GUIDI, Ruggero
Unico figlio maschio legittimo del conte Guido Salvatico, discendente del Marcovaldo che dette inizio al ramo familiare dei conti Guidi che, proprio con Guido Salvatico, prese a essere detto di Dovadola e fu caratterizzato dalla precoce e duratura adesione alla fazione guelfa e all'alleanza con Firenze. Poiché venne formalmente emancipato dal padre nel gennaio 1301, presumibilmente in tale anno il G. aveva fra i 18 e i 25 anni e la sua nascita dovrebbe perciò collocarsi fra 1275 e 1283.
In tal modo è impossibile che fosse figlio di Manentessa figlia di Buonconte da Montefeltro, la moglie attestata per il padre, in quanto la stessa nascita di Buonconte, padre di lei, è collocata fra 1250 e 1258. Il G. dovrebbe quindi essere figlio di una prima moglie di Guido Salvatico, che ci è ignota - e alla quale alcuni dantisti ottocenteschi hanno attribuito l'ipotetico nome di Caterina, confondendola con la figura reale di Gherardesca moglie di Guido da Battifolle - morta forse sul finire degli anni Ottanta del Duecento; Guido Salvatico potrebbe avere sposato in seconde nozze, anche ai fini di una pacificazione fra casati, la pur giovanissima Manentessa dopo che il padre di lei, nel 1289, era già morto da tempo, combattendo sul fronte opposto a quello di Guido Salvatico nella battaglia di Campaldino. Con l'atto di emancipazione Guido Salvatico trasmetteva al figlio la signoria per intero su Dovadola - che aveva riunificato nelle sue mani giusto due anni prima ponendo la base per farne la sede principale del ramo familiare e il castello da cui trarre intitolazione comitale - e i diritti in quota parte che aveva nei castelli di Musignano, Viesca, Terraio, Castiglione, tutti posti nel Valdarno superiore e già entrati però nell'orbita fiorentina.
Ma Guido Salvatico aveva anche istradato il figlio all'alleanza con Firenze e con la Parte guelfa, probabilmente portandolo con sé in qualche spedizione militare fatta per il Comune fiorentino, e aveva già fatto una scelta di campo a favore dei neri quando la Parte guelfa si era divisa in due fazioni. Così nel 1301 il giovane G. fu chiamato dai neri per difendere il governo cittadino dai tentativi di rientro in città e di presa del potere da parte dei bianchi fuorusciti, ma per il momento non fu impegnato militarmente dato che i bianchi, venuto loro a mancare il sostegno bolognese, ripiegarono nel Mugello, da dove minacciavano la città in attesa di nuove occasioni.
L'anno successivo il G. fu di nuovo chiamato dal Comune di Firenze a partecipare con suoi uomini alla guerra contro Pistoia e pare fosse quindi presente alla presa del castello di Montale. Per il prestigio del padre e il suo peso politico e militare in tale momento delicato, più che per meriti acquisiti da lui stesso, il G. fu chiamato nell'agosto del 1304 alla carica podestarile del Comune di Firenze.
Dovendo prendere la carica in una città in cui l'ordine pubblico era stato turbato dall'aggressione al precedente podestà da parte di membri della famiglia dei Cavicciuoli, al G. furono dati potere e garanzie speciali e per il suo incarico fu fissata la durata straordinaria di dieci mesi. Già nel settembre guidò le milizie cittadine ad assalire il castello delle Stinche nel Chianti tenuto dai Cavalcanti cacciati da Firenze e per tutto il suo incarico fu impegnato all'interno e all'esterno per ristabilire il controllo del Comune.
Fra 1306 e 1310 il G. fu impegnato per ragioni di patrimonio familiare e per ragioni di parte nella lotta di fazione per il potere a Faenza e Forlì. Qui sostenne la fazione guelfa e quindi i parenti conti di Modigliana - Tancredi e Ruggero principalmente - contro il loro fratello Bandino che, assunta la carica di podestà di Faenza nel 1306, per due anni attuò una politica ferocemente antiguelfa. A questo periodo risalgono con molta probabilità le nozze del G. con Lisa, figlia di Francesco dei Manfredi di Faenza, famiglia guelfa fra le più eminenti della città e come tale provvisoriamente esiliata da Bandino.
Nel novembre 1310 il G. partecipò con lo schieramento legato agli Ordelaffi al giuramento di pace fra le fazioni, reso possibile dall'iniziativa di mediazione e di pressione di Niccolò Caracciolo vicario in Romagna di Roberto d'Angiò re di Napoli, nuovo capo riconosciuto del movimento guelfo in Italia, cui papa Clemente V aveva affidato anche la Romagna.
Non sappiamo se il G., insieme col padre, fu contattato dagli ambasciatori che preparavano la discesa in Italia di Enrico VII per essere incoronato imperatore; in ogni caso seguì l'atteggiamento del padre che, dopo una iniziale incertezza, tornò a manifestare chiaramente il suo sostegno a Firenze contro l'imperatore divenuto una minaccia. Così, dopo che nell'ottobre 1312 il castello di Ganghereto fu preso da Bernardino da Polenta che combatteva per i Fiorentini, il G. con suoi uomini, insieme con quelli del conte Guido di Battifolle, lo utilizzò per minacciare alle spalle l'esercito imperiale che assediava la città.
Nell'agosto 1313, quindi, mentre Enrico stava puntando su Siena, il comando delle truppe fiorentine nel momento in cui si misero in marcia per andare dietro all'armata imperiale fu affidato al G. e a Giacomo Cantelmo, vicario in Firenze di Roberto d'Angiò. L'anno precedente il G. era inoltre stato inviato da Roberto d'Angiò in soccorso del suo vicario Niccolò Caracciolo bloccato a Forlì da una rivolta cittadina.
Con il bando comminato ai Guidi filoghibellini dallo stesso Roberto d'Angiò al G. vennero assegnati nel luglio 1314 i diritti signorili sui castelli romagnoli di Modigliana, Marradi, Acereta e Tredozio, che appartenevano a Manfredi di Guido Novello, anche se per poterli reclamare il G. dovette aspettare la morte di Manfredi.
Nel 1314 egli scortò a Firenze il fratello di Roberto d'Angiò, Pietro duca di Gravina, inviato come suo rappresentante e in soccorso del Comune fiorentino minacciato da Uguccione Della Faggiuola. Nel novembre era presente all'atto di pace steso fra lo stesso Comune fiorentino e quello d'Arezzo, anche se ciò non è sufficiente a dedurne un suo ruolo attivo nell'arrivare a un accordo. Poiché la minaccia di Uguccione si faceva più pressante, anche al G., come a tutti gli alleati di Firenze, fu chiesto di contribuire a mettere in piedi un esercito che potesse fronteggiarla. Egli si presentò con circa 200 fanti e 25 cavalieri reclutati fra i suoi fedeli e molto probabilmente partecipò a tutte le operazioni militari del 1315, compresa la disastrosa sconfitta subita dall'esercito fiorentino il 29 agosto presso il castello di Montecatini.
Tornato in Romagna, fornì rifugio ai componenti delle famiglie Calboli e Orgogliosi, fuorusciti da Forlì a seguito della presa di potere in città da parte di Cecco degli Ordelaffi e, alleatosi con loro, li appoggiò nei tentativi di sovvertire la situazione finché sul finire del 1316 non fu conclusa la pace fra le due fazioni.
L'anno successivo, nel secondo semestre, il G. fu chiamato come podestà a Siena; quindi, nel 1318, tornò in Romagna per sostenere il suocero che aveva preso il potere a Faenza. Nel 1321 fu chiamato nuovamente dai Fiorentini a combattere contro il nuovo nemico della città e del movimento guelfo, Castruccio Castracani. Al G. fu affidato un corpo di armati per prendere il castello di Montevettolini, ma egli non riuscì nel tentativo e dovette ritirarsi all'arrivo dei rinforzi di Castruccio. L'anno successivo fu nominato capitano generale dal Comune di Siena e ne condusse le truppe a riprendere i castelli di Sinalunga e Torrita che i Tolomei e altri fuorusciti utilizzavano come rifugi nell'attesa di poter tentare un colpo di mano in città.
Lo stretto rapporto con Firenze non impedì che, tra fine 1322 e inizio 1323, le sue richieste di aiuto previste dall'alleanza venissero disattese. Quando il G. andò in città insieme col conte Simone di Battifolle per ottenere aiuto contro il vescovo d'Arezzo Guido Tarlati, che aveva assalito i castelli casentinesi di Fronzola e Castel Focognano appartenenti al conte Simone, le tergiversazioni dei Consigli del Comune furono tali che le truppe in soccorso furono concesse solo quando i castelli erano già stati presi, provocando amarezza e risentimento nei due Guidi. Entrambi presero comunque parte alla lega contro il vescovo - contratta fra Fiorentini, Senesi, Bolognesi, Perugini e guelfi romagnoli - nel momento in cui Guido Tarlati, pochi mesi dopo, si spinse fino a prendere Città di Castello.
Il G., intanto, aveva ottenuto in Romagna il titolo e la funzione di vicario pontificio per il castello di Galeata. Dopo la morte di Manfredi e del nipote di questo, Guido Novello (II), il G. cercò di far valere la concessione sui loro beni romagnoli fattagli da Roberto d'Angiò. Ciò provocò una guerra familiare che lo vide contrapporsi principalmente ad alcuni fra i conti di Modigliana, ma che coinvolse (come accadeva sempre) gran parte delle stirpi feudali appenniniche: col G. si schierarono gli Ubaldini, i conti Guidi di Romena e quelli di Battifolle, famiglie grandi fiorentine come gli Adimari e i Donati; sul fronte opposto, accanto ai conti di Modigliana, furono Guglielmo Novello (da cui prese avvio la linea detta dei conti Guidi di Bagno) con i figli, gli Ubertini e i Pazzi di Valdarno. Un primo accordo di pace fu raggiunto nell'aprile 1325, grazie al conte Simone da Battifolle, e siglato nel castello casentinese di Borgo alla Collina, ma non risolse del tutto le questioni.
Intanto continuava la disponibilità del G. a incarichi politico-militari presso i grandi Comuni cittadini (fra l'altro forse la principale fonte di reddito in questo periodo) e nel 1324 era stato nuovamente chiamato come capitano generale dal Comune di Siena. Nel 1328 gli uomini dei conti di Bagno e di Modigliana ripresero la guerra in Romagna e in Casentino, ma questa volta furono costretti subito a desistere dalla concreta minaccia di intervento del rettore papale della Romagna, da un lato, e del Comune di Firenze dall'altro. Riguardo agli ultimi anni di vita del G. ci è nota solo una controversia con le figlie di Paolo Traversari avvenuta nel 1331 per alcuni territori romagnoli.
Il G. morì nel settembre 1332, lasciando ben sei figlie (di cui tre avevano preso il velo monacale), due figli naturali e tre figli legittimi: Marcovaldo, Francesco e Carlo.
Passerini (in Litta) riporta la tradizione diffusa dell'amicizia intercorsa fra il G. e Dante, senza però darne riferimenti documentari; come anche di una presenza del poeta in castelli casentinesi o romagnoli presso Guido Salvatico e il G., che appare però dubbia visto che i conti erano schierati sul fronte a lui opposto. Dal momento che, nel suo soggiorno casentinese prima della discesa di Enrico VII, Dante visitò presumibilmente più di un castello, è possibile che abbia soggiornato anche a Pratovecchio, controllato allora dai conti di Dovadola.
Fonti e Bibl.: Delizie degli eruditi toscani, VIII (1777), pp. 148, 150, 181, 183 s., 186; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin 1908, p. 543; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1991, pp. 367, 374, 522; A. Brentani, Tredozio sotto la dominazione dei conti Guidi, Faenza 1930, p. 24; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, pp. 401 s., 409, 690, 746, 920, 922, 928; VII, ibid. 1965, p. 594; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di Dante, Firenze 1964, p. 340; E. Sestan, Dante e i conti Guidi, in Id., Italia medievale, Napoli 1968, pp. 349-352; E. Repetti, Diz. geografico fisico storico della Toscana, II, Firenze 1835, s.v.Dovadola; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Guidi di Romagna, tav. XIX.