UBALDINI, Ruggieri
Figlio di Ubaldino (III) della Pila, del ramo famigliare detto di Montaccianico, nacque, forse in uno di questi castelli posti fra Firenze e Bologna, prima della fine del quarto decennio del Duecento, visto che nel 1270, quando fu "eletto" arcivescovo di Ravenna, egli doveva avere almeno trent’anni. Il nome della madre non compare in alcuna fonte.
Suo zio paterno fu il famoso cardinale Ottaviano, che per alimentare le fortune famigliari promosse fra l’altro la presenza preponderante degli Ubaldini nel capitolo della cattedrale bolognese di S. Pietro: ante 1251 vi entrarono i nipoti Ubaldino (IV) di Azzo, e Ottaviano (IV), fratello di Ubaldini (e poi vescovo di Bologna dal 1261); il nostro li seguì dopo qualche anno.
Il 26 settembre 1260 Ubaldini, col grado di suddiacono, partecipò a una suddivisione di beni fra i canonici; e presto (tra il 12 dicembre 1263 e il 27 settembre 1264) successe ad Alberto Scolari fiorentino (a sua volta imparentato con gli Ubaldini e promosso vescovo di Volterra) nella dignità di arcidiacono (cui spettava, per concessione di Onorio III, l’autorità di conferire la licentia docendi agli studenti universitari). Qualche anno dopo, nel luglio del 1270, Ubaldini ottenne grazie al fratello vescovo, chiamato ad arbitrare, anche il diritto di condurre, come arcidiacono, l’esame finale «promovendorum ad honorem magistri in iure civili» (Paolini, 1988, p. 171), vincendo la dura resistenza di sei legum doctores dello Studio, fra i quali il famoso Francesco d’Accursio.
Alcuni mesi dopo (16 novembre 1270), morto nel settembre l’arcivescovo di Ravenna Filippo, Ubaldini, l’'arcidiacono bolognese' (ovviamente sostenuto dal fratello vescovo e dallo zio cardinale) fu uno dei due candidati a sostituirlo, in alternativa a Percivalle Fieschi di Lavagna. Il collegio elettorale, diviso, rimise la scelta ai cardinali romani (stante la sedevacanza papale), ma la questione si trascinò e in data imprecisata Ubaldini e Fieschi rinunciarono al diritto loro eventualmente spettante nelle mani di Gregorio X (che eletto nel 1271 e consacrato nel 1272, attese addirittura il 1275 per nominare una terza persona, il domenicano Bonifacio Fieschi).
Dal giugno 1274, in conseguenza della fuga e del bando da Bologna di un gran numero di aderenti alla parte dei Lambertazzi, Ubaldini (col fratello vescovo) risiedette per un paio d’anni (sino alla revoca del bando, luglio 1276), nel castello famigliare di S. Croce, donde gestì i diritti signorili pervenuti agli Ubaldini di Montaccianico nel territorio di Città di Castello. Poco più di un anno dopo il rientro in Bologna Ubaldini fu eletto arcivescovo di Pisa (15 novembre 1277), ottenendo la conferma da parte del nuovo papa Niccolò III (che lo consacrò personalmente, consegnandogli il pallium di metropolita) il 10 maggio 1278. Fece ingresso in sede il 12 giugno.
Ubaldini, estraneo all’ambiente locale, fu scelto come successore di Federico Visconti (morto il I° ottobre 1277) forse anche per influenza del canonico Bonaccorso Lanfranchi, già cappellano del cardinale Ottaviano; ma certo la sua elezione – resa possibile dall’indebolimento del partito vicino ai Fieschi, a causa della morte nell’agosto 1276 di Adriano V, secondo papa uscito da quella progenie – avvenne in sintonia con gli orientamenti politici del Comune, che aveva bensì firmato nel 1276 una pace sfavorevole con Carlo I d’Angiò e la Lega guelfa di Toscana, ma restava fedele a una linea politica ‘filoghibellina’. La conferma di Niccolò III suggerisce che il papa riteneva dal canto suo utile, per i suoi obiettivi politici in Toscana e in Romagna, la presenza sulla cattedra pisana di un Ubaldini (e infatti, nel 1279-80, il nuovo arcivescovo avrebbe sostenuto apertamente l’azione del cardinale Latino).
Nel frattempo Ubaldini aveva immediatamente posto mano, con l’esplicito appoggio del pontefice (cfr. la lettera inviata dalla cancelleria papale lo stesso 10 maggio 1278) e del Comune, al recupero dei beni e diritti della Chiesa e della Mensa arcivescovile di Pisa.
Si trattava di ripristinare la situazione patrimoniale antecedente alle «alienazioni, concessioni o occupazioni» di beni e diritti verificatesi «a partire dalla morte dell’arcivescovo Vitale» (Le carte arcivescovili pisane del secolo XIII, 1989, III, pp. 57-60) (1252), come si legge in un provvedimento del Comune pisano (1278): perifrasi diplomatica per evitare di addebitare esplicitamente al predecessore diretto, notoriamente largo di concessioni nei confronti dei propri famigliari, il depauperamento delle risorse dell’arcivescovato pisano.
Non minore decisione Ubaldini mostrò contro i detentori di benefici curati e di dignità, che tralasciassero per oltre un mese di fare residenza, promulgando in data 8 luglio 1278 una costituzione contro di essi; e ottenne altresì dal Comune che il podestà non interferisse nei procedimenti giudiziari avviati da lui e dal capitolo contro detentori e lavoratori di terreni di proprietà ecclesiastica.
Nell’autunno dell’anno successivo, mentre a Pisa confluivano una parte dei Lambertazzi bolognesi esuli, Ubaldini fu a Firenze a fianco del cardinale Latino (le attestazioni sono del 28 ottobre e del 19 novembre 1279), impegnato a promuovere la riconciliazione fra le partes cittadine, e successivamente (maggio 1280) notificò al proprio clero le costituzioni emanate dal legato per il restauro della disciplina chiericale. Su questo versante, ebbe rapporti alterni con il capitolo della cattedrale.
Nel settembre 1280 confermò l’elezione del nuovo vescovo, suo suffraganeo, di Galtellì (in Sardegna), tra le proteste dei canonici, che rivendicavano il diritto di presenziare a tutti gli atti di governo spirituale. Nel febbraio 1282 invece, nominando il nuovo priore della canonica regolare urbana di S. Pietro in Vincoli, ebbe cura di chiedere il consilium dei canonici della ecclesia maior. Qualche anno dopo, il 20 dicembre 1284, egli provvide ad assegnare al proprio "cappellano" Ottaviano (legato in qualche modo, visto il nome, alla casata Ubaldini) il priorato di un’altra antica e prestigiosa canonica regolare pisana, S. Paolo all’Orto.
Nel frattempo, la situazione politica cittadina era radicalmente mutata. Dopo la grave sconfitta che Pisa subì dai genovesi alla Meloria (6 agosto 1284), nel Comune toscano il podestà Alberto Morosini era stato avvicendato dal conte Ugolino della Gherardesca (18 ottobre), dapprima per un anno, e poi con mandato straordinario decennale (dal marzo 1285). Ubaldini fu favorevole a questa evoluzione, essendo tra l’altro imparentato con il conte (che aveva sposato ante 1284 Capuana di Ranieri da Panico, sua nipote ex sorore, avendone due figli, un maschio di nome Matteo e una femmina).
All’esistenza di un accordo fra i due sembra da ricondurre il fatto che divenne "vicario generale" di Ubaldini (estate 1285) il chierico pisano Tommaso Roncioni, membro di una famiglia politicamente legata al conte Ugolino; costui "confermò" a nome dell’arcivescovo l’elezione a nuovo arciprete della cattedrale (6 settembre 1285) di Iacopo de Moneta. L’altro aspirante a tale dignità, Iacopo Lanfranchi Chiccoli, inizialmente gradito a Ubaldini, entrò successivamente nel capitolo nel corso del 1286, così come vi entrò Iacopo da Panico (parente del testé menzionato Ranieri, padre di Capuana). Queste due operazioni furono probabilmente propiziate da un soggiorno di Ubaldini presso la curia del papa Onorio IV, dove egli è attestato nel gennaio 1286; nella stessa occasione egli recuperò il controllo diretto sull’importante santuario di S. Piero a Grado (posto fra Pisa e la foce dell’Arno), che negli ultimi quaranta anni era stato controllato da un preposto installatovi da Innocenzo IV.
L’accordo fra arcivescovo e Comune tuttavia si deteriorò presto, e Ubaldini fu raramente presente a Pisa nella seconda metà del 1286 e del tutto assente nel 1287. Ne fu causa la progressiva affermazione, a fianco di Ugolino della Gherardesca, di Nino di Giovanni Visconti, suo nipote ex filia: appena diventato maggiorenne (e abilitato perciò a fregiarsi del titolo di giudice di Gallura, acquisito dai Visconti pisani sin dall’inizio del Duecento), egli fu designato come capitano del Popolo.
Giovanni Visconti e Ugolino della Gherardesca, dopo una lunga ostilità, si trovarono negli anni Settanta sulle medesime posizioni, contro la crescente propensione del Comune pisano a controllare direttamente l’Isola. Si imparentarono, condivisero fra 1274 e 1276 un breve periodo di fuoruscitismo, e si acccostarono alle città guelfe e filoangioine del retroterra toscano.
L’avversione di Ubaldini per Nino Visconti fu rafforzata anche dal fatto che nell’entourage del giovane e ambizioso capitano del Popolo emersero i nipoti del suo predecessore Federico Visconti (che egli aveva accusato apertamente di aver dissipato in loro favore il patrimonio arcivescovile), e il presule vide di cattivo occhio la svolta ancor più radicale prodottasi nella primavera del 1287, quando il conte Ugolino e Nino Visconti condivisero sia la podesteria sia il capitaniato, aggiungendo per di più a tali titoli quelli, generici ma del tutto inusitati a Pisa, di «rettori, amministratori e governatori del Comune e del Popolo» (Statuti inediti della città di Pisa, 1854, I, pp. 62 s.) e dando vita a una difficile diarchia che portò all’approvazione nell’aprile 1288 di un trattato di pace con Genova assai oneroso per la città (che avrebbe perduto il controllo di Cagliari). Questo episodio determinò la "discesa in campo" di Ubaldini, con un ruolo "politico" prima mai trapelato; le fonti cronistiche riferiscono peraltro in modo diverso gli eventi svoltisi tra la fine di giugno e gli inizi di luglio 1288.
Secondo il racconto dell’annalista genovese Iacopo Doria, in un primo momento l’arcivescovo, il nobile Bacciameo Gualandi «e vari altri magnati e popolari della città, appartenenti alla parte chiamata ‘ghibellina’» (Annali genovesi, 1929, V, p. 85) avevano pensato di ricorrere all’aiuto genovese per rovesciare i due diarchi. Ma combinando il racconto di un breve testo narrativo redatto da un chierico del Duomo e i Fragmenta pisanae historiae editi dal Muratori, si evince che il 30 giugno 1288 Ubaldini promosse, con Bacciameo Gualandi, altri nobili pisani e i due canonici della cattedrale di casa Lanfranchi, una sollevazione contro Nino Visconti, «con saputa e volontà del conte Ugolino» (Fragmenta historiae Pisanae, 1738, col. 651). L’arcivescovo reagiva in tal modo alla violenta sottrazione del castello di Calci (da sempre appartenente alla mensa) perpetrata da Nino, che – trovandosi isolato – vi si rifugiò coi suoi seguaci. Sempre secondo i Fragmenta, Ubaldini e i suoi proposero in quello stesso giorno a Ugolino una diarchia, chiedendo che l’arcivescovo stesso diventasse «suo compagnio in dell'officio, e Signore insieme co lui» (Ivi, col. 652). La convulsa trattativa che ne seguì degenerò, anche per l’intenzione di Ugolino di far entrare in città un contigente di armati al comando del genero Tieri da Bientina; i sostenitori dell’arcivescovo «temendo d'essere ingannati e traditi (...), levonno lo romore a l'arme, a l'arme; e apparecchionosi, e funno a la battaglia l'una parte, e l'autra» (Ivi), sinché il palazzo del Popolo fu conquistato, e Ugolino fu catturato e imprigionato nella torre dei Gualandi, nell’attuale piazza dei Cavalieri (coi figli Gaddo e Uguccione e i nipoti Nino detto ‘Brigata’ e Anselmuccio).
Il 2 luglio 1288, Ubaldini ottenne dal consiglio del Popolo i poteri eccezionali di potestas, rector et gubernator pisani Comunis et populi; si procedette contestualmente a un completo turnover dei Dodici Anziani del Popolo, estromettendo i sostenitori dei Gherardesca e dei Visconti, e iniziando a registrare nel codice detto Breve vetus i collegi anzianali (prassi mantenuta sino al 1406).
A fianco di Ubaldini, che deteneva ora un’autorità politica di tipo eccezionale, vi era dunque il collegio degli Anziani, come conferma Iacopo Doria: il rappresentante genovese, tornato a Pisa, si recò subito «coram dicto archiepiscopo et antianis» (Annali genovesi, V, p. 88).
Ubaldini esercitò i poteri di potestas, rector et gubernator direttamente per un bimestre (fino alla fine di agosto) e successivamente mediante un vicario, Bonaccorso Gobbetta da Ripafratta. Ben presto però (ottobre/novembre) furono ripristinate le ordinarie cariche annuali di podestà e capitano del Popolo. Stando ai Fragmenta, l’arcivescovo (che non è menzionato a fine 1288 a proposito dell’ingaggio di Guido da Montefeltro come capitano generale di guerra e neppure in relazione allo spietato trattamento imposto ai cinque Gherardeschi trattenuti in carcere, tenuti a digiuno sinché non pagavano le rate del riscatto) fu estromesso dal governo della città, ma in realtà il 27 aprile 1289 egli deteneva ancor sempre i titoli di «podestà, rettore e governatore», quantomeno per occuparsi (in condivisione col collegio anzianale, a ciò delegato da una balia del 3 marzo) di una questione squisitamente politica, quale lo status dei "ghibellini" rifugiatisi a Pisa dalle città del retroterra toscano. Fu proprio nella prima metà di marzo che il governo pisano decise di lasciar morire di fame e sete Ugolino, i suoi figli e i suoi nipoti, impossibilitati a pagare l’ennesima, pesantissima "imposta" monetaria loro addossata.
Secondo i Fragmenta, la sorte dei prigionieri si sarebbe consumata fra il 13 marzo (data dell’arrivo in città di Guido da Montefeltro) e i giorni immediatamente successivi. Ammettendo che la balìa ricevuta a inizio mese dagli Anziani riguardasse anche il trattamento da riservare ai cinque prigionieri, le decisioni in materia spettavano dunque, congiuntamente, a essi e all’arcivescovo.
Mentre il complesso equilibrio di poteri e competenze fra Ubaldini, il podestà e il capitano del Popolo ‘ordinari’ e gli Anziani via via in carica si spezzava, e Guido da Montefeltro assumeva nel luglio 1289, oltre alla carica militare anche le due cariche civili (podestà e capitano del Popolo), l’arcivescovo dovette fronteggiare le conseguenze della tragica morte di Ugolino e dei suoi congiunti, la notizia della quale si era presto diffusa. Già il 7 aprile 1289 Ubaldini ricevette da Niccolò IV l’ordine di presentarsi al più presto al proprio cospetto, poiché sia la «pubblica fama», sia «quanto riferito da più persone fededegne» (Les Registres de Nicolas IV, 1898, nr. 2172) (fra le quali è facile riconoscere Nino Visconti) gli attribuivano un coinvolgimento diretto nei recenti e gravissimi avvenimenti verificatisi a Pisa. Prima del 15 giugno Ubaldini raggiunse la Curia papale, che si trovava allora a Rieti; al suo fianco era il fedele Ottaviano, priore di S. Paolo all’Orto.
Da quel momento le notizie diventano incerte e confuse, perché trasmesse quasi solamente da un’altra cronaca pisana in volgare, che contiene la memoria storica e la visione degli avvenimenti proprie dei partigiani di Nino Visconti. Questo testo afferma che Niccolò IV affidò l’esame delle accuse mosse contro Ubaldini al cardinale Iacopo Colonna. A proteggere il nostro per qualche tempo fu, forse, il cardinale Gerardo Bianchi, al quale si erano legati alcuni ecclesiastici nipoti di Federico Visconti: uno dei pochi atti compiuti da Ubaldini in quel giro di anni, di cui sia rimasta notizia documentaria negli archivi pisani, è una concessione "in feudo" di terreni della Mensa arcivescovile in favore degli esponenti della casata viscontile alla quale era appartenuto il suo predecessore, effettuata l’11 giugno 1294. Con l’ascesa al trono pontificio di Bonifacio VIII il procedimento giudiziario dovette però riavviarsi; a informarcene è, di nuovo, solo la cronaca suddetta: Ubaldini avrebbe appreso che sarebbe stato «messo in pregione a pane et acqua in vita sua, perchè questa [ fine fecero ] el Conte Ugolino [ e ] li suoi figliuoli di fame in pregione, unde l'arciveschovo si buttò incontinente boconi in su letto et non volse mai mangiare nè bere. Così si lassò morire disperato et non si sotterò in sagrato» (Cristiani, 1957-1958, p. 101).
Certo è che Ubaldini morì, a Viterbo, nella prima metà di settembre del 1295, lo stesso giorno – come notato da diverse cronache, nessuna delle quali però lo precisa – in cui morì suo fratello Ottaviano, vescovo di Bologna. Sappiamo inoltre che la salma fu tumulata nella chiesa viterbese di S. Maria in Gradi, in un sepolcro di marmo, andato distrutto nel corso del secolo XVIII. Il 20 settembre 1295 Bonifacio VIII era già in grado di eleggere al posto del defunto arcivescovo il proprio camerlengo Teodorico di Orvieto.
Il modo particolare in cui Ruggeri è rappresentato da Dante nei canti XXXII e XXXIII dell’Inferno suggerisce che il poeta si basasse sulla versione degli eventi pisani del 1288-89 fatta circolare fin da subito da Nino Visconti: l’arcivescovo sarebbe stato colpevole dapprima di aver istigato Ugolino a tradire il giovane collega e nipote, poi di aver tradito a propria volta il conte, e infine di essere l’unico o comunque il principale responsabile della decisione di lasciar morire di fame e sete, in prigione, costui con due figli e due nipoti. Donde il doppio supplizio immaginato per lui: ghiacciato nella stessa buca di Ugolino, ma con la nuca straziata dai morsi feroci di costui. Ma già prima che l’Inferno fosse pubblicato, a questa versione ne era stata contrapposta un’altra. Secondo la cronaca fiorentina coeva chiamata comunemente "dello pseudo-Brunetto", che contiene notizie provenienti dagli ambienti, sia «bianchi» sia «ghibellini» (ivi compresi gli Ubaldini di Montaccianico), frequentati da Dante per alcuni anni dopo la condanna del 1302, Ugolino fu catturato e imprigionato «per la mala signoria ch’elli usava, a furore di popolo, colla forza dell’arcivescovo degli Ubaldini» (Testi fiorentini del Dugento, 1926, p. 132); ma ad ordinare, alcuni mesi dopo, di non dar più da mangiare e da bere a lui ed ai suoi figli e nipoti, sarebbe stato il conte Guido da Montefeltro, appena arrivato a Pisa: una punizione durissima, ma commisurata alla colpevolezza del condannato, visto che «questo conte Ugolino fue huomo di così fatta maniera, ch’elli facea morire il popolo di Pisa di fame (...), poi finalmente per fame morio con tutta sua famiglia» (Ivi, p. 133). Questo racconto ebbe tuttavia poca fortuna, sì che a Ubaldini rimase una fama sinistra, che si può dire perduri ancora oggi, isolando la sua figura rispetto alla più ampia cerchia di persone che dovette condividere con lui le decisioni del marzo 1289.
Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico, Acquisto Roncioni (1279 dicembre 29); Archivio storico diocesano di Pisa, Capitolo, Acta Capituli, nr. 2, c. 12v; Arcivescovi, Mensa, Contratti, nr. 12, cc. 323v-324v; Mensa, Libri di Possessi, nr. 1, c. 187v e passim; Convento di S. Caterina, Pergamene, nr. 90; Fragmenta historiae Pisanae auctore anonymo, ed. L.A. Muratori, in RIS, XXIV, Mediolani 1738, coll. 646-652; L. Savioli, Annali Bolognesi, III, 1, Bassano 1795, pp. 474 e 486; Breve Vetus seu chronica Antianorum civitatis Pisarum, a cura di F. Bonaini, in Archivio storico italiano, VI, 2 (1848), pp. 647 s.; Breve Pisani Communis, An. MLXXXVI, in Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, a cura di F. Bonaini, vol. I, Firenze 1854; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, Bologna 18962, II, pp. 56 s.; Les Registres de Nicolas III, a cura di J. Gay, Paris 1898 e ss., nr. 59; Les Registres de Nicolas IV, a cura di E. Langlois, Paris 1905, nr. 2172; Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, a cura di A. Schiaffini, Firenze 1926, pp. 132 s.; Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, a cura di L.T. Belgrano - C. Imperiale di Sant'Angelo, V, Roma 1929, pp. 85-88; E. Cristiani, Gli avvenimenti pisani del periodo ugoliniano in una cronaca inedita, in Bollettino storico pisano, XXVI-XXVII (1957-1958), pp. 92-97; Guido da Vallecchia, Libri memoriales, a cura di M.N. Conti, La Spezia 1973, pp. 41 s.; Le carte arcivescovili pisane del secolo XIII, III, (1272-1299), a cura di N. Caturegli – O. Banti, Roma 1989, nr. 422, pp. 57-60; E. Cristiani, Tre documenti dagli atti perduti della cancelleria comunale, in Bollettino storico pisano, LXI (1992), p. 159. A. Vasina, L’elezione degli arcivescovi ravennati del sec. XIII nei rapporti con la Santa Sede, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, X (1956), pp. 74-81; M. Luzzati, Le origini di una famiglia nobile pisana: i Roncioni nei secoli XII e XIII, in Bullettino senese di storia patria, LXXIII-LXXV (1966-1968), pp. 104-108; A. Hessel, Storia della città di Bologna dal 1116 al 1280, trad. it. a cura di G. Fasoli, Bologna 1975, p. 212; L. Paolini, L’evoluzione di una funzione ecclesiastica: l’arcidiacono e lo Studio a Bologna nel XIII secolo, in Studi medievali, s. 3, XXIX (1988), pp. 129-172; M. Ronzani, La Chiesa cittadina pisana tra Due e Trecento, in Genova, Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento. Per il VII centenario della battaglia della Meloria, Genova 1984, pp. 283-347; Id., San Piero a Grado nelle vicende della Chiesa pisana dei secoli XIII e XIV, in Nel segno di Pietro: la basilica di San Piero a Grado da luogo della prima evangelizzazione a meta di pellegrinaggio medievale, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut - Stefano Sodi, Pisa 2003, pp. 45-47; R. Zagnoni, Capuana da Panico, moglie di Ugolino della Gherardesca, nipote dell’arcivescovo Ruggeri di Pisa, Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, n.s., LX (2009), pp. 42-59; M. Ronzani, L'imprigionamento e la morte del conte Ugolino nelle fonti precedenti e successive a Inferno, XXXIII, in Lectura Dantis Lupiensis, vol. IV (2015), a cura di V. Marucci - V.L. Puccetti, Ravenna 2016, pp. 73-90; Id., Uffici vescovili e mobilità sociale: alcuni esempi pisani dei secoli XIII e XIV, in La mobilità sociale nel Medioevo italiano. 3. Il mondo ecclesiastico (secoli XII-XV), a cura di S. Carocci - A. De Vincentiis, Roma 2017, pp. 160-169; L. Cammelli, Il dominio signorile degli Ubaldini. Dinamiche di sviluppo, ascesa e organizzazione dello spazio politico familiare (dall’XI secolo ai primi anni del Trecento), tesi di dottorato, tutor Prof. S.M. Collavini, Università di Pisa, 2018, pp. 248 s. e passim; L. Salvatelli, Hic requiescit. Epigrafi, lastre tombali, cenotafi, tombe monumentali a Viterbo tra Medioevo e Umanesimo, in IV Ciclo di Studi medievali (Nume, Firenze, 4-5 giugno 2018), Arcore 2018, pp. 396-403: in particolare p. 396.