rusticanus
L'aggettivo ricorre in tre passi del De vulg. Eloq.: I XI 6, XVII 3, II I 6. Nel primo D. manifesta il suo sprezzo per montaninas omnes et rusticanas loquelas, come quelle di Casentinesi e Fractenses, turpemente caratterizzate da accentus enormitate; nel secondo egli contrappone ai tot rusticanis accentibus che, fra l'altro, maculano le parlate municipali d'Italia, l'aspetto urbanum proprio del volgare illustre dei maggiori poeti, come Cino e lui stesso; infine nel terzo si dice sicuro che nemo... montaninis rusticana tractantibus hoc [il volgare illustre] dicet esse conveniens.
Comunque si valuti in concreto il significato complessivo di VE I XI 6 (v. FRATTA), non c'è dubbio che qui e nel parallelo terzo esempio r. ha valore primario ed etimologico (" proprio della campagna ") e non va inteso, genericamente, come " rozzo " o simili (v. del resto, tra i possibili riscontri classici, soprattutto Cicerone De orat. III XI 42 " illud quod loquitur... si piane fuerit rusticanum "). Stando solo a VE II I 6, il passo si può sciogliere come segue: alla gente di montagna non può assolutamente convenire il volgare illustre, poiché essa non sa esprimere che concetti e contenuti legati alla propria esperienza campagnola, contadina di vita, ben lontani quindi dai magnalia. Ma è molto probabile che l'aggettivo abbia lo stesso significato concretamente sociologico anche in I XVII 3, nonostante la diversa inclinazione degl'interpreti (il Marigo traduce ambiguamente " villani accenti " e nel commento e nel glossario suggerisce un'interpretazione meramente stilistico-tonale, il Pézard traduce " rustauds "); e nonostante che l'attenuazione di significato possa essere legittimata dal riscontro col rusticamente di Cv I II 3.
A favore di ciò giocano vari elementi. In primo luogo il parallelismo con VE I XI 6: là una contrapposizione fra una sregolatezza di accentus delle parlate r. e i ‛ mediastini cives ', cioè le parlate cittadine o alcune di esse (v. MEDIASTINUS), qui fra i ‛ rusticani accentus ' e un volgare urbanum. Secondariamente il contesto stesso del passo, in cui D. oppone alle caratteristiche negative della ‛ selva ' dei dialetti altrettante caratteristiche positive del volgare illustre secondo una precisa e simmetrica serie di coppie di aggettivi antinomici (de tot rudibus Latinorum vocabulis, de tot perplexis constructionibus, de tot defectivis prolationibus, de tot rusticanis accentibus, tam egregium, tam extricatum, tam perfectum et tam urbanum): non è pensabile che ci siano ridondanze e pleonasmi, cioè che D. intenda con r. press'a poco la stessa cosa che ha espresso con ‛ rudis '. E si noti che analoga differenziazione emerge da VE II I, dove si usa r. per gli argomenti di cui sono capaci di trattare i ‛ montanini ', ma ‛ rude ', ‛ ruditas ' (§ 3) per i rozzi ‛ versificantes ': dunque anche qui una connotazione specificamente sociologica di fronte a una stilistica: da una parte insomma si parla di contenuti dell'espressione, dall'altra di tecnica dell'espressione. D'altronde a chiarire ulteriormente le cose sta tutto il ragionamento dei paragrafi 6 ss., con la distinzione di ciò che conviene gratia generis, vel speciei, vel individui, dove i ‛ montanini ' sono esclusi dal volgare illustre perché hanno in comune con chi può e deve usarlo solo la ‛ species ', i molti verseggiatori sine scientia et ingenio perché non possiedono le necessarie qualità individuali. Più in genere ‛ rudis ' e ‛ ruditas ' con le loro varie occorrenze (oltre alle citate: VE I XIV 4, II V 7, VI 4) sembrano chiaramente individuare un campo semantico che va tenuto distinto da quello indicato da r.: una generica ‛ rozzezza ' di espressione, eventualmente qualificata in senso culturale piuttosto che direttamente sociale, cioè entro l'opposizione città-campagna (in II V 7 si parla di ‛ ruditas ' per i versi parisillabi, in II VI 4 sono in causa i ‛ rudes ' incapaci di andar oltre il grado insipidus della constructio).
In conclusione, perciò, in VE I XVII 3 si dovrà intendere che D. mette a contrasto l'esistenza di pronuncie o ‛ accenti ' rustici, campagnoli nei vari dialetti con una caratterizzazione del volgare illustre come volgare, fra l'altro, precisamente e concretamente ‛ cittadino ' (il Marigo traduce, sempre attenuando, " di così urbana finezza ", e peggio fa in nota risolvendo urbanum nella categoria dell' ‛ eleganza '). E il sinonimo più appropriato del r. di questo e degli altri due passi non è ‛ rudis ' ma il ‛ silvestris ' di II VII 2 e 4, anche qui contrapposto a ‛ urbanus ' secondo uno schema di giudizio pure fondato in prima istanza sul rapporto sociologico città-campagna (v. VOCABOLI, Teoria dei).