RUGGERONE DA PALERMO
Le identificazioni proposte per questo rimatore, sulla base di una generica corrispondenza onomastica (per l'equivalenza tra Ruggero e Ruggerone cf. Vitale, 1953), sono due: lo iudex Rogerius attestato nel 1278, secondo la proposta di Scandone (un notarius Roggerius del 1270, prima offerto in alternativa dallo stesso studioso, fu poi ritirato nelle Notizie biografiche del 1904, p. 335 n. 2), e, forse più motivatamente o almeno con più intriganti implicazioni, il frate minore mandato da Federico II presso il re di Tunisi alla ricerca di un Libro di Sidrach che poi "traslatò di saracinesco in grammatica", cioè dall'arabo in latino, come dice il volgarizzamento che lo designa "frate Ruggieri di Palermo" (cf. Il libro di Sidrach, testo inedito del sec. XIV pubblicato da A. Bartoli, Bologna 1868, p. 7), secondo l'ipotesi, poco più che accennata, di Francesco Torraca. La longevità presupposta dalla prima candidatura consiglia qualche cautela, ma non comporta tassativamente l'esclusione; d'altra parte l'appartenenza del poeta alla prima fase della Scuola è nozione (diffusa soprattutto da Vitale) che non poggia su nessun dato di fatto, a meno che non si voglia dar credito alla fantasiosa lettura (di Scandone) di Oi llasso! come "lamento del crociato, che ha dovuto lasciare la donna amata", in arguto pendant con la celebre canzone di Rinaldo d'Aquino (v.). Ma anche l'improbabilità di un francescano alla corte di Federico, come ha chiarito Alessandro Vitale Brovarone (1983), è solo frutto dell'attribuzione sventata al sovrano di un "laicismo" di maniera, smentito anche di fatto dal rapporto che Federico contrasse con il celebre frate Elia, ex maestro generale dell'Ordine dei Minori, deposto nel 1239 ed entrato poi nella corte fridericiana (cf. E. Kantorowicz, Federico II, imperatore, Milano 1976, pp. 501-503 e 524). Di grande suggestione, ma impegnativa, la catena di ipotesi che spinge Vitale Brovarone a sottoscrivere la proposta di Torraca: il dato centrale è tratto da uno studio di Giovanna Petti Balbi (Il libro nella società genovese del sec. XIII, "La Bibliofilia", 80, 1978, pp. 1-45), in cui, tra gli inventari di libri citati in testamenti genovesi, compare quello del notaio Ruggero di Palermo datato 4 novembre 1256. Tra libri di argomento genericamente religioso (c'è anche Gioacchino da Fiore) compare liber unus de lingua sarracina et latina che potrebbe riportare al traduttore di Sidrach. Ma perché Genova? "Tornato da Tunisi, forse al momento dello sfaldamento del potere svevo il fermarsi in una città, come Genova, non ostile poteva avere senso". Quanto alla professione del candidato (francescano o notaio?), se pure non si vuol dubitare della notizia fornita nel Libro di Sidrach, "non è inammissibile pensare ‒ conclude Vitale Brovarone ‒ che l'arte notaria potesse essere un ripiego possibile per le persone coinvolte nella caduta di frate Elia".
A Rugierone dipalermo è assegnata in V (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Vat. Lat. 3793), cc. 13v-14r, la canzone Ben mi degio alegrare. Le tre lunghe stanze singulars, di ben quindici versi ciascuna, presentano due piedi tetrastici (tre settenari e un endecasillabo finale) e una sirma indivisa tutta endecasillabica tranne il terzultimo verso, quinario, con combinatio ma senza concatenatio. I temi che vi si affrontano sono: la necessità della perseveranza nel servizio amoroso anche in condizioni penosissime, in vista del premio che non potrà mancare (9-10 "Chi è amadori / nom disperi, ma sia buon sofridori"); l'invito a diffidare delle facili conquiste (14-15 "ché non mi par che sia di valimento / da c'omo vene tosto a compimento"); la paradossale esaltazione del male in quanto unico mezzo per raggiungere il bene (7-8 "Ben agia lo martore / ch'io per lei lungiamente agio durato"; 29-30 "chi vole amor di donna, viva a spene, / e contesi in gran gioia tute le pene"; 45 "Dolci' è lo male ond'omo aspetta bene": è l'epifonema finale, ispirato a molte analoghe affermazioni occitaniche). Si tratta di temi largamente condivisi all'interno della Scuola ma che vengono qui sviluppati tenendo d'occhio soprattutto il Guido delle Colonne (v.) di La mia gran pena (dalla contaminazione tra queste due canzoni prenderà le mosse anche Chiaro Davanzati in Li contrariosi tempi); e il grande messinese si rivela, in genere, l'autore di riferimento per l'intera poesia se è vero, per esempio, che l'incipit riprende alla lettera il v. 37 di Gioiosamente canto (magari collegato a una fonte comune, il Gaucelm Faidit di Solatz, v. 27 "Bėm dey alegrar"). Il rapido sviluppo dell'argomento prevede una chiusura sentenziosa per ciascuna delle tre strofe (cf. i citati vv. 14-15, 29-30, 45) e il ricorso a due icastici paragoni: più originale il primo, ai vv. 19-23, dove l'amante impaziente e cauteloso viene associato al nibbio che è "bello e possanti / e non vole pilgliare, / per nom troppo affanare, / se non cosa quale sia parisciente", cioè si accontenta di poco e, pur avendo tutte le qualità per mirare più in alto, si limita a volere solo ciò che è ben in vista (parisciente), a portata di mano, conquistabile senza sforzo o indugio. Al comportamento censurabile del nibbio viene contrapposto, nell'ultima stanza, il modello fornito dal marinaio, che non si scoraggia nella tempesta e, perseverando anche nella situazione più disperata, riconduce la nave in porto: qui il pensiero corre alla prima stanza di Amore, in chui disio di Pier della Vigna e a paralleli luoghi occitanici di Peire Vidal e Ramon Jordan (cf. Fratta, 1996, p. 85).
La canzone Oi llasso! nom pensai, presente in V, c. 13v (Rugierone dipalermo), e in L (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Redi 9), c. 102v (Rex federigo), è stata autorevolmente studiata nell'ambito delle rime attribuite a Federico II, giusta la rubrica di L (e tra le dubbie del sovrano è riportata ancora nell'edizione curata da Cassata nel 2001). Venuta meno definitivamente, per merito di Angelo Monteverdi, la fantasiosa figura di Federico di Antiochia (v.), "con la positiva dimostrazione del Debenedetti" anche "l'esclusione della paternità federiciana [...] ha ricevuto un'irrevocabile conferma" (Contini, 1952, p. 384) e dunque il componimento può essere riannesso al canone di Ruggerone. Nel Laurenziano il componimento manca dell'ultima stanza-congedo; V invece presenta "un testo di tre strofi" poi "una porzione in bianco (l'equivalente spaziale di una quarta) a cui ne fa seguito un'altra, conclusiva" (Brunetti, 1999). Lo spazio bianco pare doversi interpretare come lacuna materiale dell'antecedente, comune a L, che il copista di V progettava di sanare in seguito con il ricorso a un altro manoscritto. La situazione descritta impone che, ancora una volta, si dia fiducia all'affidabilissimo ordinatore di V (tra l'altro la sua attribuzione è certamente difficilior), imputando la manomissione di L a un probabile "spostamento, [...], delle rubriche dell'esemplare comune" (Brambilla Ageno, 1975). La canzone (o canzonetta, secondo la designazione dell'ultima stanza-congedo) comprende quattro strofe singulars di dieci versi ciascuna, con due piedi abC abC (settenari ed endecasillabi) e due volte endecasillabiche DD EE con combinatio. Tutti fragilissimi i riferimenti concreti che si sono voluti ricavare dal testo, che è un elegiaco lamento di lontananza in linea con alcune delle convenzioni più diffuse del genere. Niente induce a credere che sia coinvolto, come si è sostenuto, un crociato (magari l'imperatore stesso in rotta verso l'Oriente); semmai, con tutte le cautele del caso e come pura suggestione tematica, l'accenno non ovvio dei vv. 8-9 "e giamai tanta pena non durai, / se non quando a la nave adimorai" potrebbe rimandare al lungo explicit 'marinaro' della canzone precedente, offrendo un ulteriore appiglio all'attribuzione a Ruggerone. Ancor più abusivo il nesso posto (da Monaci, Cesareo, Riera e altri, e ora ripreso da Cassata) tra "la fior di Soria" del v. 32 e Anais, cugina della seconda moglie di Federico, Iolanda di Brienne, entrambe originarie della Siria: illazione che mira a confermare la paternità dell'imperatore sia contro R. che contro Federico di Antiochia. Più prudente sarà limitarsi a notare, nel breve sviluppo del componimento, la funzionalità dello schema metrico, assai vicino a quello di Uno piasente sguardo di Pier della Vigna, che riformula efficacemente una nutrita serie di suggestioni occitaniche tra cui soprattutto evidente e organica quella di Gaucelm Faidit, Lo rossignolet (cf. Fratta, 1996, pp. 100-101).
Fonti e Bibl.: i testi si citano secondo la lezione fermata nella nuova edizione critica e commentata in corso di allestimento da parte di vari autori per il Centro di studi filologici e linguistici siciliani; le rime di R. sono state curate da Corrado Calenda. Le due poesie qui attribuite a R. sono comprese nella raccolta complessiva di B. Panvini, Le rime della scuola siciliana, I, Firenze 1962, pp. 165-166, 425-426; per Ben mi degio alegrare, considerata l'unica di attribuzione sicura, cf. anche Id., Poeti italiani della corte di Federico II, Napoli 1994, pp. 235 e 314. Tra le dubbie di Federico II compare Oi lasso, non pensai (secondo la lezione di Cassata), in edizione critica e ampiamente commentata, in Federico II di Svevia, Rime, a cura di L. Cassata, Roma 2001, pp. 47-61 (ma cf. anche la discussione alle pp. XX-XXIII). Tra le edizioni precedenti, di qualche rilievo M. Vitale, Rimatori della "Scuola siciliana" (Ruggerone da Palermo-Folco Ruffo di Calabria), "Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani", 1, 1953, pp. 130-151 (in partic. pp. 130-142). Importante l'edizione diplomatico-interpretativa compresa nelle Clpio (Concordanze della lingua poetica italiana delle origini), a cura di d'A.S. Avalle, I, Milano-Napoli 1992, pp. 177 e 320. Tra i pochissimi contributi specifici: F. Scandone, Ricerche novissime sulla scuola poetica siciliana del secolo XIII, Avellino 1900, pp. 26-27; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 142 e 203; F. Scandone, Notizie biografiche di rimatori della scuola poetica siciliana con documenti, Napoli 1904, pp. 332-335; A. Vitale Brovarone, Congetture su Percivalle Doria e su Ruggerone da Palermo, "Studi e Problemi di Critica Testuale", 27, 1983, pp. 5-13; A. Fratta, Le fonti provenzali dei poeti della Scuola siciliana. I postillati del Torraca e altri contributi, Firenze 1996, pp. 84-85, 100-101. Per l'attribuzione di Oi llasso!: S. Debenedetti, Di alcune differenze di attribuzione tra il Vat. 3793 e il Laur. Red. 9, "Studi Romanzj", 31, 1947, pp. 5-21; A. Monteverdi, L'opera poetica di Federico II imperatore, in Atti del Convegno Internazionale di studi federiciani, Palermo 1952, pp. 351-365; G. Contini, Questioni attributive nell'ambito della lirica siciliana, ibid., pp. 367-395; F. Brambilla Ageno, L'edizione critica dei testi volgari, Padova 1975, pp. 252-253; G. Brunetti, Il libro di Giacomino e i canzonieri individuali, in Dai siciliani ai siculo-toscani. Lingua, metro e stile per la definizione del canone. Atti del Convegno (Lecce, 21-23 aprile 1998), a cura di R. Coluccia-R. Gualdo, Galatina 1999, pp. 61-92 (in partic. p. 85).