MALVICINI, Ruggero
Nacque intorno al primo decennio del XIII secolo da un Azzone, morto nel 1213, figlio del conte Guido di Arardo, contraddistinto per primo con l'appellativo di "Filiarardi" (Balduzzi).
In costante parallelismo con il fratello Guido, il conte M. fu continuatore della stirpe dei Bagnacavallo ed espressione della fase in cui i Malvicini, approfittando dell'ascesa di Federico II di Svevia, si rafforzarono grazie al loro allineamento filoimperiale e colsero l'occasione per giungere temporaneamente al potere in Ravenna, da tempo divenuta il centro di radicamento primario della loro casata. Tra i due fratelli, che agivano in stretta sintonia, fu il M. a emergere con più nettezza: Salimbene de Adam, che lo conobbe personalmente, lo qualifica come "ex parte Imperii magnus in Ravenna" e "sagax homo [(], astutus et callidus et versipellis et subdola vulpes" (I, pp. 535 s.).
Il M. compare una prima volta il 3 ott. 1249 insieme con il fratello Guido quando i due, messisi alla testa delle forze dei ghibellini ravennati fuorusciti, ma godendo di manifesti appoggi anche nella città, riuscirono ad assumere il controllo di Ravenna e ne cacciarono il podestà guelfo, il bolognese Alberto Caccianemici, nonché Guido da Polenta e i suoi seguaci. Il 24 novembre il cardinale legato Ottaviano Ubaldini emise un primo monitorio per intimare loro di tornare all'obbedienza ecclesiastica; il 25 dicembre tutti i ghibellini ravennati furono messi al bando.
Dall'anno successivo, Filippo da Pistoia, neoeletto alla sede arcivescovile ravennate e impossibilitato a prenderne possesso, fu da subito l'avversario principale dei due Malvicini, mentre la parte ghibellina che essi guidarono a Ravenna divenne la pars comitum per antonomasia. I Malvicini trovarono facilmente il favore di Venezia, tradizionalmente interessata a Ravenna e a Cervia, e alla sua produzione salina, grazie alla loro politica di acquiescenza sistematica, che culminò nel trattato del 1251 con cui da Ravenna si consentì alla costruzione da parte veneziana - peraltro su terreni di proprietà arcivescovile - del castello di Marcamò presso Sant'Alberto.
Sempre Salimbene afferma di avere esplicitamente richiesto al M. le ragioni di una simile concessione, ricevendo come risposta una triplice motivazione, fondata su inclinazioni personali (il M. avrebbe avuto una moglie veneziana) e più concrete valutazioni di opportunità politica ("occasione inimicorum meorum qui erant extra Ravennam") ed economica ("cum Veneti annuatim quingentas libras Ravennatibus darent": II, pp. 699 s.).
Mentre dal 1249 al 1253 il M. e Guido si alternarono a Ravenna nella carica di podestà (il M. dal gennaio 1249 dopo la deposizione di Caccianemici fino al novembre dello stesso anno; Guido dal 1250 al marzo 1251, poi di nuovo il M. fino al 1253), Filippo da Pistoia - divenuto anche legato pontificio - minacciò sanzioni contro tutti i ghibellini rimasti arroccati, anche dopo la morte di Federico II (1250), sulle loro posizioni, cercando di agglomerare nuove forze contro di loro e comminando scomuniche; in seguito passò a cercare un accordo, cui si piegarono per primi proprio gli altri membri della famiglia Malvicini come pure il Comune di Bagnacavallo, a seguito delle violente rappresaglie intraprese dai Bolognesi contro Bagnacavallo.
Anche i due Malvicini dovettero infine venire a patti e, in seguito alla pacificazione generale, firmata il 28 febbr. 1253 proprio a Bagnacavallo e per la quale il 1 marzo il presule poté finalmente entrare in città, dovettero accettare le condizioni di Filippo. Il M. in particolare, che rinunciò alla carica podestarile proprio in favore dell'arcivescovo, si rese più disponibile al punto che, nel 1261, fu presente a un concilio provinciale della Chiesa ravennate e ne sostenne il favore nei riguardi degli Ordini mendicanti.
A partire dal 1261 lo spazio operativo dei due fratelli fu ridotto a una sfera sostanzialmente privata e non si hanno notizie più precise sulle loro ultime vicende: il M. dovette morire poco tempo dopo.
Sempre stando alle valutazioni di Balduzzi, il M. avrebbe avuto soltanto una figlia, Idana (notizia confermata da Salimbene, I, p. 536), che sarebbe andata in sposa ad Aghinolfo dei conti Guidi di Romena, mentre Guido avrebbe avuto almeno un figlio, di nome Ezzelino.
Anche i Malvicini, al pari di altre stirpi comitali presenti in Romagna, come i conti di Cunio e di Donigallia, furono in seguito progressivamente costretti a venire a patti con l'emergente mondo comunale e, nel corso della seconda metà del Ducento, la loro famiglia fu via via ridotta a una dimensione sempre più ristretta per estinguersi all'inizio del Trecento, quando Dante Alighieri vi alluderà - deprecando la decadenza tra le famiglie nobili romagnole delle virtù cavalleresche di un passato ideale - lodando proprio il loro estinguersi ("Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia": Purg., XIV, 115).
Fonti e Bibl.: Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, I, pp. 535 s.; II, pp. 698-701, 882; G. Rossi, Historiarum Ravennatum libri decem, Venetiis 1589, pp. 422 s.; L.V. Savioli, Annali bolognesi, III, 2, Bassano 1784, pp. 262-264 n. DCLXII; M. Fantuzzi, Monumenti ravennati de' secoli di mezzo per la maggior parte inediti, Venezia 1802, pp. 87 n. LVII, 89-91 nn. LIX-LX, 94 n. LXIII, 97 s. nn. LXV-LXVI; A. Tarlazzi, Appendice ai monumenti ravennati dei secoli di mezzo del conte Marco Fantuzzi, I, Ravenna 1869, pp. LXXV-LXXVIII, 217-238 nn. CXLV-CLXI; L. Balduzzi, Dei conti Malabocca e Malvicini signori di Bagnacavallo, in Giorn. araldico-genealogico-diplomatico, IV (1876-77), pp. 313-322, 344-355, 382-393; A. Torre, La pace di Romagna del 1253, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, n.s., III (1951-53), pp. 163-180; A.I. Pini, Il Comune di Ravenna fra episcopio e aristocrazia cittadina, in Storia di Ravenna, III, Dal Mille alla fine della signoria polentana, a cura di A. Vasina, Venezia 1993, pp. 237 s., 254 s.; Id., L'economia "anomala" di Ravenna in un'età doppiamente di transizione, ibid., pp. 509, 514, 524, 552 n. 208; Fonti per la storia di Ravenna (secoli XI-XV), a cura di C. Curradi, ibid., pp. 785 n. 56, 786 s. n. 65, 815-817 n. 24; A. Vasina, I conti e il Comitato di Bagnacavallo: contributo di storia politica e istituzionale, in Storia di Bagnacavallo, I, Bologna 1994, pp. 145-161.