RUSSIA (XXX, p. 264; App. II, 11, p. 756)
La Repubblica Federale Socialista Sovietica Russa (RSFSR), che è di gran lunga la più grande ed importante delle 15 repubbliche dell'Unione Sovietica, si estende sia in Europa sia in Asia. Dal punto di vista amministrativo si divide attualmente in 49 province (oblasti), 6 territorî (krai) e 16 repubbliche autonome, 5 province autonome e 10 aree nazionali.
Mentre si rimanda alla voce URSS (in questa App.) per quanto riguarda le regioni asiatiche, indichiamo qui le principali modificazioni intervenute nella parte europea della Russia, che si estende a occidente degli Urali, dal Mar Glaciale Artico al Mar Nero e alla cresta del Caucaso e confina a O con Norvegia, Finlandia, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania. E poiché il vasto territorio presenta aspetti geografico-fisici ed antropici assai varî, si usa distinguerlo in varie parti nelle quali si è sviluppata diversamente la vita economica, nei decennî anteguerra e nel decennio posteriore.
1) Zona del centro a prevalente carattere industriale: comprende sette province che prendono il nome dal loro capoluogo: Mosca; Vladimir; Ivanovo; Jaroslavl′; Kostroma; Rjazan′; Tula. L'occupazione prevalente è l'industria, con percentuale di addetti superiore a quella di altre zone ben popolate, quali quelle dell'Ural e dell'Ucraina. Nella zona del centro industriale da secoli si è sviluppata tale attività pur non essendovi un sottosuolo ricco di minerali e di combustibili. Furono le industrie a spronare le popolazioni alla ricerca di giacimenti minerarî, diversamente perciò da quello che è avvenuto in altre zone ove i giacimenti minerarî hanno creato le industrie. La posizione centrale ha certo favorito lo sviluppo economico. La popolazione varia di densità (da 100 ab. per km2 nella zona tra Volga e Oka, si scende a 30 nella zona di foreste a nord). La popolazione urbana raggiunge ora il 70%. L'agricoltura (lino, canapa, frumento) favorì lo sviluppo industriale con prevalenza di industrie tessili ed alimentari. Ma il centro ove dominava l'industria tessile si è trasformato in un paese a industrie meccaniche e chimiche, pur mantenendo le industrie tradizionali (tessuti di lino, canapa, lana, seta).
2) Zona delle terrenere: comprende le quattro province di Orël, di Kursk, di Voronež, di Tambov. Dopo la guerra fu necessario ricostruire quasi interamente un gran numero di città e ricostruire l'economia del tutto distrutta; si volle anche mettere in valore le ricche miniere di ferro della "anomalia magnetica di Kursk" e ricostruire il sistema irriguo necessario per la produzione agricola delle regioni meridionali più aride.
3) Zona di nord-ovest: comprende quattro province: di Leningrado, di Pskov, di Novgorod, di Murmansk. Vi si distinguono varie parti: a) Una parte meridionale (Leningrado, Pskov e Novgorod), più popolosa, che durante la guerra fu devastata dall'occupazione tedesca; furono distrutte non solo città e campagne coltivate, ma anche le foreste, incendiate dai bombardamenti. Dopo la guerra si dovette ricostruire l'economia di questa regione, in primo luogo con la ricostruzione di Leningrado e delle sue industrie, e poi con la creazione di un grande stabilimento siderurgico destinato a fornire il metallo alle costruzioni meccaniche della città. Un grande stabilimento fu anche costruito (utilizzando il carbone della Pečra e i minerali di Kola) a Čerepovec, fuori della regione di Leningrado, non lontano dai suoi confini orientali. In questa parte più meridionale sorgono anche i centri di Volchov, presso una grande centrale idroelettrica, e il porto di Vyborg ove si sono sviluppate le industrie per la lavorazione del legno e dei metalli. b) Una parte media di nordovest, corrispondente alla rep. aut. della Carelia, già paese boscoso e povero, oggi trasformato per la messa in valore soprattutto delle ricchezze forestali. Negli ultimi anni si è intensificata la costruzione di centrali elettriche per la lavorazione del legno. c) Una parte settentrionale di nord-ovest, la regione di Murmansk, coperta di foreste e di tundre. Le ricchezze minerarie ne hanno in parte trasformata l'economia; una nuova piccola città, Kirovsk, è stata fondata oltre il circolo polare, presso il lago Vudjiavr, in una regione ricca di giacimenti di apatite e di nefalina. Presso la città si trova un sovchoz per le colture di palude e per l'allevamento, e un orto botanico polare.
4) Zona di nord-est: comprende le province di Arcangelo e di Vologda, oltre alla rep. aut. dei Komi. Le foreste sono qui la principale ricchezza; estese anche le tundre, nelle quali si pratica l'allevamento; alla foce dei fiumi è attiva la pesca. Recentemente si è sviluppata anche un'attività agricola nella parte meridionale della regione dei Vologda. In questi ultimi anni si è iniziata anche la messa in valore di notevoli ricchezze minerarie; specie carbone e petrolio; due nuove città sono sorte, Vorkuta e Uchta, unite con ferrovia ad Arcangelo. Si è creato il nuovo Donbass polare (bacino di Vorkuta). Il carbone della Pečra è inviato per ferrovia a Leningrado, ed una nuova linea ferroviaria, in costruzione, permetterà di trasportare il petrolio verso i centri industriali uralici.
Sebbene le vie marittime e fluviali costituiscano le vie di trasporto essenziali, esiste una rete ferroviaria di una certa importanza. Ricordiamo: la linea Leningrado-Kirov, che traversa la regione di Vologda; la linea Arcangelo-Vologda; la nuova Vorkuta-Kotlass, continuata verso l'ovest fino ad Arcangelo; vi è pure una linea Kirov-Kotlass, che unisce il bacino della Dvina con gli Urali e la Siberia. Si è recentemente progettata, e in parte costruita, la grande linea della Pečra (Kotlass-Vorkuta con diramazione verso Salechard per gli Urali Settentrionali). Un tronco ferroviario unisce Belomorsk e Obozërskaja, partendo dalla linea Arcangelo-Vologda.
Le principali realizzazioni del dopoguerra nella zona di nordest si possono riassumere nelle seguenti: a) grande sforzo per mettere in valore l'industria del legno (che ha triplicato in questi anni la sua produzione), soprattutto per rifornire di legname da costruzione le città distrutte dalla guerra nell'ovest del paese; b) sviluppo dell'estrazione del carbone (utilizzato soprattutto dalle industrie di Leningrado); c) costruzione del grande stabilimento siderurgico a Čerepovec, per fornire di acciaio soprattutto il nord-ovest.
5) Zona occidentale: comprende le prov. di Smolensk, di Velikie-Luki, di Kalinin, di Kaluga, di Briansk. Questa zona ebbe molto a soffrire per l'invasione tedesca. Numerose città (Kalinin, Smolensk, Velikie-Luki, Kaluga e Briansk) furono distrutte. Esse furono ricostruite secondo un piano per cui sorsero anche centinaia di nuovi villaggi. Nello stesso tempo tutta l'economia agricola ed industriale fu riorganizzata. Si crearono nuove centrali per sfruttare i grandi depositi di torba, si favorì la coltura del lino, e si sviluppò ancor più l'industria tessile.
6) Zona di Kaliningrad: costituisce una striscia di territorio, che si allunga secondo la costa meridionale del Mar Baltico (non soggetto al gelo); a nord-est raggiunge la Lituania, e si estende a sud sino alla Polonia. Fu unita all'URSS nel 1945. L'economia del paese, gravemente danneggiata dalla guerra, si è rapidamente riassestata. Industrie del legno, industrie alimentari, industrie meccaniche hanno avuto in questo decennio un notevole sviluppo.
7) Zona del Volga: comprende il bacino del grande fiume ad iniziare dalla confluenza con l'Oka (presso Gor′kij) sino al Mar Caspio. Grandi lavori sono stati eseguiti lungo il corso del fiume per estendere le aree irrigue, ricavare energia elettrica e per agevolare la navigazione. Cfr. la voce volga in questa Appendice.
8) Zona del Don e del Caucaso: comprende le province di Rostov, di Groznyj; il terr. di Krasnodar, con la rep. autonoma dell'Adigezia; il terr. di Stavropol′, con la prov. aut. dei Caraciai-Circassi; le rep. aut. dei Kabardini, dell'Ossezia del Nord, e del Daghestan. L'economia si basa sui giacimenti di carbone del Donbass, i depositi petroliferi del Caucaso e il metano del Daghestan.
9) Zona degli Urali: vi rientrano le province orientali di Perm′ Sverdlosk, Čeljabinsk, Čkalov e le rep. aut. della Baschiria e degli Udmurti. Vi furono trasportate durante la guerra molte industrie dell'occidente. La presenza di materie prime ha facilitato la creazione di grandi stabilimenti di macchine e strumenti di precisione.
Nel decennio 1949-59 l'economia della Russia europea, da quanto abbiamo accennato, ha ripreso il suo ritmo di sviluppo, interrotto dalla guerra. L'agricoltura, tradizionale e fondamentale attività del popolo russo, si è trasformata assumendo metodi e organizzazione razionale e moderna, con meccanizzazione diffusa. Un particolare sviluppo ha recentemente assunto la coltura della barbabietola da zucchero, specie nelle regioni di Kursk, di Tambov, di Penza e di Krasnodar, ottenendo (nel 1957) in alcuni kolchoz dei rendimenti unitarî di 325 q per ettaro. Particolare importanza ha pure la coltura del frumento, considerata una delle ricchezze nazionali; a tale coltura la R. europea partecipa largamente. In totale l'URSS dedica attualmente al frumento (1958) una superficie di 70 milioni di ha, mentre nel 1950 erano 38 milioni. Particolari cure si sono dedicate, in questi ultimi anni (1950-58), all'orticoltura, che ha raggiunto nelle regioni di Rostov, del Volga e degli Urali altissime produzioni; tale coltura va estendendosi, con adattamenti particolari, alle più nordiche regioni di recente popolamento. Tutte le altre tradizionali colture hanno pure subìto un notevole incremento: mais, lino a fibra lunga, patate, canapa, viti, e, da qualche tempo, cotone nella regione del Don.
La natura stepposa della pianura sarmatica, per tutta questa nuova messa in valore, ha richiesto, come già abbiamo accennato, grandi opere idrauliche. I canali irrigatori, alimentati da fiumi e da bacini di sbarramento, costituiscono il fattore fondamentale dello sviluppo dell'agricoltura, specie nelle regioni più meridionali del Don e della Ciscaucasia. Il lago di Ščerbakov, a nord di Mosca, il lago di Cimljansk, fra il Don e il Volga, il sistema irriguo della regione di Gor′kij, ecc. sono fra le più importanti opere idrauliche create per fornire energia elettrica alle industrie ed acqua all'agricoltura.
L'allevamento occupa tuttora, come nel passato, un posto importantissimo. Nel 1957, si contavano nella rep. russa 38 milioni di bovini, 76 milioni di pecore e capre, 30 milioni di suini, dei quali gran parte nell'Europa. Dato l'estendersi della meccanizzazione nell'agricoltura si nota come l'allevamento dei bovini tenda a favorire l'aumento degli animali da latte, più di quelli da lavoro (dei capi bovini più di 16 milioni sono mucche). La produzione della lana è pure in aumento; la rep. russa produce l'83% della lana fine di tutta l'URSS, e gran parte proviene dalla Russia europea delle terre nere e delle steppe a nord del Caucaso.
Nel decennio 1948-1958 anche la pesca ha aumentato il suo prodotto, che ha fondamentale importanza per l'alimentazione della popolazione, in quanto si pratica non solo nel mare, ma anche nelle molte acque interne, fiumi e laghi, la cui superficie ha in questi recenti anni aumentato notevolmente la sua estensione. Il pesce raccolto dal mare e dalle acque interne in tutta l'URSS fu nel 1957 di 2.535.000 t, di cui una parte considerevole nella R. europea.
Le foreste si estendono nella R. europea per 225 milioni di ha, corrispondenti al 20% della totale superficie territoriale. Prevalgono le conifere (75%). Numerose ed in continuo aumento le segherie, specie nella R. settentr., la più ricca di foreste; Kondopoga in Carelia, Sjas′ e Sokal′, nella R. centro-occid., Krasnovišersk, Krasnokamsk e Novaja Ljalja nella regione degli Urali sono centri di segherie, di industrie del legno in genere (mobili, cellulosa, carta, fiammiferi, ecc.) di recente sviluppo.
Particolare intensificazione hanno avuto, nel decennio dal 1948 al 1958, le ricerche e lo sfruttamento dei prodotti minerarî. Il carbone si estrae dai grandi giacimenti del Donec (Donbass) e da quelli degli Urali: centri principali di estrazione sono (1958) il Donbass (181,7 milioni di t su un totale di 495,8 milioni di t per tutta l'Unione), il bacino di Mosca (47,2), il bacino della Pečra (16,8) e quello degli Urali (61). Anche per il petrolio e per il ferro la R. europea ha ora la prevalenza, in virtù dei giacimenti della Seconda Baku e del bacino di Krivoj-Rog. Il platino è estratto nei bacini della Tura, dell'Iš, e della Losova (Urali); il rame in quelli di Bajmak, Degtjarka, Krasnoural′sk; la bauxite dai bacini della Krasnaja, di Serov, Kalia, ecc.). Nella penisola di Kola si estrae la nefelina; la potassa si trova a Solikamsk (Urali); l'amianto è pure abbondante negli Urali. Da qualche anno si sono scoperti giacimenti di zolfo nelle regioni del medio Volga (Vodino). Tanta ricchezza di metalli utili ha favorito lo sviluppo di possenti industrie metallurgiche, siderurgiche e meccaniche. Le zone metallurgiche e siderurgiche in specie nella RSFSR sono due: una centrale e un'altra uralica. I dati che possediamo riguardano tutta la grande Federazione, tuttavia possono darci un'idea della metallurgia nella Russia europea. Nel 1950 furono prodotti 10 milioni di t di ferro greggio; nel 1959, 43 milioni; nel 1959 furono prodotti 45 milioni di t di acciaio, nel 1959, 59 milioni: i laminati nel 1950 raggiunsero una produzione di 18 milioni di t, nel 1956, di 21 milioni.
Nella R. la regione centrale si estende fra Mosca, Tula, Vyksa, Lipeck, Noginsk; la zona degli Urali vanta i grandiosi impianti di Magnitogorsk, Nižne Tagilsk, Čeljabinsk (considerati fra i maggiori d'Europa), Zlatoust (acciai speciali), Sverdlovsk, Serov, Lys′va, Alapaevsk. Di grande importanza sono anche gli impianti di Stalingrado sul Volga.
La metallurgia del rame vanta moderne fonderie nelle regioni degli Urali. La lavorazione della bauxite, per l'estrazione dell'alluminio, si compie negli stabilimenti di Krasnoufimsk (bauxite degli Urali). A Čeljabinsk si lavorano il piombo e lo zinco. Le grandi industriemetallurgiche uraliane sono anche rifornite da materie prime siberiane di recente scoperta e sfruttamento (fluoriti siberiane).
Un imponente sforzo si è compiuto, dopo la guerra (1946), per la ricostruzione delle varie industrie meccaniche gravemente danneggiate dalle distruzioni belliche. Attualmente la RSFSR ne possiede tutte le branche; in notevole parte esse sono localizzate nella R. europea. Per altri dettagli sulle industrie cfr. in questa Appendice la voce URSS.
L'intensificazione dell'attività industriale nella R. è stata favorita anche da uno sviluppo delle vie di comunicazioni fluviali, ferroviarie, stradali ed aeree. Fiumi e canali regolati e sistemati nel loro corso formano il sistema dei cinque mari, in quanto per via acquea sono stati messi in comunicazione fra loro il Mar Bianco, il Mar Baltico, il Mar Nero, il Mar Caspio, il Mar d'Azov. Negli ultimi anni (dal 1954 al 1959) si sono costruiti nella Russia europea più di 5000 km di vie navigabili interne.
La regione di Mosca è poi la località di convergenza di un grande sistema di ferrovie, che unisce la capitale a tutte le più lontane regioni dell'URSS. Mosca è anche il centro principale dei servizî aerei, il mezzo più rapido per unire fra loro le tanto lontane località dell'immenso paese, che si estende per oltre 12.000 km, nel senso della longitudine. I mezzi aerei hanno una funzione di trasporto non solo per i passeggeri ma anche per le merci.
Di grande importanza in questo decennio è stato lo sforzo per diffondere la cultura di ogni ordine e grado. A Mosca hanno sede le principali istituzioni culturali dell'Unione, fra cui l'Accademia delle Scienze, che ha sezioni in tutta l'URSS. A Mosca è pure la più importante università, frequentata da 22.000 studenti. Centri di cultura sono anche: Leningrado, che vanta 53 istituti superiori, con oltre 100.000 studenti, 39 musei e, nelle vicinanze della città, a Pulkovo, il grande osservatorio astronomico nel quale si sta costruendo il telescopio a specchio (di m 6) più grande del mondo; Kirovsk, centro di studî scientifici (geologici); Ivanovo, nei cui dintorni sorge il villaggio di Palech, dove lavora una cooperativa di pittori, che si ispirano alle antiche tradizioni; Kazan′, celebre per la sua università; Saratov, sede di università; Rostov, nota per la sua fabbrica di strumenti musicali, specie di pianoforti.
Bibl.: Vedi quella della voce URSS, in questa App.
Letteratura.
La fine della guerra, con la sua euforia e insieme i gravi problemi della ricostruzione, parve portare una maggiore libertà agli scrittori sovietici nella scelta degli stili e delle tendenze. Per qualche tempo sembrò che la formula del realismo socialistico e dello "scrittore-ingegnere delle anime umane", dell'"uomo sovietico", ecc., dovessero essere ormai accantonate. Ma nell'agosto 1946 vennero le disposizioni del Comitato Centrale del Partito Comunista a dissipare queste speranze. Prendendo pretesto da una novella di M. Zoščenko e da alcune poesie di Anna Achmatova, apparse rispettivamente sulle riviste Zvezda ("La stella") e Leningrad, quelle disposizioni (ispirate da A. Ždanov) richiamavano gli scrittori al rispetto dell'ideologia di partito. L'Achmatova e Zoščenko furono espulsi dall'Unione degli scrittori; N. Tichonov sostituito con A. Fadeev alla carica di segretario generale; le parole "formalismo" e "cosmopolitismo", con cui Ždanov aveva bollato le due riviste incriminate, si vennero gonfiando come spauracchi; e gli scrittori dovettero conformarsi ai precetti sempre più squallidi del realismo socialistico. La letteratura sovietica di quegli anni visse nel segno di Stalin. Soprattutto i poeti (e in specie A. Surkov e A. Tvardovskij, N. Tichonov, I. Sel′vinskij, S. Ščipačev) si profondevano in panegirici, in mediocri e servili atti d'omaggio, facendo di Stalin il condottiero, il maestro, il profeta.
La maggior parte delle opere narrative di questo periodo si impernia sui temi della seconda guerra mondiale e della ricostruzione. Del primo gruppo citiamo Burja ("La tempesta") di Il′ja Erenburg, ambientato in parte in Francia, storia d'una pittrice snob che si trasforma in audace partigiana; Povest′ o nastojačem čeloveke ("Racconto sull'uomo autentico") di Boris Polevoj, su un aviatore che, avendo perduto l'uso delle gambe in un atterraggio di fortuna, riesce a oltrepassare le linee e a tornare fra i suoi compagni; Sputniki ("Compagni di strada") di Vera Panova, sulle vicende degli addetti a un treno sanitario che sgombera i feriti dal fronte; Zvezda (La stella") di Emmanuel Kazakevič, su un gruppo di esploratori che muoiono nell'adempimento della loro missione; Belaja bereza ("La betulla bianca") di M. Bubennov, sulla maturazione spirituale d'un giovane soldato; Za pravoe delo ("Per la giusta causa") di Vasilij Grossman, sulla battaglia di Stalingrado. Del secondo gruppo si possono ricordare Daleko ot Moskvy (Lontano da Mosca") di V. Ažaev, Kružilicha (in italiano: L'officina sull'Ural) di Vera Panova, Sčast′e ("Felicità") di P. Pavlenko, Žurbiny di Vsevolod Kočetov; Iskateli ("I cercatori") di D. Granin; Žatva ("La mietitura") di Galina Nikolaeva; V okopach Stalingrada ("Nelle trincee di Stalingrado") di V. Nekrasov. Un posto a parte hanno i due romanzi di K. Fedin Pervye radosti ("Le prime gioie", 1945-46) e Neobyknovennoe leto ("Un'insolita estate", 1948), ambientati nell'epoca della prima guerra mondiale; Otkrytaja Kniga ("Il libro aperto" 1949-52) di V. Kaverin, sulla vita degli scienziati sovietici; Russkij les ("La foresta russa", 1953) di L. Leonov che, traendo lo spunto dalla difesa del patrimonio forestale russo, fa delle vaste foreste il simbolo della Russia; Povest′ o detstve ("Racconto sull'infanzia", 1949), Vol′nica ("Libertà masnadiera", 1950), e Lichaja godina ("La cattiva annata", 1954) di Fëdor Gladkov, affresco epico-autobiografico della classe contadina russa, inaridito però dai dettami del realismo socialistico. Del resto tutti questi libri, anche i migliori, sono afflitti dalla preoccupazione di tenersi dentro gli schemi e di non conceder troppo alla fantasia. La situazione venne mutando dopo la morte di Stalin, e i primi segni del mutamento furono i romanzi Vremena goda ("Le stagioni") di V. Panova e Ottepel′ ("Il disgelo") di Il′ja Erenburg, che alle figure schematiche delle opere dello stalinismo oppone figure umane, complesse, con i loro dubbî e tormenti. Lo stesso sviluppo della narrativa ebbe negli anni del dopoguerra la drammaturgia. Dalla propaganda patriottica del periodo bellico essa passò ai temi antiamericani e all'esaltazione del dittatore, alla lotta "per la pace e la democrazia" e alle impennate contro il "cosmopolitismo". Il repertorio di quegli anni è una serie di lavori squallidi e risecchiti, di aride commediole a tesi, fra le quali si possono citare Zakon česti ("La legge dell'onore") di A. Štejn, Russkij vopros ("Il problema russo") di K. Simonov, Lev na ploščadi ("Il leone sulla piazza") di I. Erenburg, Golos Ameriki ("La voce dell'America") di B. Lavrenëv.
La poesia non fu più colorita né più ricca della narrativa e della drammaturgia; si possono ricordare comunque Za dal′ju dal′ ("Una lontananza dietro l'altra", 1950-54) di A. Tvardovskij, serie di liriche descrizioni di paesaggi russi, e le poesie di S. Ščipačëv, di E. Dolmatovskij, di M. Aliger. Il secondo congresso degli scrittori sovietici (15-25 dicembre 1954), pur confermando l'importanza del realismo socialistico, criticò la tendenza a verniciare la realtà, l'assenza di conflitti e il grigiore schematico in cui s'era ingolfata la letteratura. Due anni dopo, nel 1956, apparvero due almanacchi letterarî e un romanzo, Ne chlebom edinym ("Non si vive di solo pane") di V. Dudincev, che indicavano un allentamento dei freni ideologici e l'aspirazione degli scrittori a una nuova libertà. Il romanzo di Dudincev, che suscitò tanto scandalo, tracciava un quadro non schematico della vita quotidiana della gente sovietica, oppressa da nuovi borghesi e da potenti burocrati. Gli almanacchi, intitolati Literaturnaja Moskva ("Mosca letteraria"), univano scrittori già anziani (Pasternak, Šklovskij, Aseev, Achmatova, Oleša, Kaverin, Prišvin, ecc.) a scrittori giovani; nelle loro pagine si avvertiva il desiderio di ristabilire la verità, di rompere con le falsificazioni e con i dogmatismi. In realtà gli almanacchi erano partecipi del nuovo spirito instaurato dal discorso di Chruščëv al XX Congresso del partito. Subito dopo, gli avvenimenti polacchi e ungheresi frenarono di nuovo lo sviluppo delle lettere sovietiche. La critica partì di nuovo in resta contro i mulini a vento del "formalismo" del "settarismo", del "decadentismo". Di queste remore risente ancor oggi soprattutto la prosa: una ricerca di nuove vie si avverte tuttavia nella narrativa di V. Nekrasov, V. Tendrjakov, P. Nilin, V. Ovečkin.
E qui va ricordato che il lettore russo non ha conosciuto il romanzo di Boris Pasternak, Doktor Živago, pubblicato in Italia nel 1957, romanzo che è senza dubbio il meglio che la prosa russa abbia dato nell'ultimo ventennio: affresco della Russia dal 1903 al 1923, senza schemi, senza ricette, pervaso da un grande soffio lirico e dall'èmpito d'un'ardente dolcezza umana.
Chi è abituato alle immagini rutilanti e ai fantasiosi motivi d'un Pasternak, d'un Majakovskij, d'un Esenin, rischia di restar deluso dinanzi alla schiva nudezza della lirica russa del dopoguerra. Si direbbe che la tradizione degli anni venti sia stata sommersa e cancellata dal grigiore dell'età staliniana. E il curioso è che i nuovi poeti, dimentichi di quella stagione di metafore, colori e prodigiose innovazioni formali, cantano la nostra epoca, così ricca di scoperte, di tecnicismo e di vicende cosmiche, in metri chiusi e antiquati che si modellano sui canoni ottocenteschi. La recente poesia russa, tranne che in qualche caso, non ha mai modernità di forma e si appaga di quella media chiarezza standardizzata che vien di solito definita, per comodità, puškiniana. L'isolamento degli anni passati e il persistente equivoco dell'ottimismo a tutti i costi fanno sì che essa viva su un piano assolutamente diverso da quello in cui si muove l'odierna poesia occidentale. Ciò che soprattutto allontana la nuova poesia sovietica da quella occidentale è il suo tono di esultanza, la sua inconcussa accettazione della vita e del mondo, la sua apparente fiduciosità e saldezza. Il desiderio di comunicare con una larga massa di lettori costringe d'altra parte i poeti a un'ostinata ricerca di bellezza morale e di elementare semplicità, una ricerca che sconfina sovente in un'ingenua sciatteria. Parecchi di loro sono invischiati nella retorica del "bello" o si arenano nelle secche del moralismo e della didattica. Leonid Martynov, che inclina a una scrittura succinta e laconica, di grande nitidezza grafica; Jaroslav Smeljakov, che esalta il rigorismo di un'austera etica operaia, raffrontando l'epoca ascetica del primo piano quinquennale e gli attuali costumi. Nel 1958 è scomparso Nikolaj Zabolockij, che accanto a Pasternak (la cui raccolta Kogda razguljaetsja ["Quando il tempo si rasserena"] non è ancora apparsa nell'Unione Sovietica) può considerarsi il più significativo poeta degli ultimi vent'anni. Egli aveva debuttato nel 1929 con una vivida raccolta di versi grotteschi dal titolo Stolbcy ("Colonne"). Dopo lunghi anni di silenzio, trascorsi in parte in campi di concentramento, si ripresentò nel 1948 e nel 1957 con due volumi che ebbero largo successo. Nelle poesie degli ultimi anni, composte con straordinaria severità di cesello, s'ingegnò di cogliere l'incostanza contraddittoria della natura, traendone pretesto per un ordito allegorico, per una meditazione filosofica che non rifugge dai termini arcaici. Dei più giovani poeti ricordiamo Konstantin Vanšenkin, Evgenij Vinokurov, Aleksandr Mežirov, Boris Sluckij, Viktor Bokov, Vladimir Solouchin, la cui tematica oscilla fra i ricordi di guerra, le vedute della natura, i problemi del nostro tempo. Gran parte della produzione dei giovani poeti è purtroppo guastata da pagine in cui fa capolino quella fierezza ottimistica, quella sicumera ideologica dell'"Homo sovieticus" che a noi sembra l'elemento più retrivo della nuova poesia. Il più discusso di questi poeti è Evgenij Evtušenko, il quale canta nelle sue liriche le vicende di un eroe, la cui infanzia ha coinciso con le privazioni della guerra, un giovane che sostituisce all'ascetismo fanatico dei costruttori l'ansia d'una vita individuale, il desiderio di svaghi, di mode, di agiatezza. Evtušenko si muove nella società del comunismo con una sorta di egoistica insofferenza e con un chiaro disprezzo per gli schemi. La forma è alquanto trasandata e frettolosa, spoglia di metafore, ma in cambio i componimenti sono pervasi da un impulso vitale e da una franchezza polemica che non si trova in altri poeti sovietici. Una svolta in questo panorama, un'apertura di imprevedibili sviluppi, rappresentano le due raccolte Parabola (1960) e Mozaika (1960) di Andrej Voznesenskij, che nelle sue liriche colorite e ricche di metafore si ricollega ai modi d'un Chlebnikov e d'un Pasternak.
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