RUSPOLI, Emanuele, principe di Poggio Suasa
RUSPOLI, Emanuele, principe di Poggio Suasa. – Nacque a Roma il 30 gennaio 1837, quarto degli otto figli di Bartolomeo, del ramo romano della nobile famiglia toscana dei Ruspoli (risalente al XIII secolo), e di Carolina Ratti. Il padre, militare pontificio, si dimise da comandante della roccaforte di Castel Sant’Angelo per partecipare alla prima guerra d’indipendenza nelle file dell’esercito sabaudo, rimanendo poi esule in Piemonte.
Cresciuto dalla madre nel culto dell’esemplare figura paterna, dopo aver studiato dai gesuiti, dal 1855 frequentò per tre anni la facoltà di giurisprudenza presso lo Studium Urbis, facendo amicizia con alcuni giovani cospiratori antipapalini. Sospettato dalla polizia, scelse la via dell’emigrazione, raggiungendo il padre nel Regno di Sardegna. Nel 1859 prese parte alla seconda guerra d’indipendenza nel corpo dell’artiglieria dell’esercito piemontese, guadagnandosi sul campo la promozione a tenente. Nel 1860 partecipò all’assedio di Civitella del Tronto, meritando la medaglia d’argento al valore militare. A Torino frequentò quindi la scuola militare, laureandosi in ingegneria. Il generale Eugenio di Carignano, di cui divenne in seguito ufficiale d’ordinanza a Firenze nel 1865, lo segnalò al presidente del Consiglio Marco Minghetti per una missione diplomatica segreta presso il principe di Moldavia e Valacchia allo scopo di suscitare un’insurrezione romena contro gli Asburgo. La missione non diede l’esito sperato ma fu l’occasione per incontrare la principessa Caterina Conachi-Vogoride, sposata poi nel 1864. Dalla loro unione nacquero cinque figli (Costantino, Eugenio, Mario, Caterina e Margherita) che crebbero nelle terre acquisite nel 1857 dalla S. Sede tra San Lorenzo e Castelleone di Suasa, nel Senigalliese, dove si trasferì la famiglia.
Rimasto vedovo, si risposò nel 1878 con l’aristocratica napoletana Laura Caracciolo che gli diede il figlio Camillo e poi, perduta anche la seconda moglie, nel 1885 con l’americana Josephine Curtis, con la quale ebbe Vittoria, Francesco ed Eugenio (quest’ultimo con lo stesso nome del secondogenito morto nel 1893 in un incidente di caccia in Somalia).
Il forte temperamento lo aiutò ad affrontare le ripetute sventure familiari. Dopo aver combattuto nella guerra del 1866, entrò a Roma con le truppe regie nel 1870. Designato a far parte della giunta provvisoria di governo dall’assemblea popolare convocata al Colosseo dall’ex triumviro del 1849 Mattia Montecchi, venne poi nominato dal generale Cadorna, che però per la sua composizione evitò ogni accordo con i democratici. Inviato in missione a Firenze con Angelo Tittoni, convinse il governo italiano ad adottare una formula del plebiscito analoga a quella dei precedenti, evitando il riferimento alla garanzia dell’indipendenza dell’autorità spirituale del papa. Diffidente nei confronti della politica conciliante verso la S. Sede di Giovanni Lanza e di Emilio Visconti-Venosta, si ispirò al liberalismo avanzato di Quintino Sella, che ricambiò i sentimenti «di stima e simpatia» (Q. Sella, Epistolario, a cura di G. Quazza - M. Quazza, III, Roma 1991, p. 258) verso il giovane nobile, invitandolo nel 1873 ad assumere la vicepresidenza della sezione romana del Club alpino italiano (fondato dallo stesso Sella dieci anni prima; ibid., IV, Roma 1995, p. 160) e giungendo persino a prefigurare «una vita politica comune in un ministero» (ibid., III, p. 258).
Con il 1870 terminò la carriera militare e intraprese quella politica e amministrativa. Eletto alla Camera nel 1870 nel collegio di Fabriano e in quello di Roma IV, rinunciò all’opzione (fu proclamato deputato di Fabriano mediante sorteggio) non intendendo scontentare né gli elettori della sua città natale, che lo avevano visto protagonista nella giunta provvisoria, né quelli della provincia marchigiana nella quale aveva trascorso i suoi anni più felici – con la prima moglie e i figli – e alla quale restò sempre legato. Dal 1887 divenne consigliere comunale a Senigallia, negli anni Novanta presidente della Cassa di risparmio della stessa città, finanziando in Arkansas, nelle proprietà della moglie americana, la piantagione di cotone di Sunny Side, meta di molte famiglie marchigiane colpite dalla crisi agraria. Le proprietà nel Senigalliese spinsero Ruspoli a chiedere la concessione del titolo di principe di Poggio Suasa (conferitogli dal presidente del Consiglio Agostino Depretis nel 1886) anche per distinguersi dal cugino primogenito che rivendicava l’‘esclusiva’ del titolo di principe (di Cerveteri) e che rappresentava, come «addetto alla Corte del Vaticano e devoto al papa», il filone ‘nero’ della famiglia (Roma, Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, Consulta Araldica, b. 218, f. 1598). Ruspoli era invece la punta avanzata di quella ‘aristocrazia bianca’ (i Carpegna, i Fiano, gli Sforza-Cesarini, gli Sciarra, i Doria, i Pallavicini) favorevole all’Unità e capace di offrire ai piemontesi, rispetto al grigiore della borghesia romana, un importante elemento di mediazione con la cittadinanza. Nel 1870 fu uno dei 180 nuovi deputati di centro, dichiaratisi autonomi dai tradizionali schieramenti di Destra e Sinistra. Apprezzato e corteggiato da entrambi (dopo pochi mesi, nel dicembre 1871, venne eletto questore della Camera), restò tuttavia poco incline ad abbracciare ideologie al di fuori della propria concreta esperienza di vita. Non a caso, solo sulla questione dei rapporti tra Stato e Chiesa, influenzato dalla sua vicenda di esule, mantenne una posizione intransigente. Nel 1871 votò con la Sinistra, mettendo in minoranza l’esecutivo, sulle questioni della limitazione delle guardie pontificie e della proprietà nazionale delle biblioteche e dei musei vaticani. Nel 1872 criticò il ritardo nell’applicazione a Roma e provincia delle leggi del 1866-67 sulla soppressione delle corporazioni religiose, i cui edifici avrebbero potuto essere destinati ad abitazioni. Nel 1873 fu contrario a una liquidazione dell’asse ecclesiastico che mantenesse eccezioni a favore dei frati e della manomorta. Rieletto a Fabriano nel 1874, collaborò con Garibaldi per approvare la legge del 1875 sul Tevere, un’opera che seguì con attenzione in Parlamento: nel 1881 e nel 1886 intervenne sulla seconda e sulla terza serie dei lavori e nel 1897, anche come componente della giunta di Vigilanza, sul ritardo nel completamento dei muraglioni.
Come consigliere del Comune di Roma nel 1871 approvò la convenzione con monsignor de Mérode, un accordo quasi inevitabile tra la «speculazione privata e le esigenze dello sviluppo della città» (M. Tafuri, La prima strada di Roma moderna: via Nazionale, in Urbanistica, giugno 1959, p. 95), ma insistette sull’urgenza di un piano regolatore che, approntato nel 1873, venne però criticato dalla commissione municipale di cui egli stesso fece parte (in particolare lo sviluppo nella zona di Prati di Castello). Il conflitto tra l’espansionismo edilizio di Luigi Pianciani e la politica delle economie di Pietro Venturi sembrò trovare una soluzione proprio con Ruspoli (dal novembre 1877 assessore facente funzioni di sindaco e dal giugno 1878 al luglio 1880 sindaco pleno jure, nominato da Benedetto Cairoli), considerato «il più adatto a garantire l’aggancio della vecchia e della nuova società, muovendosi perfettamente in ambedue» (F. Bartoccini, Roma nell’Ottocento, Bologna 1988, p. 719). Il concorso statale alle opere edilizie della capitale (già richiesto da Venturi ma respinto da Minghetti per tener fermo il principio della par condicio tra i municipi italiani) si realizzò infatti proprio grazie all’iniziativa di Ruspoli come sindaco, che gettò le basi della convenzione tra il Comune e il governo, e poi come deputato (eletto nel 1880 a Foligno), che elogiò i meriti della Sinistra nel passaggio «da un sistema duro ed invadente ad uno equo e generoso» (Camera dei deputati, Atti parlamentari dell’assemblea. Discussioni, XIV legislatura, seduta dell’8 marzo 1881, p. 4200).
La prima legge speciale per Roma del maggio 1881 finanziò infatti non solo le opere governative ma anche quelle municipali, vincendo l’opposizione di molti deputati, soprattutto i più giovani, meno legati al mito risorgimentale di Roma capitale, e riaffermando la necessità dell’aiuto statale alla costruzione di una Roma civile e moderna, contraltare culturale e scientifico della Roma papale. Tale costruzione, come è noto, risultò condizionata dalle manovre speculative di imprenditori e banchieri, facilitate peraltro dal governo che, anziché regolare, accelerò lo sviluppo edilizio facendone gravare le spese principalmente sul Comune. Ruspoli criticò infatti il piano regolatore (da cui scaturì la febbre edificativa e la crisi bancaria, edilizia e finanziaria della fine degli anni Ottanta) finanziato dalla legge del 1883 con un ingente mutuo di 150 milioni, i cui oneri pesarono per anni come un macigno sul bilancio comunale.
Negli anni Ottanta (eletto deputato a Piacenza e membro della importante commissione Bilancio), pur appartenendo alla maggioranza centrista di Depretis, caratterizzata dalla ‘finanza allegra’ di Agostino Magliani, divenne sempre più sensibile al tema della riduzione delle spese (enormemente cresciute soprattutto a causa delle «migliaia di chilometri di ferrovie», dell’aumento del pubblico impiego, del potenziamento dell’esercito; Camera dei deputati, Atti parlamentari dell’assemblea. Discussioni, XV legislatura, seduta del 3 marzo 1886, pp. 17301-17303). Non a caso dopo la morte di Sella (1884) e di Depretis (1887) si avvicinò al partito delle ‘economie’ di Antonio Starabba marchese di Rudinì. In questo quadro va letta anche la sua difesa dell’autonomia del Comune di Roma (di cui dal 1889 fu assessore, con l’ex ministro della Sinistra Bernardino Grimaldi e il radicale Ernesto Nathan, nella giunta di Augusto Armellini, primo sindaco elettivo della città) messa in discussione dal disegno di legge Crispi che prevedeva l’adozione di tasse municipali con decreto governativo. L’opposizione parlamentare non solo riuscì a evitare l’ingerenza dell’esecutivo, ma ottenne che la terza legge speciale per Roma del luglio 1890 autorizzasse il governo a provvedere ogni volta che il Comune, ottenuto il pareggio di bilancio, non fosse stato in grado di eseguire le opere del piano regolatore. Nella sua ultima stagione alla guida della capitale, dal 1892 al 1899, Ruspoli (il più longevo sindaco di Roma anche considerando l’età repubblicana) invocò proprio quella norma per tenere i conti in equilibrio e nel contempo portare a termine le opere previste senza ricorrere a nuovi prestiti (Roma, Archivio storico Capitolino, Atti del Consiglio comunale di Roma, seduta del 6 dicembre 1895, p. 213, seduta del 13 luglio 1896, p. 53).
Le leggi del 1896, 1897 e 1898 dei governi Rudinì (consentendo l’allungamento delle rate di ammortamento dei vecchi debiti) permisero a Ruspoli risparmi di bilancio per finanziare lavori pubblici affidati, a trattativa privata, a cooperative operaie (ibid., seduta del 29 marzo 1897, pp. 405-407). Si rivelò insomma di nuovo abile mediatore tra liberali, clerico-moderati e democratici, con una particolare attenzione alla classe operaia rappresentata in Comune dal segretario della Camera del lavoro Giuseppe Veraldi, principale interlocutore del sindaco sulla questione sociale, aspetto questo che aiuta a capire perché non si avvertirono a Roma gli echi dei moti del 1898.
Nominato senatore nel 1896 da Rudinì, poté continuare a sedere in Parlamento nonostante dal 1888 fossero state dichiarate incompatibili le cariche di sindaco e deputato, ma la sua statura politica venne consacrata il 4 marzo 1898 in Campidoglio con la celebrazione del cinquantenario dello Statuto. In quell’occasione, dopo gli indirizzi di Camera e Senato, spettò a lui rivolgersi al re a nome di tutti i sindaci d’Italia, un’iniziativa che il presidente del Senato Domenico Farini considerò «una mostruosità costituzionale [...] con il pericolo di sollevare le rappresentanze dei comuni all’altezza del Parlamento», legittimando i ‘rossi’ e i ‘neri’ (spesso vittoriosi nelle elezioni locali) a contendere il potere alle Camere (D. Farini, Diario di fine secolo, II, Roma 1962, p. 1252). In realtà l’importanza assunta dagli enti locali era ormai un dato di fatto, tanto più dopo che l’intesa parlamentare tra Rudinì, Giuseppe Zanardelli e il radicale Felice Cavallotti aveva consentito di estendere a tutti i Comuni l’elettività dei sindaci. Nella prospettiva di integrare i ceti popolari nelle istituzioni, proprio la prematura scomparsa di Cavallotti due giorni dopo, il 6 marzo 1898, sembrò a Ruspoli un «danno per la Monarchia» (ibid., p. 1280).
La morte lo colse a Roma, dopo un improvviso coma diabetico, il 29 novembre 1899, impedendogli di continuare l’ultima sua battaglia parlamentare a tutela delle finanze comunali (Senato del Regno, Atti parlamentari dell’assemblea. Discussioni, XX legislatura, seduta del 29 aprile 1899, p. 1018).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico Capitolino, Atti del Consiglio comunale di Roma, 1870-1899. Camera dei deputati, Atti parlamentari dell’assemblea. Discussioni, legislature XI-XVII, ad ind.; Senato del Regno, Atti parlamentari dell’assemblea. Discussioni, legislature XIX-XX, ad indicem.
A. Caracciolo, Il Comune di Roma tra clericali e liberali nel periodo crispino (1887-1890), in Movimento operaio, n.s., VI (1954), 2, pp. 275-302; C. Pavone, Alcuni aspetti dei primi mesi di governo italiano a Roma e nel Lazio, in Archivio storico italiano, CXV (1957), 415, pp. 299-346; C. Destefanis, Sulle vicende municipali di Roma dopo Porta Pia, in Il Veltro, XIV (1970), 4-6, pp. 543-583; F. Mazzonis, L’Unione romana e la partecipazione dei cattolici alle elezioni amministrative in Roma (1870-1881), in Storia e Politica, aprile-giugno 1970, pp. 216-258; F. Agostino et al., Movimento operaio e organizzazione sindacale a Roma (1860-1960), I, Roma 1976, pp. 55-110; A. Caracciolo, Roma capitale, Roma 1976, ad ind.; T. Casavecchia - L. Marconi, I principi Ruspoli nel senigalliese e la Villa di Montignano, s.l. 1996, pp. 21-55; L’Amministrazione comunale di Roma, a cura di M. De Nicolò, Bologna 1996, ad ind.; A. Berselli, Il governo della Destra, Bologna 1997, ad ind. (nell’indice dei nomi è riportato come Augusto Ruspoli); L. Toschi, Luigi Pianciani sindaco di Roma, Pisa-Roma 1997, ad ind.; B. Tobia, Una patria per gli italiani, Roma-Bari 1998, ad ind.; G. Ruspoli, I Ruspoli, Roma 2001, pp. 141-164; Repertorio biografico dei senatori dell’Italia liberale, a cura di F. Grassi Orsini - E. Campochiaro, II, t. 3, Napoli 2009, pp. 3721-3724.