Ruoli maschili e femminili
1. La costruzione dei ruoli di genere
I ruoli maschili e femminili sono il prodotto di processi interattivi di costruzione e di interpretazione. In questa definizione vengono associati la teoria dei ruoli e l'approccio costruttivista: se si applica la teoria dei ruoli sviluppata da Heinrich Popitz (v., 1967) all'analisi dei ruoli maschili e femminili, questi ultimi possono essere definiti come "insiemi di norme di comportamento" (ibid., p. 21) indirizzate agli individui di un determinato genere (culturalmente definito) in quanto differenti dagli individui di un altro genere (culturalmente definito). Da un lato la definizione dei ruoli di genere limita la molteplicità e la variabilità delle inclinazioni e dei temperamenti individuali, in quanto sulla base di tali ruoli non sono più considerati socialmente leciti tutti i comportamenti; d'altro canto l'agire sociale determinato dai ruoli di genere produce tensioni culturali che possono essere trasformate in senso socialmente produttivo (v. Schelsky, 1955, pp. 22-23). In che modo operi in concreto questo duplice effetto di restrizione e di produttività sociale, e quali siano le sue conseguenze specifiche sui detentori dei rispettivi ruoli, è un problema aperto che va indagato sul terreno empirico.
Al pari di altri ruoli sociali, anche i ruoli di genere sono connessi a determinate posizioni all'interno di una data struttura sociale. Di conseguenza 'uomo' e 'donna' non sarebbero da considerarsi ruoli, mentre lo sarebbero 'madre' e 'padre', 'moglie' e 'marito', poiché questi ultimi fanno riferimento a posizioni che sono costitutive per la struttura della famiglia o del matrimonio. Anche i ruoli di genere sono inseriti in una rete di relazioni che assicura la validità delle norme di comportamento in determinate situazioni. Di questo contesto relazionale fanno parte i seguenti tipi di attori: i mittenti delle norme, ossia quei membri della società che sono in condizione di stabilire e di imporre in modo vincolante norme di comportamento sistematicamente interconnesse; i soggetti (o titolari) delle sanzioni, ossia quei membri della società che in caso di violazione delle norme hanno la facoltà di decidere e applicare sanzioni e meccanismi di controllo. In tale rete di relazioni i detentori dei ruoli di genere sono da un lato destinatari delle norme, in quanto a essi sono imposte in modo vincolante norme di comportamento differenziate a seconda del genere da parte dei produttori di norme; dall'altro lato sono però anche beneficiari delle norme, poiché come destinatari di queste ultime godono di una serie di vantaggi e di diritti (v. Popitz, 1967, pp. 23-27). Dai ruoli di genere vanno nettamente distinti da un lato determinati tipi comportamentali maschili e femminili (come ad esempio la vamp, la bas bleu, il dandy, il macho, ecc.), dall'altro regole di comportamento generali, abitudini, usanze e costumi propri di ciascun genere (ad esempio: "un ragazzo non piange!" o "le donne e i bambini vanno protetti!"). Tipi, regole, abitudini, usi e costumi tuttavia non sono affatto irrilevanti per i ruoli di genere: possono farne parte (come ad esempio il tipo comportamentale del macho è parte integrante del ruolo del marito tradizionale); possono facilitare ai detentori del ruolo l'adempimento dei doveri e delle norme ad esso associate (così, ad esempio, l'abitudine inculcata nelle donne sin da bambine di dare ascolto al partner dell'interazione rende loro più facile lo svolgimento di ruoli professionali di assistenza alle persone); ma possono anche rendere difficile l'esplicazione di un ruolo di genere (così ad esempio l'abitudine di non mostrare i propri sentimenti inculcata negli uomini rende loro difficile esercitare professioni - come il medico, il sacerdote o l'assistente sociale - in cui l'espressività è parte delle aspettative normative).
La distinzione tra ruoli ascritti e ruoli acquisiti introdotta da Ralph Linton (v., 1936) è alla base di una tradizione sociologica secondo cui i ruoli di genere sarebbero ascritti, a differenza dei ruoli professionali che sarebbero invece 'acquisiti'. In questa prospettiva i ruoli di genere farebbero riferimento a caratteri 'naturali' e quindi costanti degli individui, che a seconda del tipo di società, dell'epoca storica e della situazione dell'azione vengono rielaborati culturalmente e cristallizzati in prescrizioni di ruolo. La distinzione tra una 'base biologica' e la sua interpretazione culturale su cui si fonda tale concezione è stata riformulata successivamente nel quadro del dibattito sociologico sull'eguaglianza tra i generi attraverso la contrapposizione tra 'sesso' e 'genere' (v. ad esempio Heintz, 1993). La distinzione tra ruoli ascritti e ruoli acquisiti introdotta da Linton è stata ripresa da Talcott Parsons e Robert F. Bales (v., 1955) e applicata alla teoria dell'azione sociale. Secondo i due autori, la differenziazione tra ruoli maschili e femminili nel processo di socializzazione avverrebbe attraverso l'interiorizzazione delle norme e dei valori associati a tali ruoli. Una volta interiorizzati e consolidati, i ruoli di genere influenzerebbero come elemento strutturale in particolare la famiglia nucleare, in cui l'uomo assume il ruolo strumentale, orientato verso l'esterno, e la donna il ruolo espressivo orientato verso l'interno.
Questa concezione per lungo tempo dominante nella sociologia viene oggi messa in questione dagli esponenti dell'orientamento costruttivista, secondo cui i ruoli di genere sarebbero frutto di un processo di costruzione e di interpretazione culturale nell'ambito dell'interazione. Attraverso l'adozione/rappresentazione dello stile proprio di un determinato genere viene rivendicato il diritto all'acquisizione di quel ruolo di genere. Secondo Hirschauer (v., 1993, p. 49) l'appartenenza di genere diventa un dato di fatto allorché il genere rappresentato e rivendicato dal soggetto in una situazione specifica coincide con quello che gli viene attribuito dal partner dell'interazione.
Associando questo approccio costruttivistico con la teoria dei ruoli, si ha il seguente quadro: rivendicando il diritto di appartenere a un determinato genere ed esprimendo tale appartenenza con l'adozione dello stile proprio di quel genere, gli individui assumono nello stesso tempo anche l'obbligo sociale di diventare destinatari e beneficiari delle norme di comportamento relative a quel genere precedentemente stabilite in una data situazione dell'azione. Se i partners dell'interazione accettano i ruoli di genere rivendicati, ciò significa che essi come produttori di norme ed eventualmente anche come responsabili delle sanzioni fungono da istanze di controllo del comportamento conforme al ruolo di genere. Solo quando la questione dell'appartenenza di genere viene definita sul piano sociale in una data situazione può svolgersi la dinamica dell'interazione propria dei ruoli di genere tra destinatari delle norme, produttori delle norme e responsabili delle sanzioni. La rivendicazione dell'appartenenza a un determinato genere che trova espressione nell'adozione/rappresentazione dello stile proprio di quel genere ha conseguenze importanti e durature, che spesso trascendono la situazione specifica dell'azione, sia per i detentori di ruolo che per gli attori della rete di relazioni a essi connessa. Questo primo aspetto attiene alla relativa costanza dell'attribuzione del ruolo di genere una volta che questa sia stata acquisita. Ciò non significa peraltro che il problema dell'appartenenza di genere non possa essere nuovamente sollevato, imprimendo un nuovo indirizzo alla dinamica dell'interazione. Questo secondo aspetto attiene alla modificabilità dei ruoli maschili e femminili. Proprio la tensione tra costanza e mutamento, tra fissità e apertura dei ruoli di genere 'concordati' determina l'attrazione che riveste l'agire sociale orientato ai ruoli di genere, ma nello stesso tempo è all'origine della sua intrinseca ambivalenza, che oggi sembra particolarmente accentuata. Questa mescolanza di attrazione e di incertezza nel rapporto con i ruoli di genere contraddistingue anche l'atteggiamento degli scienziati sociali che si sono occupati dell'analisi dei ruoli femminili e maschili.
2. Fondamenti della costruzione dei ruoli di genere
Nell'analisi dei ruoli maschili e femminili sviluppata in chiave costruttivistica - che costituirà il quadro di riferimento teorico della presente trattazione - una questione essenziale riguarda i criteri su cui si basano i produttori di norme allorché stabiliscono le differenze tra i generi e attribuiscono valore vincolante ai relativi ruoli. Nelle varie situazioni empiriche i mittenti delle norme e i responsabili delle sanzioni si richiamano a una pluralità di elementi che vengono poi cristallizzati, in combinazioni diverse, in tipi di argomentazione e in modelli interpretativi che spiegano e giustificano la differenziazione dei ruoli maschili e femminili. Analizzeremo qui quattro tipi di argomentazioni su cui si basa la costruzione dei ruoli, i quali sia singolarmente che in varie combinazioni hanno favorito l'affermarsi di una differenziazione tra ruoli maschili e femminili e contribuiscono ancora oggi a mantenerla in vita: tali argomentazioni si richiamano rispettivamente alla sfera biologica/fisiologica, alla sessualità, alla religione e alla divisione del lavoro.
La diversa costituzione biologica o 'natura' maschile e femminile costituisce probabilmente il criterio culturalmente più diffuso e il più persistente nel tempo in base al quale istituire una distinzione tra 'maschi' e 'femmine' da cui derivare norme vincolanti differenziate per i due generi. Medici, sacerdoti, politici, datori di lavoro, ma anche le donne stesse appaiono nelle vesti di potenti produttori di norme allorché si richiamano alla diversa 'natura' maschile e femminile per legittimare differenze di ruolo e di comportamento. Con riguardo alla diversa 'natura' dei generi sono state avanzate perlomeno tre interpretazioni distinte.
In primo luogo, vi è l'idea che le differenze biologiche tra l'organismo maschile e quello femminile spieghino e giustifichino la differenziazione degli obblighi, dei diritti e delle funzioni tra uomini e donne nella società. D'altro canto le specifiche differenze di ruolo che vengono derivate dal dimorfismo sessuale variano notevolmente nelle diverse culture ed epoche storiche. In alcune culture la facoltà di generare della donna è alla base di un ruolo materno cui si attribuisce un alto valore sociale, e dal quale scaturiscono ulteriori diritti speciali sia all'interno che all'esterno della sfera domestica: in alcuni casi l'alta considerazione di cui è oggetto il ruolo materno dà luogo a una particolare forma di potere, il matriarcato, diffuso soprattutto nelle società tradizionali. La funzione procreativa della donna d'altro canto ha anche fornito la giustificazione per la limitazione spaziale, giuridica e sociale del ruolo femminile. Quanto più il ruolo materno sotto l'aspetto educativo, emozionale e morale è considerato centrale e dominante nel complesso dei ruoli femminili (v. Merton, 1957), tanto più l'assunzione di altri ruoli viene normativamente proibita e socialmente ostacolata, in quanto pregiudicherebbe lo svolgimento del ruolo materno. Questo conflitto inter-ruoli influisce altresì in modo particolare sulla percezione del ruolo di moglie, cosicché all'interno della famiglia nelle società occidentali si crea una tipica tensione tra 'madre forte e moglie debole' (v. Johnson, 1995). Proprio l'enfatizzazione del ruolo materno da parte della Chiesa, dei medici, dei padri di famiglia e delle madri stesse spesso ha come conseguenza un rovesciamento dialettico, per cui le donne in quanto madri nell'ambito domestico esercitano una sorta di matriarcato che si fonda sulla loro superiorità nella gestione della casa, nei servizi e nell'assistenza alle persone, nelle attività pratiche e nella sfera emozionale.
La facoltà della donna di decidere se e quando mettere al mondo un figlio storicamente è sempre stato oggetto di controversie. Il fatto che l'uomo e la politica si siano appropriati di questa facoltà decisionale ha portato alla proibizione dell'aborto. Solo nella seconda metà del XX secolo - perlomeno nelle società occidentali industrializzate - l'aborto è stato liberalizzato, ma ciò non significa che il diritto all'autodeterminazione della donna in rapporto al proprio corpo si sia definitivamente affermato e abbia trovato pieno riconoscimento. Nel costante riaccendersi del dibattito sulla questione dell'aborto emergono chiaramente concezioni di volta in volta diverse dei ruoli maschili e femminili in rapporto al diritto di disporre del corpo femminile. Attraverso l'analisi sociologica di tali contrasti politici è quindi possibile studiare la differenza dei ruoli sessuali nel suo mutamento storico e interculturale.In secondo luogo, a partire dalle presunte differenze biologiche tra i due sessi vengono derivate e consolidate strutturalmente anche quelle differenze di ruolo legate alla diversa forza fisica dell'uomo e della donna. Sulla base del loro ruolo paternalistico universalmente rivendicato, gli uomini in qualità di datori di lavoro, politici e medici hanno avocato a sé anche il diritto morale di precludere alle donne l'esplicazione di quei ruoli che da un punto di vista maschile comportano un 'lavoro fisico pesante'. Di conseguenza nelle moderne società industrializzate del mondo occidentale i lavori pesanti in fabbrica e nelle costruzioni stradali, in mare aperto, in miniera, o in orario notturno, sono rimasti tipicamente riservati agli uomini. Per contro il lavoro - fisicamente non certo meno gravoso - di madre, di moglie e di casalinga, di infermiera, di assistente degli anziani e di contadina, è stato ritenuto generalmente adatto alle capacità fisiche e alle caratteristiche biologiche femminili. L'esclusione delle donne dal servizio militare, tradizionalmente giustificata con il richiamo alla funzione procreativa e alla debolezza fisica del sesso femminile, è cessata solo quando le forze armate si sono progressivamente tecnologizzate e lo 'scontro fisico diretto' con il nemico ha assunto un ruolo marginale nei conflitti armati.In terzo luogo, il richiamo a una presunta differenza biologica tra uomo e donna è di estrema importanza per il modo in cui vengono interpretate le differenze dei ruoli di genere non solo nell'ambito del lavoro fisico, ma anche in quello del lavoro intellettuale. Partendo dalla constatazione che il cervello maschile è più pesante e più voluminoso di quello femminile, si è sostenuto che le professioni intellettuali che comportano astrazione e progettazione sarebbero domini tipicamente 'maschili' (v. Stolzenberg-Bader, 1989, pp. 763-767). Da tale convinzione sono derivati numerosi stereotipi negativi, come ad esempio quello dell'incapacità femminile di pensiero logico e astratto. Queste caratteristiche negative che gli uomini hanno attribuito alle donne e che esse dal canto loro hanno accettato interiorizzandole, si sono cristallizzate in costrutti ideologici i quali hanno legittimato l'esclusione fattuale delle donne dai settori chiave della società. Così, ad esempio, l'accesso alle università è stato negato alle donne sino all'inizio del XX secolo. Anche l'esclusione dalle posizioni direttive nella Chiesa, nell'economia, nella politica, nella cultura e nell'educazione è stata giustificata col fatto che nelle donne sarebbero meno sviluppate le capacità di comando, di coordinazione e di creatività. D'altro canto determinati meccanismi di esclusione operano anche per l'uomo al quale, in quanto ritenuto meno capace di occuparsi degli altri e di prestar loro cure e assistenza, è stato per lungo tempo precluso l'accesso alle attività professionali che richiedono doti di questo tipo. Ancor oggi trova scarso riconoscimento sociale l'uomo che decide di dedicarsi alla cura della casa e dei figli e di usufruire dei congedi di paternità cui spesso ha diritto per legge.
La differenziazione dei ruoli maschili e femminili basata su presunte diversità fisiologiche o 'naturali' trasforma inoltre tanto l'uomo quanto la donna in beneficiari dei rispettivi ruoli. A motivo della loro presunta inferiorità fisica, alle donne viene tradizionalmente riconosciuto il diritto di essere protette e assistite. Esse dal canto loro hanno imparato a trasformare questa debolezza loro attribuita nella pretesa normativa a un trattamento privilegiato - ad esempio alla priorità del soccorso nelle situazioni di emergenza, all'esenzione da sforzi fisici eccessivi, alla mitezza e all'indulgenza nella determinazione della pena. L'accettazione del ruolo di 'sesso debole' e la rivendicazione normativa dei privilegi speciali che ne deriva rappresentano gli strumenti della resistenza femminile alla supremazia fisica maschile - gli "stratagemmi dell'impotenza", come sono stati definiti da Heintz e Honegger (v., 1984). La capacità delle donne di trasformare in vantaggi gli svantaggi associati ai loro ruoli viene spesso interpretata come 'astuzia', come 'perfidia' o come 'charme', e stigmatizzata come tipica arma femminile.
La differenziazione dei ruoli maschili e femminili basata su una presunta differenza di sessualità è dal punto di vista sociologico un processo estremamente complesso. Il duplice carattere, socialmente restrittivo e nel contempo socialmente produttivo della differenziazione dei ruoli (v. cap. 1), emerge in modo particolarmente chiaro nella differenziazione dei ruoli sessuali maschili e femminili. Da un lato essi disciplinano e limitano la variabilità e la molteplicità del comportamento sessuale individuale, dall'altro contribuiscono proprio per questo ad aumentare quello che Georg Simmel ha definito il "fascino della differenza" nel rapporto tra i due generi. La differenziazione delle aspettative normative relative al comportamento sessuale in strutture di ruolo maschili e femminili ha inoltre l'effetto sociale di creare il fenomeno della devianza sessuale. La possibilità che si offre costantemente sia all'uomo che alla donna di violare o di cambiare le rispettive norme di comportamento sessuale contribuisce anch'essa a rendere più stimolante il rapporto tra i generi. Tuttavia nelle diverse società ed epoche storiche esistono notevoli variazioni per quanto concerne il tipo di comportamento che viene definito e vissuto come deviante oppure conforme alle prescrizioni di ruolo maschile/femminile.
Nell'Europa occidentale a partire dall'Ottocento il controllo dell'osservanza dei ruoli di genere nell'ambito della sessualità è stato affidato principalmente alle istituzioni della Chiesa, della medicina, della politica e della famiglia. Sacerdoti, medici, politici e mariti hanno promosso la costruzione di strutture di ruolo dicotomiche, in cui l'impulso sessuale più forte e il ruolo attivo vengono attribuiti all'uomo, una sessualità relativamente meno intensa, il ruolo passivo e lo spirito di sacrificio sono considerati prerogative femminili (v. Gay, 1984, pp. 109-168). Nell'Ottocento, le gravidanze numerose e ravvicinate e la struttura patriarcale della famiglia lasciavano alla donna borghese ben poche possibilità di scoprire e affermare una sessualità orientata al piacere (ibid., p. 165). La distinzione normativa tra uomo sessualmente attivo e donna sessualmente passiva poté conservarsi però solo sulla base di un'altra dicotomia istituita all'interno dell'universo femminile, diviso (e non solo nella prospettiva maschile) tra mogli sessualmente passive e moralmente virtuose da un lato, prostitute e amanti sessualmente attive e moralmente condannabili dall'altro. Non di rado questa doppia morale era accettata e rafforzata dalle stesse donne borghesi, che percepivano la donna sessualmente attiva e capace di provare piacere come una minaccia rispetto alla propria sessualità repressa. Le lettere di Max Weber alla moglie Marianne che hanno per oggetto la libertà sessuale di Else Jaffé rispecchiano questa duplice morale condivisa dall'uomo e dalla donna e rafforzata all'interno del matrimonio. Essa divenne il fondamento della "unione coniugale" borghese e come tale ha svolto sino a buona parte del XX secolo un ruolo di stabilizzazione dell'istituzione matrimoniale (v. Allert, 1995; v. Weber, 1990, in particolare pp. 443-445 e 462-464).
L'esistenza di una dicotomia morale all'interno della struttura di ruolo femminile ha sempre favorito la mercificazione della sessualità (e non solo di quella femminile). Solo con il capitalismo tuttavia si afferma una vera e propria 'industria del sesso'. Nella maggior parte delle società industriali del mondo occidentale ciò ha portato all'istituzionalizzazione di una nuova costellazione di ruoli che comprende protettori, prostitute, stampa specializzata in annunci erotici, proprietari di clubs erotici e di bordelli, venditori di sesso e profittatori (v. Smart, 1995, pp. 53-69; v. Prostitutionen i Sverige, 1980, p. 43; v. Gibson, 1986). Alla fine del XX secolo, con l'apertura delle frontiere tra l'Europa occidentale e i paesi dell'Est si sono affermate nuove forme di commercializzazione del sesso che presentano certe affinità con l'antica tratta degli schiavi - in particolare la compravendita e la reclusione coatta in bordelli di donne, fanciulle e minori.
La differenziazione dei ruoli sessuali ha comportato non solo una dicotomia tra ruoli maschili e femminili e all'interno dell'universo femminile, ma anche un dualismo tra eterosessualità e omosessualità. In generale si osserva una stretta correlazione tra dominanza dell'eterosessualità quale modello di comportamento imposto normativamente, e condanna morale e criminalizzazione dell'omosessualità e della bisessualità. Là dove l'omosessualità è considerata un comportamento deviante, nascono stereotipi negativi (la 'checca', il 'finocchio', ecc.), se non vere e proprie identificazioni con il nemico ('gli effeminati'). La persecuzione e l'annientamento degli omosessuali sotto il nazismo dimostrano che un alto grado di politicizzazione della cultura e del culto maschile può associarsi a un rifiuto radicale delle pratiche omosessuali, e può assumere il duplice carattere di una 'lotta per il potere omosessuale/antiomosessuale' (v. Theweleit, 1977, pp. 76-81, e 1978, p. 387).
Solo con la cosiddetta 'rivoluzione sessuale' degli anni sessanta queste idee sono state messe in discussione, ma ancor oggi non possono dirsi completamente superate. Fenomeni quali la transessualità e la bisessualità, che negli ultimi anni hanno (nuovamente) attirato su di sé una notevole attenzione, di fatto sono possibili solo come antitesi di ruoli di genere fortemente differenziati. La definizione dei contenuti dei ruoli sessuali dipende in misura notevole dalle mode, come attesta chiaramente anche il fatto che a fasi di edonismo di solito fanno seguito fasi di crescente rigidità sessuale, con una corrispondente oscillazione del grado di forza delle norme sessuali. Tuttavia si potrebbe affermare che il cambiamento delle tradizionali prescrizioni di ruolo maschile e femminile nel campo della sessualità - verificatosi alla fine degli anni sessanta nelle società industrializzate del mondo occidentale - rientra nel quadro delle più ampie trasformazioni che hanno segnato la seconda metà del XX secolo. La rivendicazione del piacere sessuale femminile, incoraggiata dal movimento femminista, è diventata la norma per le donne delle generazioni più giovani. Le giovani associano all'atto sessuale l'aspettativa normativa del piacere e della soddisfazione sessuale; ciò d'altro canto si traduce per il partner maschile in una pressione per soddisfare tale aspettativa (v. Starke, 1992) e in un conseguente senso di insicurezza sulla propria adeguatezza rispetto al tradizionale modello di ruolo sessuale maschile. Perlomeno nelle società laiche e industrializzate del mondo occidentale, i rapporti sessuali prematrimoniali e le infedeltà nel matrimonio o nelle convivenze, così come vengono vissute dai partners, non costituiscono più una prerogativa maschile. La parificazione dei diritti rispetto ai rapporti pre- ed extra-matrimoniali (e lo stesso vale per le convivenze) non significa peraltro che l'uomo e la donna diano lo stesso valore a tale liberalizzazione. Sono prevalentemente le donne ad associare la fedeltà sessuale del partner all'autostima e all'autoconsiderazione, sicché l''infedeltà' maschile e le relazioni extraconiugali diventano per esse un problema di identità personale, se non addirittura causa scatenante di una crisi di identità che viene affrontata con una forzata conformità alla norma della promiscuità (v. Sex and sexuality, 1984¹⁵, p. 594). La letteratura moderna, il cinema e la cultura pop attestano la straordinaria importanza che nella società moderna, oggi come in passato, continua a rivestire la norma della fedeltà/infedeltà sessuale. Nonostante l'equiparazione dei diritti sessuali, per l'uomo e per la donna la realizzazione di tali diritti riveste chiaramente un'importanza assai diversa in rapporto all'identità di ruolo e all'integrità personale. È stato osservato che sotto la mutua pressione normativa all'equiparazione sessuale e alla soddisfazione del piacere si sviluppa un modello di 'lotta ritualizzata' tra i sessi che contrasta con le reciproche aspettative di piacere (ibid., p. 597).
Un'altra trasformazione dei ruoli sessuali maschili e femminili nelle società occidentali riguarda il rapporto tra sessualità e violenza. In molti paesi lo stupro è stato riconosciuto come reato anche all'interno del matrimonio, e ciò - nonostante le difficoltà di accertare e di perseguire i reati di questo tipo - è perlomeno indicativo del fatto che la libera disponibilità del corpo della donna non rientra più tra i diritti naturali del ruolo maritale. La criminalizzazione dello stupro e della violenza sessuale (non solo contro le donne) - attuata seppure in diverso grado da molte società occidentali - può essere interpretata con Norbert Elias (v., 1977) in via di principio come segno di un avanzamento nel processo di civilizzazione; contro una tale interpretazione tuttavia parlano gli stupri di cui le donne continuano a essere vittime quotidianamente, la generale e crescente brutalizzazione della sessualità che ha come oggetto le donne, sia quella praticata che quella propagandata dai mass media, e soprattutto lo stupro sistematico delle donne usato come arma nella guerra.
Le costruzioni dei ruoli di genere fondate sulle Scritture delle religioni mondiali (induismo, giudaismo, cristianesimo e islamismo) hanno in comune il fatto di assegnare normativamente alla donna un ruolo subordinato e limitato, anche se con motivazioni di volta in volta diverse. Nelle religioni monoteistiche le immagini di Dio - nella misura in cui sono ammesse - sono esclusivamente maschili. Nel cristianesimo il Dio onnipotente è chiamato 'Dio Padre', 'Padre nostro', 'Signore nei Cieli', o 'Creatore', e il suo rappresentante in Terra, Gesù Cristo, è concepito come 'Figlio di Dio'. L'accesso al Paradiso è sorvegliato da un uomo, Pietro. Per quanto la donna in ragione del peccato originale sia considerata la causa prima del male, non è lei bensì 'il diavolo' il signore dell'inferno. Questa dominanza maschile va peraltro differenziata, nel senso che sia dal Vecchio che dal Nuovo Testamento sono state e vengono tuttora derivate le tesi contrastanti dell'eguaglianza e dell'ineguaglianza tra i generi. La prima ha come fondamento la narrazione della Genesi, secondo la quale Dio creò l'uomo e la donna a sua immagine e somiglianza; i due generi avrebbero dunque eguale dignità ed eguale natura (v. Woman e Woman in the Bible, 1981, p. 991; v. Eyben, 1989, p. 572). Assai più spesso però sia dal Vecchio che dal Nuovo Testamento sono stati derivati argomenti a sostegno della fondamentale ineguaglianza tra uomo e donna. Dalla ricostruzione sociologica di tali argomenti emerge lo schema di una struttura di ruolo dicotomica e gerarchica che in numerose versioni e varianti laicizzate ha durevolmente influenzato e influenza tuttora il modello interpretativo cristiano della differenza tra i generi. Tale schema si articola come segue: poiché Dio ha creato per primo il maschio (ossia l'uomo), il primo genere è quello maschile; la femmina è stata creata da una costola dell'uomo, e pertanto il genere femminile è secondo. L'uomo detiene la priorità non solo temporale, ma anche funzionale sulla donna: sin dal principio Dio avrebbe assegnato a essa una funzione ausiliaria per l'uomo. Le caratteristiche attribuite al genere maschile ("sexus fortis, melior, honorabilis, principalis") diventano lo standard universale del comportamento conforme al ruolo: l'uomo ('vir') è titolare delle virtù ('vir- tus') - prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Queste virtù (maschili) diventano l'ideale di ruolo per entrambi i generi. La donna per contro incarna il ruolo deviante: Eva, la seduttrice e la peccatrice, rappresenta il 'sesso debole', deviante ("sexus infirmus, fragilis, imbecillis"). Contrassegni tipici del ruolo deviante femminile sono la sensualità, la malizia, l'insolenza, l'intemperanza, la lussuria, l'incostanza, la capricciosità, l'amore per i fronzoli, la superbia, la loquacità, la sconsideratezza (v. Eyben, 1989, pp. 584-587). Questo profilo deviante viene esteso anche al corpo femminile, e attraverso costrutti biologici, elevato a costante antropologica. In contrasto con l'uomo 'puro' la donna a causa della mestruazione è considerata 'impura', e per questo motivo le viene imposta tutta una serie di divieti: "nel tempo della sua impurità mestruale" (Levitico, 12, 2) non può toccare oggetti sacri: dopo il parto deve restare in casa per sette giorni, e questo periodo di segregazione raddoppia se ha dato alla luce una femmina; durante i giorni della sua 'impurità' deve astenersi dai rapporti sessuali (v. Biale, 1992, p. 55). Di conseguenza la limitazione del ruolo femminile alla sfera domestica e la sua identificazione con la casa (la donna 'casalinga') discendono non solo dal ruolo materno positivo (v. sotto), ma anche (e soprattutto) dal tratto negativo della sua impurità. I vizi e le imperfezioni fisiche attribuiti alla donna sono all'origine di una serie di altri divieti normativi - come ad esempio la limitazione spaziale dell'ambito di esplicazione dei suoi ruoli e la distanza ('deferenza') rispetto alle sfere di esplicazione dei ruoli maschili. Nel giudaismo ortodosso alla donna, a motivo della sua impurità e della sua latente lussuria, è vietato l'accesso alle stanze inferiori della sinagoga (v. Woman, 1971, pp. 624-625). Nel Vecchio Testamento l'inferiorità della donna rispetto all'uomo è espressa anche in moneta sonante: Dio avrebbe consegnato a Mosé un 'tariffario' in cui alla donna nelle varie fasce d'età viene sistematicamente assegnato un valore in denaro minore rispetto a quello dell'uomo (Levitico, 27, 1-7). Anche per il Corano la donna vale la metà dell'uomo (v. Al-Mar'a..., 1991, p. 452).
Questa fondamentale dicotomia tra ruolo maschile positivo e ruolo femminile negativo si riflette nell'intero complesso di ruoli maschili e femminili. Nei suoi vari ruoli di moglie, figlia, sorella e nipote la donna ha sempre una posizione subordinata ed è tenuta all'obbedienza, alla remissività e alla sottomissione nei confronti del marito, del padre, del fratello e dello zio: come si legge in Gregorio di Nazianzo, "la saggezza della donna è la sua obbedienza all'uomo" (cit. in Eyben, 1989, p. 588). I rappresentanti maschili delle religioni mondiali hanno imposto alle donne in ogni epoca storica tutta una serie di divieti secondari, che sebbene varino da religione a religione e nonostante siano stati mitigati o completamente aboliti nel corso dell'evoluzione sociale, tuttavia lasciano trasparire ancor oggi lo schema dicotomico e gerarchico di una differenziazione dei ruoli a base religiosa. Alle donne era negato il diritto di successione, oppure era riconosciuto solo in misura limitata e ineguale rispetto all'uomo; esse non potevano comparire come testimoni nei processi, né scegliere liberamente il coniuge, né partecipare alla vita pubblica; lo studio delle Scritture era loro interdetto; l'adulterio femminile era punito più severamente (spesso con la morte) di quello maschile (v. Woman, 1906; v. Woman e Woman in the Bible, 1981, pp. 997-998; v. Femme, 1964; v. Al-Mar'a..., 1991, pp. 452-453). Tutte queste restrizioni avevano la funzione di assicurare all'uomo nella molteplicità dei suoi ruoli (di padre, marito, fratello, zio, figlio) la concreta supremazia sulla donna nella vita quotidiana. Alla perpetuazione di questa posizione di potere hanno provveduto altri due obblighi speciali connessi al ruolo femminile: l'obbligo del silenzio e quello di tenere il capo o il volto coperti.
In virtù del primo gli uomini si sono assicurati il monopolio dell'esegesi e della predicazione professionale della 'parola di Dio', e si sono altresì appropriati delle posizioni di vertice nelle istituzioni religiose (sacerdote, scriba, predicatore, rabbino, papa, ecc.). A seguito del divieto imposto alle donne di prendere la parola nelle assemblee pubbliche le posizioni d'élite nelle istituzioni religiose sono rimaste una prerogativa maschile. L'esclusione pienamente riuscita delle donne dalla partecipazione all'esegesi delle Sacre Scritture ha contribuito al perpetuarsi del modello interpretativo maschile della Bibbia. Solo negli ultimi decenni è cominciata a emergere una 'teologia femminista'.
Carica di conseguenze nella vita quotidiana è altresì l'imposizione di tenere il volto e/o il capo coperto (attualmente in vigore soprattutto nel mondo islamico: v. Ahmed, 1992, pp. 144-168). L'obbligo di portare il velo assurge a simbolo universalmente visibile del ruolo subordinato della donna e del suo 'bisogno di sottostare al giogo'. Per contro il capo scoperto e la barba dell'uomo simboleggiano il suo contatto diretto con Dio.
Questo modello gerarchico e dicotomico basato sulla contrapposizione tra ruolo maschile ideale e ruolo femminile deviante non si sarebbe potuto trasformare in una vera e propria struttura di ruolo se il comportamento di ruolo femminile fosse stato definito in modo esclusivamente negativo. Solo con l'idealizzazione del ruolo materno è stato introdotto in questo schema l'elemento decisivo per la differenziazione tra la struttura di ruolo maschile e quella femminile. Con tale idealizzazione difatti è stato creato il fondamento di legittimazione per precludere alla donna l'esercizio di altri ruoli, per imporle tutta una serie di obblighi e divieti secondari e per limitarne il raggio d'azione alla sfera domestica. Dal ruolo materno derivano altri ruoli secondari di tipo positivo: quello di educatrice dei figli, quello di casalinga (che include tipicamente anche l'amministrazione delle entrate e la responsabilità dei compiti estetici e culturali nella sfera domestica) e non da ultimo quello di prefica e consolatrice. Questi ruoli secondari connotati positivamente vengono associati a qualità come l'amore, la tenerezza, l'altruismo, la mitezza, la dolcezza, la raffinatezza, ecc. La conformità a queste qualità positive ascritte alla donna significa nello stesso tempo che essa in quanto madre rinunzia ad altri ruoli (maschili). Di conseguenza la conformità al ruolo di madre e di casalinga costituisce da un lato una via di fuga che consente alla donna di sottrarsi al ruolo di deviante, dall'altro lato però è anche un vicolo cieco, in quanto le impedisce di ampliare il suo complesso di ruoli in direzione di quelli maschili. Anche nelle società progredite e laicizzate l'alto valore culturale e la centralità attribuiti al ruolo materno hanno spesso la funzione di confermare e rafforzare il monopolio maschile: viene istituita una relazione positiva con l'uomo in quanto padre e marito. Anche nell'epoca dell'emancipazione sessuale diventa possibile far appello alla funzione riproduttiva della donna per porre un limite 'naturale' alle sue aspirazioni all'emancipazione. Inoltre gli obblighi e i divieti negativi imposti alla donna in relazione a 'terzi' (il figlio, la famiglia) divengono culturalmente legittimabili. All'interno dell'universo femminile viene introdotta una discriminazione legittimabile tra madri 'buone' e altruistiche da un lato e donne senza figli, 'cattive' ed egoistiche dall'altro.
Paradossalmente la conformità al ruolo materno e casalingo in molte culture è diventata il fondamento di un 'potere occulto' nella sfera domestica, che a seconda del contesto religioso e culturale assume diverse forme. Nella cultura ebraica quello della 'madre forte' è diventato uno stereotipo di ruolo in cui viene messa in risalto in particolare la supremazia morale della figura materna nei confronti della famiglia (v. Herweg, 1994). Il 'mammismo' che viene rimproverato specialmente alle madri italiane ha come presupposto il forte legame affettivo che si crea tra madre e figlio, e dà origine a un fatale circolo vizioso: il figlio emotivamente attaccato alla madre avrà un legame relativamente più debole con la moglie, la quale cercherà di compensare le frustrazioni che ne derivano instaurando a sua volta un forte legame affettivo col figlio, e così via (il romanzo di Elsa Morante Menzogna e sortilegio illustra bene questo meccanismo perverso).
L'assunzione del ruolo materno non è l'unica via - anche se nella vita quotidiana è la più frequente - che si offre alle donne per sottrarsi ai ruoli femminili negativi. Esistono altri ruoli femminili positivi - improntati piuttosto all'eccezionalità - che si ispirano all'ideale dell'androginia. Gli ideali della castità e della verginità hanno consentito alle donne di negare la propria sessualità femminile e di trasformarsi "spiritualmente in uomini" (v. Eyben, 1989, p. 595). Suore, badesse, martiri e sante realizzano attraverso una condotta di vita sistematica e/o la professionalizzazione della virtù l'ideale di ruolo della Vergine Maria. Il convento è il luogo in cui le donne in eccedenza sono state imprigionate e socializzate positivamente agli ideali di castità, ascesi e altruismo. Nel convento il ruolo caritatevole-assistenziale viene professionalizzato, ma al suo interno le donne possono anche esercitare determinate funzioni direttive. Il culto di cui tuttora sono oggetto alcune donne virtuose che si sono dedicate con abnegazione a opere caritatevoli e all'assistenza ai malati (si pensi a eroine quali Florence Nightingale o Madre Teresa di Calcutta) dimostra il notevole impatto che tali ideali di ruolo continuano ad avere oggi come in passato. Rispetto a queste scelte estreme di vita virtuosa, la castità praticata all'interno del matrimonio o dopo la vedovanza costituisce un modo più comune per realizzare l'ideale della purezza.In quasi tutte le religioni si è creato un fondamentale paradosso nel rapporto tra produttori di norme maschili e destinatari delle norme femminili. Sono gli uomini infatti che nella loro funzione di produttori di norme impongono alle donne uno schema di ruoli dicotomico e gerarchico; ma sono le donne che accettano tale schema, lo mettono in pratica e lo trasmettono all'interno del sistema familiare. In questo modo in quasi tutte le religioni è presente un dualismo per cui l'aspetto esegetico e dottrinale della religione è maschile, mentre la prassi e la realizzazione dei precetti religiosi nella vita quotidiana sono di pertinenza femminile: le donne accettano e mettono in pratica proprio quei ruoli negativi che sono stati definiti dai rappresentanti maschili delle varie Chiese. Come ha dimostrato Mairie Levitt (v., 1995), non solo le donne partecipano più degli uomini alla messa e ad altre cerimonie religiose, ma sono ancora loro a trasmettere, soprattutto alle figlie, queste immagini femminili negative. In questo modo le donne stesse contribuiscono a perpetuare il modello della donna come madre, moglie paziente, infermiera amorevole e altruistica.
Il quarto criterio di cui si sono serviti i potenti produttori di norme per la costruzione di ruoli di genere differenziati è la divisione economica del lavoro. Sebbene a seconda delle culture e delle epoche storiche vari il tipo di mansioni attribuite o vietate normativamente ai due generi, il modello dominante, perlomeno nella società borghese occidentale, è quello che assegna alla donna il lavoro domestico non retribuito, all'uomo il lavoro extradomestico retribuito. La separazione dei ruoli nel mondo del lavoro in una sfera domestica non retribuita rappresentata dalle donne e una sfera extradomestica retribuita rappresentata dagli uomini ha importanti conseguenze per l'intero complesso di ruoli maschili e femminili. Dacché le due sfere hanno cominciato in parte a convergere e a sovrapporsi, l'impatto sociale di tale separazione si è in certa misura attenuato, e tuttavia la struttura fondamentale è tuttora operante.
In primo luogo, la minore integrazione della donna nel processo di differenziazione e di specializzazione legato alla divisione del lavoro è all'origine di un determinato modo di concepire la 'natura' femminile in contrapposizione a quella maschile. In base a tale concezione, l'essere femminile sarebbe 'unitario', quello maschile 'differenziato' (v. Simmel, 1890). Da qui è derivata l'idea che alla donna, per la sua attività prevalentemente ed eminentemente domestica, sarebbe precluso lo sviluppo di una individualità maggiormente differenziata. Il fatto che le donne moderne svolgano in prevalenza lavori part time e professioni tipicamente 'femminili' sembrerebbe autorizzare la conclusione che anche la donna maggiormente integrata nel mercato del lavoro continui a essere meno portata dell'uomo ad assumere ruoli multipli, e che quindi il complesso dei ruoli femminili sia meno differenziato del complesso dei ruoli maschili. L'integrazione delle donne nel mercato del lavoro attraverso una crescente segregazione (v. Ostner, 1990, p. 46) sembrerebbe attestare inoltre che l'individualità femminile si sviluppa in senso più qualitativo, quella maschile in senso più quantitativo (v. Simmel, 1906).
In secondo luogo, la separazione dei ruoli maschili e femminili nella sfera del lavoro determina quella che Merton ha definito "trained incapacity" (incapacità inculcata) in quelle attività lavorative normativamente assegnate all'altro genere. Così, ad esempio, gli uomini che hanno avuto una socializzazione tradizionale mostrano una incapacità inculcata nelle attività domestiche nonché nella cura e nell'accudimento dei figli, che si traduce in uno svantaggio allorché l'uomo si trova a svolgere il ruolo di padre che alleva da solo i figli, di vedovo o di single. Le donne che hanno ricevuto un'educazione tradizionale a loro volta dimostrano una incapacità inculcata per le attività lavorative extradomestiche, che ostacola gravemente soprattutto le donne che cercano un'integrazione nel mercato del lavoro in una fase più avanzata della vita.In terzo luogo, il fatto che durante la socializzazione primaria i maschi e le femmine vengano addestrati a competenze professionali differenziate fa sì che anche nel mercato del lavoro tendano a riprodursi i ruoli maschili e femminili preesistenti. La destrezza manuale, le capacità pratiche e la competenza sociale apprese nell'attività domestica predestinano la donna a professioni quali la segretaria, la commessa, la parrucchiera o l'infermiera. La preponderanza femminile nel settore dei servizi alle persone si può dunque interpretare come un'estensione delle attività di servizio legate ai ruoli di madre e di casalinga, con la differenza che queste vengono ora retribuite. Poiché le attività lavorative maschili sono considerate intellettualmente e fisicamente più 'pesanti', impegnative e 'piene di responsabilità' di quelle femminili, in genere sono più qualificate in termini di retribuzione e di prestigio. Pertanto - ed è questa la quarta conseguenza della differenziazione dei ruoli nel mondo del lavoro - le occupazioni 'femminili' vengono remunerate peggio di quelle maschili. La ridefinizione del profilo di qualificazione di una professione come 'lavoro femminile' è un comprovato meccanismo per risparmiare sui costi salariali. Infine, all'ineguaglianza delle opportunità di accesso al mercato del lavoro fa riscontro un'ineguaglianza delle possibilità di uscita: in periodi di recessione economica sono le donne a essere licenziate per prime, mentre nei periodi di espansione sono le ultime a essere assunte.
Alcune ricerche empiriche hanno messo in luce l'esistenza di una dinamica nel mercato del lavoro che innesca un meccanismo di circolarità (v. Ostner, 1990). Professioni che in passato erano prevalentemente maschili (ad esempio quella di insegnante) si trasformano in attività tipicamente femminili, e ciò non solo comporta una perdita di prestigio di tali professioni femminilizzate, ma fa anche sì che siano sempre meno gli uomini motivati a intraprenderle: nella misura in cui determinate professioni si femminilizzano, gli uomini si orientano verso altre attività professionali ancora prettamente maschili. Così, ad esempio, a seguito della femminilizzazione delle attività di servizio nel settore bancario, le mansioni di assistenza ai clienti sono in prevalenza svolte dalle donne, mentre gli uomini si occupano delle mansioni direttive e dei servizi di consulenza per gli investimenti. Questa divisione gerarchica tra professioni maschili e femminili peraltro non si osserva solo nel settore bancario. In virtù del meccanismo della 'circolarità', l'aspirazione delle donne ad affermarsi nelle professioni maschili tende a rafforzare la segregazione in base al genere del mercato del lavoro.
All'apertura degli istituti di istruzione superiore alle donne, che sono diventate quantitativamente rilevanti soprattutto negli anni settanta, non ha fatto riscontro una adeguata rappresentanza femminile nelle posizioni di prestigio delle università (v. Cole e Zuckerman, 1987). Nei paesi industrializzati del mondo occidentale la quota femminile nel corpo docenti raggiunge al massimo il 3% (v. Grimm, 1995). Anche nelle posizioni elitarie del mondo economico, culturale e politico la presenza femminile è esigua, e ciò vale anche per quei paesi, come la Svezia, che hanno adottato per primi politiche di pari opportunità istituendo il cosiddetto quota system (la riserva di posti). Difficilmente le donne riescono a farsi strada nelle reti di relazioni di impronta maschile che sono decisive per il reclutamento nelle posizioni d'élite, mentre gli uomini dal canto loro sono scarsamente propensi ad aprire tali reti alle donne. Quali che siano le ragioni della vistosa inferiorità numerica delle donne nelle posizioni d'élite, questa è riconducibile non da ultimo al fatto che la politica delle pari opportunità è essa stessa uno strumento di potere per favorire una politica maschile.
La riproduzione di strutture di ruolo differenziate in base al genere sul mercato del lavoro è assicurata da un meccanismo che difficilmente la politica delle pari opportunità è in grado di cogliere, ossia il processo per cui gli stereotipi di ruolo vengono confermati e consolidati attraverso la socializzazione familiare. Sin dalla prima infanzia i ragazzi si identificano con i modelli maschili e le ragazze con quelli femminili: la sfera professionale maschile è caratterizzata dalla prestazione funzionale, dall'orientamento universalistico e dall'obiettività, laddove quella femminile è caratterizzata dalla prestazione personale, dall'orientamento particolaristico e dall'affettività (v. Selk, 1984, pp. 69-108). A questo proposito è particolarmente degno di nota il fatto che i ragazzi vengono fortemente scoraggiati dalla scelta di una professione che si discosta dal modello maschile, mentre ciò non accade nella stessa misura per le ragazze: la scelta di una professione 'femminile' da parte dei figli maschi incontra maggior resistenza nei genitori della scelta di una professione 'femminile' da parte delle figlie (ibid., pp. 217-218).
3. Teorie sociologiche sulla differenziazione dei ruoli di genere
In sociologia non sono mai mancati i tentativi di spiegare e di sistematizzare a livello teorico le differenze tra i generi. Tuttavia solo sotto l'impulso del femminismo e della ricerca sui generi sviluppatasi negli anni ottanta si è notevolmente accresciuto l'interesse teorico per questo tema, sul quale esiste ormai una letteratura sterminata. Solo una parte di questa letteratura peraltro si è dedicata alla spiegazione di quelle differenze sociali tra i generi che si sono cristallizzate in strutture di ruolo differenziate. Inoltre, proprio su questo terreno le teorie che sono state proposte devono essere vagliate criticamente sotto il profilo dell'orientamento ideologico, politico-normativo e/o confessionale.
Analizzeremo qui solo cinque orientamenti teorici: l'approccio ontologico e la sua riformulazione in chiave di socializzazione; lo struttural-funzionalismo; l'approccio economico; l'approccio in termini di potere/dominio; il costruttivismo/decostruttivismo.
Sulla base di criteri diversi, ma fondamentalmente di ordine biologico-fisiologico, gli esponenti dell'approccio ontologico sostengono che tra gli esseri umani si distinguono individui che hanno una natura diversa, 'maschile' o 'femminile', a seconda che presentino i caratteri sessuali del primo o del secondo tipo. Le differenze caratteriali, comportamentali e mentali che derivano da questa diversità biologica sarebbero culturalmente e storicamente invariabili nella loro struttura fondamentale. Un ordine sociale che fosse in contrasto con questa distinzione naturale tra 'maschi' e 'femmine' non potrebbe durare a lungo, né sarebbe auspicabile per il benessere e addirittura per la felicità stessa della società e dell'individuo. La differenziazione dei ruoli maschili e femminili sarebbe quindi un 'fatto di natura' e come tale una struttura sociale immodificabile.
Partendo da una posizione femminista, Nancy Chodorow (v., 1978) ha proposto una riformulazione di questa concezione ontologica nei termini della teoria della socializzazione. Chodorow vede nell'universalità del ruolo materno il prodotto di processi di socializzazione ricorrenti nel tempo. Il ruolo materno verrebbe trasmesso alle figlie, sicché esse provano a loro volta il desiderio di diventare madri. Questo processo di trasmissione e di imitazione dei ruoli di genere si concluderebbe già nel terzo anno d'età, e in seguito verrà soltanto sviluppato e consolidato ulteriormente. La divisione tra ruoli maschili e femminili non sarebbe dunque un fatto di natura, ma un prodotto della socializzazione; a quest'ultima si deve la derivazione dal ruolo materno di altre differenziazioni secondarie tra ruoli maschili e femminili. Conformemente al suo orientamento femminista, Chodorow propone di inserire più saldamente i maschi nel processo di socializzazione della prima infanzia, al fine di spezzare il meccanismo di riproduzione del ruolo materno.
Uno dei contributi più significativi alla teoria sociologica della differenziazione dei ruoli di genere si deve a Talcott Parsons. Secondo la teoria struttural-funzionalistica elaborata da Parsons, i ruoli di genere sarebbero funzionali alla conservazione della famiglia, concepita come (sotto)sistema sociale. L'attribuzione della funzione riproduttiva alla donna e della funzione produttiva all'uomo sarebbe legata all'adempimento degli obiettivi generali del sistema. Secondo lo schema parsonsiano degli 'imperativi funzionali', all'uomo spetterebbero i compiti del raggiungimento dello scopo e dell'adattamento, alla donna quelli dell'integrazione e della 'conservazione della struttura'. La trasmissione di tali funzioni ai figli può avvenire in modo diretto dalla madre alla figlia e dal padre al figlio (cross parent identification), oppure dal padre alla figlia e dalla madre al figlio (doublecross identification). In tutti i casi, secondo Parsons, entrambi i genitori appaiono come portatori di prescrizioni generalizzate di ruolo maschile/femminile. Al figlio adolescente viene imposto normativamente il ruolo maschile, e un 'comportamento maschile' viene incoraggiato ed encomiato, mentre un comportamento 'non virile' è oggetto di sanzioni. L'identificazione del figlio con la figura paterna secondo Parsons è duplice: egli si identifica con il padre da un lato in quanto portatore di valori universali, dall'altro in quanto portatore di un ruolo maschile nettamente distinto da quello femminile. Il fine della socializzazione ai ruoli maschili nelle società occidentali che prescrivono normativamente l'eterosessualità è quello di evitare l'identificazione con il ruolo femminile; pertanto la trasmissione dei ruoli maschili assume tipicamente il carattere di una "mascolinità compulsiva" (v. Parsons, 1964, p. 223). La socializzazione ai ruoli femminili per contro è diretta a sviluppare un desiderio di possesso erotico nei confronti del sesso maschile. Il tabù dell'incesto ha il compito di evitare che tale desiderio erotico si indirizzi verso il padre o verso il fratello. Sia per i maschi che per le femmine il legame infantile con la madre rappresenta un potenziale ostacolo per l'assunzione dei ruoli di genere adulti. Il processo di distacco dalla madre può essere considerato riuscito solo quando il desiderio nei confronti dell''oggetto' del genere opposto si accompagna all'interiorizzazione dei valori sociali universali del mondo adulto, soprattutto quelli della "neutralità affettiva", dell'"orientamento verso la prestazione" e dell'"universalismo" (v. Parsons, 1964, p. 225).
Dall'analisi dei ruoli di Parsons si può trarre una conclusione estremamente significativa. Poiché proprio i valori del mondo adulto sopra menzionati si identificano con le prescrizioni di ruolo maschile, il processo del diventare adulti equivale a una maschilizzazione di entrambi i ruoli di genere. La grande differenza tra il ruolo maschile adulto e quello femminile adulto tuttavia consiste nel fatto che la donna esce da questo processo con una 'tara ereditaria'. Nel complesso dei ruoli femminili adulti sono incorporate aspettative contraddittorie: la norma femminile dell'affettività e la norma opposta della neutralità affettiva derivata dal ruolo adulto; la norma femminile dell'orientamento particolaristico e quella adulta dell'orientamento universalistico; la norma femminile dell'espressività e quella adulta dell'orientamento verso la prestazione. Questa 'tara ereditaria' dell'"ambivalenza di ruolo" (v. Merton, 1976) che scaturisce dal processo di socializzazione conferisce al complesso di ruoli femminili un significativo potenziale di devianza: la donna è in via di principio più incline dell'uomo alla devianza. Ciò spiega anche perché la devianza femminile dalle aspettative di conformità al ruolo debba essere necessariamente più consistente di quella maschile.
I seguaci della teoria economica marxiana interpretano la divisione del lavoro tra i generi nelle società capitalistiche come un modo di produzione particolarmente funzionale a questo sistema economico. Attraverso la privatizzazione del ruolo di casalinga (o "casalinghizzazione": v. Werlhof e altri, 1988) viene creata una forma non retribuita di lavoro domestico e di prestazione di servizi all'uomo e ai figli. Inoltre il fatto che le donne siano trattate come un "esercito di riserva" consente un adattamento più elastico alle fluttuazioni congiunturali del mercato del lavoro. L'incertezza della posizione della donna nel mercato del lavoro impedisce la trasformazione della sua situazione di classe in una "classe per sé" (Karl Marx). Il riconoscimento dei propri interessi economici e lo sviluppo di una coscienza di classe omogenea vengono poi ostacolati, se non resi impossibili, dalla priorità data al ruolo materno e casalingo, nonché dal conseguente privilegiamento delle attività lavorative part time. La congiunzione di queste due funzioni delle donne, come casalinghe e come "esercito di riserva", consentirebbe una massimizzazione del profitto nel mercato del lavoro capitalistico. Alla separazione tra un settore produttivo maschile e un settore riproduttivo femminile fa riscontro l'esistenza di un settore dei consumi anch'esso eminentemente femminile. Le donne si presentano sul mercato come consumatrici di articoli destinati alla riproduzione della famiglia, alla cura e alla bellezza del corpo, all'abbigliamento e all'estetica. Come afferma Collins (v., 1992), il ruolo di consumatrice di status symbols della donna è connesso al suo ruolo univoco di produttrice di beni culturali. Come insegnante, attrice, scrittrice, parrucchiera, proprietaria di boutiques, estetista, maestra di aerobica, ecc. essa partecipa in modo univoco alla produzione di quei beni materiali e immateriali che servono a coltivare le doti 'maschili' e 'femminili', il corpo 'maschile' e 'femminile' e gli 'ideali di bellezza' (pp. 223-226). Nel capitalismo moderno determinati segmenti del ruolo tradizionale di casalinga hanno subito un processo di differenziazione e di specializzazione basata sulla divisione del lavoro, trasformandosi in professioni retribuite. Nello stesso tempo è cresciuta l'importanza sociale degli altri segmenti del ruolo di casalinga, la cui funzione secondo Collins è quella di assicurare e di rappresentare simbolicamente lo status sociale della famiglia sia all'interno che all'esterno. Di conseguenza anche il tempo dedicato all'esplicazione dei ruoli domestici non è diminuito nella stessa misura in cui la tecnologia ha rivoluzionato il lavoro della casalinga (p. 218).
Come hanno messo in luce alcune ricerche sulla condizione femminile nel Welfare State, le politiche di sicurezza sociale non farebbero altro che riprodurre privilegi maschili (v. Bock e Thane, 1991), contraddicendo paradossalmente le intenzioni originarie di rendere più sicura la posizione della donna sul mercato del lavoro. Uno di tali paradossi è dato dal fatto che le misure dirette a tutelare maggiormente il posto di lavoro in caso di maternità si sono tradotte per il datore di lavoro in un aumento dei costi del personale, e di conseguenza hanno ostacolato l'accesso delle donne al mercato del lavoro. Anche nelle economie di piano socialiste si sono verificati analoghi 'effetti perversi', che hanno pregiudicato la posizione della donna rispetto a quella dell'uomo, nonostante gli intenti di parificazione. Nel comunismo sovietico l'ideologia dell''uomo nuovo' portava a promuovere l'inserimento delle donne nel mercato del lavoro con pari diritti. Di fatto, rispetto ai paesi industrializzati dell'Occidente, nell'URSS la rappresentanza femminile nelle professioni tradizionalmente considerate 'maschili' era assai più cospicua (ad esempio nei lavori pesanti in fabbrica e nella costruzione di strade). Tuttavia, come ha osservato Kon (v., 1992, p. 167), anche nella realtà sovietica si risentiva dell'effetto della 'femminilizzazione dei gruppi occupazionali inferiori', cosicché la presenza femminile era preponderante soprattutto nelle professioni a bassa retribuzione e di scarso prestigio, mentre era ridotta nelle categorie professionali superiori in termini di reddito e di prestigio. Ciò sembra in contrasto con un altro processo rilevato da Kon, e che consisterebbe in una 'de-mascolinizzazione dell'uomo' in atto nell'ex Unione Sovietica. In una situazione caratterizzata da un'inefficienza economica altamente istituzionalizzata, dal dispotismo politico e da una burocrazia di partito 'onnivora' (p. 170), l'uomo nella vita quotidiana ha dovuto far proprie qualità che contrastano con i tradizionali ideali maschili di autodeterminazione, iniziativa e coraggio. "Per avere successo sul piano economico e sociale l'uomo deve essere non coraggioso ma astuto, non orgoglioso ma sottomesso, non indipendente ma conformista". A causa di queste prescrizioni di ruolo 'femminile' che gli sono imposte nella vita di tutti i giorni, "l'uomo sovietico si sente quotidianamente, dalla culla alla bara, socialmente e sessualmente impotente e abusato" (p. 170). Si può formulare l'ipotesi che il drastico smantellamento dello Stato del benessere in atto negli anni novanta nei paesi occidentali, e in particolare la disoccupazione, imporranno anche qui all'uomo un analogo "profilo di ruolo femminile", con la conseguenza che anch'egli sperimenterà una demascolinizzazione dei suoi ruoli maschili, cui farà riscontro una ri-tradizionalizzazione dei ruoli femminili di madre e di casalinga.
Secondo alcuni autori, la costruzione asimmetrica delle strutture di ruolo maschili e femminili è frutto dell'imporsi del potere/dominio maschile in molte, se non in tutte, le sfere sociali. Prendendo come riferimento la tipologia delle forme di dominio elaborata da Max Weber, risulta evidente che i vari tipi di fondamento di legittimità (tradizione, carisma, burocrazia) coincidono con ruoli eminentemente maschili (il 'signore' tradizionale, il 'leader carismatico', il 'superiore' di un ufficio). Anche negli apparati amministrativi i titolari di ruolo sono maschili ('sudditi fedeli', 'discepoli', 'funzionari'). Il fatto che le donne possono occupare posizioni al vertice in via di principio non cambia la struttura del dominio. Esempi storici di donne che hanno esercitato il potere (il ministro Margaret Thatcher in Gran Bretagna, Golda Meir in Israele o Benazir Bhutto in Pakistan) sono le eccezioni che confermano la regola. Soprannomi come 'la lady di ferro' indicano per contro che l'occupazione di posizioni di potere maschili da parte di una donna non di rado comporta una accentuazione delle connotazioni maschili di tali posizioni e dei ruoli a esse associati. La "democrazia incompiuta" (v. Haavio-Mannila e altri, 1985) da questo punto di vista è frutto non solo di una insufficiente rappresentanza femminile nelle cariche politiche più alte, ma anche dell'immutabile costruzione delle posizioni politiche di comando come ruoli 'maschili'.
Richiamandosi a Foucault, alcune autrici femministe hanno ricondotto l'universalità del dominio maschile alla supremazia rivendicata dall'uomo in quanto dotato degli attributi maschili nei confronti della donna, priva di tali attributi e quindi "castrata" (v. Wahl Rabin, 1990). 'Fallocrazia' significa dominio dell'uomo nei suoi ruoli multipli in tutte le sfere della vita sociale, anche in quelle che per definizione sono di pertinenza 'femminile'. Il fatto che le posizioni di vertice in campi quali la moda, l'arte culinaria, la musica, la ginecologia, la psicologia infantile, ecc. siano detenute in prevalenza da uomini conferma il fatto che nelle società occidentali, ora come in passato, le posizioni di potere sono costruite come ruoli maschili.
Secondo gli esponenti dell'approccio costruttivista (che, come abbiamo accennato, costituisce assieme alla teoria dei ruoli il quadro di riferimento della presente analisi), non solo la relazione tra 'sesso' e 'genere' è un costrutto culturale, ma anche le presunte 'differenze naturali' sono il prodotto di processi culturali di costruzione e di interpretazione. Così ad esempio i genitali non si offrirebbero come segni 'naturali' per determinare l'appartenenza di genere solo in virtù della loro forma esteriore. Piuttosto, il fatto che per determinare l'appartenenza di genere le diverse società ricorrono a tipi differenti di segni sarebbe esso stesso il frutto di precedenti processi di costruzione culturale. Al centro dell'approccio costruttivista vi è l'analisi dei processi di interazione, in cui l'appartenenza di genere viene acquisita attraverso processi di costruzione, percezione e rappresentazione. La percezione dell'appartenenza di genere consiste nella decodificazione di determinati segnali prodotti (gestualità, abbigliamento, voce, modo di parlare, ecc.) ed è strettamente legata al processo di rappresentazione del genere cui il soggetto proclama di appartenere. Secondo Hirschauer, l'appartenenza di genere viene definita allorché il ruolo di genere rivendicato dal soggetto concorda con quello attribuitogli dal partner dell'interazione in una data situazione.
Per gli esponenti dell'approccio costruttivista il fenomeno privilegiato per l'analisi empirica di questi processi di costruzione è la transessualità, poiché qui il conflitto tra rivendicazione ed effettiva attribuzione emerge con particolare chiarezza. Nella rappresentazione scenica del 'corpo femminile' i transessuali producono segnali contraddittori (una voce baritonale emessa da una bocca dipinta col rossetto; grossi piedi costretti in scarpe con i tacchi a spillo; il pomo d'Adamo che spunta da una collana di perle; ecc.), e proprio attraverso questa 'discordanza' empiricamente riscontrabile è possibile risalire alla combinazione di segni che una data cultura considera vincolante per l'appartenenza di genere. Nell'abbigliamento dei travestiti si può studiare il processo sociale attraverso cui, nel senso di Goffman, 'società' e 'genere' vengono effettivamente rappresentati. In questo modo, però, si arriva anche a comprendere che il genere in via di principio può essere rappresentato in modo diverso. Così come la realtà sociale viene costruita attraverso processi e discorsi comunicativi, anche la costruzione dei generi maschile e femminile è legata a determinati discorsi retorici. I discorsi sulle 'donne' o sugli 'uomini' scaturiscono secondo Judith Butler da istituzioni politiche e rapporti di potere, ed esercitano un effetto regolativo e repressivo sui soggetti definiti in termini di genere maschile e femminile ('gendered subjects').
Da questa versione del costruttivismo radicale proposta da Butler è stata tratta l'ovvia conclusione che il 'genere' debba essere eliminato quale criterio per la costruzione delle differenze dei ruoli. Secondo le esponenti del decostruttivismo, nelle moderne società industriali si riscontrerebbe una crescente eterogeneità all'interno delle categorie maschili/femminili socialmente definite (v. Giligan, 1982; v. McCannell, 1990). Le differenze tra le donne e tra gli uomini andrebbero aumentando, e ciò autorizzerebbe a postulare, ad esempio, una differenza di ruolo tra madri che non lavorano da un lato e donne in carriera senza figli dall'altro altrettanto se non più significativa di quella tra queste ultime e i loro colleghi maschi. Secondo le esponenti del decostruttivismo, inoltre, gli individui nelle differenti situazioni sociali assumerebbero di volta in volta ruoli di genere diversi. La situazione di concorrenza nel mercato del lavoro, ad esempio, favorirebbe un modello di comportamento 'maschile', mentre l'accudimento dei figli favorirebbe un modello di comportamento femminile. Nella realtà attuale, gli individui sarebbero costretti a calarsi in ruoli diversi a seconda della situazione, e a comportarsi in modo flessibile rispetto a tali ruoli. All'individuo moderno non è richiesta l'assunzione di ruoli di genere fissi, bensì la capacità di muoversi fluidamente, a seconda della situazione, del contesto e del momento, tra gli estremi di una scala di 'mascolinità-femminilità' (v. Heintz, 1993, p. 36).
Questo approccio decostruttivista o postfemminista ha suscitato le critiche delle esponenti di un femminismo militante, secondo le quali il decostruttivismo porterebbe ad annullare la categoria della 'donna', sottraendo in questo modo il soggetto stesso alla lotta per i diritti delle 'donne'.
4. La fluidificazione dei ruoli di genere
Se la ricerca sociologica deciderà di far propria la posizione decostruttivista, dovrà porsi con maggior forza il problema delle conseguenze sociali delle fluidificazioni dei ruoli di genere. Se, come sembra naturale, si segue l'indirizzo di ricerca inaugurato da Merton (v., 1976) con la sua teoria dell'ambivalenza sociologica, ci si dovrà chiedere se tale fluidificazione determini nel complesso un aumento dell'ambivalenza di ruolo; se tale ipotesi dovesse trovare una conferma empirica, occorrerà interrogarsi sul modo in cui l'ambivalenza di ruolo viene affrontata in generale.
Da un punto di vista storico, l'ambivalenza di ruolo nasce tipicamente in situazioni di stress sociale, soprattutto nel contesto di una guerra. Durante la prima guerra mondiale le donne italiane vennero integrate nel piano della mobilitazione economica e si trovarono a svolgere lavori tradizionalmente maschili, come ad esempio la pulizia delle strade. In Germania, nel secondo dopoguerra, le cosiddette Trümmerfrauen (donne addette allo sgombero delle macerie) dovettero per un certo tempo almeno familiarizzarsi con ruoli professionali maschili. Ovunque le vedove di guerra sono costrette ad assumere il ruolo di capofamiglia. In Israele per contro, durante la guerra dello Yom Kippur che fu assai più breve rispetto ai due conflitti mondiali, anche nell'esercito le donne furono confinate nei ruoli femminili tradizionali (v. Bar-Yosef e Padan-Eisenstark, 1977). In generale, data l'eccezionalità della situazione bellica, l'ambivalenza di ruolo (l'assunzione da parte delle donne di ruoli maschili oltre a quelli femminili) resta limitata nel tempo. Con il ritorno alla normalità si verifica in genere una ri-femminilizzazione tanto più decisa dei ruoli femminili.
La 'fluidificazione' dei ruoli maschili e femminili tradizionali, che secondo alcuni autori si osserva nelle moderne società occidentali, non ha avuto impulso da una situazione di stress sociale con i caratteri dell'eccezionalità. All'origine di questa tendenza vi sarebbero invece mutamenti socioculturali di lunga durata, e di conseguenza anche la dissoluzione dei ruoli sessuali sarà un processo prolungato nel tempo.Se è vero che la dinamicizzazione e la flessibilizzazione dei ruoli di genere causata da fattori sociostrutturali è associata a un aumento dell'ambivalenza di ruolo, la nostra analisi sarebbe tornata al punto di partenza. Nel capitolo introduttivo abbiamo affermato infatti che un aumento dell'ambivalenza di ruolo accresce sia l'attrazione che l'incertezza dell'agire sociale improntato dai ruoli di genere. Secondo Merton l'ambivalenza di ruolo comporta un'oscillazione dell'attore tra le strutture normative dei due poli dell'ambivalenza. Applicando questa idea ai ruoli di genere, si potrebbe affermare che l'ambivalenza in questo caso determinerà un'oscillazione più frequente e più intensa tra i modelli di comportamento maschili e femminili. Le strutture dell'interazione basate sul modello dello scambio di ambivalenze reciproche sono sempre state un dominio in cui tipicamente si richiedono competenze femminili. Il modello tradizionale in proposito è quello della civetteria analizzato da Simmel (v. Turnaturi, 1994). Di conseguenza proprio le 'donne', esperte per eccellenza nella comunicazione di ambiguità, sarebbero in grado di far fronte a questo processo di fluidificazione e di decomposizione delle differenze dei ruoli di genere meglio degli uomini ancorati all'univocità. (V. anche Divisione del lavoro; Femminismo).
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