiscono gli impatti, come giubbotti imbottiti, scudi di gommapiuma, sacchi da pugilato.
La preparazione fisica generale, almeno nella fase iniziale della stagione, procede attraverso tre strade: la palestra con i pesi, la preparazione atletica specifica in campo e l'allenamento tecnico e tattico con il pallone in mano. In palestra si cura la forza esplosiva con ampio ricorso al sollevamento dei pesi; la preparazione atletica in campo si attua attraverso veri e propri percorsi di guerra. Si lavora con impegno massimale e, soprattutto, con pochissimi recuperi.
Il rugby ha scoperto, nel corso della sua evoluzione, che a parità di tecnica, tattiche, risorse fisiche individuali e collettive spesso una squadra finisce per travolgere l'altra; ciò avviene di solito negli ultimi minuti dei due tempi. Gli studiosi hanno capito che, al di là delle condizioni fisiche, la differenza è data dalla condizione mentale: fra le due squadre esiste una diversa capacità nel mantenere la concentrazione. Tale condizione può dipendere dal fatto che si disputano campionati dove l'intensità del gioco è molto elevata, o anche da un allenamento specifico. La concentrazione, infatti, può essere aumentata laddove all'impegno fisico massimale, senza recuperi, si associ un lavoro che solleciti con continuità l'attenzione mentale, la vigilanza, il controllo su di sé e su quello che accade attorno, ovvero ci si eserciti con grande intensità.
Il dispendio mentale e fisico è enorme e richiede non soltanto un regime alimentare molto sofisticato, ma anche il ricorso a sessioni rilassanti in piscina, ad assistenza fisioterapica e, in particolare, a immersioni prolungate in acqua fredda, anche in pieno inverno, che si sono rivelate utilissime per il recupero delle energie muscolari degli arti inferiori rigenerati dall'improvviso e violento afflusso di sangue.
Praticato in Irlanda fin dal 16° secolo, il football gaelico ha avuto una codificazione definitiva sotto l'egida della Cumann Lúthchleas Gael (Gaelic Athletic Association), fondata il 1° novembre 1884 a Thurles da un gruppo di irlandesi capeggiato da Michael Cusack.
Si tratta di un gioco con caratteristiche a metà tra il rugby e il calcio. Le squadre sono di 15 elementi ciascuna, schierati in 6 linee destinate alla miglior copertura del terreno di gioco: un estremo (fullback), 3 mediani (halfbacks), 2 centrocampisti (midfielders), 3 semi-attaccanti (half forwards), 3 attaccanti (forwards). I giocatori indossano una maglia con i colori del proprio club; quella dell'estremo ha un colore diverso perché è l'unico che nella propria area di porta (goal area o parallelogram), un rettangolo di 14x4,5 m, non può essere attaccato con la palla in mano.
Il terreno di gioco è un rettangolo di lunghezza da 130 a 145 m e larghezza da 80 a 90 m. Al centro della linea di fondo si apre la porta, simile a quella del rugby ma con la traversa leggermente più bassa, a 2,5 m dal terreno; la sua larghezza è di 6,5 m e l'altezza dei pali deve essere di almeno 7 m. La palla è sferica e leggermente più piccola del pallone da calcio, di materiale sintetico oppure di cuoio.
La partita dura 60 minuti divisi in due tempi di 30 minuti; per le finali più importanti la durata è di 80 minuti con due tempi di 40 minuti.
Nel football gaelico non esiste il fuori gioco; il pallone può essere portato in mano durante la corsa, ma per non più di quattro passi consecutivi, poi deve essere fatto rimbalzare a terra (una sola volta) e passato a un compagno o con la mano o con un pugno oppure calciato; il pallone a terra non può essere afferrato con le mani, ma deve essere alzato prima con il piede; la palla può essere raccolta al volo o di rimbalzo. Il giocatore in possesso del pallone può correre con la palla in mano a patto di farla rimbalzare ogni tre passi oppure di effettuare un corto calcetto su sé stesso ogni quattro passi. È vietato il placcaggio e ogni forma di strattonamento, ma è ammesso lo scontro spalla a spalla.
Il punteggio prevede un punto (point) per un pallone calciato o inviato con un pugno (punched) tra i pali sopra la traversa della porta; 3 punti se va sotto la traversa (goal). I risultati vengono espressi separando i punti ottenuti dai gol da quelli ottenuti tra i pali. A titolo di esempio, squadra A 2-10 - squadra B 1-14: significa che la squadra A ha segnato due gol e ha fatto 10 punti tra i pali ottenendo un punteggio totale di 16; la squadra B ha vinto la partita con un punteggio di 17. Se la partita finisce in parità deve essere ripetuta.
Se un difensore commette un fallo nella propria area di porta viene penalizzato con un calcio dalla linea dei 13 m: tutti i giocatori in campo, tranne il calciatore e il portiere, devono sostare dietro la linea dei 20 m. Da questa linea viene anche effettuato il calcio di ripresa di gioco dopo una segnatura. Se un difensore invia il pallone oltre la propria linea di porta viene penalizzato con un calcio piazzato dalla linea dei 45 m.
La direzione del match è affidata a un arbitro (referee), coadiuvato da 4 giudici di porta (umpires) e 2 guardalinee. La segnatura di 3 punti viene segnalata dal sollevamento da parte di un umpire di una bandierina verde a sinistra della porta, la segnatura di un punto da una bandierina bianca.
L'All Ireland Championship, nella cui fase finale sono impegnate le squadre vincitrici dei campionati regionali (Munster, Leinster, Connacht e Ulster), vede il Croke Park di Dublino sempre gremito da oltre 60.000 spettatori.
È detto anche football australiano. Si diffuse co- me gioco ispirato al football gaelico nello Stato di Victoria durante la seconda metà dell'Ottocento, con caratteristiche che ricordano alcuni aspetti tipici del cricket e del rugby. Del primo ha assunto le dimensioni ovali del terreno di gioco, mentre del secondo la palla ovale.
Si gioca su terreni di larghezza tra 110 e 155 m e di lunghezza tra 135 e 180 m. Sull'arco più stretto dell'ovale sono posti 4 pali a distanza di 6,4 m l'uno dall'altro. Come per il football gaelico i punti vengono realizzati attraverso calci: goals del valore di 6 punti se il pallone passa fra i due pali centrali; behinds del valore di un punto se si infila nelle due porte laterali. Un punto ancora si assegna se il pallone per il gol viene toccato da un giocatore durante il tragitto verso i pali; un altro punto in più viene assegnato se la palla tocca un palo.
I giocatori sono 18, più 2 riserve, di cui 15 distribuiti in 5 linee: 3 attaccanti puri (full forwards), 3 mediani attaccanti (half forwards), 3 centri (centre lines), 3 mediani arretrati (halfbacks) e 3 estremi (fullbacks); dei restanti 3 giocatori ‒ che costituiscono la ruck (mischia) e che seguono gli sviluppi del gioco per tut- to il campo al fine di intervenire per il possesso del pallone ‒ 2 sono detti followers (inseguitori) e l'altro rover (vagante).
La gara è controllata da 5 giudici (umpires), di cui uno di campo (arbitro), 2 di porta e 2 di linea laterale. Due bandierine si alzano per l'assegnazione di un gol da 6 punti, una sola per un behind da un punto.
Poiché il terreno di gioco è molto vasto, l'avvicinamento alla porta avversaria è fondamentale. Azione importante, quindi, è il calcio lungo per trasmettere il pallone da un giocatore al proprio compagno. Costui sarà strettamente marcato da un avversario che cercherà di contrastarne la presa aerea, impedendogli così la chiamata del mark, che è un'altra figura caratteristica del gioco. La presa al volo (come nel rugby, quando si è in difesa nella propria area dei 22 m) di un calcio di gittata superiore ai 9 m dà diritto a un calcio franco (free kick). Con questo nuovo calcio si cerca di servire nella stessa maniera un altro compagno più vicino alle porte e in grado di segnare. I migliori specialisti delle Australian Rules sono in grado di raggiungere i pali anche da 60 m e oltre.
Come per il football gaelico, non è contemplata la posizione di fuori gioco; si passa il pallone con un pugno; si corre con il pallone in mano a patto che ogni 9 m si faccia rimbalzare a terra. Come nel rugby, soltanto l'uomo con il pallone in mano può essere placcato.
L'inizio e la ripresa del gioco dopo la segnatura di un gol avvengono con l'arbitro che fa rimbalzare in alto il pallone al cospetto delle due squadre, le quali cercheranno di assicurarsene il possesso. Il sistema per rimettere il pallone in gioco dopo la sua uscita dal campo (non direttamente da calcio al volo) consiste nel lancio della palla all'indietro da parte del giudice di linea con le spalle al campo.
Il rugby a 13 nacque ufficialmente il 29 agosto 1895 per iniziativa di ventuno club del Nord dell'Inghilterra, che decisero la 'grande scissione' dalla Rugby Football Union per la questione del rimborso dei mancati guadagni. I club di estrazione più elevata, infatti, non ammettevano che si percepisse alcuna forma di compenso per il mancato guadagno relativo a viaggi, assenze per partite o allenamenti. Per i club di estrazione più bassa il rimborso era essenziale, e l'istituzione di un movimento rugbistico professionistico fu inevitabile, sollecitato anche dalla constatazione dei grandi interessi generali e di pubblico che il rugby stava sempre di più attirando su di sé.
Inizialmente l'attività professionistica si svolse sotto la protezione della Northern Football Union, con le stesse regole del rugby e con 15 giocatori, che presto però si ridussero a 13. Si apportarono modifiche alle regole di svolgimento di alcune situazioni di gioco per rendere questo più continuo e più semplice. Il portatore del pallone placcato conserva il possesso del pallone fino al quarto tackle (placcaggio), e ogni volta la palla viene rimessa velocemente senza ricorrere alla mischia. Non esistono mauls o rucks, né rimessa dal touch. La mischia è limitata a 6 uomini e giocata molto rapidamente. Il gioco consiste nel passarsi la palla e tentare azioni di avanzamento a velocità sostenuta. A questo schema tattico si è ispirato anche il rugby a 15 a partire dagli anni Novanta. Per il resto le differenze con il rugby a 15 sono minime.
Le due espressioni del rugby sono state sempre in competizione. Il rugby a 13 ha vissuto momenti di grande splendore, raccogliendo per tutto il 20° secolo larghi consensi soprattutto in Inghilterra, Galles, Francia, Nuova Zelanda e Australia. In questi paesi l'interesse verso la Rugby League era però limitato alle competizioni nazionali, mancando una diffusione capillare anche negli altri paesi dove si giocava con la palla ovale. Nel secondo dopoguerra vi furono anche in Italia vari tentativi di introdurre il rugby a 13 e il professionismo. Più di qualche giocatore si fece attirare dalla possibilità di buoni guadagni, ma non si andò lontano perché il rugby a 15 si difese con la minaccia di squalifiche.
L'avvento del professionismo ha reso possibile la libera circolazione fra le due discipline sorelle, e a trarne vantaggio sembra sia stato decisamente il rugby a 15, grazie alla maggiore visibilità di cui gode. In occasione della Coppa del mondo l'IRB organizza le qualificazioni in tutti i continenti, coinvolgendo 95 paesi e suscitando un interesse mediatico secondo solo ai mondiali di calcio e ai giochi olimpici. Ai mondiali di Rugby League partecipa invece una sparuta pattuglia di paesi, e a primeggiare sono sempre australiani e neozelandesi.
Il rugby a 7 è nato in Scozia nel 1883, nella cittadina di Melrose, per iniziativa di un gruppo di macellai che volevano organizzare partite di rugby a 15 nel giorno di domenica. Trovandosi in difficoltà nel reperire giocatori, ebbero l'idea di lanciare il gioco a ranghi ridotti. La moda del Seven-A-Side Rugby prese piede nel 1926 quando i tanti scozzesi residenti a Londra riuscirono a lanciare il Middlesex Sevens, il torneo di rugby a 7 più celebre del mondo.
Grazie alla popolarità crescente della versione a 7, il rugby potrebbe fare il suo rientro nell'agone olimpico, dopo le quattro esperienze fra il 1900 e il 1924 consistenti in tornei con un numero di squadre limitato e dall'atmosfera goliardica e 'decoubertiniana', tanto che si assegnarono attestati e non medaglie. Tuttavia la candidatura del rugby a 7 è stata respinta dal CIO per i Giochi del 2012.
Rispetto al rugby a 15 il rugby a 7 presenta sostanzialmente la sola variante del numero di giocatori. Tutte le regole principali sono le medesime. La durata del gioco, per il grande dispendio di energie, risulta necessariamente ridotta, anche perché si gioca in tornei con molte squadre che si affrontano a rotazione.
Il campionato del mondo si svolge ogni quattro anni e vi partecipano 95 paesi. Si tratta dell'evento che ha permesso al rugby di compiere un vistoso salto di qualità negli ultimi vent'anni del secolo scorso. Fino agli anni Ottanta, infatti, l'ipotesi di una competizione internazionale non veniva neanche presa in considerazione presso l'IRB ma poi, sotto la presidenza dell'australiano Roger Vanderfield, si valutò la reale possibilità di una manifestazione a livello mondiale.
La prima edizione si disputò nel maggio-giugno 1987 congiuntamente in Australia e Nuova Zelanda, e furono invitate 16 squadre. Fra i grandi paesi del rugby non venne convocato il Sudafrica, per via dei problemi connessi alla sua politica di apartheid, mentre era presente l'Italia che, nella fase finale, mancò la qualificazione ai quarti a favore delle Figi per lo scarto di una meta, avendo finito il girone alla pari con queste e con l'Argentina. Gli azzurri avevano alla loro guida Marco Bollesan e come capitano Marco Innocenti. Nella finale di Auckland gli All Blacks vinsero contro la Francia per 29-9. Una meta la realizzò John Kirwan, poi trasferitosi in Italia prima come giocatore, a Treviso, quindi nel 2002 come allenatore della nazionale.
Il successo dell'evento convinse l'IRB, nonostante il timore di favorire il professionismo, a dare alla manifestazione una cadenza quadriennale, con una fase di qualificazione che coinvolgesse tutti i membri dell'unione tranne le quattro finaliste della precedente Coppa del mondo, che accedevano di diritto alla fase finale. La manifestazione si tenne nel 1991 in Inghilterra. L'Italia, allenata dal francese Bertrand Fourcade, si qualificò sul campo ai danni della Romania. La filosofia dell'IRB tesa a rendere più agevole il cammino delle squadre più titolate è una delle caratteristiche maggiormente controverse della Coppa del mondo e ha portato a vere e proprie ingiustizie sportive, come quella in cui incorse l'Italia in occasione dei Mondiali australiani del 2003, quando fu penalizzata dal calendario a favore di Nuova Zelanda e Galles. L'organizzazione della Coppa del Mondo 1991 fu affidata al comitato del Cinque nazioni e le 32 partite furono disputate in Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda e Francia. Nella finale di Twickenham l'Inghilterra trovò l'Australia di Lynagh e Campese e anche la sconfitta per 6-12.
L'organizzazione della Coppa del Mondo del 1995 fu affidata per la prima volta a un unico paese, il Sudafrica di Nelson Mandela, per celebrare il felice superamento della politica di apartheid. Si trattò di un successo di straordinaria portata perché l'evento venne trasmesso dalle televisioni di oltre 150 paesi, con un'audience superiore ai 2 miliardi di persone e oltre un milione e mezzo di spettatori negli stadi. Anche l'Italia partecipò a questa storica festa sotto la guida di un altro tecnico francese, George Coste; il capitano era il pilone italo-sudafricano Massimo Cuttitta. Il titolo iridato andò proprio agli Springboks padroni di casa, tra i quali spiccava l'ala Chester Williams. Nella finale all'Ellis Park di Johannesburg si trovarono di fronte gli All Blacks, guidati dal giovane gigante Jonah Lomu, e gli Springboks del minuto Williams, entrambi ali ed entrambi neri. La difesa sudafricana sullo straripante Lomu fu eroica. Al termine degli 80 minuti di gioco si era in parità (12-12) senza segnatura di meta, ma nel recupero Joel Stranski riuscì a piazzare il drop del 15-12 che valeva la conquista del trofeo William Webb Ellis e anche il tripudio di un popolo che aveva raggiunto finalmente l'unità.
Per la Coppa del Mondo 1999 si tornò in Europa. A organizzare la Ellis Cup questa volta fu la Federazione gallese, anche se diverse partite vennero giocate negli altri quattro paesi del Cinque nazioni. Il rugby concluse il secolo con un successo strepitoso, registrando un'audience televisiva che superò i 3 miliardi di persone. Il numero di paesi partecipanti alle qualificazioni toccò quota 70 e la fase finale si disputò con 20 squadre invece di 16, divise in 5 gironi da 4 squadre ciascuno. L'Italia, allenata da Massimo Mascioletti, con Massimo Giovannelli capitano, giunse in Gran Bretagna in crisi tecnica e scossa dalle polemiche e sprecò l'occasione di andare nei quarti perdendo sia contro le Figi (50-32) sia contro Tonga (28-25). Pur giocandosi in Gran Bretagna, alle semifinali non giunse alcuna squadra britannica; Australia e Francia si qualificarono per la finale, dove si affermarono nettamente i Wallabies (35-12) al loro secondo titolo iridato in otto anni.
La Coppa del Mondo 2003 si giocò soltanto in Australia perché non si trovò un accordo con la Nuova Zelanda per disputare le 48 partite previste nei due paesi. Cambiò la formula: 4 gironi da 5 squadre, con accesso ai quarti delle prime due. La durata dei Mondiali fu di 43 giorni, dal 10 ottobre al 22 novembre, e anche questa edizione si rivelò un grande evento mediatico, seguito in tutto il mondo. L'Italia, allenata dal neozelandese John Kirwan, con Alessandro Troncon capitano, era schierata al via per la quinta volta su cinque edizioni, ma si trovò di nuovo davanti a un calendario iniquo. Kirwan tentò in ogni modo di portare avanti nei turni una squadra che riuscisse a recuperare la cadenza di una partita ogni tre giorni. Arrivò, perfino, a dividere i giocatori in due formazioni da alternare sul campo. Nel match di spareggio contro il Galles, a Canberra, le energie disponibili durarono appena un tempo, e i più freschi Red Dragons portarono il risultato in salvo (27-15), qualificandosi. Risultarono così inutili i primi due successi azzurri ottenuti contro Tonga (36-12) e Canada (19-14). In finale si ritrovò ancora l'Australia, che affrontava la squadra inglese guidata da Clive Woodward. Lo stadio di Sydney era affollato da oltre 110.000 spettatori che sognavano il terzo successo iridato dei Wallabies. Il match ebbe un andamento memorabile, con le squadre che si alternavano nel vantaggio parziale delle segnature e l'Australia che raggiungeva il 14-14 al quarto minuto di recupero con un calcio piazzato di Flatley. Si andò ai due tempi supplementari; al piazzato di Wilkinson nel primo tempo rispose Flatley al decimo minuto del secondo. Quando sul 17-17 tutto sembrava presagire il ricorso alla regola dei piazzati a oltranza, Jonny Wilkinson con un drop micidiale chiuse il match 20-17, consegnando all'Inghilterra la prima Ellis Cup e a Clive Woodward il titolo di baronetto. Per l'Inghilterra fondatrice del rugby fu un successo agognato, che venne sottolineato dalla grande folla festante che accolse a Londra la sfilata di Wilkinson e compagni al loro ritorno.
A questo torneo partecipano le nazionali di sei paesi: Inghilterra, Francia, Irlanda, Scozia, Galles e Italia. Si gioca nell'arco di sei settimane tra febbraio e marzo. In questo periodo nei sei paesi si fermano i campionati maggiori.
Si tratta della più antica competizione internazionale su base annuale. Per portata di interesse generale e mediatico è anche l'evento sportivo annuale in assoluto più importante su scala internazionale. Al suo inizio, nel 1883, il torneo non fu promosso da comitati ma semplicemente dalla tradizione di sfide annuali da parte delle Home Unions: Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda. Da quella data e per oltre un secolo la competizione non previde né un comitato organizzatore né riunioni per stabilire un calendario. La logica era quella di un evento spontaneo all'insegna di rapporti fra gente sportiva e civile. L'unica ufficialità era stata quella offerta nel 1896 dal Times, che dette rilievo alla classifica stilata in base ai risultati delle partite.
Neanche quando alle Home Unions si aggiunse la Francia si pensò a una minima forma di organizzazione. Il torneo tornò a quattro squadre dal 1931 al 1947, allorché ne fu esclusa la Francia per professionismo; dal 1947 ritornò Cinque nazioni e dal 2000 divenne Sei nazioni con l'ingresso dell'Italia.
Fino al 1993 l'unico trofeo riconosciuto era la Calcutta Cup ‒ una coppa ottenuta da un artigiano indiano fondendo le rupie che costituivano il residuo di cassa del Calcutta Football Club all'atto del suo scioglimento (1877) ‒ che veniva assegnata ogni anno alla vincente della partita fra Inghilterra e Scozia. L'interesse sempre maggiore suscitato dal torneo comportò, dal 1993, il controllo dell'evento da parte di un apposito comitato che, tra l'altro, ha l'incarico di ripartire (dal 2005 in parti uguali) i proventi delle televisioni e degli sponsor. Dal 1993 è assegnata una coppa (Championship Trophy), e vengono stilate classifiche ufficiali con discriminanti in caso di parità fra due o più squadre.
L'ingresso dell'Italia nel Sei nazioni è stato folgorante: nella partita di apertura del torneo gli azzurri superarono per 34-20 la Scozia vincitrice dell'edizione 1999. Nei quattro anni successivi furono solo due i cucchiai di legno guadagnati dall'Italia (2001, 2002) perché nelle edizioni 2003 e 2004 arrivarono ancora il successo sul Galles (30-22) e quello sulla Scozia (20-14); poi nel 2005 nuovamente nessuna vittoria con conseguente cucchiaio di legno assegnato all'Italia.
A partire dal 1883 le statistiche indicano come paese più forte l'Inghilterra, con 34 primi posti (nessuna vittoria fino al 1993) e 6 cucchiai di legno; segue il Galles con 31 primi posti e 3 cucchiai; la Scozia con 23 vittorie e 11 cucchiai; la Francia con 20 primi posti (nessuna vittoria fino al 1954) e 9 cucchiai; l'Irlanda con 6 primi posti e 11 cucchiai; l'Italia con 3 cucchiai di legno in sei edizioni.
Oltre alla Calcutta Cup il Sei nazioni presenta due altri riconoscimenti tradizionali. Il primo è la Triple Crown, che si assegna quando una nazionale batte tutte le altre in un singolo torneo. Anche qui è in testa l'Inghilterra, che l'ha conquistata 23 volte, seguita da Galles (17), Scozia (10) e Irlanda (7). Il secondo è la graduatoria del Grande Slam, cioè di chi batte in una singola edizione tutte le altre squadre. In testa è sempre l'Inghilterra (12 volte), seguono il Galles e la Francia (8 volte), la Scozia (3 volte) e l'Irlanda (una volta).
La Coppa del mondo di Rugby Seven, la cui cadenza è quadriennale, fu introdotta nel 1993 a Edimburgo, occasione in cui si qualificò anche l'Italia. La seconda e la terza edizione si sono tenute nel 1997 a Hong Kong, capitale mondiale della specialità, e nel 2001 a Mar del Plata (Argentina), senza l'Italia, non qualificata. Dominatori del Rugby Seven sono i neozelandesi, che trovano la più decisa opposizione nei figiani.
Sono 32 i paesi che hanno partecipato alle prime tre edizioni, vinte da Inghilterra, Figi e Nuova Zelanda, e solo 3 i paesi che non hanno vinto nemmeno un incontro: Taiwan, Olanda e Lettonia. Nelle prime tre Coppe del mondo i figiani hanno vinto 20 partite sulle 23 disputate; la Nuova Zelanda 19 su 22; il Sudafrica 17 su 22; Samoa 15 su 20. Il miglior marcatore è il mediano di apertura delle Figi, William Serevi, che ha realizzato 252 punti e 16 mete.
In Italia il rugby a 7 ha faticato a svilupparsi perché considerato una distrazione di energie dal rugby a 15, anche in termini economici. Ma negli ultimi anni il tecnico Marco Gabrielli ha potuto usufruire di maggiori disponibilità. Nel 2004 ha vinto i Seven di Spalato, di Lunel e di Roma e ha conquistato il secondo posto nei Campionati Europei di Palma di Maiorca, dove gli azzurri, dopo aver battuto Romania, Croazia, Spagna, Russia e Irlanda (in semifinale), hanno perso in finale per una meta contro il Portogallo. L'Italia ha acquistato contemporaneamente il diritto di qualificarsi ai Mondiali di Hong Kong del 2005.
L'avanguardia del rugby femminile sono state le squadre statunitensi e in particolare della California, dove negli anni Settanta se ne potevano contare addirittura 300 grazie all'influenza della rivista Sport women. Contemporaneamente il rugby rosa trovava consensi sempre più ampi prima in Olanda, Francia e Italia, quindi in Gran Bretagna, cui fecero seguito anche Russia, Canada e, soprattutto, Nuova Zelanda. Nel 1980 si disputò il primo incontro internazionale, Francia-Olanda (4-0). Nel 1987 si costituiva a Parigi la Federazione internazionale, poi confluita nell'IRB, con l'adesione di Gran Bretagna, Francia, Italia, Olanda, Spagna e Belgio. L'anno prima si era tentato di organizzare una Coppa del mondo, che però si svolse soltanto nel 1991 in Galles, con la partecipazione di 12 paesi, fra cui l'Italia che si classificò settima. Il successo finale andò agli Stati Uniti che superarono l'Inghilterra per 19-0. Le inglesi si presero la rivincita nella seconda edizione disputata in Scozia nel 1994, vincendo in finale le statunitensi per 38-23. Poi anche la cadenza del mondiale femminile divenne quadriennale. Le edizioni del 1998 (Olanda) e del 2002 (Spagna) confermarono il dominio della Nuova Zelanda anche in campo femminile: le Blacks conquistarono entrambe le coppe superando prima gli Stati Uniti per 44-12 e poi l'Inghilterra per 19-9. In entrambe le edizioni l'Italia si classificò dodicesima.
È il fiore all'occhiello dell'IRB, che guarda a questa manifestazione come al trampolino di lancio per i talenti rivolti al professionismo e all'inserimento nelle rispettive squadre nazionali maggiori. Si tratta di una vetrina fondamentale cui è stata data cadenza annuale anziché quadriennale, per evitare che solo una generazione su quattro abbia occasione di mettersi in luce. Il Mondiale under 21 è nato nel 1992. Anche in questa manifestazione si registra il tradizionale predominio neozelandese. Quanto all'Italia, la sua stagione migliore è stata quella del 2004, quando, nell'edizione scozzese della Coppa, ha sconfitto la formazione di casa insediandosi al nono posto con una squadra che aveva 19 giocatori su 26 in età per giocare anche la Coppa del Mondo 2005.
È una manifestazione annuale internazionale che si tiene nell'emisfero australe, l'equivalente del Sei nazioni europeo. Vi partecipano Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica e la formula prevede partite di andata e ritorno. Il torneo è nato nel 1996 grazie al forte impulso dato dall'imprenditore Rupert Murdoch. La Nuova Zelanda si è assicurata il successo in cinque edizioni, mentre tanto l'Australia quanto il Sudafrica ne hanno vinte due. All'interno del torneo si disputa anche la Bledisloe Cup, un torneo tra Australia e Nuova Zelanda che fino al 1996 si svolgeva autonomamente e che deriva il nome da Lord Bledisloe, il governatore generale della Nuova Zelanda che nel 1931 fece dono del trofeo. La competizione è divenuta annuale dal 1982 e dal 1999 si svolge in due match in luogo della precedente serie di tre; pertanto, in caso di una vittoria per parte o di pareggio di una delle due partite, il trofeo viene assegnato alla squadra vincitrice dell'edizione precedente.
Si tratta di una competizione tra province sudafricane che ebbe inizio nel 1891, quando, in occasione del primo tour inglese in Sudafrica, Sir Donald Currie della Castle Shipping Line consegnò la coppa d'oro al capitano della squadra britannica MacLaglan per donarla alla squadra sudafricana che meglio si fosse opposta a quella britannica: la coppa andò alla Griqualand West Rugby Union e questa, successivamente, la girò alla Federazione sudafricana nel 1892.
Si tratta di un trofeo itinerante cui partecipano 14 squadre divise in 2 gironi, A e B, con promozione e retrocessione. Considerando le edizioni a partire dal 1956, il Northern Transvaal (Blue Bulls) ne ha vinte 20, di cui 3 consecutive dal 2002 al 2004; il Western Province se ne è aggiudicate 13, Transvaal e Natal 4, una ciascuna Griqualand West e Orange Free State.
Si tratta del campionato nazionale della Nuova Zelanda riservato alle selezioni provinciali. Iniziato nel 1976, ha cadenza annuale e vi partecipano 27 province organizzate in tre divisioni; alla prima divisione della competizione partecipano 10 province. La più titolata e prestigiosa è sicuramente Auckland, che partendo dall'edizione 1983 si è aggiudicata 13 successi. L'NPC del 2004 è stato vinto da Canterbury (al suo secondo successo), che ha superato per 40-27 Wellington.
È un vero e proprio campionato a 12 squadre, nato nel 2001. Vi partecipano le selezioni regionali o provinciali di Galles, Scozia e Irlanda ed è la risposta ad alto livello di questi paesi al supercampionato inglese Zurich Premiership. Serve soprattutto per consentire ai migliori atleti di giocare al più alto livello tutto l'anno, così da presentarsi agli impegni con la nazionale al massimo della condizione fisica e mentale. Il Galles vi prende parte con 5 selezioni: Llanelli Scarlets, Gwent Dragons, Celtic Warriors, Ospreys, Cardiff Blues; l'Irlanda con le 4 classiche selezioni provinciali: Ulster, Munster, Leinster e Connacht; la Scozia con 3 selezioni: Edimburgo, Glasgow e Borders; le prime due edizioni sono state vinte dagli irlandesi del Leinster (2002) e del Munster (2003), mentre la terza dalla gallese Llanelli (2004).
Per gran parte della sua storia quasi bicentenaria l'attività agonistica del rugby non è dovuta ricorrere a manifestazioni codificate come i campionati. Specialmente nel mondo anglosassone il rugby era vissuto come una serie di sfide a livello locale, nazionali e internazionali. Quest'attività veniva regolata dal sistema delle fixtures, che prevedeva di fissare un programma di incontri, in genere tradizionali, stagione per stagione. A queste sfide non venivano assegnati punteggi anche se, non ufficialmente, veniva poi fatto un conteggio delle partite vinte, pareggiate e perse. Nella stessa etica del più puro dilettantismo, fra giocatori e club non esisteva alcun vincolo: ognuno era libero di giocare con chi voleva e di cambiare qualora lo ritenesse opportuno senza chiedere permessi. È con l'avvento del professionismo, ufficialmente nel 1995, che anche nei paesi anglosassoni si cominciò a parlare di campionati ufficiali, di punteggi e di classifiche e per i giocatori cominciò a instaurarsi il regime del vincolo di appartenenza e delle regole cui sottostare per trasferirsi da una squadra all'altra. Ma fino a quel momento, almeno presso i paesi appartenenti all'International Rugby Board (IRB), non esisteva il 'cartellino' ed era possibile che un principe russo come Aleksandr Obolenski finisse per rappresentare l'Inghilterra in quattro occasioni ufficiali. Ovviamente ogni dato relativo alla vita di un giocatore di rugby, anche importante, non aveva alcuna necessità di essere notato da parte di un organismo deputato a farlo, e la carriera dei giocatori procedeva in maniera sostanzialmente anonima attraverso le circostanze della loro vita: le scuole che potevano cambiare, le università, le residenze della famiglia, il servizio militare, gli spostamenti legati al lavoro.
Grande giocatore dell'Inghilterra, nacque a Beckenham il 10 marzo 1898 e morì a Kendal il 12 agosto 1983. I ruoli ricoperti erano quelli di numero 8 e di terza linea centro. Dopo l'esordio nella scuola di Sedberg militò nelle squadre Leicester, Harlequins (Londra), Royal Air Force, Cambridge University e nella rappresentativa del Middlesex. Nel 1920 fu convocato per la sua prima partita in nazionale, con cui raggiunse 31 caps (presenze) ricoprendo inoltre, dal 1923 al 1927, il ruolo di capitano. Nel 1950 divenne presidente dell'International Board.
Wakefield era un vero fenomeno. Alto e possente, era veloce come un trequarti; sin dal periodo scolastico si affermò nelle gare di velocità e da militare fu campione della RAF sul quarto di miglio (400 m). Caratterialmente era un leader e fin da ragazzo fu eletto regolarmente capitano in tutte le squadre in cui giocava. La sua tattica preferita, con cui riuscì a realizzare moltissime mete, consisteva nel fare in modo che i trequarti trasmettessero velocemente la palla all'ala e che quest'ultima calciasse a sua volta il pallone al centro per la presa irruenta e puntuale del capitano. Questo tipo di impostazione tattica, inoltre, è rimasto per un cinquantennio lo schema offensivo per moltissimi club. Il primato di presenze nella nazionale inglese è appartenuto a Wakefield per più di quarant'anni. Al termine della sua strepitosa carriera Lord Wakefield di Kendal divenne deputato della Camera dei Comuni e poi membro della Camera dei Lord.
Giocatore (mediano di mischia) e poi tecnico e dirigente, nacque a Stellenbosch, in Sudafrica, l'11 ottobre 1911.
Giocò nel 1931 contro il Galles la sua prima partita in nazionale, nella quale vestì anche la maglia di capitano collezionando 14 caps, 2 mete e 6 punti realizzati.
Craven è stato fra i più grandi mediani di mischia degli anni Trenta; dopo 8 anni con la maglia degli Springboks interruppe la sua carriera di giocatore, nel 1939, per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Terminato il conflitto, ricoprì un ruolo di protagonista assoluto nel rugby sudafricano per altri quarant'anni, nelle vesti di selezionatore e allenatore della nazionale negli anni Cinquanta, quindi come manager degli Springboks e infine, dal 1956 al 1993, come presidente della Federazione sudafricana. Craven, che fu un giocatore noto per le sue doti di intelligenza tattica nella guida degli avanti, introdusse il passaggio del mediano di mischia in tuffo. La sua conoscenza perfetta del gioco e la sua prestanza fisica gli permisero di ricoprire in nazionale ben 4 ruoli (mediano di mischia, mediano di apertura, centro e numero 8), avvenimento negli anni Trenta assolutamente inusuale. È scomparso il 4 gennaio 1993.
È stato, storicamente, un giocatore inglese pur essendo nato a Pietrogrado, nel 1916. Il suo ruolo era di trequarti ala. Ha giocato con la Oxford University e ha collezionato 4 presenze nella nazionale inglese. Nel 1936 realizzò 2 mete contro la Nuova Zelanda a Twickenham, per la vittoria inglese 13-0, e 17 mete in Brasile contro una selezione locale, per la vittoria inglese 80-0. Per questa prestazione è diventato il realizzatore di mete più prolifico della storia del rugby.
Obolenski, chiamato dai media Obo, era figlio del principe Aleksej, ufficiale delle guardie imperiali dello zar, e venne portato in Inghilterra durante la rivoluzione russa. È stato il primo e unico cittadino russo a giocare con la maglia dell'Inghilterra. La vita dell'aristocratico russo si concluse nel 1940, all'età di 24 anni, nei cieli di Norfolk durante una battaglia aerea contro i tedeschi.
Nato a Parma nel 1925, ha ricoperto in carriera il ruolo di pilone, militando nel Parma, nel Grenoble e nella squadra di Montceau-les-Mines. Esordì in nazionale il 27 marzo 1949 a Marsiglia contro la Francia (0-27) e giocò l'ultima partita il 29 marzo 1964 a Parma, sempre contro la Francia (3-12). Aveva dunque 24 anni all'esordio in maglia azzurra e ne aveva 39 quando l'indossò per l'ultima volta: Lanfranchi è il giocatore italiano con la carriera internazionale più lunga. Ha collezionato 21 caps con 5 mete, 2 calci di punizione e una trasformazione. Ha vinto un titolo italiano con il Parma (1949) e un titolo di campione di Francia con il Grenoble.
Nessuno ha fatto meglio di lui, neanche giocatori celebrati come Carlo Checchinato di Rovigo, gli aquilani Antonio Di Zitti e Massimo Mascioletti, l'argentino Diego Domínguez, il veneto Giancarlo Pivetta, il bresciano Paolo Vaccari, che si sono fermati tutti a quota 14 anni, contro i 15 del giocatore emiliano. Ma non è stata solo la longevità la caratteristica di Lanfranchi: era un giocatore straordinario, unico, perché al fisico massiccio e potente, che gli consentiva di giocare in qualsiasi ruolo fra gli avanti e che nel rugby professionistico moderno lo avrebbe esaltato maggiormente, affiancava capacità tecniche eccellenti e poliedriche, come quelle di calciatore. Nel suo carniere azzurro figurano 5 mete (che per un avanti degli anni Cinquanta e Sessanta non erano poche considerando i soli 21 caps che si potevano disputare in 15 anni), ma anche una trasformazione e due calci piazzati. Il tutto sottolineato da doti di grande combattente e trascinatore. Lanfranchi lasciò Parma dopo la conquista dello scudetto nel 1949 per trasferirsi definitivamente negli anni Cinquanta a Grenoble. In Francia, dove restò per 15 stagioni, i giornali scrivevano che il più grande pilone francese era un italiano. Il rugby per il pilone parmense era tutto. Compiuti i fatidici 40 anni, rimase in Francia per continuare a giocare nel piccolo club di Montceau-les-Mines.
Nato a Belfast il 10 gennaio 1926, è stato un grande mediano di apertura. Dopo l'esordio alla Belfast School militò nel Munster e giocò a livello internazionale dal 1947 al 1958 raggiungendo 46 caps per l'Irlanda e 6 per i Lions Britannici.
Nel 1948, al suo secondo anno in nazionale, condusse l'Irlanda a realizzare nel Cinque nazioni il suo primo Grande Slam del dopoguerra. Kyle fu un regista dal gioco rapido, astuto e calcolatore, capace di sfruttare ogni debolezza e momento di deconcentrazione dell'avversario. La sua specialità era il gioco tattico 'al piede', ma curiosamente nella sua decennale carriera in nazionale tentò una sola volta il drop, riuscendoci, in occasione della sfida contro il Galles nel 1956. In Francia lo soprannominarono 'il Fantasma' perché inafferrabile e in Nuova Zelanda, dopo una serie di partite dei Lions, 'il Doppio' per la sua capacità di essere sempre nel vivo del gioco tanto in difesa quanto in attacco. I suoi impegni con la nazionale irlandese non gli impedirono di studiare con profitto medicina presso la Queen's University di Belfast. Terminata l'attività agonistica a 32 anni, si recò prima in Malaysia e poi in Zambia dove esercitò la professione medica.
Nato a Dublino il 7 maggio 1936, dopo l'esordio con l'Old Belvedere indossò le maglie del Leicester e del London Irish. Trequarti ala dal fisico imponente (1,88 m per 93 kg), al momento dell'esordio in nazionale a 18 anni e mezzo contro la Francia, nel gennaio del 1955, aveva giocato appena 4 partite nell'Old Belvedere. Ancora più curiosa la sua ultima partita in maglia verde nel febbraio del 1970, quando aveva 34 anni e da 7 aveva smesso l'attività internazionale. Tony O'Reilly era, infatti, un affermato uomo d'affari che giocava a rugby scendendo in campo il sabato con il London Irish, ma da tempo non dava più la disponibilità alla nazionale del suo paese. A Londra, alla vigilia di Inghilterra-Irlanda per il Cinque nazioni nel febbraio del 1970, il giorno prima del test match si infortunò l'ala designata Bill Brown e O'Reilly venne convocato d'urgenza, dato che viveva e giocava proprio nella capitale. Fu un giocatore straordinario, una delle ali più forti della storia, potente quanto agile, opportunista e veloce, coraggioso e indomito placcatore. Alla fine della sua carriera aveva collezionato 29 caps per l'Irlanda e 10 per i Lions Britannici.
Nato a Ballymena, nell'Irlanda del Nord, il 6 giugno 1940, è stato un altro ottimo giocatore irlandese, nel ruolo di seconda linea. In nazionale ha giocato 46 partite, esordendo nel 1962 e giocando l'ultima partita nel 1975. È stato capitano dell'Irlanda vincitrice del Cinque nazioni del 1974; nei Lions Britannici ha giocato 17 partite ricoprendo il ruolo di capitano nel 1974.
Determinato e grande trascinatore, McBride ha saputo sempre spingere e spronare i compagni in qualsiasi impresa con estrema chiarezza di idee nel gioco di mischia e cercando di offrire al reparto di attacco solo palloni di sicura qualità.
Nato a Masterton, in Nuova Zelanda, il 3 settembre 1940, ha ricoperto in carriera i ruoli di numero 8 e di seconda linea militando nel Wairarapa College, nel Masterton e nel Wairarapa Province. Alto 1,91 m per 95 kg di peso, esordì in nazionale nel 1993 a Twickenham contro l'Inghilterra (14-0) e giocò l'ultima partita a Wellington il 31 luglio 1971 contro le British Isles (3-13). Ha collezionato 25 caps con due mete. Tennista di valore nazionale, Brian Lochore è stato il mitico capitano degli All Blacks nella seconda parte degli anni Settanta (tre sole sconfitte in 18 partite). Da allenatore ha guidato il Masterton Club e il Wairarapa-Bush (1980); è stato inoltre allenatore degli All Blacks nel 1985 e, come selezionatore della Nuova Zelanda, ha vinto il Campionato del Mondo 1987 (prima e unica Coppa del Mondo nel carniere del paese numero uno nel rugby). In riconoscimento del suo valore nel 1999 è stato nominato baronetto per meriti sportivi.
Il giovane Brian non voleva fare il rugbista, ma il fantino. Poi, quando si accorse che stava diventando troppo grande per montare un cavallo da corsa, era già il miglior tennista della Provincia di Wairarapa e uno dei più forti della Nuova Zelanda. Continuò a giocare a tennis fino alla chiamata degli All Blacks, nonostante fosse considerato un talento da seguire fin dal 1959, quando da flanker si era messo in evidenza in una partita dei Lions Britannici contro il Wairarapa Province. Proprio la passione tennistica ritardò al 1965, quando aveva 25 anni, l'ingresso definitivo di Lochore negli All Blacks. Un anno dopo l'allenatore della Nuova Zelanda, Fred Allen, impressionato dalle sue qualità di giocatore e di leader, lo nominò capitano, ruolo che onorò come nessun altro. Terminata l'attività agonistica, rimase nel rugby prima come allenatore, poi come dirigente. Nel tour neozelandese in Europa del novembre 2004 il numero 8 più celebre del rugby neozelandese figurava ancora nello staff degli All Blacks.
Nato il 7 luglio 1941 a Chioggia (Venezia), ha giocato nel ruolo di flanker con CUS Genova, Partenope e Brescia, mentre in nazionale ha esordito il 4 aprile 1963 a Grenoble contro la Francia (12-14) e ha disputato la sua ultima partita a Reggio Calabria il 10 maggio 1975 contro la Cecoslovacchia (49-9); in tutto ha collezionato 47 caps (37 da capitano) e ha vinto 3 titoli italiani. Da allenatore ha guidato, tra i club, Amatori Milano, Livorno, CUS Genova e Alghero; ed è stato responsabile della nazionale italiana dal 1985 al 1988.
Marco Bollesan è sicuramente una delle figure più prestigiose del rugby italiano. Da giocatore ha ricoperto tutti i ruoli possibili con grandi risultati. Il suo esordio in maglia azzurra contro la Francia, nel 1963, coincise con una memorabile occasione in cui l'Italia riuscì solo a sfiorare la prima storica vittoria contro i fortissimi transalpini (il primo successo azzurro sarebbe poi giunto proprio a Grenoble 34 anni dopo, il 22 marzo 1997, con 40-32): a cinque minuti dal termine, infatti, l'Italia conduceva per 12-6, poi due mete di Darrouy e Dupuy capovolsero il risultato. Bollesan risultò il migliore in campo, diventando per molte generazioni a venire la bandiera del rugby italiano (fu capitano azzurro dal 1968 al 1975, un record). Cresciuto in Liguria, Bollesan maturò fisicamente lavorando da portuale a Genova e poi vogando come canottiere da militare. In qualche maniera fu il primo professionista del rugby italiano, poiché non disdegnò di accettare e migliorare la propria attività lavorativa andando a giocare lontano da Genova: prima a Napoli, dove nel 1965 e nel 1966 contribuì in maniera decisiva alla conquista di due scudetti (rimasti poi i soli) della Partenope, poi a Brescia per un altro scudetto nel 1975. Da allenatore, il momento più alto del suo quadriennio con la nazionale italiana è stato toccato in occasione della Coppa del Mondo 1987, in Nuova Zelanda, dove l'Italia era impegnata nel girone di qualificazione con Nuova Zelanda, Figi e Argentina. L'impresa di entrare come seconda nei quarti di finale, cioè fra i primi 8 paesi del mondo, sfuggì alla squadra di Bollesan per lo scarto di appena una meta; passarono le Figi, che pure l'Italia aveva superato per 18-15. Come dirigente, infine, Bollesan nel 2001 è stato nominato team manager della nazionale italiana.
Nato a Kawakawa, in Nuova Zelanda, il 19 agosto 1943, ha giocato, come mediano di mischia, nel Mid Northern, nel North Island e nel New Zealand Maori. Esordì in nazionale il 19 agosto 1967 a Wellington contro l'Australia (29-9) e giocò l'ultima partita a Christchurch contro i Lions Britannici il 9 luglio del 1977 (9-13). Ha collezionato 29 caps con 17 vittorie, 2 pareggi e 10 sconfitte e ha all'attivo 44 punti realizzati in 10 mete, 2 calci piazzati e una trasformazione. Ha giocato 86 partite non ufficiali per gli All Blacks. Dal 1978 ha ricoperto l'incarico di allenatore del Northland.
La carriera del maori Syd Going fu molto veloce: dopo essere entrato a soli 18 anni (1962) nella prima squadra del North Auckland per rimpiazzare l'infortunato Pat Marshall, attirò subito l'interesse degli esperti. Dopo una parentesi come missionario negli Stati Uniti per la sua chiesa evangelica, rientrò al North Auckland nel 1965 riuscendo a reinserirsi in squadra. Il suo momento arrivò nel 1967, quando il grande Chris Laidlow si infortunò e toccò a lui, appena ventitreenne, scendere in campo contro l'Australia nella partita del Giubileo, vinta dagli All Blacks per 29-9. Le qualità migliori di Going erano quelle dell'attaccante puro. Le sue partenze improvvise attorno alla mischia risultavano spesso devastanti. Il passaggio era piuttosto lento, e trasmetteva la palla ai trequarti solo quando si rendeva conto che da solo non poteva farcela. La folla correva a vederlo giocare anche perché contro la Francia nel 1968 era riuscito a segnare due mete davvero entusiasmanti. Anche i due fratelli di Syd sono stati ottimi giocatori: Ken fu All Black nel ruolo di estremo nel 1974, mentre Brian giocò titolare nel ruolo di centro per North Auckland e NZ Maori. Syd Going è stato eletto per tre stagioni 'Giocatore maori dell'anno'.
Nato in Galles, a Cefneithin (un piccolo villaggio a circa 20 miglia da Llanelly), il 6 gennaio 1945, ha giocato nel ruolo di mediano di apertura; dopo l'esordio, nel 1963, nel Llanelly militò nelle squadre delle scuole di Cefneithin e di Gwendraeth e nel Cardiff. In nazionale raggiunse 25 caps fra il 1966 (esordio contro l'Australia) e il 1971, con 90 punti segnati; nei Lions Britannici 4 caps e due tour, nel 1968 in Sudafrica e nel 1971 in Australia e Nuova Zelanda. Oltre al rugby ha praticato il calcio e il cricket.
Cresciuto in un tempio del rugby gallese, dove per i ragazzi l'unico divertimento negli anni del dopoguerra era giocare con qualsiasi tipo di palla, grazie alla pratica del calcio imparò a colpire con il collo del piede quando tutti nel rugby calciavano di punta. È proprio grazie alla precisione con cui calciava da corte e lunghe distanze, unita alla raffinata abilità nell'evitare gli avversari, che Barry raggiunse la notorietà internazionale. Il tour con i Lions nell'emisfero australe nel 1971 si rivelò per il mediano di apertura gallese un vero successo; in questa occasione Barry guidò la squadra alla vittoria contro gli All Blacks, superandoli a Dunedin per 9-3 e pareggiando poi all'Eden Park di Auckland per 14-14. Dal lungo tour australe dei Lions Barry tornò avendo giocato 17 incontri sui 26 in programma (fra cui i 4 test matches contro l'Australia e la Nuova Zelanda) e avendo segnato 191 punti, ottenuti con 7 mete, 31 trasformazioni, 28 calci di punizione e 8 drops. Al suo ritorno trovò all'aeroporto di Heathrow tremila persone ad acclamarlo; fino a quel momento aveva segnato per il Galles 90 punti superando il precedente record di 88 appartenente a Jack Bancroft.
Nato in Galles, a Pontardawe, il 12 luglio 1947, ha giocato da mediano di mischia, ma anche come estremo e mediano di apertura, militando nel club di Cardiff. In nazionale ha collezionato 53 caps (33 vittorie, 5 pareggi, 15 sconfitte), di cui 13 da capitano: esordì il 1° aprile 1967 contro la Francia (14-20) e giocò l'ultima partita il 18 marzo 1978 sempre contro la Francia (16-7). Ha realizzato 88 punti di cui 20 mete, un calcio piazzato, 3 drops. Vanta anche 10 presenze nei Lions Britannici.
Con John Barry, compagno di squadra a Cardiff e in nazionale, formò una coppia mediana fra le più affiatate ed efficaci della storia del rugby. Edwards, ricordato dal suo compagno di gioco per i suoi passaggi lunghi e precisi, è stato anche l'autore della più celebre e bella meta della storia di questo sport: quella che sancì una delle rare vittorie (23-11) dei Barbarians sugli All Blacks a Twickenham il 27 gennaio 1973, davanti a settantamila spettatori e in presenza delle televisioni di mezzo mondo. La meta scaturì, al termine di un lungo assedio manovrato degli All Blacks nell'area dei Barbarians, da un contrattacco del mediano di apertura gallese Phil Bennet (che aveva sostituito John Barry), operato con finte e controfinte e seguito da sette passaggi offensivi per tutto il campo, l'ultimo dei quali raccolto quasi con le unghie da Edwards, che si portava in meta con una volata finale irresistibile. Nella strada principale di Cardiff esiste una statua che ritrae Gareth Edwards nell'azione di uno dei suoi caratteristici passaggi.
Nato a Bridgend, in Galles, il 2 marzo 1949, ha militato nel ruolo di estremo. Alto 1,86 m per 90 kg di peso, esordì con la squadra della Millfield School per poi giocare con il Bridgend e il London Welsh. Ha indossato la maglia della nazionale dal 1969 al 1979, con 55 caps, e quella dei Lions Britannici. Oltre al rugby ha praticato il tennis, vincendo il torneo junior di Wimbledon nel 1966.
JPR, come era comunemente chiamato, fu il migliore estremo negli anni Settanta. In questo ruolo, secondo una regola allora recente, si poteva calciare in touch diretto solo prima della propria linea dei 22 m; l'estremo doveva essere forte e coraggioso, intervenire nella zona difensiva, dove non era ammesso il mark (arresto al volo) sui calci altissimi degli avversari, e doveva saper contrattaccare. Le nuove esigenze del ruolo di estremo si adattarono perfettamente alle caratteristiche fisiche e tattiche dell'atleta gallese, capace di placcaggi decisi e potenti. Ancora studente a Londra, fu convocato in nazionale per un tour in Argentina nell'estate del 1968. Con JPR estremo il Galles fra il 1976 e il 1981 visse un vero e proprio periodo d'oro, perdendo in 5 anni solo tre partite, una contro la Scozia e due contro la Francia.
Mediano di apertura argentino, nato a Buenos Aires l'11 settembre 1951, esordì in nazionale l'11 ottobre 1971 a Montevideo contro il Cile (20-3) e giocò l'ultima partita contro la Scozia il 10 ottobre 1990. Ha collezionato 58 caps in 19 anni di attività internazionale.
Porta è il più grande giocatore della storia del rugby argentino. Tarchiato ma in grado di correre i 100 m con tempi da velocista, è stato un regista di gioco dalla grande intelligenza, tecnicamente perfetto, capace di effettuare ottimi passaggi come il miglior Michael Lynagh e calciare come Jonny Wilkinson. Ambidestro, l'abilità nel gioco al piede gli proveniva dall'essere stato da ragazzo un ottimo calciatore in erba, tanto da interessare il Boca Junior di Buenos Aires, il club di Diego Maradona. Nel rugby iniziò come mediano di mischia, ma presto emersero le sue qualità di giocatore incline a guardare avanti e trovare lo spazio libero per impostare il gioco più adatto alle caratteristiche della squadra. Il prestigio guadagnato sul campo in Argentina fu tale che a 39 anni, appena terminata l'attività agonistica, gli venne offerto il posto di ambasciatore in Sudafrica. Successivamente entrò in politica e assunse l'incarico di ministro dello Sport.
Nato a Edimburgo il 16 settembre 1951, ha giocato nel ruolo di estremo e il suo club di appartenenza è stato lo Heriot's. Esordì in nazionale il 16 dicembre 1972 a Murrayfield contro la Nuova Zelanda (9-14), giocando la sua ultima partita da titolare il 10 luglio 1982 contro l'Australia a Sydney (9-33). Ha collezionato 51 caps con 19 successi, 3 pareggi e 29 sconfitte, 273 punti segnati, 10 mete, 61 calci piazzati e 25 trasformazioni.
Irvine è, insieme a Gavin Hastings, a cui lasciò la maglia numero 15 della Scozia quando si ritirò nel 1982, il migliore estremo della storia del rugby scozzese. Atleta brillante, votato al gioco d'attacco e agli inserimenti veloci nella linea dei trequarti, ebbe la carriera minacciata da un grave infortunio al ginocchio che ne limitò per alcuni anni l'attività. Nel finale di carriera si tolse la grande soddisfazione di conquistare il Grande Slam del Cinque nazioni 1984.
Nato a Tolosa il 31 dicembre 1952, ha ricoperto il ruolo di flanker (terza linea ala) militando nello Stade Toulousien. In nazionale ha giocato dal 1975 al 1984; il suo esordio è avvenuto il 1° febbraio 1975 a Twickenham contro l'Inghilterra (27-20); l'ultima partita è stata contro la Scozia il 17 marzo 1984 a Murrayfield (12-21); ha collezionato 59 caps con 39 vittorie, 3 pareggi e 17 sconfitte, 5 mete realizzate per un totale di 20 punti all'attivo (valore della meta 4 punti).
Soprannominato 'Angelo biondo' per la lunga capigliatura, Rives fu un placcatore straordinario, indomito e coraggioso. Con lui come capitano la Francia nel 1978 venne ammessa all'International Board e nel 1979 riuscì nella storica impresa di battere gli All Blacks ad Auckland per 24-19.
Il mediano di apertura sudafricano 'Naas' Botha è nato a Breyten (Pretoria) il 27 febbraio 1958. Il suo esordio avvenne con la squadra della Hendrick Verwoerd High School Pretoria. Militò inoltre con il Northern Transvaal e nel Rovigo (1987-93). Esordì in nazionale contro una rappresentativa dell'America Meridionale a Johannesburg il 26 aprile 1980 e giocò il suo ultimo match il 14 novembre 1992 a Twickenham contro l'Inghilterra; ha collezionato 28 caps, di cui 9 da capitano, e 312 punti all'attivo di cui 18 drops. Ha vinto due campionati italiani nel Rovigo (1988 e 1990) e sei Currie Cup con il Northern Transvaal. Botha è stato il più prolifico realizzatore della storia del Sudafrica fino all'avvento di Percy Montgomery, che nel luglio del 2004 lo ha superato portandosi a 357 punti. La sua fama deriva dalle buone qualità tattiche, dal gioco alla mano ma soprattutto dall'ottimo piede, che gli valse il nomignolo di 'Nasty Booter' ("cattivissimo calciatore") quando i Lions Britannici visitarono il Sudafrica nel 1980. La sua bravura di calciatore gli fece guadagnare anche il ricco ingaggio del football americano, in cui giocò dal giugno 1983 al marzo 1985 entrando in campo soltanto in occasione dei calci. In patria partecipò alla Currie Cup con 128 presenze (record) con i Blue Bulls e 2511 punti messi a segno.
Giocatore francese pur essendo nato a Caracas il 31 agosto 1958, ha ricoperto il ruolo di estremo. Dopo l'esordio nel Biarritz è stato convocato in nazionale giocando la sua prima partita l'8 novembre 1980 a Pretoria contro il Sudafrica (15-37); l'ultimo impegno in nazionale è stato il 19 ottobre 1991 a Parigi contro l'Inghilterra (10-19). Ha collezionato 93 caps con 54 vittorie, 3 pareggi, 36 sconfitte; 233 punti segnati di cui 38 mete, 21 calci di punizione, 6 trasformazioni e 2 drops.
Blanco è considerato un grandissimo giocatore per la sua perfezione a livello tecnico e per le sue ottime qualità di velocista. Proprio queste caratteristiche ne hanno fatto uno dei massimi esponenti del nuovo tipo di giocatore richiesto dalla regola che vieta il calcio diretto in touch dalla propria area dei 22 m. Parlando del ruolo di estremo, Aldo Gruarin, pilone del Tolone e della nazionale francese (26 caps) considerato un grande della famiglia del rugby del suo paese, disse: "Il più grande è stato Blanco: lui è veramente il Pelé del rugby, non ho mai visto niente di simile, non ci sono altri giocatori con le qualità di questo campione". Chiusa la carriera internazionale, ha continuato a essere un protagonista del campionato francese nel Biarritz, l'unico club della sua vita. Le sue 93 presenze con la maglia blu dei 'Coqs' di Francia pongono Blanco al sesto posto della graduatoria mondiale dei caps di ogni tempo.
Nato a Edimburgo il 3 gennaio 1962, ha ricoperto il ruolo di estremo. Esordì in nazionale il 18 gennaio 1986 a Murrayfield contro la Francia (18-17) e giocò l'ultima partita l'11 giugno 1995 contro la Nuova Zelanda a Pretoria nel corso dei Mondiali 1995 (30-48). Ha collezionato 61 caps, di cui 20 da capitano, ripartiti in 33 vittorie, 2 pareggi e 26 sconfitte. Ha realizzato 667 punti attraverso 17 mete, 140 calci piazzati e 86 trasformazioni. Capitano del Cambridge nel Varsity Match (l'incontro tra Università) del 1985, con i Lions Britannici ha realizzato 66 punti.
Dotato di un fisico imponente (1,89 m per 95 kg di peso), Hastings proseguì la strada aperta da Irvine per quanto riguarda il gioco offensivo: insieme al fratello Scott, che giocava nel ruolo di centro, fu nel 1986 protagonista del successo nel Cinque nazioni. Clem Thomas, scrittore ed ex rugbista, ebbe a dire di lui: "Non c'è nessun uomo più rispettato per le sue capacità dentro e fuori dal campo di questo prezioso scozzese che è l'esempio vivente del rugby man: coraggioso, risoluto, avventuroso e amante della compagnia". Nelle graduatorie dei marcatori di tutti i tempi, alla vigilia del Sei nazioni 2005 Hastings figurava al settimo posto con 733 punti realizzati complessivamente.
Nato a Tonneins, in Francia, il 14 febbraio 1962, esordì in nazionale il 31 ottobre 1982 a Bucarest contro la Romania (9-13), giocando l'ultima partita a Pretoria contro l'Inghilterra per la finale per il terzo posto in Coppa del Mondo 1995 (19-9). Nel suo ruolo di centro ha collezionato 111 caps con 72 vittorie, 5 pareggi e 34 sconfitte. Al suo attivo ha 125 punti, frutto di 30 mete. Nel 1995 ha vinto la medaglia di bronzo in Coppa del Mondo. Sella è stato il centro più rappresentativo espresso dal rugby francese.
Solidissimo in difesa e bruciante negli ultimi 20 metri decisivi in attacco, tanto da essere il secondo realizzatore di mete della Francia (quindicesimo al mondo) dietro Serge Blanco. Molto forte fisicamente, pilone della nazionale francese (26 caps) e del Tolone, pur essendo assai generoso ha subito rarissimi infortuni nei tredici anni di attività, e ciò gli ha consentito di raggiungere 111 presenze, secondo a livello mondiale dietro l'inglese Leonard.
Nato a Queanbeyan (Canberra) il 3 ottobre 1962, ha ricoperto in carriera i ruoli di trequarti ala e di estremo. Ha giocato nel Queanbeyan e nel Petrarca Padova (1984-1986). Debuttò in nazionale il 14 agosto 1982 a Christchurch contro la Nuova Zelanda (16-23) e giocò l'ultima partita a Cardiff contro il Galles (28-19). È stato campione del mondo nel 1991 e campione d'Italia nel 1985 e nel 1986.
Campese è riconosciuto come il più straordinario talento espresso dal rugby australiano, e per molti mondiale, nel 20° secolo. Di famiglia italiana, iniziò a giocare a rugby a 13 anni e, al momento del suo ritiro nel 1996 subito dopo la Coppa del Mondo in Sudafrica, Campese aveva superato le 100 partite con i Wallabies: per l'esattezza ha collezionato 101 caps con 67 vittorie, 2 pareggi e 32 sconfitte e ha realizzato 315 punti con 64 mete, 7 calci piazzati, 8 trasformazioni e 2 drops. Il realizzatore di mete che gli sta più vicino nelle graduatorie di ogni tempo è il pilota della RAF Rory Underwood, che ne ha messe a segno 50. L'italo-australiano aveva tutte le migliori qualità richieste a un trequarti; ambidestro nei piedi come con le mani, era inoltre velocissimo, disponeva di grande coordinazione e riusciva sempre ad anticipare nelle intenzioni offensive e difensive qualsiasi altro giocatore. Con Campese in campo spettacolo e divertimento erano assicurati: calciava a perfezione ed era capace di ricevere il pallone con una mano. La sua specialità era il goose step ("passo dell'oca"), una tecnica che faceva impazzire gli avversari consistente in un finto rallentamento che in realtà era una potente accelerazione. Tutti la conoscevano, ma tutti si confondevano quando Campese riusciva ad avere un pallone e un certo spazio davanti. La nazionale australiana con lui in campo era imprevedibile, e Campese aveva la massima libertà di inserirsi dovunque ritenesse opportuno, poiché era in grado di ricoprire il ruolo di qualsiasi trequarti, dal mediano di apertura all'estremo. I compagni lo sapevano e l'assecondavano. Molti lo hanno accusato di essere poco coraggioso e prudente nel placcaggio: in realtà 'Campo' era così veloce e abile che riusciva a fermare gli avversari senza quasi sporcarsi. A 29 anni, in occasione dei Mondiali 1991 tenutisi in Inghilterra, Campese ebbe modo di dimostrare al meglio le sue qualità. L'Australia trionfò con le invenzioni dell'italo-australiano, che realizzò 6 mete e venne unanimemente proclamato stella del torneo. Nel 2002 il famoso commentatore televisivo britannico Bill McLaren, incaricato dal Times di stabilire una graduatoria dei migliori rugbisti del mondo negli ultimi 50 anni, non ebbe difficoltà a inserire Campese una spanna al di sopra di tutti.
Nato ad Auckland, in Nuova Zelanda, il 4 giugno 1963, ha giocato, nel ruolo di tallonatore, nella Sacred Heart School, nella Auckland University e nella Auckland Province. Alto 1,83 m per 105 kg di peso, esordì in nazionale il 28 giugno 1986 a Christchurch contro la Francia (18-9) e giocò l'ultima partita il 29 novembre 1997 a Wembley contro il Galles (42-7). Ha collezionato 92 caps (74 vittorie, 2 pareggi e 16 sconfitte), realizzando 55 punti con 12 mete. Nella Coppa del Mondo è stato campione nell'edizione 1987, terzo nel 1991 e secondo nel 1995; ha vinto due titoli di Super 12 (1996 e 1997).
Fitzpatrick è stato il capitano più longevo degli All Blacks. Sono state ben 51 le volte che ha guidato la Nuova Zelanda tra il 1986 e il 1997. Il suo esordio contro la Francia nel 1986, come spesso accade, fu la conseguenza di un infortunio, quello di Bruce Hemara il giorno prima della partita. Così come, sempre per l'infortunio del grande Andy Dalton, si trovò a giocare come titolare nella Coppa dell'anno dopo. Quando Dalton guarì dallo stiramento muscolare, Fitzpatrick era diventato ormai inamovibile e Andy, che era anche il capitano, finì in panchina. Sempre per infortunio, questa volta di Mike Brewer, Fitzpatrick si trovò capitano nel 1992, grado che mantenne per sei anni grazie al fatto di non subire mai infortuni di rilievo, per la disperazione delle sue riserve, fino al 1997, quando un ginocchio malandato gli consigliò di ritirarsi. Aveva 34 anni e aveva giocato 346 match di alto livello (secondo australiano dopo Colin Meads: 361), di cui 92 con gli All Blacks (ottavo al mondo di sempre), 127 per Auckland, 25 in Super 12 per i Blues. Abbandonata l'attività agonistica, è rimasto nell'ambiente come manager prima delle NZ Colts (squadra giovanile), poi dei Blues in Super 12; nel 2004 è stato commentatore televisivo in Gran Bretagna.
Mediano di apertura australiano, è nato a Brisbane il 25 ottobre 1963. Ha giocato nel Brisbane, nel Queensland e nella Benetton Treviso (1991-92). Esordì in nazionale il 9 giugno 1984 a Suva contro le Figi (16-3) e giocò l'ultima partita l'11 giugno 1995 contro l'Inghilterra (45-29). Ha collezionato 72 caps con 51 vittorie, un pareggio e 20 sconfitte. Ha realizzato 911 punti, segnati con 17 mete, 177 calci di punizione, 140 trasformazioni e 9 drops. Ha vinto il Campionato del Mondo 1991 battendo l'Inghilterra a Twickenham il 2 novembre per 12-6: Lynagh mise a segno 8 punti.
Michael Lynagh è stato il mediano di apertura della più bella Australia degli ultimi cinquant'anni, una formazione che impostava il gioco sulla creatività e le invenzioni offensive del tandem Lynagh-Campese, due campioni con esperienze, anche vittoriose, nel campionato italiano. Lynagh vinse lo scudetto tricolore del 1991-92 giocando con quella squadra della Benetton di Treviso allenata da un altro grande fantasista ed estremo, il francese Pierre Villepreux. Di corporatura normale e senza particolari doti di velocista, la sua rapidità di riflessi e la sua tecnica ne hanno fatto uno dei realizzatori più prolifici della storia del rugby: quarto nella classifica assoluta con 911 punti.
Nato ad Auckland, in Nuova Zelanda, il 16 dicembre 1964, ha militato, nel ruolo di ala trequarti, nelle seguenti squadre: De La Salle College, Auckland Marist, Auckland Province e Benetton Treviso. In nazionale esordì il 16 giugno 1984 a Christchurch contro la Francia (10-9) e disputò l'ultima partita il 6 agosto 1994 ad Auckland contro il Sudafrica (18-18), collezionando 63 caps, 35 mete e 143 punti in totale. È stato campione del mondo nel 1987 e campione italiano nella stagione 1988-89 con la Benetton Treviso. Come allenatore ha guidato il Giappone ed è stato manager e assistant coach dei Blues Super 12; con la nazionale italiana è stato assistant coach nel 2001 e commissario tecnico.
Alto 1,92 m per 92 kg di peso, proveniente da famiglia rugbistica, Kirwan esordisce con la maglia nera della Nuova Zelanda a soli 19 anni. A 23 conquista il titolo mondiale 1987, realizzando nelle qualificazioni contro l'Italia una delle più belle mete della storia del rugby: gli appassionati ricordano la sua lunga e agile figura che per 90 m attraversa il campo seminando con scatti, finte e cambi di direzione tutti gli azzurri che cercano di fermarlo. Con la maglia degli All Blacks Kirwan ha collezionato 63 caps (48 vittorie, 3 pareggi e 12 sconfitte), realizzando 35 mete e 143 punti in totale. Pur avendo saltato molti test matches per infortuni alla schiena, la rottura di un tendine di Achille e quattro anni di attività in Italia (dove ha sposato la trevigiana Fiorella), Kirwan è al settimo posto delle classifiche di ogni tempo. Il suo anno d'oro è stato il 1988, quando in cinque test matches contro Galles e Australia realizzò ben 10 mete. Con Jonah Lomu e Jeff Wilson, Kirwan è sicuramente fra le migliori ali dell'era moderna. Rapida e di successo la carriera anche da allenatore, svoltasi prima in un club giapponese, poi come manager e assistant coach dei Blues di Auckland; dal 2001 ha assunto l'incarico di allenatore dei trequarti azzurri al fianco del connazionale Brad Johnstone. Nel marzo 2002 il consiglio federale della FIR lo ha nominato commissario tecnico della nazionale maggiore, carica ricoperta fino all'aprile 2005, quando, dopo gli scarsi risultati del Sei nazioni, gli è subentrato il francese Pierre Berbizier. Le imprese di maggior successo di Kirwan alla guida degli azzurri sono state le vittorie ottenute nella Coppa del Mondo 2003 in Australia contro Tonga e Canada e quelle contro Galles e Scozia allo stadio Flaminio di Roma nelle edizioni 2003 e 2004 del Torneo delle Sei nazioni. Nel novembre 2003 è stato inserito nella Rugby Hall of Fame.
Giocatore naturalizzato italiano, nato a Córdoba (Argentina) il 25 aprile 1966, il suo ruolo è stato quello di mediano di apertura. Ha militato nelle seguenti squadre di club: La Tablada Córdoba, Cognac (Francia), Amatori Milano, Stade Français (Francia). Ha esordito nella nazionale italiana il 2 marzo 1991 a Roma contro la Francia (9-15) e ha disputato l'ultima partita il 7 aprile 2002 a Roma contro l'Inghilterra (9-45), collezionando 74 caps con 983 punti. Ha conquistato quattro titoli di campione di Francia con lo Stade Français di Parigi (1998, 2000, 2002 e 2004) e tre scudetti in Italia con l'Amatori Milano (1991, 1995 e1996).
Domínguez è forse l'ultimo grande piccolo della storia del rugby. Di taglia certo non eccezionale (1,73 m per 76 kg), ma con un coraggio da gigante e una tecnica pressoché perfetta con le mani e con i piedi. Con lui l'Italia negli anni Novanta ha fatto il salto di qualità: è stato sempre in campo con la sua intelligenza tattica nei giorni fondamentali del rugby italiano, come per il primo successo sulla Francia a Grenoble (40-32) il 22 marzo del 1997 e per la vittoria sulla Scozia (34-20) all'Olimpico di Roma nell'esordio al Sei nazioni il 5 febbraio del 2000. Con il mediano di mischia Alessandro Troncon (85 caps, record in Italia) ha formato una delle più forti coppie mediane della storia del rugby, giocando insieme a lui ben 50 partite. Nel 1999 contro la Spagna ebbe anche l'onore dei gradi di capitano.
Di madre italiana, a vent'anni effettuò una tournée in Francia con la nazionale argentina, senza però giocare alcun test match. In seguito indossò la maglia della sua rappresentativa, realizzando 27 punti; rendendosi conto di non essere sufficientemente apprezzato tornò in Francia, per un anno, al Cognac. Successivamente rispose al richiamo della patria dei nonni e per sette stagioni militò nell'Amatori Milano (dove conquistò 4 scudetti, giocando nel 1991 in coppia con Campese); e soprattutto guidò l'Italia, naturalmente a suon di punti, ai successi che le spalancarono la strada per l'aristocrazia del rugby e la promozione al Sei nazioni. Al termine della carriera, nel 2004 Domínguez è, nella storia del rugby, l'unico giocatore oltre al gallese Neil Jenkins ad aver segnato più di mille punti in test matches, esattamente 1010 (Jenkins: 1090), considerando nel carniere di Domínguez i 27 punti realizzati come nazionale argentino (e in quello di Jenkins i 41 punti da Lion Britannico). Domínguez figura anche nelle classifiche di tutti i tempi in termini di drops: è al terzo posto con 19 segnature. Ha preso parte a tre Coppe del Mondo (1991, 1995 e 1999) ed è stato sul punto di entrare nella rappresentativa italiana ai Giochi Olimpici di Atene 2004 come tiratore al piattello, altra specialità in cui eccelle.
Nato ad Adria (Rovigo) il 30 agosto 1970, ha ricoperto in carriera i ruoli di seconda linea e di numero 8, giocando nel Rovigo e nel Treviso. In nazionale ha esordito il 30 settembre 1990 a Rovigo contro la Spagna (33-19), mentre l'ultima sua partita in azzurro ha avuto luogo il 25 ottobre 2003 a Canberra contro il Galles (15-27), per un totale di 83 caps con 21 mete. Ha vinto sette scudetti: con il Rovigo nel 1990, con il Treviso nel 1997, 1998, 1999, 2001, 2003 e 2004.
Carlo Checchinato è uno dei cinque giocatori al mondo ad aver disputato quattro campionati mondiali nell'arco di ben dodici anni ed è anche il giocatore del pacchetto di mischia che al mondo abbia realizzato più mete (21). Alto 1,97 m per 110 kg di peso, è stato avviato al rugby dal padre, Giancarlo, cinque volte azzurro. Il suo attaccamento alla maglia della nazionale è proverbiale. Nei tests fisici fatti nell'estate del 2003 prima della Coppa del Mondo stramazzò sulla pista di atletica dello stadio di Belluno nel tentativo di fermare il cronometro, a 33 anni compiuti, su tempi da specialista dei 3000 m. Vi riuscì, assieme ad Alessandro Troncon, in un secondo tentativo effettuato qualche giorno dopo. In premio, nel match di apertura della Coppa del Mondo, l'11 ottobre a Melbourne contro la Nuova Zelanda, il commissario tecnico John Kirwan gli assegnò per la prima volta i gradi di capitano. Con i suoi 83 caps il colosso dai capelli rossi figura secondo nella graduatoria di sempre del rugby italiano, dietro Troncon (85). Questo numero di presenze sarebbe potuto crescere ancora se il giorno precedente l'incontro Galles-Italia per il Sei nazioni 2004, il 27 marzo, nell'ultimo allenamento al Millennium Stadium di Cardiff Checchinato non avesse rinunciato al match del giorno dopo, comunicando che un'infiammazione recidivante a un tallone non gli consentiva di dare il massimo: era già nella formazione annunciata e avrebbe potuto conquistare il suo ottantaquattresimo cap, con il quale si sarebbe collocato al ventesimo posto nella graduatoria mondiale. Ma il dubbio di non essere al meglio delle sue condizioni e il grande attaccamento alla maglia azzurra lo spinsero a rinunciare a questa soddisfazione personale, confermandone la lealtà e la sportività già note. Ebbe in seguito una nuova chiamata in nazionale, questa volta da assistant manager, per iniziare un'altra carriera.
Nato ad Auckland, in Nuova Zelanda, il 12 maggio 1975, ha ricoperto il ruolo di trequarti ala nei seguenti club: Wesley College, Weymouth, Counties-Manukau, Wellington, Hurricanes Super 12. In nazionale ha esordito il 26 giugno 1994 a Christchurch contro la Francia (8-22) e ha disputato l'ultima partita il 23 novembre 2002 a Cardiff contro il Galles (43-17), per un bilancio complessivo di 23 caps, 37 mete e un totale di 185 punti. Quando giocò la sua ultima partita con gli All Blacks, già sofferente per una gravissima nefrite, lo sgomento del mondo del rugby fu grande perché la scena mondiale perdeva uno dei suoi migliori interpreti, che a 27 anni avrebbe avuto ancora moltissimo da dare. La battaglia per la vita di Lomu durò un paio di anni, con vari tentativi di esprimersi ancora sul campo fra un periodo di dialisi e l'altro, e si concluse vittoriosamente nel 2004 con un trapianto di reni che restituì alla società un Lomu in condizioni di svolgere una vita normale e intenzionato a recuperare energie e tempo perso. Il suo bilancio sportivo conta 185 partite di alto livello (di cui 73 con gli All Blacks), con 122 mete realizzate. Per celebrare la sua guarigione e premiare l'atteggiamento dignitoso e determinato (da rugbyman) tenuto durante la malattia, Lomu ha ricevuto la massima onorificenza del rugby italiano, il Pro Singulari Merito, l'11 novembre 2004 a Roma, nonché lo speciale Rugby Life-Style Award 2004. La grandezza come giocatore di questo ragazzo originario di Tonga emerge chiaramente dalle cifre che lo riguardano. Esordio con gli All Blacks all'età di 19 anni; protagonista assoluto in Coppa del mondo (nel 1995 e nel 1999), dove realizzò 15 mete in 11 partite, 4 addirittura contro l'Inghilterra. Con una di queste sbalordì il mondo per la sua potenza fisica e l'impossibilità da parte degli avversari di fermare un uomo alto 1,96 m e pesante 120 kg, capace di correre i 100 m in 11 secondi. Una forza della natura dotata di buona tecnica: per gli avversari era decisivo impedire che gli giungessero palloni quando aveva spazio a disposizione per correre.