petrolio, ruolo energetico del
petròlio, ruòlo energètico del. – Il petrolio rimane la principale fonte primaria di energia a livello globale e tutte le previsioni indicano che continuerà a esserlo per i prossimi decenni almeno fino alla metà del secolo corrente. È possibile formulare ipotesi in base alle quali il petrolio potrà essere gradualmente sostituito nella seconda metà del 21° secolo. Se ci si limita tuttavia alla prima metà del secolo, non esiste scenario fondato su ipotesi credibili che prospetti un declino sostanziale dei consumi di petrolio. Anche nel caso più favorevole allo sviluppo delle fonti rinnovabili, elaborato nel 2011 dall'International energy agency (IEA) nello scenario 450 (v. ), si prevede che il petrolio confermi il suo primato perlomeno fino al 2035 (3671 Mtep). L'esame del ruolo del petrolio nel nuovo paradigma energetico mondiale non può prescindere dalle cause dello straordinario aumento dei prezzi del greggio verificatosi tra il 1998 e il 2008. Fino all’inizio del secolo corrente, le compagnie petrolifere internazionali hanno costantemente sostenuto che la disponibilità globale di petrolio fosse abbondante e che il progresso tecnologico avrebbe consentito di estrarlo a costi decrescenti. Il prezzo medio di circa 18 dollari al barile, registrato nel corso dell’ultimo decennio del 20° sec., era ritenuto insostenibile: nel lungo periodo la concorrenza avrebbe portato a prezzi inferiori. Alla vigilia dell’intervento americano in Iraq (2003) era ancora diffusa la convinzione che ne sarebbe seguito un periodo di forte debolezza dei prezzi e di difficoltà per i paesi produttori; al punto da ritenere, secondo alcune interpretazioni, che lo stesso intervento fosse principalmente finalizzato a provocare un crollo dei prezzi, e perfino l’uscita dell’Iraq dall’OPEC (Organization of the petroleum exporting countries). Alla luce dei fatti, appare con evidenza che, seppure quell’avventura militare avesse avuto miglior successo, non si sarebbe registrata debolezza dei prezzi. La principale sorpresa nel 2004 e negli anni successivi si è avuta, infatti, dal lato della domanda, non da quello dell’offerta. Quest’ultima è aumentata quasi in linea con le previsioni, grazie al fatto che i principali produttori arabi del Golfo hanno compensato le riduzioni dovute al declino di alcune aree (principale fra tutte il Mare del Nord) e a fattori politici (per es. in Nigeria, Venezuela, Libia, Iran, oltre che ovviamente in Iraq) e naturali (per es. gli uragani nel Golfo del Messico). Al contrario, nell’anno 2004 la domanda si collocava a un livello molto superiore al previsto, principalmente per un’impennata delle importazioni cinesi che hanno avuto la tendenza ad aumentare anche negli anni successivi. La quota della Cina sul consumo mondiale di petrolio, che era inferiore al 3% fino al 1985, è salita al 4% nel 1995 (con aumento dei consumi nazionali pari al 25%) e all’8,5% nel 2005 (con aumento dei consumi nazionali del 112%), per stabilizzarsi intorno al 9% negli anni successivi. Le previsioni IEA indicano per la Cina e l’India, altro Paese guida del mercato futuro, un incremento annuo del consumo di petrolio tra il 2010 e il 2035 rispettivamente del 2,1% e del 3,4%, contro una media mondiale dello 0,5% (pur ipotizzando un significativo rallentamento della crescita economica di questi due paesi). A fronte del continuo aumento della domanda, in particolare nei paesi emergenti, le prospettive della struttura dell’offerta di petrolio sono meno certe. Lungi dall’essere abbondante e a costi marginali decrescenti, come previsto ancora all’inizio del 21° sec. dalle principali compagnie internazionali, l’offerta di petrolio non tiene il passo con la domanda. Si confrontano due scuole di pensiero, quelle cosiddette del e degli ottimisti delle risorse. La prima afferma in sostanza che dopo circa trent’anni dal momento in cui le scoperte iniziano a ridursi, anche la produzione deve declinare. A questa impostazione maltusiana, gli ottimisti delle risorse oppongono numerosi argomenti, basati sull’esperienza di giacimenti rimasti in produzione molto più a lungo di quanto originariamente previsto, e sul progresso della tecnologia, che consente di comprendere meglio le dimensioni di ciascun giacimento (portando generalmente a un costante aumento nella stima delle riserve) e di migliorarne il tasso di recupero (ovverosia la percentuale della risorsa totale contenuta nel giacimento che si riesce a produrre, portandola in superficie). Allo stato attuale il dissenso tuttavia non è più tanto sull’esistenza di un limite superiore alla produzione, quanto sulla forma probabile della curva di produzione negli anni e decenni a venire. Secondo i sostenitori dell’approccio maltusiano, una volta raggiunto il picco, il declino potrebbe essere relativamente veloce. In tal caso, avremmo un rapido aumento del deficit, con una domanda in continua crescita da un lato e un’offerta in continua diminuzione dall’altro. Per gli ottimisti delle risorse, invece, è più probabile che l’offerta si attesti su un plateau ondulato: in altre parole che oscilli per un certo periodo di tempo (uno o due decenni) intorno a un punto di massimo, per poi iniziare a declinare lentamente. Questo scenario è certamente ben diverso dal precedente, ma propone in ogni caso l’imminenza di un deficit crescente tra una domanda in continuo aumento e un’offerta che nel migliore dei casi ristagna o aumenta di poco. I dati confermano che un massimo nella produzione dei paesi non OPEC (ossia i paesi consumatori che dipendono in larga misura dal petrolio senza essere rilevanti produttori di tale energia) sembra essere stato raggiunto. Dal 2004 a oggi la produzione di tali paesi è aumentata pochissimo, e certamente in misura molto inferiore alle aspettative (principalmente perché il declino di molte aree mature, come il Mare del Nord, è stato più rapido del previsto). Il destino della produzione globale è dunque sempre più nelle mani dell’OPEC, il cui interesse è di prolungare l'orizzonte del livello massimo di produzione (contrariamente alle preferenze delle compagnie petrolifere private). Tra i paesi aderenti all’organizzazione, il principale produttore, l’Arabia Saudita, si prevede possa realizzare, attraverso massicci investimenti a carico prevalentemente della compagnia di Stato Saudi Aramco, un aumento della produzione da 10 milioni di barili al giorno (Mb/g) del 2010 a 14 Mb/g nel 2035, con l’obiettivo di mantenere un margine di capacità inutilizzata pari a 1,5-2 Mb/g (per far fronte a eventuali emergenze globali). Per i prossimi due decenni, le prospettive di maggiore aumento della capacità produttiva sono peraltro legate all’Iraq, la cui produzione dovrebbe essere incrementata da 2,8 Mb/g (2011) a 7,7 Mb/g (2035). Il quadro è ulteriormente complicato dalla prevedibile crescente importanza delle cosiddette fonti non convenzionali di petrolio (v. ). È certo che l’importanza di tali fonti andrà aumentando nei prossimi decenni, ma è arduo formulare previsioni sulla rapidità del processo. Si può dire altrettanto per le ipotesi di produzione di combustibili liquidi partendo dal gas o dal carbone, per le quali la tecnologia è nota, anche se la redditività rimane problematica. L’aumento del prezzo del petrolio indica che nei mercati non è più attendibile l’ipotesi che la produzione possa continuare ad aumentare di pari passo con la domanda. Ne consegue un’ovvia aspettativa di aumento dei prezzi nel lungo periodo, sulla quale si innesca il movimento speculativo che spinge i prezzi al rialzo secondo una dinamica a cui contribuisce peraltro la finanziarizzazione ormai consolidata anche in questo mercato (v. ).