ACCROCCIAMURO, Ruggerone
Figlio di Lionello, nacque verso il 1440. Con lettera regia del 5 marzo 1459 fu investito dei feudi di famiglia, ma poiché la madre Giovanna non volle cedergli la contea di Celano, suo bene dotale, le divenne ostilissimo. Allo scoppio, infatti, della prima ribellione dei baroni contro Ferdinando I d'Aragona, parteggiando per i ribelli, non si fece scrupolo di chiamare in aiuto contro di lei Giacomo Piccinino, capitano del pretendente Giovanni d'Angiò. La madre, dopo essersi difesa nel castello di Galliano, costretta ad arrendersi, non solo si vide saccheggiare le terre e rapire i beni, con cui il Piccinino poté mantenere per tutto l'inverno del 1462 le sue milizie, ma fu anche gettata in carcere dal figlio.
Dopo la sconfitta di Troia (18 ag. 1462), che segnò il fallimento dell'impresa del pretendente angioino, l'A. si ritirò con lui e altri baroni ribelli ad Ischia, dove sopportò un lungo e duro assedio, fino a che, nell'agosto del 1464, una flottiglia di dodici triremi non venne a liberarli, trasportandoli prima in Toscana e poi in Francia.
A Firenze, per aver commesso ruberie in danno di Filippo Strozzi, giustificò lo sdegno di Ferdinando d'Aragona che, non contento di avergli confiscato la contea di Celano, donata nel 1463 alla sua figlia naturale Maria nell'occasione delle nozze con Antonio Piccolomini, duca di Amalfi, minacciò contro di lui nuova ed esemplare vendetta.
Accolto alla corte di Carlo il Temerario, insieme con gli altri esuli ribelli, si trovò a combattere sugli stessi campi di battaglia con il principe della dinastia a lui nemica, Federico d'Aragona, fino a che questi, svanita la speranza della lega con Carlo il Temerario, alla vigilia della battaglia di Morat (21 giugno 1476), abbandonò il campo borgognone.
Con la seconda ribellione dei baroni, l'A. tentò la riconquista dei suoi feudi e, aiutato da Giovanni della Rovere, duca di Sora e prefetto di Roma, riuscì ad occupare la contea di Celano. Ma fu un successo effimero. Volgendo a male la guerra per i ribelli, nonostante l'aiuto di Innocenzo VIII, già il 1 apr. 1486 l'A. dové farsi raccomandare al papa dal Comune dell'Aquila, che per primo aveva inalberato la bandiera della Chiesa; il 22, insieme con il Comune aquilano e il conte di Montorio, era costretto a stringere armistizio con il conte di Popoli, Restaino Cantelmo, sostenitore del re nell'Abruzzo; alla fine di giugno, sollecitati invano soccorsi dalla città amica, fu costretto a porre tutte le terre occupate in potere del conte di Popoli e ad implorare d'esser ricevuto dal re. "Noi lo abbiamo confortato a fare ciò", scriveva il re (8 ag. 1486), pensando di riservargli, forse, dopo averlo avuto nelle mani, la stessa fine degli altri ribelli. Ma l'A. non si lasciò ingannare, e ancora una volta fu pronto a scendere in armi, con la venuta di Carlo VIII, per riacquistare i suoi feudi. Senonché, nel 1496, affrontatosi con Alfonso Piccolomii, figlio di Antonio, fu sconfitto nel piano di Sulmona, presso il fiume Pratola, e ucciso.
Fonti e Bibl.: T. Caracciolo, Opuscoli storici, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXII, 1, a cura di G. Paladino, p. 89; Regis Ferdinandi primi Instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 87, 214 ss., 227, 411; G. Pontano, De bello Neapolitano, Neapoli 1769, p. 115; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, I, Firenze 1580, p. 193; C. De Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, III, Napoli 1671, pp. 43 ss.; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d'Italia, I, Napoli 1875, p. 60; E. Celani, Documenti vaticani per la storia della contea di Celano, in Arch. stor. per le prov. napol., XVIII (1893), p. 72; E. Ponderi, Per la storia del regno di Ferrante I d'Aragona, re di Napoli, Napoli 1947, pp. 96, 106, 419.