Maccari, Ruggero
Sceneggiatore cinematografico, nato a Roma il 28 giugno 1919 e morto ivi l'8 maggio 1989. Il suo apporto al cinema italiano è risultato indispensabile in relazione al nascere, al configurarsi, all'evolversi e al tramontare di un genere popolare come la commedia all'italiana, di cui M. ha accompagnato nei decenni le varie fasi, contribuendo alla definizione di quel mondo insieme immaginario e di minuziosa notazione realistica, con il suo acume di osservatore caustico e tenero dei vizi e delle virtù degli italiani. A partire dalle collaborazioni per i film di Aldo Fabrizi fino ai due sodalizi più importanti, con Antonio Pietrangeli ed Ettore Scola, la scrittura di M., temperata nell'abitudine al lavoro di gruppo e orchestrata sui gusti del pubblico medio, era soprattutto allenata a un mestiere che sapeva contemperare fantasia, ironia, osservazione di costume e calibratura degli effetti comici. Il suo lavoro venne riconosciuto con diversi premi per la migliore sceneggiatura: nel 1966 il Nastro d'argento per Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli, seguito da altri Nastri d'argento per Una giornata particolare (1977), Passione d'amore (1981), La famiglia (1987) tutti di Ettore Scola; per quest'ultimo film vinse anche il David di Donatello, mentre nel 1976 la sceneggiatura del film di Dino Risi Profumo di donna (1974), tratta dal romanzo di G. Arpino Il buio e il miele, ottenne una nomination all'Oscar come miglior sceneggiatura non originale. Provenendo dal mondo dei giornali satirici ("Il Marco Aurelio", "Il Travaso"), dove aveva affinato il gusto della caricatura e del paradosso umoristico, M. cominciò a lavorare scrivendo per il varietà, l'avanspettacolo e il teatro di rivista. Era un microcosmo non senza significativi rapporti, in quanto a tempi comici e a una certa sanguigna surrealtà, con i prodromi della commedia all'italiana. Fu da questo ambiente che M. attinse le prime occasioni delle sue esperienze cinematografiche, nonché i moduli espressivi, in film interpretati da attori che da quel mondo provenivano come Carlo Dapporto, Erminio Macario, Tino Scotti o Alberto Sorrentino: da 11 uomini e un pallone (1948), La bisarca (1950), Io e Amleto (1952) tutti di Giorgio C. Simonelli, a È arrivato l'accordatore (1952) di Duilio Coletti, con Nino Taranto. Ma fu innanzitutto l'incontro nel tardo dopoguerra con un attore comico come Aldo Fabrizi che diede vita a personaggi e dialoghi intrisi di umore popolare, modellati sulla minuta osservazione del quotidiano, tratteggiati anche con il gusto del paradosso oltre che del bozzetto: dall'impagabile ritmo 'a inseguimento' calato nelle notazioni di carattere del duetto poliziotto-delinquente in Guardie e ladri (1951) diretto da Steno e Mario Monicelli (film premiato per la sceneggiatura al Festival di Cannes), dove il comico romano era in coppia con Totò, agli equivoci e alla bislacca imprevedibilità di un film come Hanno rubato un tram (1954), passando per i lunari e bozzettistici La famiglia Passaguai (1951) e Papà diventa mamma (1952) in cui Fabrizi si cimentò anche come regista. Lo stesso M. provò a fare il regista in quel periodo, in coppia con Mario Amendola, girando tre film: Il tallone di Achille (1952), Finalmente libero! (1953) e Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1954). La sicurezza di M. nel 'tagliare' su misura del talento comico di alcuni attori abiti drammaturgici, situazioni grottesche, esasperazioni di carattere e nell'adattare il ritmo dei dialoghi, magari di origine teatrale, alla velocità visiva della gag cinematografica, venne in luce in occasione delle collaborazioni per i film interpretati da Totò, per es. il trio di opere ispirate al teatro di Edoardo Scarpetta, Un turco napoletano (1953), Il medico dei pazzi (1954), Miseria e nobiltà (1954), tutti di Mario Mattoli. Ma fu anche misurandosi con un temperamento come quello di Alberto Sordi che M., nei film scritti per l'attore, accompagnò l'evoluzione nella tipologia dei personaggi verso una scrittura più amara, un'invenzione più realisticamente attenta ai cambiamenti sociali e alle storture e ipocrisie di una vita civile che ormai si trasformava tenendo il passo con i fenomeni economici e di costume (dal boom alle trasformazioni della morale sessuale) che incidevano sul quotidiano della classe media. Prendendo le mosse da un film caricaturale come Due notti con Cleopatra (1954) di Mattoli, M. passò così a contribuire al disegno di personaggi come quelli di Il conte Max (1957) di Giorgio Bianchi, Il marito (1958) di Nanni Loy, Fernando Palacios e Gianni Puccini, preceduti da Lo scapolo (1955), film che segnò l'avvio di una lunga e significativa collaborazione con Pietrangeli allorché M. diede vita soprattutto a figure femminili, raccontate tenendo presente la metamorfosi psicologica e sociale che nella vita italiana di quegli anni la donna stava vivendo. Nacque così una galleria di personaggi 'al femminile' che caratterizzò il mondo di Pietrangeli, con il contributo non indifferente di M.: dalla giovane esuberante di Nata di marzo (1958), alle ex prostitute tenere e volitive di Adua e le compagne (1960), dalla donna irrisolta di La visita (1963) a quella sanguigna di La parmigiana (1963), fino alla fragilissima e drammatica innocenza della protagonista di Io la conoscevo bene. Nel 1960 M. aveva lavorato con Dino Risi e Vittorio Gassman, regista e attore, in un'occasione che preludeva alla trasformazione di Gassman da attore cupo e drammatico a 'campione' della commedia all'italiana: il film era Il mattatore e offriva all'attore teatrale una via cinematografica per smaltire tutta l'esuberanza inventiva e l'intelligenza umoristica nel disegno di una tipologia italiana sempre in bilico tra cinica disinvoltura, esibizionismo e intima vigliaccheria. Erano i tratti di un personaggio indimenticabile alla cui definizione M. contribuì non poco, quello del protagonista di Il sorpasso (1962), la cui sceneggiatura restituiva alla perfezione, con icasticità balzacchiana, l'Italia canagliesca, ipocrita e superficiale degli anni Sessanta. Anche con Gassman, avvenne da parte di M. quel connubio attore-scrittore fatto di complicità nel fornire alla verve interpretativa le occasioni giuste, e in tale frangente cominciò la collaborazione per i film di Scola regista: La congiuntura (1964), L'arcidiavolo (1966). Ma proseguì anche il rapporto con Risi, per opere che hanno costituito pezzi da antologia nell'ambito della commedia di costume: da La marcia su Roma (1962) a I mostri (1963), da Il gaucho (1964) a Il profeta (1968). Ma è stato con l'attività svolta al fianco di Scola che M. è giunto nell'ultimo scorcio della sua lunga carriera ad affinare a tal punto il mestiere di sceneggiatore da costituire un riferimento imprescindibile nella costruzione di quella commedia umana, di quel racconto collettivo in cui i destini individuali diventano metafora di un'epoca o storia minima che, nascosta sotto quella ufficiale, riempie di senso e di vita gli avvenimenti. Così è accaduto per gli esempi più maturi di quel sodalizio: Brutti, sporchi e cattivi (1976), Una giornata particolare, Ballando ballando, noto anche come Le bal (1983), Maccheroni (1985) fino alla saga del carattere italiano diviso tra l'intimità delle mura di casa e la partecipazione alla 'piazza' della collettività, e ben raccontato da La famiglia (1987). L'ultima sceneggiatura di M., Piccoli equivoci (1989), da una commedia di C. Bigagli, costituì anche il debutto da regista di un figlio d'arte, Ricky Tognazzi, oltre che un sentito omaggio alla lezione della commedia all'italiana.