LEONCAVALLO, Ruggiero (Ruggero)
Nacque il 23 apr. 1857 nel quartiere Chiaia di Napoli, secondogenito del magistrato Vincenzo, pugliese, e di Virginia D'Auria, figlia del pittore Raffaele. Dei molti nomi che compaiono sull'Estratto da' Registri degli atti di nascita del 1857 (riprodotto in Rubboli, tav. 4, pp. 128 s.) avrebbe usato solo il primo, Ruggiero, solitamente indicato Ruggero. Il padre, trasferito nell'estate 1857 a Eboli e poco dopo, come pretore, a Montalto Uffugo (Cosenza), portò con sé la famiglia in Calabria. Qui il piccolo L. apprese i primi rudimenti del pianoforte e visse da vicino una vicenda sanguinosa che nel 1865 costò la vita a un giovane dipendente: l'esito letale di un dramma della gelosia di cui Vincenzo dovette occuparsi in veste di magistrato, mentre il L. l'avrebbe, a suo dire, preso come spunto per la sua opera più nota, Pagliacci, composta a distanza di più di un quarto di secolo dai fatti.
Ritornati a vivere a Napoli, nel 1868, il L. fu avviato agli studi musicali presso il conservatorio: allievo di Beniamino Cesi (pianoforte), di Michele Ruta (armonia), di Lauro Rossi e Paolo Serrao (composizione), frequentò sin da ragazzo i teatri napoletani (in cui cantavano una zia, il mezzosoprano Carolina D'Auria, e uno zio, il tenore Vincenzo Montanaro), e si appassionò all'opera lirica. Per poter continuare gli studi a scuola e in conservatorio a Napoli non seguì il padre, nuovamente trasferito prima ad Arienzo (dove la madre morì nella primavera 1873, poco dopo aver dato alla luce un terzo figlio, Gastone), poi, quale presidente del tribunale, a Potenza. Qui il L. trascorse tuttavia diversi mesi, almeno da marzo a luglio 1876 (come risulta da alcune lettere pubblicate da J. Budden, in R. L. nel suo tempo, pp. 58-60).
Secondo un dattiloscritto conservato alla casa musicale Sonzogno (Milano), intitolato "Appunti vari delle [sic] autobiografici di R. Leoncavallo", forse ricavato da un'intervista concessa dal compositore a un collaboratore della casa editrice, egli avrebbe conseguito sia la licenza liceale (maturità classica) all'istituto Vittorio Emanuele di Napoli sia il diploma di maestro "poco più di sedicenne", quindi nel 1874, perché il L. amava ringiovanirsi di un anno, indicando come sua data di nascita l'8 marzo 1858 (Il Teatro illustrato, luglio 1892, rivista della casa Sonzogno). Più verosimilmente conseguì il diploma di conservatorio nel 1876.
Non si può escludere che il L. abbia assistito alla prima rappresentazione assoluta del ciclo completo DerRing des Nibelungen di R. Wagner a Bayreuth nell'agosto 1876, come da lui stesso affermato: l'ultima delle lettere addotte da Budden come prova del suo soggiorno altrove risale al 14 luglio 1876, sicché sarebbe stato possibile raggiungere Bayreuth in tempo per la prima di Das Rheingold (13 ag. 1876). Del tutto sicura è, per converso, l'infatuazione wagneriana che indusse il giovane musicista a concepire una trilogia operistica, Crepusculum, incentrata sul Rinascimento fiorentino, sul modello del Ring, forte anche degli stimoli ricevuti da G. Carducci, il cui magistero attese per alcuni anni all'Università di Bologna, senza tuttavia giungere al traguardo della laurea. L'altro progetto lirico a cui si dedicò a Bologna, verso il 1877, fu un Tommaso Chatterton, da Alfred de Vigny, che si sarebbe dovuto rappresentare al teatro del Corso e che invece dovette attendere ancora una ventina d'anni prima di giungere alle scene (nel 1878 fu pubblicato a Bologna il solo libretto, nella versione originaria in quattro atti).
Tornato a Potenza per gli obblighi di leva (nell'inverno 1877-78), cui si sarebbe sottoposto poi, dopo soli tre mesi, in sua vece il primogenito Leone, "per iscambio di fratello" (il Foglio di congedo illimitato, in Rubboli, tav. 9), il L. decise di raggiungere in Egitto lo zio Giuseppe, il più giovane dei cinque fratelli del padre, il quale, coinvolto a suo tempo in cospirazioni antiborboniche, era lì riparato da molti anni, ed era giunto a ottenere il posto di direttore generale della stampa presso il ministero degli Esteri. In Egitto il L. lavorò come maestro di pianoforte di Mahmud Hamid, fratello del chedivè, nonché come pianista, dando concerti e lezioni nell'ambito della comunità italiana. Dopo circa quattro anni di soggiorno, dal 1879 al 1882, il mutato clima politico, che si manifestò con episodi di aperta ostilità contro gli stranieri occidentali, lo indusse a ritornare in Europa. Raggiunta Parigi nell'estate 1882, vi si stabilì, dando inizio alla sua carriera come pianista di café chantant e all'Eldorado, per poi approdare ai salotti alla moda e all'ambiente teatrale come maestro di canto, accompagnatore pianistico e autore di fortunate romanze da camera, pubblicate da noti editori, come Choudens. Frequentando musicisti quali Ch. Gounod e J. Massenet, conobbe il baritono Victor Maurel, l'eletto interprete verdiano, primo Jago in Otello (1887) e futuro creatore del ruolo di Falstaff (1893). Sposatosi con la francese Berthe Rambaud, sua allieva di canto, il L., dopo sei anni a Parigi, tornò in patria e, attratto dal centro della vita musicale del Paese, fissò la sua dimora a Milano, dove continuò a svolgere attività pianistica e di maestro di canto. Presentato da Maurel, tentò di convincere il maggiore editore musicale, Giulio Ricordi, della validità del suo antico progetto operistico: I Medici, primo pannello del ciclo rinascimentale, acquistato, ma senza che se ne realizzasse la messinscena.
Sarà solo il successo, tanto inatteso quanto clamoroso, di Cavalleria rusticana di P. Mascagni (1890) a spingere il L. a cercare di uguagliarlo con un'opera breve, drammaticamente densa e non troppo difficile da rappresentare, come per l'appunto la Cavalleria, tratta da Verga. Sulla spinta della fortunata ambientazione siciliana dell'atto unico mascagnano, il L. scelse come scenario la Calabria, fondendo ricordi d'infanzia con tematiche suggeritegli dalle frequentazioni artistiche parigine. Invero, Pagliacci, questo il titolo del nuovo "dramma in due atti" composto su libretto proprio in soli cinque mesi, contiene rilevanti analogie drammaturgiche e testuali con l'opera in due atti Tabarin di émile Pessard su testo di Paul Ferrier, rappresentata all'Opéra il 12 genn. 1885. L'opera del L. fu acquistata dal maggiore concorrente di Ricordi, Edoardo Sonzogno, e subito rappresentata al teatro Dal Verme a Milano, il 21 maggio 1892.
Diretta da A. Toscanini, con una compagnia comprendente Adelina Stehle, F. Giraud e Maurel, l'opera colse un successo incontrastato, cui sarebbe seguito a brevissima distanza di tempo un numero enorme di allestimenti: nello stesso 1892 approdò ancora a Vienna e a Berlino, e nel 1893 seguirono Praga, Budapest, Londra, New York, Buenos Aires, Dublino, Stoccolma, Città del Messico, Basilea, Mosca, San Pietroburgo; nel 1894 Zagabria, Malta, Varsavia, Riga, Bordeaux; nel 1895 Bruxelles, Copenaghen, Città del Capo e poi Helsinki (1896), Lisbona (1897), Parigi (1899, 1902 e 1910), Oslo (1906), Madrid (1908), Sofia (1909) e molti centri minori. Nei soli paesi di lingua tedesca, in una trentina d'anni, quest'opera avrebbe totalizzato 6578 recite, in ciò superata unicamente da Cavalleria rusticana (9236 recite tra il 1891 e il 1921), mentre le opere del maggiore compositore italiano coetaneo del L. e di Mascagni, G. Puccini, avrebbero raggiunto cifre decisamente meno alte. Alla Metropolitan Opera di New York Pagliacci totalizzò ben 407 recite tra il 1893 e il 1985 (un numero superato solo da alcuni titoli di G. Verdi, Puccini, G. Bizet e Gounod) e al théâtre national de l'Opéra-Comique di Parigi, Paillasse fu dato 477 volte tra il 1910 e il 1950: in un sistema di produzione basato sul successo di botteghino, quale fu quello del melodramma italiano dell'Ottocento, il L. era riuscito, a trentacinque anni, a entrare nel novero dei maestri di punta.
Sull'onda dell'entusiasmo suscitato da Pagliacci, finalmente venne anche il momento dell'opera I Medici, riacquistata da Ricordi e messa in scena al Dal Verme il 10 nov. 1893, direttore Rodolfo Ferrari, con Adelina Stehle nel ruolo di Simonetta Cattanei e Francesco Tamagno (primo Otello verdiano) in quello di Giuliano de' Medici. Tuttavia, forse perché il pubblico si aspettava una partitura nello stile dei Pagliacci, con protagonisti più o meno realistici e dal coltello facile, o perché la grande intelaiatura storica incentrata sulla congiura dei Pazzi non convinse fino in fondo, il successo di pubblico fu meno immediato, suscitando solamente poche riprese: Berlino e Mosca (1894), Praga e Milano (teatro alla Scala, 1895), Buenos Aires (1898). Più recentemente, nel 1993, I Medici è stata eseguita in forma di concerto a Francoforte sul Meno, con Daniela Longhi, G. Giacomini e R. Bruson, diretti da M. Viotti.
Non riuscirono a imporsi né il giovanile TommasoChatterton, rappresentato in una nuova versione in tre atti al teatro Nazionale di Roma il 10 marzo 1896, né La bohème, tratta dal romanzo di H. Murger (6 maggio 1897, alla Fenice di Venezia). La bohème del L. non fu favorita dall'essere giunta sulle scene quindici mesi dopo l'omonima opera di Puccini (che avrebbe scelto questo soggetto solo dopo che gliene aveva parlato lo stesso L., come sostenne quest'ultimo) e neanche da un certo squilibrio tra i due primi atti, non lontani dall'operetta, e gli ultimi due, in cui l'attenzione viene tardivamente focalizzata su Mimì e Rodolfo: dapprima al centro dell'azione erano stati Marcello e Musetta, cui peraltro spetta il numero più avvincente dell'intera partitura, un delizioso valzer leggero.
Delle opere successive unicamente Zazà, tratta dalla pièce di P. Berton e Ch. Simon, diretta alla prima assoluta da Toscanini, con Rosina Storchio come protagonista (Milano, teatro Lirico Internazionale, 10 nov. 1900), sarebbe entrata nel repertorio, rimanendovi fino alla fine degli anni Venti con significative riprese negli anni Quaranta (con Mafalda Favero e M. Del Monaco) e Sessanta (con Clara Petrella e G. Campora); nel 1995 fu diretta da G. Gavazzeni a Palermo, con protagonista Denia Mazzola. In Zazà rivive l'ambiente del caffè-concerto, sapientemente dipinto per esperienza diretta dal L., che nel primo atto diede luogo a un riuscito episodio metateatrale riallacciato all'analoga scena dei Pagliacci, pur non raggiungendone il forte impatto emotivo.
Il trionfo berlinese dei Pagliacci, confermato dall'esito de I Medici, fruttò al L. la commissione da parte dell'imperatore Guglielmo II di un'opera celebrativa della dinastia degli Hohenzollern, ma né l'effimero successo di Der Roland von Berlin, rappresentato nella capitale tedesca il 13 dic. 1904, né Maià (Roma, teatro Costanzi, 15 genn. 1910), né Zingari (da Puškin, Londra, Hippodrome, 16 sett. 1912), né tantomeno Goffredo Mameli (Genova, Carlo Felice, 27 apr. 1916) riuscirono a risollevare le sorti del compositore, che si vide sempre più emarginato dal mondo dell'opera, con gravi ripercussioni anche sulle sue finanze. Non gli fu più possibile mantenere lo stile di vita abbastanza elevato degli anni dell'improvvisa fama internazionale, e nel 1916 dovette vendere la villa che si era costruito nel 1906 a Brissago (in Svizzera), dove risiedeva già dagli anni Novanta. Visto il suo innegabile talento di melodista e una certa vena comica, il L. finì per ripiegare sull'operetta, cogliendo diversi successi anche duraturi, tra cui Malbruk (Roma, teatro Nazionale, 20 genn. 1910) e La reginetta delle rose (data contemporaneamente al Costanzi di Roma e al politeama Giacosa di Napoli il 24 giugno 1912).
Gli ultimi anni di vita furono segnati dal cattivo stato di salute: il diabete lo aveva costretto a ripetute cure a Montecatini, dove morì il 9 ag. 1919.
L'ultima opera, rimasta incompiuta, Edipo re, dramma in un atto tratto da Sofocle, su libretto di G. Forzano, fu completata dall'amico G. Pennacchio e rappresentata a Chicago il 13 dic. 1920, con protagonista Titta Ruffo, già celeberrimo Tonio in Pagliacci.
La questione degli interpreti non è marginale in L.: più che in altri autori il suo teatro si fonda sulla presenza scenica di cantanti-attori di prim'ordine. Solo la loro partecipazione può assicurare quell'effetto teatrale che un soverchio sentimentalismo rischia talvolta di compromettere, dato che il livello tecnico della costruzione delle partiture non sempre può competere con quello degli altri operisti della Giovane Scuola: soprattutto Puccini, ma anche A. Franchetti pare superiore al L. per sapienza contrappuntistica (prova ne sia il suo Cristoforo Colombo del 1892). Venuta a mancare la tradizione interpretativa di cantanti quali Gemma Bellincioni, Emma Carelli, Emmy Destinn, Geraldine Farrar, Carmen Melis, Rosina Storchio, le opere meno note del L. finirono per essere messe da parte e solo saltuariamente riprese in condizioni non ottimali. Diverso è ovviamente il caso di Pagliacci, che anche grazie a un ruolo allettante virtualmente per ogni tenore drammatico o di forza, da Enrico Caruso ad Aureliano Pertile, da Giovanni Zenatello a Jussi Björling, da Beniamino Gigli a Placido Domingo, è considerata tuttora un temibile banco di prova, insieme con Cavalleria rusticana, per chiunque voglia confrontarsi con la vocalità verista.
Pagliacci fonda il suo immenso e intramontabile successo internazionale non solo su indovinate scelte di scrittura vocale e su di un melodismo forse talvolta ingenuo ma molto incisivo; esso trae alimento dall'originale realizzazione di un antico espediente drammaturgico, il gioco del teatro sul teatro. Il modo in cui il L. riesce a contrapporre dapprima, e poi a sovrapporre (facendoli combaciare) i due livelli della rappresentazione, autentica e fittizia, a fini non evasivi bensì essenziali per l'esito finale, è un colpo da maestro che si colloca, sì, nel solco di Amleto, ma che nel teatro d'opera ottocentesco non ha eguali. L'interrogativo pre-pirandelliano di Recitar! / Vesti la giubba è assurto a momento icastico del teatro tout court, e non a caso esso costituisce il perno intorno al quale ruotano tutti gli episodi del film Aria (1988, di R. Altman, J.-L. Godard, K. Russell e altri sette registi).
Con l'acquisto da parte del Canton Ticino del lascito del L., collocato e catalogato alla Biblioteca cantonale di Locarno, gli studiosi hanno a disposizione un gran numero di fonti, dalla cui sistematica esplorazione traggono origine i convegni scientifici che vi si svolgono fin dal 1991, determinando una considerazione più sfumata e meno schematica della poliedrica personalità del Leoncavallo.
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