Ruggero Giuseppe Boscovich
Nato in Dalmazia da padre serbo, si formò e operò in Italia, dove fu tra i primi a promuovere la diffusione e la discussione critica del newtonianesimo. Nell’opera in cui espresse in maniera organica il suo pensiero filosofico e scientifico, la Philosophiae naturalis theoria redacta ad unicam legem virium in natura existentium (1758), tentò di ridurre tutte le forze della natura a un’unica legge. Molto noto e attivo anche fuori d’Italia, nonostante l’assenza di un’adeguata formalizzazione, le sue teorie fisiche avrebbero esercitato una certa influenza sulla scienza del 19° secolo.
Ruđer Josip Bošković (in italiano Ruggero Giuseppe Boscovich) nacque a Ragusa (ora Dubrovnik, Croazia) l’11 maggio 1711. Suo padre Nicholas (Nikola) era un mercante serbo. La madre Pavica Bettera (Betere) era di origine italiana. Compì i primi studi nel Collegio ragusano dei gesuiti, per poi proseguirli nel Collegio romano, il migliore della Compagnia in Europa, dove fu mandato all’età di 15 anni. Dubrovnik infatti era una Repubblica ricca e colta, e non era inusuale che i giovani fossero educati all’estero. Studiò matematica sotto la guida di padre Orazio Borgondi (1675-1741), e rimase affascinato dalle opere di Isaac Newton (1642-1727), la cui influenza sui suoi studi successivi fu decisiva. Boscovich fu infatti uno dei primi filosofi naturali a diffondere in Italia la scienza newtoniana.
A Roma ricevette gli ordini sacerdotali e nel 1740 divenne professore di matematica nel Collegio gesuitico. Oltre che della composizione di dissertazioni in matematica, fisica, astronomia, Boscovich si occupò di problemi tecnici, quali la statica di diversi edifici, tra cui la cupola di S. Pietro a Roma, la regolazione di porti e la bonifica di paludi. Prese inoltre parte al dibattito relativo alla forma della Terra e alle anomalie gravimetriche, intraprendendo, tra il 1751 e il 1752, la misura dell’arco di meridiano tra Roma e Rimini, e preparò una nuova mappa dello Stato pontificio.
Nel 1758 pubblicò a Vienna la Theoria. Come sostiene Elizabeth Hill, l’opera sarebbe stata «male interpretata da parecchi, ignorata da qualcuno, celebrata da pochi come un lavoro di un genio, e giudicata da alcuni gesuiti come provocatoria e pericolosa» (Hill, in Roger Joseph Boscovich, 1961, p. 30). Nel 1759 intraprese un viaggio che lo portò prima a Parigi per sei mesi, e poi a Londra, dove entrò in contatto con i maggiori circoli scientifici. Tra gli studiosi che ebbe occasione di incontrare ci fu anche Benjamin Franklin, che gli mostrò alcuni esperimenti elettrici (Proverbio 2003). Visitò la Royal society, che lo elesse fellow nel 1760. Nel 1763, tornato a Roma, gli fu affidata la cattedra di matematica all’Università di Pavia. L’anno successivo ricevette l’incarico di progettare l’Osservatorio astronomico del Collegio dei gesuiti di Brera a Milano. Nel 1772, estromesso dalla carica di direttore dell’Osservatorio, e in concomitanza con la soppressione, nel 1773, della Compagnia di Gesù, accettò di recarsi a Parigi, dove nel 1774 fu nominato direttore di ottica per la Marina. Tornato in Italia, morì a Milano il 13 febbraio 1787.
Boscovich fu una personalità eclettica ed enciclopedica, in grado di muoversi a suo agio in contesti culturali e scientifici. Riuscì a combinare, come sottolinea Lancelot Law White (Roger Joseph Boscovich, 1961), le sottigliezze romane con il vigore serbo, l’intensità slava dell’immaginazione con la precisione logica occidentale. Visse in un periodo nel quale la filosofia naturale stava rapidamente cambiando in seguito all’accettazione, allo studio e alla diffusione dei newtoniani Philosophiae naturalis principia mathematica (1687).
L’opera nella quale espresse in maniera organica il proprio pensiero filosofico e scientifico fu la Theoria. La sua teoria delle forze – che aveva esposto già nel De viribus vivis dissertatio, pubblicato nel 1745 –, raggiungeva ora il punto più alto, dopo tredici anni di elaborazione. In essa Boscovich criticava la struttura logica della meccanica newtoniana, dove lo spazio assoluto e il tempo assoluto giocano un ruolo fondamentale: essi costituiscono il sistema di riferimento inerziale privilegiato rispetto al quale valgono i postulati della meccanica; rispetto a essi il movimento è assoluto. Newton aveva proposto alcuni esperimenti mentali per dare un supporto ai concetti di spazio e tempo assoluto. Ma Boscovich ne confuta la validità: il sistema inerziale non poteva essere dedotto o confermato dall’esperienza, ma doveva essere postulato.
Altrettanto profonda era la critica alla definizione newtoniana di massa che, secondo Boscovich, era vaga, arbitraria e confusa. Al fine, comunque, di rifondare la meccanica newtoniana su basi più solide, Boscovich ridusse la massa a relazioni spaziali e il movimento a relazioni spaziali e temporali, mentre per Newton massa e movimento potevano essere dedotti da relazioni meccaniche. Boscovich si ricollega alla tradizione leibniziana e pone alla base della sua concezione la legge di continuità: «Nulla avviene per salti»; la legge di impenetrabilità: «Due punti materiali non possono occupare simultaneamente lo stesso punto»; e la legge della non estensione dei punti massa: «La materia è composta di punti atomi discreti, indivisibili e non estesi». Si trattava della prima teoria matematica generale dell’atomismo.Nell’interpretazione datane da Michael Faraday, gli atomi di Boscovich sono centri di forza e non particelle di materia.
Egli, inoltre, propose di ridurre le forze newtoniane a un singolo principio: le forze tra punti atomi sono repulsive a distanze molto piccole e attrattive e repulsive alternativamente al crescere della distanza. Già Newton, nella 31° Query dell’Opticks (1704), si era chiesto se potevano esistere forze alternativamente attrattive e repulsive tra particelle di materia. A distanze molto grandi la legge delle forze di Boscovich coincide con la legge newtoniana di attrazione gravitazionale. Tra due punti massa, quindi, non si esercita un’azione istantanea a distanza lungo la congiungente, così come previsto dalla meccanica newtoniana.
La legge boscovichiana delle forze è invece una legge di interazione: le accelerazioni reciproche dipendono dalle distanze tra i corpi che si trovano sotto l’azione reciproca. Le forze repulsive danno agli atomi solidità, impenetrabilità ed elasticità; le forze nello spazio danno loro estensione; gli atomi sotto la loro azione reciproca gravitazionale obbediscono alle leggi del moto di Newton. E inoltre il modello permette, secondo Boscovich, una spiegazione più attendibile, rispetto a quella fornita invece dal modello di atomi-particelle materiali, di alcune caratteristiche dei corpi: le loro qualità sensibili, la loro forma, i cambiamenti di stato ai quali sono soggetti. Gli atomi di Boscovich sono reali, omogenei, semplici, indivisibili, senza estensione e si distinguono dai punti della geometria soltanto perché sono dotati di inerzia e interagiscono tra di loro.
Dalla legge delle forze né Boscovich né altri dedussero risultati quantitativi. Il confronto con quello che nel medesimo periodo stavano realizzando i fisici matematici appare impietoso. Partendo dalla meccanica newtoniana, dalle leggi che la governano e dai nuovi metodi di calcolo, i fisici matematici avrebbero infatti risolto, nel giro di pochi decenni, i più intricati problemi di meccanica celeste: stabilità del sistema solare, orbita delle comete, ineguaglianze di Giove e Saturno, ineguaglianze del moto lunare, schiacciamento terrestre. E rispetto a questi sviluppi Boscovich venne percepito dai suoi contemporanei come obsoleto. A tale proposito i rapporti tra Boscovich e Pierre-Simon de Laplace (1749-1827), il più deciso sostenitore del modello newtoniano, risultano del tutto illuminanti (cfr. Hahn, in Bicentennial commemoration of R.G. Boscovich, 1988).
Nel 1773 Boscovich presentò all’Académie des sciences di Parigi un metodo per determinare l’orbita delle comete (De orbitis cometarum determinandis dissertatio secunda, 1774). La memoria riproponeva un metodo di calcolo che Boscovich aveva pubblicato quasi trent’anni prima (De cometis dissertatio […], 1746). Il metodo, pur partendo da premesse newtoniane, forniva una soluzione geometrica ottenuta graficamente. Tuttavia, se tale approccio poteva ancora essere accettato nel 1746 – e la sua retorica era comprensibile nell’ambiente del Collegio romano –, nel 1773, da parte dell’Académie des sciences, veniva considerato obsoleto.
Laplace attaccò il metodo di Boscovich come illusorio ed erroneo, in quanto faceva ricorso a dati osservativi o a ipotesi suggerite dalla pratica astronomica. Solo i metodi analitici, secondo Laplace, potevano garantire la correttezza del procedimento: i movimenti dei corpi celesti all’interno del sistema solare dovevano essere dedotti solo mediante il calcolo, partendo dalla teoria newtoniana della gravitazione universale, senza far ricorso a ipotesi aggiuntive. Il metodo di Boscovich mancava del rigore analitico che gli astronomi e gli studiosi di meccanica celeste si attendevano. Né fu possibile per Boscovich appellarsi per qualche riconoscimento scientifico alla legge delle forze esposta nella Theoria.
Il modello matematico della Theoria era centrato sui classici problemi delle sezioni coniche che Boscovich aveva esposto in Elementorum universae matheseos […] (1754). A esse Boscovich aggiungeva un forte interesse per la geometria analitica. I progressi della meccanica newtoniana richiedevano invece competenze diverse nel calcolo e nelle equazioni differenziali. Egli non fu quindi in grado di matematizzare la sua fisica. Tuttavia il suo lavoro continuò a circolare, e nell’Ottocento il suo approccio alla descrizione e all’interpretazione dei fenomeni naturali si dimostrò imprevedibilmente efficace.
Tra il 1750 e il 1752 Boscovich, insieme a Christopher Maire (1697-1767), misurò l’arco di meridiano tra Roma e Rimini. Fu un’impresa memorabile sia per le difficoltà che i due scienziati dovettero superare, sia per la sua rilevanza scientifica. Il contesto era quello del dibattito sulla forma della Terra che, in accordo alla meccanica newtoniana, doveva essere schiacciata ai poli. Nel 1718 Giovanni Domenico Cassini era giunto alla conclusione che la Terra fosse allungata ai poli, invece che appiattita (Cassini 1720).
Per dirimere la questione, l’Académie des sciences organizzò due missioni in Lapponia (dal 1736 al 1737) e in Perù (attualmente Ecuador, tra il 1735 e il 1744), per misurare la lunghezza di un grado di arco di meridiano: se il grado misurato all’Equatore fosse stato più piccolo di quello misurato in Lapponia (entro i limiti degli errori di misura), la teoria newtoniana sarebbe stata confermata. I risultati delle misurazioni furono coerenti con le previsioni newtoniane.
Sebbene i risultati delle operazioni non lasciassero dubbi sullo schiacciamento della Terra ai poli, risultava tuttavia aperto il problema del suo effettivo valore numerico, vale a dire del rapporto tra il raggio terrestre al polo e quello all’Equatore. Per venirne a capo era necessario misurare la lunghezza di un grado di un arco di meridiano in diversi luoghi della superficie terrestre. Ed è in questo contesto che si inserisce la misura dell’arco di meridiano tra Roma e Rimini, due città comprese nello Stato pontificio, all’epoca sotto il papato di Benedetto XIV. Il papa era interessato, così come altri sovrani europei, ad avere un mappa geografica affidabile del suo Stato. Le tecniche per il rilievo della carta erano sovrapponibili a quelle per la misura dell’arco di meridiano, e Boscovich non si lasciò sfuggire l’occasione. Nel 1755 i risultati delle misure furono pubblicati da Boscovich e Maire nel De litteraria expeditione. Essi confermavano la correttezza della teoria newtoniana. Dalla misura dell’arco risultava che la lunghezza del grado dell’arco di meridiano tra Roma e Rimini (circa due gradi), infatti, era inferiore a quello misurato sull’arco di meridiano passante per Parigi. Non è escluso che Boscovich abbia usato la sua influenza per convincere Benedetto XIV a eliminare dall’Index librorum prohibitorum, nel 1757, la norma del 1616 che vietava i libri che sostenevano il copernicanesimo come teoria fisica.
Le idee di Boscovich gli sopravvissero e, attraverso un percorso che alcuni storici hanno parzialmente ricostruito, influenzarono, soprattutto in Gran Bretagna, gli sviluppi della scienza ottocentesca. Vale menzionare due casi che sono stati ricostruiti da Kargon (1964), per quel che riguarda William Rowan Hamilton, e da L. Pearce Williams (1960), per quel che riguarda Faraday. Richard Olson (1969), inoltre, ha ricostruito le modalità della diffusione delle idee di Boscovich in Scozia.
Hamilton (1805-1865) fu uno dei più importanti matematici dell’Ottocento. Per ragioni teologiche, filosofiche e scientifiche, egli fu attratto dall’idea di rinunciare alla nozione, a suo dire ingenua, diffusa in fisica, degli atomi pensati come «mattoncini», o «palle di biliardo», come alcuni chimici amavano sostenere, considerati i costituenti ultimi della materia. Hamilton ipotizzò di sostituire gli atomi materiali con centri di forza dinamici e immateriali: una linea di ricerca riconducibile a Boscovich. È verosimile che Hamilton sia venuto a conoscenza del pensiero di Boscovich attraverso Joseph Priestley (1772), il quale aveva sostenuto che la teoria della materia di Boscovich fosse una risposta efficace alle obiezioni di Eulero alla teoria corpuscolare della luce di ispirazione newtoniana. Per Hamilton
La teoria atomica della quale parlo è pressappoco quella di Boscovich e consiste nella rappresentazione di tutti i fenomeni del moto come prodotti dall’azione di energie locali di attrazione o repulsione, ciascuna delle quali centrata nello spazio: e questo centro […] è ipotizzato come un punto matematico, senza forma o dimensione. Esso viene chiamato atomo invece di punto, essenzialmente per sottolineare le sue ipotizzate proprietà o collegamenti con le caratteristiche e le relazioni fisiche (Kargon 1964, p. 793).
Successivamente, Hamilton usò il modello boscovichiano per la sua dinamica. Il suo metodo era complementare allo ‘spirito dinamico’ di Boscovich che, secondo Hamilton, permeava la scienza a lui contemporanea. Hamilton sottopose il modello boscovichiano, in un incontro a Dublino nel 1834, all’attenzione di Faraday (1791-1867), che comunque ne aveva avuto notizie anche attraverso Humphry Davy. Hamilton e Faraday discussero della loro visione dei fenomeni naturali e della costituzione della materia. E, come ricorda Hamilton, Faraday «era andato avanti nella direzione completamente opposta [a quella metafisica] verso [quella fisica]» (Kargon 1964, p. 794).
Mentre Hamilton aveva un approccio metafisico, Faraday partiva infatti induttivamente dai fenomeni naturali. Secondo Faraday l’ordinario punto di vista atomico prevede una netta distinzione tra materia e vuoto. Gli atomi di tutte le sostanze sono separati tra di loro in grandi spazi vuoti. Lo spazio quindi è il solo fattore che permette la continuità nella struttura atomica. Ma tale visione porta ad anomalie – come nel caso di corpi conduttori e non conduttori di elettricità –, in quanto lo spazio vuoto sarebbe dovuto essere nello stesso tempo conduttore e non conduttore di elettricità. Per Faraday il modello di Boscovich permetteva di superare l’anomalia.
L’atomismo boscovichiano, nell’interpretazione faradayana, ammette centri di forza e non particelle di materia. La cosiddetta materia, nella quale risiede la forza secondo la teoria ortodossa, scompare lasciando il posto solo a punti matematici. La materia quindi è continua dappertutto e non c’è distinzione tra spazio e atomi. Sono le forze che conferiscono le proprietà alle sostanze. Secondo Faraday
la materia non solo è mutuamente impenetrabile, ma ciascun atomo si estende, per così dire, dappertutto attraverso l’intero sistema solare, conservando tuttavia sempre il proprio centro di forza (1844, p. 293).
Il modello boscovichiano fu centrale nelle ricerche fisiche e chimiche di Faraday e, in maniera rilevante, contribuì alla formulazione della sua teoria di campo, una delle novità scientifiche più importanti della scienza ottocentesca. Posizioni simili furono sostenute anche da Joseph Henry (Kargon 1964).
Alcuni storici della scienza sono scettici sull’effettiva influenza di Boscovich nell’elaborazione delle nuove teorie. Le difficoltà storiografiche discendono dal fatto che, a differenza della meccanica newtoniana, in cui è formalizzata una fisica con i suoi principi, i suoi teoremi e dimostrazioni, i suoi controlli osservativi e sperimentali, l’approccio boscovichiano non ha nulla di formalizzato. E, secondo gli storici scettici, non basta il riferimento a Boscovich per sostenere che questi influenzò specificamente l’andamento delle ricerche di chi lo cita: alla fine del Settecento e nella prima metà dell’Ottocento faceva parte della cultura diffusa la conoscenza di Boscovich, che spesso avveniva in via indiretta. Le citazioni di Boscovich erano d’obbligo, e i riferimenti potrebbero essere soltanto retorici. Un’ulteriore difficoltà storiografica è rappresentata dal fatto che anche i risultati di Faraday erano qualitativi. Tuttavia Williams (1960) ha dimostrato in maniera efficace come, al di là delle citazioni, ci sia una stretta connessione tra alcune scoperte di Faraday e il modello boscovichiano.
De cometis dissertatio habita a PP. Societ. Jesu in Collegio Romano anno 1746. Mense Septembri die 5, Romae 1746.
Elementorum universae matheseos auctore p. Rogerio Josepho Boscovich Societatis Jesu publico matheseos professore, t. 3, Romae 1754.
R.G. Boscovich, C. Maire, De litteraria expeditione per pontificiam ditionem ad dimetiendos duos meridiani gradus et corrigendam mappam geographicam jussu, et auspiciis Benedicti xiv. Pont. Max., Romae 1755.
Philosophiæ naturalis theoria redacta ad unicam legem virium in natura existentium. Auctore P. Rogerio Josepho Boscovich Societatis Jesu, publico matheseos professore in Collegio Romano, Vienna 1758.
De orbitis cometarum determinandis dissertatio secunda, in Mémoires de mathématique et de physique, présentés à l’Académie Royale des Sciences, par divers sçavans, et lûs dans ses Assemblées, 6° vol., Paris 1774, pp. 401-34.
Opera pertinentia ad opticam et astronomiam maxima ex parte nova, et omnia hucusque inedita, in quinque tomos distributa, Bassano 1785.
G.D. Cassini, De la grandeur et de la figure de la terre. Suite des Mémoires de l’Académie Royale des Sciences, 1718, Paris 1720.
J. Priestley, The history and present state of discoveries relating to vision, light, and colours, London 1772.
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