ODDI, Ruggero
ODDI, Ruggero. – Nacque a Perugia il 20 luglio 1864 da Filippo, segretario e archivista all’ospedale S. Maria della Misericordia, e da Zelinda Pampaglini.
Nell’anno accademico 1886-87, quando era ancora studente della Università libera della città natale – era iscritto al quarto anno del corso di medicina e chirurgia e collaborava con il laboratorio di fisiologia diretto da Arturo Marcacci – compì la sua scoperta più importante: lo sfintere del coledoco, cui il suo nome è rimasto legato.
Marcacci era stato a sua volta allievo di Angelo Mosso a Torino, uno dei centri di punta della ricerca fisiologica italiana, dedicandosi a ricerche neurofisiologiche e chimico-farmacologiche che avrebbero profondamente influenzato l’impostazione scientifica di Oddi.
Allo scopo di comprendere la funzione della bile nella digestione, su suggerimento di Marcacci, Oddi studiò l’azione del flusso continuo di questo liquido nello stomaco e nel duodeno. La colecistectomia, cui fece ricorso per eliminare il serbatoio della bile, era un’operazione già tentata in passato, in particolare alla fine del XVII secolo dal galileiano Giuseppe Zambeccari su un animale da esperimento e da Carl-Johann August Langenbuch sull’uomo nel 1882. Osservando che nel cane colecistectomizzato, i dotti epatico, cistico e coledoco surrogavano la colecisti eliminata, presentandosi allargati in maniera abnorme ma senza che si verificasse il previsto flusso continuo di bile nel tratto intestinale, Oddi suppose che sulla parete del duodeno, in corrispondenza dello sbocco del coledoco, esistesse una valvola in grado di regolare la quantità di bile in rapporto al cibo da digerire, un’ipotesi già avanzata nel XVII secolo dal medico inglese Francis Glisson. In effetti, Oddi osservò e descrisse un muscolo di forma anulare (lo sfintere dell’ampolla epaticopancreatica) che svolgeva proprio questa funzione. Esaminò la struttura dello sfintere sia negli animali sia nell’uomo eseguendo accurate ricerche istologiche e presentò i suoi risultati nell’articolo Di una speciale disposizione a sfintere dello sbocco del coledoco, in Annali dell’Università libera di Perugia. Facoltà di medicina e chirurgia, II (1886-87), 1, pp. 249-264 e tav. IX.
L’anno dopo si trasferì all’Università di Bologna, dove il laboratorio di fisiologia era diretto da Pietro Albertoni, il quale, come del resto Mosso, ricercava l’applicazione della ricerca fisiologica a concreti problemi clinici, come l’alimentazione, e in generale al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Le ricerche eseguite a Bologna consentirono a Oddi di dimostrare in che modo lo sfintere del coledoco possa resistere alla pressione esercitata dalla bile (Sulla tonicità dello sfintere del coledoco, in Archivio per le scienze mediche, XII [1888], pp. 333-339).
Dopo il periodo bolognese, passò a Firenze, dove si laureò il 2 luglio 1889 presso il Regio Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento – in seguito divenuto Università – e dove rimase come assistente di Luigi Luciani, direttore dell‘Istituto di fisiologia e con Mosso uno dei più autorevoli fisiologi del tempo. Effettuò in seguito, fino al 30 luglio 1893, un periodo di studio a Strasburgo, allora parte dell’Impero tedesco, con il farmacologo Oswald Schmiedeberg. Avviato a una carriera brillante, nel gennaio 1894 ottenne la direzione dell’Istituto di fisiologia di Genova, succedendo a Giulio Fano, parimenti legato a Mosso e a Luciani. Lì si dedicò a studi di neurofisiologia, sempre applicati alle vie biliari, allo sfintere del coledoco e al meccanismo nervoso che ne regola l’attività (lavori riuniti in Sulla fisio-patologia delle vie biliari, Milano 1897), ma anche a ricerche di più ampie ambizioni, come dimostra il lavoro L’inibizione dal punto di vista fisio-patologico, psicologico e sociale (Torino 1898).
Con questo testo, Oddi percorreva una via comune ad altri fisiologi italiani, tra cui Mariano Luigi Patrizi, che, muovendo da ricerche sperimentali sui meccanismi neurofisiologici, si erano progressivamente spostati verso riflessioni di tipo psichiatrico, antropologico-giuridico e sociale.
Negli stessi anni si dedicò anche a ricerche di tipo biochimico, che aveva iniziato a Firenze con Luciani; i suoi interessi si concentrarono quindi sul sistema nervoso e sul ricambio (Belloni, 1965B, p. XX).
Il 15 ottobre 1891 sposò Teresa Bresciani Bartoli, da cui ebbe due figli, Adelaide, nel 1891, e Enrico, nel 1893.
Tra il 1895 e il 1897 tenne a Genova un ‘corso libero’ in chimica fisiologica e collaborò con diversi colleghi e allievi, tra i quali Domenico Lo Monaco, poi professore di chimica fisiologica a Roma, lo psichiatra Ernesto Belmondo, l’anatomista Umberto Rossi, il ginecologo Giuseppe Vicarelli e il patologo Alessandro Lustig.
Gli alimenti e la loro funzione nella economia dell’organismo individuale e sociale: il bilancio organico, l’equilibrio dell’azoto, il deficit (Torino 1902) fu la sua ultima opera importante prima della drammatica svolta che si produsse nella sua vita e nella sua carriera.
Tra i colleghi genovesi, Oddi aveva incontrato una figura singolare di ricercatore e di patriota, il romano Stefano Capranica, marchese del Grillo, professore incaricato di chimica fisiologica all’Università, allievo di Jacob Moleschott e seguace del suo materialismo. Capranica aveva organizzato privatamente un laboratorio, messo a disposizione dell’insegnamento, dove si dedicava a studi di chimica biologica, in particolare sulla porpora retinica, prima di subire negli anni Novanta un tracollo nervoso, probabilmente in seguito a un lutto, e di avvicinarsi a dottrine esoteriche e allo spiritismo. La sua morte, nel 1899, diede luogo a una violenta disputa sulla destinazione del suo laboratorio, rivendicato sia dal seminario arcivescovile cui Capranica lo aveva lasciato in testamento, sia dall’Università di cui faceva ormai parte. Oddi, che era stato fra l’altro incaricato dalla reale Accademia medica di Genova, di cui era membro, di commemorare Capranica, risentì fortemente della sentenza del tribunale con cui il materiale del collega veniva definitivamente assegnato agli eredi, e il 1° aprile 1900 diede le dimissioni da professore straordinario. La facoltà le respinse, ma Oddi si era nel frattempo esposto con ordini per il laboratorio senza copertura finanziaria ed era partito per Bruxelles.
Il 12 dicembre 1901 si imbarcò ad Anversa diretto in Congo, allora Stato indipendente sotto il diretto controllo Leopoldo II del Belgio, uno dei territori africani dove l’occupazione europea fu più brutale. Arruolatosi come medico, Oddi vi restò poco tempo: rientrò infatti in Belgio, ormai ammalato e inabile al servizio, il 10 giugno 1902. I suoi ultimi anni furono segnati da una privata versione di ‘bancarotta della scienza’: nel 1906 apparve il suo ultimo lavoro, Nuova terapia delle malattie d’infezione e delle cachessie maligne, modo di prevenirle e di curarle: la vitalina Gatchkowski (Città di Castello 1906), in cui propagandava una panacea in grado di risvegliare la vitalità dell’organismo, un esito cui aveva contribuito l’incontro con l’omeopata belga Edmond Mersch, a Bruxelles. Accusato di smercio abusivo di medicinali, probabilmente dipendente da sostanze stupefacenti, nel 1911 risultava separato dalla famiglia e viveva da solo a Perugia.
Morì a Tunisi, dove forse si era recato per arruolarsi nella Legione straniera, il 22 marzo 1913.
Fonti e Bibl.: L. Belloni, Sulla vita e sull’opera di R.O. (1864-1913), in Rivista di storia della medicina, IX (1965A), 2, pp. 151-159; Id., R.O. e la scoperta dello sfintere del coledoco, in Simposi clinici, II (1965B), pp. XVII-XXIV; F. Sorcetti, R.O., medico e scienziato perugino, in Rivista di biologia, LXXVIII (1985), 1, pp. 133-140; K. Ono - R. Hada, R.O. To commemorate the centennial of his original article ‘Di una speciale disposizione a sfintere dello sbocco del coledoco’, in Japanese journal of surgery, XVIII (1988), 4, p. 373-375; M. Loukas et al., R. Ferdinando Antonio Giuseppe Vincenzo O., in World journal of surgery, XXXI (2007), pp. 2260-2265; E. Capodicasa, R.O.: 120 years after the description of the eponymous sphincter: a story to be remembered, in Journal of gastroenterology and hepatology, XXIII (2008), 8/1, pp. 1200-1203.