RUTENI (XXX, p. 350)
La seconda Guerra mondiale e il primo dopoguerra hanno messo a dura prova la chiesa cattolica di rito ruteno (uniata) che nelle tre diocesi di Leopoli, di Stanisławów e di Przemysł, oltre all'amministrazione apostolica di Sanok - tutte sotto la giurisdizione del metropolita di Halicz-Leopoli - svolgeva la sua attivitމ sui territorî orientali della Polonia e nelle diocesi di Mukaciv (Mucačevo) e Priasciv nella Russia subcarpatica.
La chiesa rutena contava allora 3.576.237 cattolici ruteni e 2275 sacerdoti secolari e regolari (fra questi ultimi, fiorenti erano gli ordini religiosi dei Basiliani, degli Studiti che intendono rinnovare l'antico ideale monastico orientale, dei Redentoristi, delle Mirofore, delle suore di S. Giosafat, ecc.), e, in tutto il mondo, 5.140.000 fedeli, compresi cioè quelli delle diocesi del Canada e degli Stati Uniti. Essa doveva la sua origine all'atto di unione più importante e duraturo intervenuto fra la Sede apostolica e i cristiani orientali, quello del 23 dicembre 1595 quando i due vescovi ruteni Cirillo Terletskij e Ipazio Potij riconoscevano solennemente, nell'aula di Costantino in Vaticano, Clemente VIII come capo supremo della Chiesa. L'unione con Roma - confermata nel sinodo di Brest Litovsk dell'8 ottobre 1596, tanto che essa va appunto sotto il nome di Unione di Brest Litovsk - segnò la fine di un lungo periodo di crisi religiosa e morale ed ebbe poi un'importanza decisiva per il chiarimento e lo sviluppo di una coscienza nazionale ucraina. Nel resistere ai tentativi di forzata adesione all'ortodossia moscovita svolti dai Russi, come a quelli di latinizzazione spiegati dai Polacchi (che hanno sentito il rito latino come indice di nazionalità polacca), la Chiesa rutena unita, insieme con quella autocefala dissidente, è stata sempre un elemento di individuazione nazionale degli Ucraini sino ai nostri giorni.
Come già al tempo degli zar, contro di essa si è rivolta in questi ultimi anni l'azione delle autorità sovietiche, sia nel periodo fra il 15 settembre 1939 e il giugno 1941, sia, in modo ben più draconiano, dopo l'annessione dell'Ucraina occidentale alla repubblica sovietica socialista ucraina. Dopo la morte del metropolita di Leopoli Andrea Szeptycki (11 novembre 1944), vero capo spirituale di tutti i ruteni da oltre 40 anni, Alessio patriarca di Mosca e di tutte le Russie poco dopo la sua elezione (1° febbraio 1945) si affrettava ad esortare, in un suo proclama, gli orientali cattolici a riconoscere l'autorità del patriarcato di Mosca, in modo che alla conseguita unificazione politica di tutti gli Ucraini corrispondesse anche l'unità religiosa. Poco dopo, l'11 aprile 1945, furono arrestati tutti i vescovi: dal metropolita di Leopoli, G. Slipyj, al vescovo di Stanisławów Gr. Chomyscyn, a mons. Romza, vescovo di Mukačevo. Lo stesso mons. Kozylovskyj, titolare di Przemysł e rimasto in territorio polacco, fu imprigionato dalle autoritމ di Varsavia e il 25 giugno 1946 trasferito in Russia per scambio di popolazioni. Il 1° luglio 1945, 300 sacerdoti ruteni firmarono una protesta indirizzata a Molotov, ma le espressioni di lealismo verso l'Unione sovietica non impedirono imprigionamenti e deportazioni.
Nei giorni 8-9 marzo 1946 un "Sinodo della Chiesa rutena", di cui erano fautori i vescovi G. Melnik e A. Pelvetskyi (consacrati in febbraio dal metropolita dissidente di Kiev) e il prete G. Kostelnik, proclamò ufficialmente decaduta l'unione con Roma e l'adesione della chiesa rutena (privata dei suoi capi legittimi) al patriarcato di Mosca. Fin dal 23 dicembre 1945 il Pontefice Pio XII aveva pubblicato l'enciclica Orientales Omnes che, nel prendere lo spunto dal 350° anniversario dell'unione dei Ruteni con Roma, ricordava le benemerenze della Chiesa rutena ed esortava i suoi fedeli a sopportare "con fortezza e costanza questa persecuzione".