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RUIZ de ALARCÓN y MENDOZA, Juan

di Salvatore Battaglia - Enciclopedia Italiana (1936)
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RUIZ de ALARCÓN y MENDOZA, Juan

Salvatore Battaglia

Poeta drammatico spagnolo, nato a Città di Messico poco dopo il 1580, morto a Madrid il 4 agosto 1639. Il padre, ch'era "maestro di campo" di Filippo II, era stato destinato all'amministrazione della Real Hacienda della Nuova Spagna, dove si fermò qualche anno, ritornando in Spagna col figlio ancora giovinetto (1600); la madre apparteneva alla potente famiglia dei Mendoza, e di questa duplice nobiltà R. de A. si gloriò sempre, ossequiente com'era alle forme sociali e indulgente soprattutto a certa vanità aristocratica, che gli procurò perfino qualche epigramma burlesco. A Salamanca seguì gli studî di diritto per cinque anni, e nel 1606 esercitava la professione a Siviglia, dove dimorò quasi tre anni. Alla fine del 1608 ritornava nel Messico, che lasciava a metà del 1613, deluso per la mancata riuscita a una cattedra universitaria. A Madrid non gli mancò la protezione di qualche potente, primo il marchese di Salinas, viceré del Messico e allora presidente del Consiglio delle Indie, né gli fu negata l'accoglienza negli ambienti della corte, a cui gli davano diritto la sua nascita e la sua educazione aristocratica. Dal Messico R. de A. portava con sé qualche commedia, che peraltro aveva composto precedentemente - a Salamanca e a Siviglia soprattutto - sempre ispirandosi alla più pura tradizione del teatro castigliano e assolutamente prive di colori e di risonanze messicane o comunque di spunti che potessero richiamarsi alla vita e alla cultura della terra natia. Alle prime rappresentazioni, nel 1614, ebbe qualche forte contrasto, determinato oltre che dai caratteri particolari della sua produzione, anche dall'ostilità che s'era attirata negli ambienti letterarî della capitale. Tuttavia nel 1617, mancatagli la protezione del suo mecenate, fu assunto alla corte, nonostante le aspre satire di cui era fatto segno; con Lope de Vega si guastò presto (nel 1620 l'attaccava in Los pechos prisuegiados), mentre con Tirso de Molina collaborava dal 1619 al 1623; in questi anni e nei seguenti era assorbito interamente dalla vita accademicoletteraria, occupato piuttosto a difendersi e a replicare con offese anziché a creare per il teatro. Risalgono infatti a questo periodo molti epigrammi, qualche décima, qualche redondilla, alcune seguidillas satiriche e parecchi sonetti, ma complessivamente ben poche commedie, specie se si considera la fertilità vertiginosa degli autori contemporanei. Nel 1626 lasciava il teatro e accettava il posto di relatore nel Consiglio delle Indie. Delle sue commedie egli stesso curò l'edizione di una Primera Parte (1628) e di una Segunda Parte (1634), limitandosi per lo più a riprendere quelle già composte, incapace di uscire dalla sterilità a cui s'era venuto adattando, ma che del resto era in lui segno di controllo artistico e misura spirituale.

Vissuto quando il teatro spagnolo raggiungeva la sua più matura espressione, R. de A. ebbe il merito, assai singolare nel suo tempo, di uscire dalle vie battute e di concepire la vita drammatica con finalità personalissime. Seguace di Lope de Vega e legato a Timo de Molina, ce tesoro delle loro lezioni, ma si orientò verso un'arte più riposata, anche se meno eroica, più obbediente al freno morale e aliena dalla febbrile fecondità degli autori contemporanei. Le commedie che ci rimangono di R. de A. attestano la misura fantastica e stilistica con cui egli componeva: alla varietà di contenuti e di atteggiamenti da cui era invaso il teatro spagnolo, egli preferì toni più coerenti e tenui più continui; cercò gl'interessi e le figure dei suoi drammi in una realtà più vicina, rifuggendo dal mondo leggendario e pseudostorico allora di moda; sentì i sentimenti e le situazioni che si determinavano più direttamente nell'anima comune, senza indulgere alla passionalità spesso allucinante dei suoi coetanei e dello stesso Lope; tradusse i suoi ideali umani con un equilibrio formale a cui non venne mai meno, nonostante il costume gongorista, magniloquente e spettacoloso che penetrava anche negli spiriti più originali. Il decoro aristocratico, che R. de A. sentì non come elemento esornativo e cortigianesco, ma come disciplina spirituale, si riflette nel suo teatro, dall'intuizione dei tipi e delle scene allo stile piano, garbato, fatto di controllo e di meditazione. Tutti questi caratteri, assieme all'orgoglio della sua vita privata, procurarono allo scrittore l'impopolarità e gli suscitarono i più aspri contrasti che la cronaca teatrale ricordi; ma in fondo documentano essi stessi la novità della sua immaginazione, che volle inaugurare un teatro più strettamente etico, nel quale l'umanità rispecchiasse i suoi difetti e le sue qualità alla luce d'una morale, sempre con lo scopo di ristabilire negli animi una disciplina. Cosicché fra le sue commedie sono meno personali le poche che si attengono agli schemi di Lope e di Tirso, anche se non difettano di grazia e di agilità (La industria y la suerte; El semejante a si mismo; El desdichado en fingir; La cuerda de Salamanca); e invece risolvono pienamente il mondo morale del poeta quelle che approfondiscono la rappresentazione di un carattere e di una qualità spirituale: l'ingratitudine, in La prueba de las promesas; la maldicenza, in Las parades oyen; la menzogna, in La verdad sospechosa; l'incostanza, in Mudarse por mejorarse; l'egoismo, in No hay mal que por bien no venga; il problema matrimoniale, in El examen de maridos: tutte in forma negativa, mentre qualcuna, come Los favores del mundo (sulla costanza nelle avversità), svolge un assunto positivo. In altre, di carattere eroico e drammatico, R. de A. segue le tracce comuni, traendo l'ispirazione dal mondo religioso (El Anticristo), dalla tradizione storica (La crueldad por el honor; La culpa busca la pena, y el agravio la venganza; la seconda parte del Tejedor de Sevilla, ché la prima è di autore anonimo; ecc.), dall'elemento fantastico (Quien mala anda, en mal acaba). Il suo atteggiamento predominante, serio e pensoso, è sempre immerso nella dialettica drammatica, sicché gl'intenti morali non si cambiano in oratoria pedagogica, ma dànno il colore stilistico a tutta la commedia: una certa malinconica visione della vita, che tende al bene per vie traverse o lo ritrova quando ormai è tardi e l'anima s'è già impigliata nelle storture e nelle debolezze: da ciò il particolare fascino della sua arte, che coglie le tinte delicate e gentili della condotta umana e non cade mai nelle forme astratte e stilizzate a cui indulgevano a volte, per amore del successo, Lope e Tirso e poi Calderón. Fra tutte, La verdad sospechosa è la più riuscita, e servì largamente a Corneille per Le menteur, non solo per le situazioni, l'azione generale e il carattere del protagonista, ma soprattutto per i procedimenti artistici, tanto che il drammaturgo francese affermava di dare le sue due migliori opere per questa di R. de A. Anche il Bugiardo del Goldoni s'ispira all'opera dell'autore spagnolo.

Ediz.: Comedias a cura di J. E. Hartzenbusch, in Bibl. Aut. Esp., XX, ristampa, Madrid 1925 (si vedano anche i voll. XLII e LII). Ediz. parziali nei Clásicos castellanos, a cura di A. Bonilla (No hay mal que por bien no venga, Madrid 1916), di A. Reyes (Teatro, Madrid 1918); La verdad sospechosa, con introduzione e glossario a cura di A. L. Owen, Nen York 1931.

Bibl.: F. Rodríguez Marín, Nuevos datos para la biografía de J. R. de A., Madrid 1912; P. Henriquez Urena, J. R. de A., Messico 1913; R. Monner Sans, R. de A.: el dramaturgo, el moralista, Buenos Aires 1915; N. Rangel, Notícias biográficas del dramaturgo mexicano J. R. de A., in Boletín de la Biblioteca Nacional de México (1913 e 1915); S. Griswold Morley, Studies in Spanish dramatic Versification of the Siglo de Oro, in Univ. California Publications, ecc., VII (1918), pp. 131-173; A. Reyes, R. de A., in La Lectura, II (1918); C. Vázquez-Arjona, Elementos autobiográficos e ideológicos en el teatro de A., in Revue hisp., LXXIII (1928), pp. 557-615; D. Schons, Apuntes y documentos nuevos para la biografía de J. R. de A. y M., in Boletín de R. Acad. de la Historia, XCV (1929), pp. 59-151; A. González y Palencia, R. Ramírez y las fuentes de la comedia "Quien mala anda, en mal acaba" de J. R. de A., Madrid 1930.

Vedi anche
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