Russia
Geografia umana ed economica
di Berardo Cori
Stato che si estende nell'Europa orientale e nell'Asia settentrionale. La R., o Federazione Russa, come la definisce il Trattato federale del 1992, è il maggior Paese del mondo per superficie (oltre 17 milioni di km2) e uno dei più notevoli per popolazione (oltre 145 milioni di abitanti al cens. del 2002). Essa continua a far parte, svolgendovi un ruolo guida informale, della Comunità degli Stati Indipendenti, che raggruppa 12 delle 15 repubbliche già federate (fino al 1991) nell'ex Unione Sovietica (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan), il cui segretariato ha sede a Minsk, capitale della Bielorussia (che non a caso è lo Stato più legato politicamente e culturalmente alla R.).
All'interno della Federazione Russa, la struttura territoriale-politico-amministrativa è assai complessa. Si distingue una Repubblica Russa in senso stretto, composta da 49 province (oblasti), una provincia autonoma degli Ebrei, due città autonome (Mosca e San Pietroburgo) e 8 circondari; e infine altre 21 repubbliche, distinte dalla Repubblica Russa in senso stretto, ma membri a pieno titolo della Federazione Russa. Nel maggio del 2000 V. Putin attuò una riforma amministrativa che portò all'introduzione di sette distretti federali (v. oltre: Storia). La terminologia politico-amministrativa insiste molto, come si vede, nell'applicare l'aggettivo 'autonomo' a numerose ripartizioni territoriali; tuttavia spesso le più diverse unità territoriali continuano a richiedere autonomie più accentuate, vere forme di autogoverno motivate da ragioni etniche, dalle grandi distanze e dall'aspirazione delle comunità locali al controllo delle proprie risorse. Il caso estremo è quello della Repubblica dei Ceceni, dove le propensioni autonomiste, appoggiate su motivazioni etniche ma anche su precisi interessi economici riguardanti il settore petrolifero, sfociarono in una guerriglia talvolta assai cruenta e provocarono una conseguente decisa repressione da parte del governo della Federazione.
Negli ultimi anni del secondo millennio e nei primi del terzo, la popolazione russa (che per quasi i 3/4¾ è classificata come urbana) è leggermente diminuita di numero, facendo registrare un decremento medio annuo dello 0,3%, che prevedibilmente si potrebbe accentuare negli anni successivi: questo nonostante un leggero aumento della durata media della vita (che mantiene però la sua caratteristica, tipica della R., di essere assai più lunga per le femmine che per i maschi, questi ultimi soggetti maggiormente a micidiali malattie provocate dall'alcolismo). Il tasso di natalità si mantiene molto basso (poco meno del 10‰ nel 2006) a fronte di un tasso di mortalità elevato (oltre il 14‰). Quanto ai movimenti migratori, essi sono assai limitati, sia pure con una leggera prevalenza numerica degli immigrati (soprattutto 'rimpatriati' dalle ex repubbliche sovietiche divenute indipendenti) sugli emigrati (+1‰ nel 2006). La struttura etnico-linguistica della popolazione vede da un lato un'ovvia e notevole preponderanza dei Russi (80% del totale), dall'altro un variegato insieme di piccole minoranze, dai Tatari agli Ucraini, dai Baschiri ai Ciuvasci (per citare solo i popoli che superano l'1% del totale della popolazione all'interno della Federazione).
L'agricoltura (che nel 2006 ha occupato 1/10 della popolazione attiva russa contribuendo solo con 1/20 al PIL), vede ulteriormente contrarsi tanto il dato della superficie coltivata (7,4% della superficie totale della R., con punte di maggior diffusione nelle 'terre nere', collocate in massima parte fra la taiga a nord e le steppe a sud), quanto quello della superficie irrigua (appena il 3,7% di quella coltivata). Mentre continua a resistere il sistema delle aziende agricole statali e collettive, nel 2002 una decisa svolta sembra essersi avviata grazie alla 'controriforma' agraria che ha favorito e regolarizzato un consistente processo di vendita e quindi di privatizzazione dei terreni agricoli. La R. occupa, secondo i dati del 2005, il quarto posto nella graduatoria mondiale dei produttori di cereali e in particolare di grano, salendo addirittura al primo posto per l'orzo; è il secondo produttore di patate dopo la Cina, il quarto fra i produttori di barbabietola da zucchero, ma non di zucchero, in quanto destinata soprattutto all'esportazione. Viceversa, la R. importa tabacco per produrre sigari e sigarette. Buon produttore di bevande e segnatamente di birra, la R. occupa poi posizioni forti nel mercato internazionale delle fibre tessili e dei tessuti (60.000 t di fibre di lino nel 2005, 101 milioni di m2 di tessuti di lino e 2173 milioni di m2 di tessuti di cotone nel 2002). Rilevante altresì la sua partecipazione alla produzione del legname e della pasta di legno (rispettivamente 182 milioni di m3 e 6,9 milioni di t nel 2004), ricavati ovviamente dalla taiga - che occupa esattamente la metà della superficie territoriale del Paese - e utilizzati in tutta una serie di fabbriche, dai mobilifici alle cartiere (oltre che esportati).
Per quanto riguarda le produzioni di origine animale, la R. primeggia per il latte, per le uova e, più moderatamente, per il burro. L'importanza dell'allevamento ovino russo (15,5 milioni di capi nel 2005) è dimostrata dalla buona posizione che la R. detiene nella produzione mondiale sia di filati sia di tessuti di lana, e dal contributo che essa offre alla produzione mondiale di carne e di latte. Significativo è anche l'allevamento delle renne e degli animali da pelliccia in Siberia. Per i prodotti della pesca marittima la R., a dispetto delle condizioni assai poco propizie offerte dai suoi mari, è riuscita a mantenere (2003) il 7° posto nella graduatoria della pesca di mare, e il 9° posto in quella del pescato complessivo (grazie soprattutto alle aringhe e ai merluzzi dei mari artici, ma ricorrendo anche alla pesca fluviale, in particolare degli storioni, sul basso Volga).
La ricchezza delle risorse minerarie contenute nel sottosuolo russo continua a mantenere la Federazione tra i colossi dell'industria estrattiva mondiale. Ciò vale in particolare per i minerali energetici: carbone (210 milioni di t nel 2004), ricavato ancora dalle tradizionali aree di estrazione, dal Donbass agli Urali alla Siberia e fino alla Kamčatka e all'isola di Sahalin; petrolio (452,1 milioni di t, 24 milioni in meno rispetto all'Arabia Saudita, primo produttore mondiale) estratto dai giacimenti della 'seconda Baku' e della 'terza Baku' e da quelli disseminati dal Volga fino a Sahalin; gas naturale (613,1 miliardi di m3 nel 2005), estratto nel Caucaso, nella Repubblica dei Comi, nel bacino del Volga, negli Urali e soprattutto nella Siberia occidentale. E si aggiunga che il petrolio si ricava ora anche dagli scisti bituminosi della regione di San Pietroburgo. Infine, la rete degli oleodotti russi ha ormai superato i 62.000 km di lunghezza. Per quanto riguarda altre fonti energetiche, con 3200 t (2004) la R. è il sesto produttore mondiale di uranio che ricava dal giacimento di Sljudjanka all'estremità sud-occidentale del Lago Bajkal.
Nel 2004 è stata prodotta energia elettrica pari a 881,6 miliardi di kWh, oltre i due terzi dei quali di origine termica e il 15% nucleare. Le sole centrali nucleari sono una quarantina, ma molte di esse devono considerarsi tecnologicamente obsolete. Suggestive - oltre che produttive - le centrali idriche sul Volga, sull'Angara e sullo Enisej.
Tra i minerali metallici, va citato anzitutto il ferro (95 milioni di t nel 2005), che si ricava dagli Urali e dal Rialto Centrale Russo e che alimenta una possente siderurgia, la terza al mondo a livello di ghisa prodotta, la quarta a livello di acciaio; gli impianti siderurgici (spesso però vecchi e poco efficienti) si distribuiscono soprattutto fra la regione di Mosca, la fascia uralica e un'ampia area siberiana. Quanto alle metallurgie specializzate, si possono distinguere aree dell'alluminio, del rame, del piombo-zinco, del magnesio, del nichel; alcune di tali metallurgie si basano su minerali prodotti nella stessa R., specialmente il rame (675.000 t nel 2005).
Le industrie manifatturiere più tradizionali sono localizzate prevalentemente nelle due metropoli russe, Mosca e San Pietroburgo: così la produzione di fibre artificiali, la farmaceutica, la meccanica, la fabbricazione di aerei e navi, l'elettronica, la meccanica di precisione e l'industria bellica (in via di ridimensionamento e di riconversione, anche se l'industria russa in genere resta prevalentemente 'pesante'). Più periferiche e relativamente ben distribuite, in genere, l'industria tessile, del cemento e dei prodotti alimentari.
Il commercio estero è rappresentato da un'intensa attività di esportazione, cui fa riscontro una ben più limitata importazione. La R. ha esportato per 317,6 miliardi di dollari USA nel 2006 (merci prevalenti: petrolio e derivati), importando per soli 171,5 miliardi. Principali clienti i Paesi occidentali (in particolare Paesi Bassi, Italia, Germania), la Cina e i maggiori partner della CSI (Bielorussia, Ucraina); principali fornitori questi ultimi e ancora - e soprattutto - la Germania e poi la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti e anche l'Italia. Si tratta comunque di cifre che risultano all'incirca raddoppiate, in termini di valore, nel periodo 2001-2004, a testimonianza di un crescente inserimento della R. nel sistema degli scambi internazionali.
Poche sono le novità per quanto riguarda le comunicazioni: la Transiberiana resta la principale linea ferroviaria, che assicura oltre il 15% del traffico su rotaia complessivo; l'intera rete ferroviaria, elettrificata per il 50% circa, si estende su 86.000 km. Il traffico delle merci all'ingrosso è assicurato tuttavia soprattutto da un'organica rete di vie navigabili interne, che è perfettamente in grado di collegare fra loro i mari 'europei' della R. (Mar Nero e Mar d'Azov, Mar Baltico, Mar Bianco) e il Mar Caspio, per una lunghezza pari a 102.000 km. Non trascurabile la rete stradale (894.000 km nel 2004), limitata a circa 29.000 km quella autostradale: ma, vista la crescita del numero degli autoveicoli (28,8 milioni nel 2003), è stato avviato nel 2004 un piano per la costruzione di quasi un milione di km di strade e autostrade entro il 2025; questo anche al fine di incrementare lo sviluppo e la diffusione territoriale dei flussi turistici dall'estero, i quali rimangono per ora modesti (9 milioni di ingressi nel 2004) e soprattutto sostanzialmente limitati alle metropoli di Mosca e San Pietroburgo. Si noti, per inciso, che queste due metropoli non sono le sole città russe a essere dotate di efficienti ferrovie 'metropolitane': ne troviamo anche a Nižnij Novgorod, Novosibirsk, Samara e Jekaterinburg. Relativamente ben sviluppata, e indispensabile viste le distanze, la navigazione aerea. In sviluppo vertiginoso, infine, la diffusione dei telefoni cellulari: ce n'era soltanto 1 ogni 100 abitanti ancora nel 1999, ma già nel 2005 si era arrivati a 0,8 per ogni abitante.
bibliografia
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di Giulia Nunziante
Per far fronte agli effetti della pesante crisi dei mercati finanziari che aveva colpito la R. sul finire del 20° sec., il governo diede maggiore impulso alle politiche economiche, in modo da assicurare al Paese una crescita sostenuta (che fu contrassegnata dall'espansione dei consumi interni e, a partire dal 2003, degli investimenti), il consolidamento delle finanze pubbliche e un contenimento significativo della pressione inflazionistica. Una congiuntura esterna favorevole, in termini di aumento dei prezzi del petrolio e dei prodotti energetici in generale, e l'eccezionale debolezza del rublo nei confronti delle altre valute successiva alla svalutazione del 1998, resero possibile il realizzarsi di una manovra volta a creare un ambiente economico favorevole allo sviluppo.
Particolare impegno venne speso nello sforzo di risanamento dei conti dello Stato. Grazie all'aumento dei prezzi dei prodotti esportati e a un maggiore rigore nella gestione delle finanze pubbliche, soprattutto prima del 2005, i conti dello Stato fecero registrare un saldo di bilancio positivo a partire dal 2000. Questo successo fu conseguito anche mediante la creazione di un fondo di stabilizzazione - finanziato dagli avanzi di bilancio - in grado di compensare, almeno in parte, gli effetti negativi sui conti pubblici di eventuali fluttuazioni avverse nei corsi e nelle quotazioni sui mercati internazionali. Il governo realizzò significativi progressi relativamente alla riforma del sistema impositivo, nell'amministrazione dei conti pubblici e nel processo di graduale conferimento di responsabilità di natura fiscale alle amministrazioni locali, anche se nei confronti di queste ultime rimase un diffuso controllo informale delle autorità centrali. Nonostante i programmati aumenti nei trasferimenti alle amministrazioni locali e la promessa di raddoppiare il valore reale delle pensioni e dei salari pubblici nel corso del triennio 2005-2007, il governo volle mantenere fede all'impegno di non incrementare l'incidenza delle spese sul PIL. Lo aiutarono in questa impresa un più attento ed efficiente uso del denaro pubblico e l'avvio di un complesso piano di lotta alla corruzione, che rimase tuttavia incompiuto, benché inasprito a partire dal 2004 con norme a tutela dei principi di buona amministrazione e con il ricorso alla cooperazione internazionale. Inoltre le autorità proseguirono l'opera di riordino del regime fiscale, con l'obiettivo di creare un sistema più equo e semplice e di snellire le operazioni di raccolta dei tributi.
Per promuovere la modernizzazione del tessuto imprenditoriale del Paese, le autorità cercarono di garantire alcune condizioni necessarie all'espansione dell'attività delle aziende private. Lo sviluppo di un sano ambiente competitivo, obiettivo dichiarato a partire dal 2003, rimase però limitato, benché perseguito (in particolare nel comparto della produzione di beni di consumo e nel settore finanziario) attraverso l'adozione di interventi a tutela delle forze in gioco sul mercato, quali le azioni preventive contro le pratiche monopolistiche, il maggior vigore nella lotta alla concorrenza sleale, il controllo puntuale del rispetto della legislazione in materia di pubblicità. Concorse al miglioramento del contesto nel quale operavano le imprese anche la revisione della struttura dell'apparato statale, che portò, tra l'altro, al riordino delle competenze tra le diverse autorità (centrali e territoriali) di tutela della concorrenza, al consolidamento del quadro regolamentare, alla riduzione delle barriere amministrative che gravavano pesantemente sull'attività delle aziende.
Per far fronte all'estrema vulnerabilità dell'economia del Paese, la cui crescita era eccessivamente legata alla dinamica delle quantità e dei prezzi delle risorse energetiche esportate, il governo avviò un processo che nel lungo periodo avrebbe dovuto assicurare la diversificazione economica. Inoltre, per incentivare lo sviluppo e la diffusione del progresso tecnologico, assicurò maggiore tutela legale agli investitori e avviò la ristrutturazione dei centri settoriali di ricerca.
Consapevole che il settore energetico avrebbe comunque mantenuto un ruolo centrale nello sviluppo dell'economia russa, il governo intraprese nel 2003 una complessa ristrutturazione del comparto, con l'intento di introdurre gradualmente maggiori spinte concorrenziali, aprendo ad altre imprese il mercato della produzione e dell'offerta dell'energia elettrica, pur mantenendo il monopolio della distribuzione. Inoltre fu previsto, come garanzia minima per attrarre investitori privati nazionali e stranieri, lo sviluppo di un quadro chiaro, trasparente e stabile di leggi e regolamenti, la cui concreta applicazione rimase tuttavia circoscritta, anche a causa di un sistema giudiziario obsoleto.
Un altro settore di rilievo, considerata l'immensa estensione del territorio del Paese, era quello del trasporto ferroviario, la cui ristrutturazione - avviata con il programma decennale 2001-2010 - prevedeva in una prima fase la ridefinizione del quadro organizzativo e legale, e successivamente l'ingresso di operatori privati, che avrebbe permesso la completa privatizzazione del comparto. Il programma di ristrutturazione contemplava inoltre il miglioramento dell'accessibilità, della sicurezza e della qualità del servizio, la riduzione dei costi e delle tariffe, la definizione di un sistema unificato per la gestione.
Soprattutto a partire dal 2002, il governo mise mano con decisione a interventi di miglioramento del settore bancario: venne richiesta agli operatori una maggiore trasparenza nell'espletamento delle attività nei confronti dei clienti (in particolar modo fu introdotta una normativa relativa all'assicurazione dei depositi), venne rafforzata l'attività di vigilanza sulle banche e furono realizzati importanti passi per armonizzare il sistema finanziario con gli standard di vigilanza internazionali.
Lo sviluppo delle politiche sociali rimase tra le priorità del governo, che si impegnò a rimuovere le enormi disparità nelle condizioni di vita che ancora sussistevano all'interno della R. e, in un'ottica di confronto internazionale, tra la R. e le altre economie sviluppate. Al fine di innalzare il livello di qualificazione professionale del capitale umano, il governo realizzò una più attenta e trasparente gestione dei fondi per l'istruzione, assicurandone una più equa distribuzione. La riforma del sistema previdenziale - avviata nel 2002-03 - fu oggetto di particolare attenzione da parte delle autorità, per le enormi implicazioni che essa avrebbe avuto in termini di sostenibilità delle politiche fiscali e di sviluppo del mercato finanziario. Tra le sue priorità, la riforma comprendeva il consolidamento della capacità, affidabilità e trasparenza nella gestione del sistema previdenziale, il rafforzamento delle funzioni di supervisione da parte degli enti pubblici e privati sulla gestione delle pensioni, la diffusione dell'informazione sul sistema previdenziale privato. Tuttavia, l'insufficiente sviluppo del mercato finanziario e la carenza di appropriati strumenti finanziari di investimento ostacolarono l'avvio della riforma. Anche il sistema sanitario fu oggetto di attenzione da parte delle autorità, che intendevano migliorarne gradualmente l'efficienza e garantire l'accesso al servizio alle classi di popolazione realmente bisognose. Infine, con l'intento di far sì che la ricchezza prodotta dall'economia fosse maggiormente distribuita ai lavoratori, il governo promosse l'adozione di strumenti contrattuali in grado di garantire maggiore flessibilità al mercato del lavoro, e contestualmente cercò di tutelare i diritti degli occupati con la sottoscrizione di accordi sociali.
Nel corso del periodo 1999-2005, la politica monetaria fu orientata al raggiungimento di due fondamentali obiettivi: contenere l'inflazione e mantenere sotto controllo l'apprezzamento del tasso di cambio reale. Nel periodo considerato la Banca centrale fu costretta a intervenire sul mercato dei cambi per frenare l'incremento del valore del rublo rispetto alle altre valute, mantenendo contemporaneamente sotto osservazione gli effetti di tali interventi sul mercato interno, con l'obiettivo di moderare il conseguente aumento dei prezzi. Tuttavia nel corso del 2006 l'autorità centrale limitò il suo intervento e il rublo si apprezzò lievemente.
La politica commerciale fu condizionata dai negoziati per l'ingresso della R. nella WTO (World Trade Organization) e, più in generale, dalla volontà di favorirne l'integrazione nel sistema commerciale mondiale. Di conseguenza, particolare attenzione fu rivolta al ruolo che le autorità locali dovevano assumere nella promozione del commercio, mentre veniva favorito il ricorso a condotte ispirate a principi di trasparenza negli scambi con l'estero di beni e servizi.
Storia
di Silvio Pons
Nel secondo decennio dopo il crollo dell'Unione Sovietica, la R. postsovietica aveva definitivamente voltato le spalle al passato comunista. La sua trasformazione era avvenuta senza un'autentica rivoluzione e un ricambio delle classi dirigenti, ma appariva nondimeno irreversibile. Si era verificato un decisivo passaggio all'economia di mercato e alla proprietà privata. Nessuna forza politica proponeva il ritorno al sistema sovietico, e i nostalgici erano stati messi ai margini. Dopo le gravi oscillazioni del primo periodo di B. El´cin, la nozione e la prassi della democrazia rappresentativa era accettata da tutti. La R. rivendicava la propria continuità statuale con l'URSS, ma era un Paese integrato nel sistema economico e nelle istituzioni internazionali. La dimensione della superpotenza era ormai liquidata, e il complesso militare-industriale con essa. Eppure, non era difficile vedere i segni di un 'passato che non passa'. Assai più che una progressiva transizione dal comunismo al capitalismo, dal totalitarismo alla democrazia, dall'impero allo Stato-nazione, sembrava verificarsi una difficile e ambigua ripresa dopo il collasso sovietico, dai percorsi ancora incerti e indefinibili. La personalizzazione del potere, la distanza tra governanti e governati, la debolezza delle istituzioni, la vasta corruzione della vita pubblica, le nostalgie imperiali, la difficoltà stessa di definire un'identità nazionale, erano tutti aspetti che impedivano di dare una risposta chiara alle prospettive del futuro. Il segno più evidente di questa persistenza del passato è costituito dal fatto che per ricostruire le linee essenziali dell'evoluzione politica e statuale della R. è ancora oggi inevitabile, come avveniva in passato, concentrare l'attenzione sul leader del Paese.
Il 31 dicembre 1999 El´cin annunciò le sue dimissioni dalla presidenza della Federazione Russa. Il suo successore era già stato designato. Nella sorpresa generale, alcuni mesi prima El´cin aveva nominato capo del governo lo sconosciuto V. Putin, non ancora cinquantenne, dal 1996 capo del Servizio federale di sicurezza (l'organizzazione erede del KGB). In un breve volgere di tempo questo outsider aveva conquistato un notevole consenso popolare, soprattutto per la determinazione con cui aveva ripreso le operazioni militari in Cecenia (sett.-ott. 1999). Il suo improvvisato partito, Edinstvo (Unità), aveva conseguito un buon risultato (23,3% dei voti) nelle elezioni alla Duma (dic. 1999), favorendo per la prima volta la nascita di una maggioranza parlamentare anticomunista. Con il ritiro di El´cin, Putin poté presentarsi alle elezioni presidenziali del marzo 2000 come il candidato di gran lunga più autorevole, anche perché in qualità di primo ministro gli spettavano le funzioni transitorie di presidente. Il suo successo al primo turno fu trionfale (53% dei voti). La figura di Putin, sino a poco prima completamente ignota, si identificò con la nascita di un consenso di tipo plebiscitario nella R. postsovietica. Tuttavia, i motivi di questo consenso vanno ricercati molto più nella società e nelle istituzioni che non nella personalità di Putin. L'unico aspetto significativo della sua oscura biografia era l'appartenenza al KGB, l'apparato più forte del tardo potere sovietico che aveva espresso meno di venti anni prima un segretario generale del PCUS, Ju. Andropov. Proprio la figura di quest'ultimo sarebbe stata richiamata negli anni successivi al fine di indicare un precedente politico di Putin. La sua carriera era iniziata in età giovanissima e poteva vantare un lungo incarico nella Germania orientale, dalla quale era rimpatriato dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989. La sua percezione della perestrojka di M. Gorbačëv era stata perciò distante e limitata, mentre decisamente più acuto il senso della catastrofe del blocco sovietico e della stessa URSS. Al momento della sua comparsa sulla scena, il nuovo presidente non esprimeva né un progetto politico chiaro, né un profilo personale in grado di impressionare, positivamente o meno, gli osservatori. Ciò che, fondamentalmente, fece presa sull'opinione russa fu la sua immagine di 'uomo forte', in grado di mettere a freno il dilagare della corruzione e delle mafie nella vita pubblica, di usare il pugno di ferro contro il terrorismo nato dalla questione cecena, di restituire alla R. un ruolo attivo nella politica estera, soprattutto nello spazio geopolitico dell'ex URSS. Il suo discorso di insediamento fu incentrato sull'idea di ristabilire il prestigio dello Stato e di mettere ordine nella società. Un programma al quale doveva tenere fede, ma anche vago e tale da prestarsi alle interpretazioni più diverse.
Le prime mosse di Putin nella politica interna furono volte a distinguere la propria immagine da quella, ormai sbiadita e impopolare, di El´cin, sulla base del progetto subito enunciato di ristabilimento della legge e dell'ordine, dell'autorità e della sicurezza. Nella realtà Putin si mosse come uno strenuo centralizzatore dello Stato: una caratteristica che incontrava consensi nei settori più dinamici della società russa, interessati a una stabilizzazione dopo il caotico passaggio al libero mercato del decennio precedente, ma che era anche favorita dalla passività dei cittadini e dalla scarsa sensibilità democratica ancora imperante nella cultura politica del Paese, a cominciare dalle sue classi dirigenti. Questa prassi e volontà centralizzatrice dovevano affermarsi nel corso degli anni come il tratto più tipico dell'azione di Putin. La presidenza come potere forte della R. postsovietica, sia nei confronti del governo sia nei confronti del parlamento, era stata istituita da El´cin e sancita dalla Costituzione: ma molto più del suo predecessore, Putin doveva far corrispondere il dettato costituzionale alla realtà. Egli mise subito in atto una riforma amministrativa volta a limitare fortemente le autonomie, introducendo un nuovo anello di burocrazie territoriali, i distretti federali, che ricalcava l'organizzazione distrettuale delle forze armate. Inserì gradualmente nei posti chiave del potere statale uomini fidati, secondo una consolidata tradizione, che si caratterizzavano però soprattutto per la loro appartenenza a un'istituzione forte, il Servizio di sicurezza federale. Pose sotto controllo presidenziale il Consiglio della Federazione, scompaginando le lobby del potere locale che lo componevano. Lanciò la sua lotta ai potentati economici aggregatisi nell'epoca di El´cin: le prime vittime furono i finanzieri B. Berezovskij e V. Gusinskij, proprietario della televisione NTV. Entrambi inquisiti, si rifugiarono all'estero nell'estate 2000. Presto sarebbe venuto il turno di altri 'oligarchi', colpevoli di arricchimento illecito, e anche scomodi per la loro influenza politica. Un caso clamoroso fu quello di M. Chodorkovskij magnate della compagnia petrolifera Jukos. Arrestato nell'ottobre 2003, fu condannato nel maggio 2005 e poi mandato ai lavori forzati in Siberia: un accanimento difficile da spiegare se non con motivazioni politiche. Si delineava una nuova pagina del conflitto tra autocrazia e oligarchie in Russia.
L'azione centralizzatrice del presidente si poté affermare grazie al carattere largamente informe del sistema politico. I partiti postsovietici costituivano una costellazione debole nell'identità, nella cultura politica e nel radicamento sociale. Le elezioni alla Duma del dicembre 1999 cambiarono la maggioranza parlamentare in favore delle forze filopresidenziali, ma non annunciarono un cambiamento più strutturale. El´cin non aveva costruito un autentico partito del presidente, e la maggioranza di orientamento liberale e nazionale che sotto di lui aveva governato il Paese non si era coagulata in una formazione organizzata. Dopo le elezioni del 1999 il partito comunista guidato da G. Zjuganov cominciò a perdere consensi: restava una minoranza organizzata, insieme al partito alleato degli agrari, ma anche nostalgica e residuale, rappresentativa delle fasce sociali più anziane e più arretrate, incapace di offrire un'alternativa di governo. Le forze della destra radicale egemonizzate da V. Zirinovskij si erano ridotte a un drappello di manovra per i giochi di potere nella Duma, dopo i successi elettorali dei primi anni Novanta dello scorso secolo. Le componenti autenticamente liberali e socialdemocratiche, il cui partito più rappresentativo era quello di G. Javlinskij (Jabloko, Mela), erano state progressivamente emarginate dallo stesso El´cin e, in ogni caso, costituivano una ristretta minoranza parlamentare. Lo stesso successo riportato da Putin nel formare a tempo di record un proprio partito (Edinstvo) appariva indicativo della volatilità del sistema politico. La successiva evoluzione rivelò la sua dipendenza e subordinazione alla personalizzazione del potere.
Durante il primo mandato di Putin, Edinaja Rossija (Russia unificata, nuova denominazione assunta nell'aprile del 2001 da Edinstvo) divenne il primo partito russo, ottenendo alle successive elezioni alla Duma, nel dicembre 2003, quasi il 37,6%. In queste elezioni la destra radicale fu l'unica forza a mantenere le proprie posizioni, mentre i comunisti scesero al minimo storico (12,6%). Le forze liberali e socialdemocratiche non ottennero voti sufficienti per essere presenti in parlamento. A questo punto, assieme agli alleati minori, il partito del presidente (nella realtà, un rassemblement elettorale basato su un appello genericamente patriottico) si trovò a dominare la Duma. Ma il fenomeno più clamoroso fu costituito dal crollo e dalla insignificanza delle opposizioni. Né i deputati della destra radicale, inclini al trasformismo e facilmente corruttibili, né quelli comunisti, ridotti a un ruolo di sterile critica, potevano infatti definirsi un'autentica opposizione parlamentare. L'esclusione dei liberali e socialdemocratici dalla Duma significò, così, la fine di un'opposizione politica a Putin, sia pure fortemente minoritaria. Sotto questo profilo, le elezioni parlamentari del 2003 si rivelarono un punto di arresto e di involuzione di quel tanto di democrazia dei partiti e di pluralismo politico che si era affermato nella R. postsovietica.
La trasformazione semiautoritaria del sistema politico appariva anche il risultato di una deliberata azione svolta dall'alto. La liquidazione di importanti potentati economici fornì al presidente un consenso di tipo populista, facendo leva sui diffusi sentimenti di ostilità verso i nuovi ricchi. Ma portò, nel contempo, alla soppressione degli unici interessi costituiti in grado di esprimere un certo grado di pluralismo nella società russa. Nello stesso tempo, la lotta contro gli oligarchi produsse un crescente uso politico del potere giudiziario e una tendenza a sopprimere ogni critica verso il presidente. Forte dell'esperienza mediatica che aveva contribuito alla sua ascesa dall'anonimato alla presidenza, Putin monopolizzò progressivamente tutti i mezzi di informazione. Soltanto poche voci indipendenti si salvarono nel campo della carta stampata, nessuna tra le televisioni. Tutto ciò venne a configurare un regime di 'democrazia controllata' già prima delle elezioni parlamentari del 2003, predisponendone l'esito. Molto probabilmente, l'impulso più forte verso la 'democrazia controllata' va però individuato nella guerra in Cecenia e nel dilagare del terrorismo. La seconda guerra in Cecenia fu una scelta dettata da diversi elementi convergenti: vendicare l'umiliazione militare-patriottica subita dalla R. nella prima guerra, salvaguardare gli interessi economici russi nella regione, mostrare nel modo più eloquente la 'mano forte' contro il terrorismo, mandare inoltre un segnale brutale indirizzato contro ogni tendenza disgregativa della Federazione. Sin dall'inizio fu evidente la ricerca di una soluzione esclusivamente basata sull'uso della forza. Dopo anni di guerra la sindrome della violenza non si era modificata, e l'instaurazione di un regime fantoccio filorusso non appariva una soluzione credibile. La logica della soluzione militare e la spirale del terrorismo che intrecciava la matrice indipendentista con quella internazionalista islamica si alimentarono a vicenda, e diedero luogo a un bagno di sangue il cui più tragico sigillo fu la strage dei bambini in una scuola di Beslan, avvenuta a seguito di un attentato terroristico in Ossetia e del conseguente blitz attuato dalle forze di sicurezza russe, nel settembre 2004. La questione cecena investiva direttamente il futuro stesso della R., perché aveva mortificato la sua riforma più importante: la ricerca di un nuovo spirito pubblico e la nascita di un'autentica cultura civile. Evocare le spietatezze del passato zarista e le repressioni del regime comunista, insistendo sulla ciclicità storica delle guerre tra R. e Cecenia, non è un esercizio produttivo: significa soltanto constatare la difficoltà di un'evoluzione della statualità russa e dei suoi valori fondanti.
Il pragmatismo mostrato da Putin nella politica interna si accompagnò a un forte realismo nella politica estera, più commisurata alle possibilità e ai limiti della Russia. Putin seguì la bussola degli interessi nazionali in un modo molto più lineare del suo predecessore e strinse, in particolare, saldi rapporti economici e commerciali con l'Unione Europea, prendendo atto del suo allargamento a Est. Nello stesso tempo, non rinunciò a rivendicare un ruolo di grande potenza della R., base essenziale del consenso nazionale da lui raccolto, senza legare il Paese ad alcun asse preferenziale. Dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 a New York e Washington, Putin portò la R. a stringere una nuova partnership strategica con l'Occidente in nome della lotta contro il terrorismo. Ma questa mossa rivelò presto il suo carattere prevalentemente strumentale: legittimare la politica della forza in Cecenia. Il realismo in politica estera non fu perciò privo di un disegno: salvare il salvabile della potenza russa, puntando sulla prospettiva futura di un mondo multipolare. In questa luce occorre valutare l'opposizione russa alla guerra unilaterale americana in ̔Irāq. Ma il progetto del multipolarismo sembrò segnare il limite delle possibili alleanze della R. verso l'Occidente nel suo complesso, e produrre piuttosto un accostamento alla Cina e all'India. Nella visione di Putin, infatti, quel progetto implicò il rifiuto di ogni nozione universalistica della democrazia e una rivendicazione di legittimità per la diversità politico-culturale e per le varianti 'nazionali' della democrazia, a cominciare da quella semiautoritaria russa. Sotto questo profilo, fu significativo l'atteggiamento di Putin verso la 'rivoluzione arancione' in Ucraina (2004): un evento visto con sospetto, quale conseguenza della penetrazione nello spazio ex sovietico di modelli occidentali difformi dalla tradizione della Russia.
Nel marzo 2004 Putin veniva rieletto presidente con un autentico plebiscito nazionale, raggiungendo oltre il 70% dei voti. La sua rielezione coronò la nascita del regime di 'democrazia controllata'. Il consenso che sorreggeva il potere di Putin non mostrava autentici segni di logoramento: la stabilità ottenuta con il pugno di ferro continuava ad avere un appoggio popolare, malgrado l'insensatezza della guerra cecena; dopo il crollo del rublo del 1998, la ripresa economica fu un dato reale, alimentato dalla sensibile crescita del prezzo del petrolio; le abissali diseguaglianze sociali, ossia la polarizzazione tra un'élite ricca secondo i più elevati standard mondiali e un quarto della popolazione sotto la soglia della povertà, non avevano prodotto conseguenze politiche; la retorica nazional-patriottica del prestigio russo continuava ad avere successo, e in occasione del sessantesimo anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale (maggio 2005) non si fermò neppure dinanzi alla rivalutazione di Stalin. Più volte, nei suoi discorsi alla nazione, Putin indicò esplicitamente il nesso tra centralizzazione del potere e modernizzazione dell'economia come l'elemento centrale della propria azione politica. L'evoluzione della politica interna russa aveva consolidato il regime nei suoi aspetti più autoritari, limitando sempre più nettamente gli spazi di dibattito e di critica nell'opinione pubblica. In questo clima, l'assassinio nell'ottobre 2006 della giornalista A. Politkovskaja, una tra le voci più coraggiose levatesi a denunciare le tragedie della guerra cecena, apparve a molti osservatori un segnale inquietante. Nello stesso tempo, la volontà del Cremlino di esercitare un potere incondizionato nella vita politica, economica e finanziaria del Paese, affermatasi tramite la lotta contro gli oligarchi, rivelò risvolti che non riguardavano soltanto la politica interna. Durante il suo secondo mandato, emerse la tendenza di Putin a impiegare la ricchezza energetica come un'arma della politica estera russa, soprattutto volta a condizionare gli Stati dell'ex Unione Sovietica. Il controllo statalista sull'energia costituì perciò sia un elemento centrale del potere, sia uno strumento per rilanciare la politica di potenza della Russia.
Il bilancio della presidenza Putin è di avere offerto, secondo ogni evidenza, una soluzione diversa da quella dei suoi predecessori, abbandonando il tentativo di coniugare l'introduzione del mercato con una radicale riforma democratica del sistema politico. In questo senso, la sua epoca aveva chiuso una fase della storia russa che era stata aperta da Gorbačëv. Autoritarismo di mercato e affermazione del prestigio dello Stato si presentavano come gli ingredienti di un'evoluzione della R. condotta ormai in una chiave diversa da quella dell'occidentalizzazione. La Costituzione in vigore non permette che Putin possa essere eletto per un terzo mandato alle elezioni presidenziali, che sono previste per il marzo 2008, riservando però a lui stesso la facoltà di scegliere il suo successore e seguendo insieme uno stile largamente autocratico e una prassi di moderna manipolazione della democrazia.
bibliografia
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