MANETTI, Rutilio
Figlio di Lorenzo di Iacopo, di professione sarto, il M. fu battezzato a Siena il 1 genn. 1571 (R. M. 1571-1639, 1978 [cui si rimanda dove non diversamente indicato], p. 55). I primi venticinque anni di vita del M. risultano totalmente sprovvisti di qualsivoglia documentazione; solo poche parole di Giulio Mancini forniscono dei lumi sulla sua formazione, segnalando un periodo d'apprendistato, sotto ogni profilo più che probabile, presso Francesco Vanni, tra i maggiori protagonisti della scena artistica senese negli ultimi decenni del Cinquecento e responsabile, insieme con il fratellastro Ventura Salimbeni, di un'originale immissione nella cultura figurativa locale dell'influenza di Federico Fiori detto il Barocci e del tardo manierismo romano.
La prima realizzazione del M. a essere ancorata a un sicuro riscontro cronologico dovrebbe essere costituita (sulla scorta di un'indicazione di Romagnoli, c. 482, accolta pressoché unanimemente dagli studiosi) da due Storie di s. Caterina dipinte ad affresco nella sala del Consiglio del Palazzo pubblico e datate ottobre 1597; al M. sono anche generalmente riferite due Storie del vescovo Antonio Piccolomini, datate 1598. L'insieme di queste opere riveste un significato essenziale nella ricostruzione del retroterra stilistico del M., nel momento in cui questi si avviava a guadagnare un ruolo di primo piano nel contesto artistico senese. In effetti, il ciclo di affreschi dispiegato tra le lunette e le vele della sala consiliare, commissionato dal capitano del Popolo e dedicato a episodi salienti della storia della Repubblica di Siena, costituisce un'impresa pittorica di spicco fra quelle realizzate a Siena nell'ultimo decennio del secolo (sebbene singolarmente sprovvista di puntelli documentari), trovandovisi coinvolti, oltre al M., alcuni degli artisti più importanti attivi sulla scena cittadina: tra gli altri, Vanni, Salimbeni e Sebastiano Folli.
Una testimonianza contemporanea (Chigi, p. 316) permette di collocare fra il 1599 e il 1600 l'esecuzione di uno stendardo processionale per la chiesa di S. Giovannino in Pantaneto, raffigurante su una faccia il Battesimo di Gesù, sull'altra Gesù bambino benedice s. Giovannino.
Il dipinto del M. diede l'avvio a una serie di tredici tele di identiche dimensioni raffiguranti Storie del Battista (pp. 66, 74), realizzate per opera di diversi artisti senesi fra il 1599 e il 1649 e collocate lungo le due pareti della chiesa (vi furono impegnati, tra gli altri, Astolfo Petrazzi, Bernardino Mei, Raffaello Vanni e il figlio del M., Domenico). Le due facce dello stendardo, separate, furono poi poste rispettivamente sull'altare maggiore e sulla parete sinistra della chiesa. In coincidenza con la messa in opera sull'altare maggiore, il Battesimo di Cristo subì nel 1639, per mano dello stesso M. e della sua bottega, un cospicuo ampliamento e probabilmente un generale ritocco, con l'inserzione ex novo delle figure in alto e ai lati. Le due immagini testimoniano chiaramente la ricerca di un linguaggio personale attraverso un'attenta ricezione di una moltitudine di stimoli artistici. Il vivo influsso esercitato sul giovane M. dalla produzione di Francesco Vanni e Salimbeni coesiste così, oltreché con i cromatismi morbidi e luminosi del Barocci, con articolati richiami alla coeva pittura fiorentina (l'Empoli, Iacopo Chimenti; il Passignano, Domenico Cresti; Andrea Comodi; e il Poccetti, Bernardino Barbatelli).
Sempre sulla soglia del nuovo secolo il M. fu impegnato in un'impresa analoga alla precedente: l'esecuzione di un gonfalone e di uno stendardo su commissione della Compagnia di S. Antonio Abate (di cui il M. risulta membro). Il M. ricevette il saldo per le due opere, entrambe perdute, il 24 nov. 1600. Il 28 ottobre dell'anno successivo sottoscrisse con gli stessi committenti un impegno per la realizzazione di una lunetta, su tela, per la chiesa della Compagnia (p. 55).
La lunetta, che rappresenta il tema delle Tentazioni di s. Antonio con un'originale articolazione su due piani spaziali, andò a far parte di una serie di Storie del santo disposta lungo le pareti della chiesa. In essa si possono vedere i frutti di un'accresciuta cultura figurativa, che, in aggiunta ai punti di riferimento consolidati, include anche fertili suggestioni dalla pittura di Andrea Lilio nel colorismo brillante, contrastato e denso di cangiantismi, e dimostra una genuina ispirazione paesaggistica, che trae partito dalle maniere di Girolamo Muziano e di Paul Brill.
Il 7 maggio 1601 il M. si unì in matrimonio con Lisabetta, figlia di Annibale Panducci, di professione vasaio, ricevendo una dote di 800 fiorini (p. 55). L'anno successivo firmò e datò il Martirio di s. Lorenzo (Siena, S. Maria dei Servi), ove si esplicitano le influenze "romaniste" derivate dalla pittura di Federico Zuccari e dal Cavalier d'Arpino (Giuseppe Cesari). Tra il 1604 e il 1605 il M. eseguì la Decapitazione di s. Giacomo in S. Giacomo in Salicotto (firmata e datata 1605).
Pagata 259 lire e 15 soldi (p. 38), la pala d'altare, assai matura compositivamente, testimonia un interesse e un gusto per i contrasti chiaroscurali che sarà decisivo per l'evoluzione dello stile del pittore. Il M. si richiamerà apertamente a quest'opera nella Decollazione di s. Paolo (Roma, Galleria nazionale di arte antica di Palazzo Barberini ab origine nella collezione del banchiere senese Agostino Chigi insieme con il suo pendant, la Decollazione di s. Pietro di Ventura Salimbeni, oggi conservata nella medesima sede museale), collocabile al principio del secondo decennio: tela che consente di misurare l'attenzione ai conflitti luministici a quella data già insinuatasi nello stile del M. come effetto di una prima perspicua riflessione svolta intorno alle innovazioni caravaggesche.
Il 15 marzo 1605 fu battezzato Giacomo, il figlio primogenito del M., il quale risulta essere stato sepolto in S. Giorgio poco più di un anno dopo. Il 1605 rappresenta una data importante per il pittore anche dal punto di vista professionale, poiché allora ebbe inizio nella chiesa di S. Rocco l'esecuzione di un ciclo di affreschi dedicato al santo titolare.
Si tratta di uno dei cimenti più significativi della prima maniera del M., che lo vide attivo, sia pure con soluzione di continuità, sino al 1610. In questi dipinti il M. si mostra ormai padrone dei meccanismi compositivi e narrativi della pittura sacra, capace di un'articolazione figurativa di mirabile chiarezza e forza comunicativa. Nel 1605 diede inizio alla sua impresa con gli affreschi (firmati e datati) delle pareti e della prima volta, raffiguranti Storie dell'infanzia di s. Rocco. Al 1606 risale l'esecuzione dei Funerali di s. Rocco (affresco datato), e allo stesso momento, giusta l'ipotesi di Bagnoli (pp. 39 s.), si dovrebbero ricondurre anche le storie di S. Rocco rinuncia alla nobiltà e S. Rocco cura gli appestati. Nel 1609 vennero ultimati altri affreschi: S. Rocco in compagnia del suo cane, S. Rocco si incontra col nobile Gottardo e forse S. Rocco risana le bestie. L'impegno del M. terminò nel 1610 con la Processione di Martino V con la statua di s. Rocco, firmata e datata. Negli stessi anni in cui realizzò il ciclo di affreschi (forse nel 1607-08), il M. eseguì il notevole Stendardo di s. Rocco, conservato nella chiesa senese di S. Pietro alle Scale ma anch'esso dipinto, come segnala Chigi (p. 318), per la Compagnia di S. Rocco.
Nel 1608 il M. realizzò gli affreschi raffiguranti i Ss. Domenico, Caterina d'Alessandria, Bernardino e Caterina da Siena, sui due pilastri ai lati dell'altare maggiore della chiesa di S. Spirito. L'8 genn. 1609 fu battezzato un secondo figlio del M., Domenico, che sarebbe stato suo allievo e collaboratore. Sempre nel 1609, il M. affrescò S. Sebastiano risana una fanciulla nella chiesa di S. Sebastiano in Camollia a Siena, opera destinata a far parte di un ciclo dedicato al santo, che vide impegnati altri artisti senesi di spicco come Pietro Sorri e Folli. Il 26 sett. 1609 il M. ricevette 6 scudi come anticipo per la Pianta di Siena, conservata nell'Archivio di Stato di Siena, desunta da una celebre incisione del 1595 su disegno di Francesco Vanni. Dovrebbe risalire al 1609-10 anche la Predica del Battista per la chiesa senese di S. Giovannino in Pantaneto, un'opera compresa, come già lo stendardo del 1600, nel ciclo succitato dedicato al santo titolare della chiesa.
La tela dipende chiaramente dal dipinto di analogo soggetto eseguito nel 1608 da Iacopo Chimenti per la chiesa di S. Niccolò oltr'Arno a Firenze, e rappresenta un originale punto di equilibrio tra gli influssi del Barocci, della coeva pittura fiorentina, con il suo temperato naturalismo, e del gusto paesaggistico scaturito dalla produzione di Brill.
Gli anni seguenti segnarono non solo un'esplosione dell'attività pubblica del M. a Siena, ma anche una sua significativa espansione al di fuori del mercato della città natale.
Nel 1612 egli si trovò infatti impegnato in varie commesse a Pisa: realizzò la Crocifissione nella chiesa di S. Silvestro (databile attraverso un'iscrizione marmorea sull'altare), nonché alcuni affreschi e due tele (oggi disperse) nella chiesa di S. Frediano. Inoltre, il 20 nov. 1613 la certosa senese del Belriguardo gli consegnò 14 lire per conto della certosa di Firenze, come parziale compenso di una tela raffigurante il Beato Pietro Petroni ch'egli stava eseguendo per quest'ultima. Il dipinto venne saldato il 12 febbraio successivo insieme con un altro con il Beato Stefano Maconi, dipinto per la stessa serie di immagini di beati dell'Ordine certosino poste nel coro dei conversi, che il M. negli anni seguenti avrebbe ulteriormente arricchito. Tra la fine del 1614 e l'inizio del 1615, il M. ricevette altri pagamenti per conto della certosa di Firenze da parte della certosa di Maggiano, in riferimento alla pala con S. Margherita risanata dagli angeli, che fu definitivamente saldata il 6 febbr. 1615 (p. 56).
Ancora nel 1613 il M. firmò e datò una serie di opere di un certo rilievo nella transizione verso la fase più matura, caratterizzata da un più accentuato plasticismo, ridotti contrasti cromatici, ombreggiature più profonde, e in generale da un'adesione sempre più convinta alle ricerche tecniche ed espressive del naturalismo caravaggesco.
Si tratta di due Storie di s. Galgano nella chiesa senese di S. Raimondo al Rifugio (poste ai lati della pala con la Morte di s. Galgano di mano di Salimbeni), del Martirio di s. Ansano (Siena, Pinacoteca) e del Compianto sul Cristo morto (Siena, collezione Chigi Saracini).
Nel 1614 il M. eseguì il Ritratto di Arturo Pannocchieschi, firmato e datato (Siena, collezione privata; ripr., p. 84), tra le incursioni più riuscite da lui compiute nel genere, e la Madonna e santi in S. Maria Assunta, a Poggiolo, presso Monteriggioni. Proprio alla metà del decennio dovrebbero essere collocate l'Immacolata con i ss. Giuda apostolo e Carlo Borromeo, del duomo di Massa Marittima, e la Visitazione, della chiesa di S. Stefano a Siena.
In tutte le opere più significative dipinte dal M. a partire dalla metà del secondo decennio risulta con sempre maggiore evidenza l'evoluzione in senso caravaggesco del suo stile, talché per questa parte così cospicua del corpus del pittore si può legittimamente parlare di una seconda maniera, piuttosto nettamente distinta dalla precedente. In essa al ben definito e largamente esplorato sistema di punti di riferimento artistici subentra una nuova e articolata costellazione che, se ha il suo cardine nel Caravaggio (Michelangelo Merisi), tiene conto originalmente dell'attività di Orazio e Artemisia Gentileschi, di Bartolomeo Manfredi e Cecco del Caravaggio, degli olandesi Gerrit Van Honthorst e Dirck Van Baburen, dei francesi Simon Vouet e Jean Valentin, ma anche del Guercino (Giovan Francesco Barbieri) e della pittura emiliana (Guido Reni e Giovanni Lanfranco). La gestione creativa di una riserva tanto ricca di interlocutori artistici avrebbe costituito un energico fattore d'impulso nella produzione del M., portandone a compimento la parabola evolutiva e ponendo le basi per l'esplosione qualitativa che avrebbe caratterizzato i due decenni successivi.
Tra la fine del secondo decennio e i primi anni del terzo, il M. realizzò una serie di dipinti che s'impongono per autorevolezza compositiva, padronanza tecnica ed equilibrio stilistico.
Nel 1618 eseguì l'Elia e l'angelo del duomo di Pisa; sempre alle soglie del terzo decennio risalgono il S. Agostino lava i piedi a Gesù della collegiata di Casole d'Elsa, opera di spiccato plasticismo che tradisce specialmente l'attenzione rivolta in questi anni dal M. alla produzione del Guercino; la Beata Margherita e Gesù Cristo della certosa di Firenze; la Crocifissione di S. Giacomo in Salicotto a Siena (proveniente dalla certosa senese di Maggiano: Bagnoli, p. 41), che costituisce un indice inequivocabile del caravaggismo montante, ma sottilmente rivisitato alla luce delle eleganze cromatiche dei Gentileschi; e infine il celebre Riposo durante la fuga in Egitto in S. Pietro alle Scale a Siena, firmato e datato 1621, riuscita intersezione tra compositi stilemi di marca naturalista e più classicistiche aperture emiliane. Nell'ambito della produzione da cavalletto di destinazione privata, si presentano come esiti particolarmente compiuti due versioni della Maddalena penitente, conservate rispettivamente in collezione privata fiorentina e senese (ripr., pp. 96, 102), e l'Allegoria delle quattro stagioni in collezione privata milanese (ripr., p. 99), tra i vertici del M. nella sua commistione di illuminazione realista, fluidità anatomica e inconsueta eleganza classicista. Per tutto il terzo decennio il M. conferma un indirizzo partecipe dei conflitti chiaroscurali caravaggeschi, ma anche un raffinato confronto con le opere di Orazio Borgianni, Orazio Riminaldi, Bartolomeo Cavarozzi, Antiveduto Gramatica, oltreché di Van Honthorst, Vouet, Valentin, Nicolas Tournier. Permette di verificare tutto questo un gruppo di notevoli notturni, da scalare fra il 1622 e il 1627: Ruggero e Alcina della Galleria Palatina di Firenze, favola ariostesca commissionata dal cardinale Carlo de' Medici per il casino mediceo fra il 1622 e il 1623, Sofonisba e Massinissa della Galleria degli Uffizi (citato nell'inventario mediceo di Villa Imperiale del marzo 1625), le due versioni di Loth e le figlie (Roma, Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Corsini, e Valencia, Museo de bellas artes) e i Suonatori e giocatori di carte della collezione Chigi Saracini a Siena, tela che documenta la pronta ricezione e la spiccata propensione del M. nei confronti di quelle tematiche di genere, squisitamente realistiche eppure sottilmente intessute di sottotesti simbolici, che il naturalismo caravaggista (in particolare nei suoi rappresentanti d'Oltralpe) aveva sancito come uno dei propri luoghi preferiti ed eletto a terreno ideale di ricerche sul lume artificiale.
Molte delle opere dipinte dal M. negli anni centrali del terzo decennio sono datate, ciò che permette di seguire piuttosto dettagliatamente la sua evoluzione nei vari generi che lo videro attivo.
Risalgono al 1624 la pala raffigurante S. Tommaso di Villanova che distribuisce elemosine in S. Spirito a Firenze e il Ritratto di Pier Maria Romolo Saracini a figura intera (Siena, collezione Chigi Saracini). Il 1625 fu un anno fittissimo d'impegni: il M. eseguì, infatti, uno stendardo per la Compagnia dei Ss. Nicola e Lucia, commissionatogli in occasione del pellegrinaggio giubilare (trafugato dall'oratorio del Triano a Montefollonico); quattro tele per un nuovo cataletto (Siena, Ss. Nicola e Lucia) realizzato in sostituzione di quello dipinto da Domenico Beccafumi che era stato donato il 20 ott. 1624 al granduca Ferdinando II (p. 104); la Natività della Vergine per la chiesa senese di S. Maria dei Servi, assai celebrata dalle fonti, dalla mirabile organizzazione compositiva; la copia (a tempera su tavola a fondo d'oro e di dimensioni identiche all'originale) del Crocifisso duecentesco che secondo la leggenda aveva costituito il tramite delle stigmate che si erano trasmesse a s. Caterina il 1 apr. 1357: un'opera commissionata dalla Compagnia senese di S. Caterina come dono all'omologa Compagnia romana, alla quale venne consegnata il 18 nov. 1625 (Roma, Arciconfraternita di S. Caterina da Siena: pp. 107 s.); e infine la pala raffigurante S. Alessandro I papa liberato da un angelo dal carcere, saggio di notturno a lume di candela marcatamente influenzato da Van Honthorst, dipinto per la chiesa di S. Giovanni Battista a Sant'Ansano in Greti, presso Vinci (pp. 46, 56). Nel 1626 il pittore dipinse il Miracolo della fondazione di S. Maria Maggiore (Siena, S. Maria degli Angeli); l'anno successivo, il Martirio di s. Caterina d'Alessandria per la chiesa di S. Stefano a Empoli.
Alla fine del terzo decennio risale un'altra serie di opere d'indubbia autorevolezza e di sicura riuscita.
Sono infatti datati 1628 il S. Antonio abate libera un'indemoniata (Siena, S. Domenico) e l'Estasi di s. Gerolamo del Monte dei Paschi di Siena, uno dei capolavori del M., dove oltre all'ineludibile riferimento al Caravaggio, qui al punto di massima tangenza, si evidenzia una metabolizzazione particolarmente sottile delle soluzioni coloristiche e luministiche di Manfredi, Van Baburen e Vouet, guidata dalla ricerca della massima concentrazione narrativa e di un'espressione di affetti tanto intensa quanto controllata. A quest'altezza cronologica si dovrebbero situare anche la Morte del beato Antonio Patrizi, pala d'altare di alta fattura eseguita per la chiesa di S. Agostino a Monticiano, e la Sacra Famiglia della Pinacoteca comunale di Faenza.
Negli anni successivi gli impegni per le destinazioni ecclesiastiche senesi continuarono a susseguirsi senza soluzione di continuità, ribadendo il ruolo di leadership nell'ambito locale che il pittore avrebbe saputo mantenere sino alla morte.
Firmò dunque nel 1629 l'Immacolata con David e Isaia (Siena, S. Niccolò degli Alienati), la cui composizione si richiama all'Immacolata del duomo di Massa Marittima eseguita dal M. una quindicina d'anni prima. Eseguì nel 1630 la grande pala (oltre 4 m di altezza) raffigurante la Messa di s. Cerbone per la basilica di S. Maria in Provenzano a Siena e le Tentazioni di s. Antonio (Siena, S. Agostino); e nel 1631 dipinse la Resurrezione di Cristo (Siena, S. Niccolò in Sasso: pp. 47, 57), densa di riferimenti al Caravaggio e a Reni.
Di fatto, non si registrano significative flessioni professionali e produttive nemmeno negli ultimi anni di vita del M., e anche la tenuta qualitativa si mantiene piuttosto notevole laddove i dipinti sono ancora prevalentemente riconducibili alla sua diretta responsabilità.
La sequenza cronologica delle opere tarde del M. che vantano una datazione documentata annovera l'Assunzione di Maria (Forlì, S. Mercuriale) del 1632, in cui il basso continuo dell'influsso di Orazio Gentileschi sembra aprirsi a una nota d'interesse, non isolata, per la pittura di Giovanni Lanfranco; il Miracolo del beato Gioacchino Piccolomini (Siena, S. Maria dei Servi), portato a termine tra luglio e dicembre del 1633; la Fuga in Egitto della Pinacoteca comunale di Gubbio, firmata e datata 1634. Del 1635 è la volta della Natività di Gesù, per il duomo di Colle Val d'Elsa (oggi nel locale Museo civico). L'anno successivo il M. eseguì la Circoncisione della chiesa di S. Romano a Lucca: mentre nel 1637 realizzò il Trionfo di David (Lucca, Museo di Palazzo Guinigi). Risale, infine, al 1638 l'Apoteosi di s. Caterina per la chiesa senese del Crocifisso. Trovano pure posto lungo il quarto decennio altre opere considerevoli del M., come il Loth e le figlie (Siena, collezione privata: ripr., p. 120), il S. Agostino tentato dal diavolo (oggi nella chiesa senese dedicata al santo, ma in origine in quella degli osservanti a Grosseto), i Giocatori di dama e la cosiddetta Sonata da camera della Collezione Chigi Saracini.
Nel 1639 la Compagnia di S. Giovannino in Pantaneto commissionò al M. una tela raffigurante il Battista che indica Gesù alla folla (Brandi, 1931, pp. 136 s.), destinata a essere eseguita per la maggior parte dal figlio Domenico.
Il 22 luglio 1639, infatti, il M. morì a Siena e fu sepolto nel duomo della sua città natale (p. 57).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1620 circa), a cura di A. Marucchi - L. Salerno, I, Roma 1956, p. 211; F. Chigi, Pitture, sculture e architetture di Siena (1625-26), a cura di P. Bacci, in Bull. senese di storia patria, XLVI (1939), pp. 197-213, 297-337; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno(, Firenze 1728, pp. 92 s.; A. Da Morrona, Pisa illustrata, I, Pisa 1787, pp. 122 s.; E. Romagnoli, Biografia cronologica de' bellartisti senesi (1830 circa), IX, Firenze 1976, cc. 411-522; C. Brandi, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, Leipzig 1930, pp. 8 s.; Id., R. M. 1571-1639, Siena 1931; C. Del Bravo, Su R. M., in Pantheon, XXIV (1966), pp. 43-51; R. M. 1571-1639 (catal., Siena), a cura di A. Bagnoli, Firenze 1978; A. Bagnoli, Aggiornamento di R. M., in Prospettiva, 1978, n. 13, pp. 23-42; F. Todini, R. M.: note in margine a una mostra, in Paragone, XXX (1979), 347, pp. 64-72; L'arte a Siena sotto i Medici 1555-1609 (catal., Siena), a cura di F. Sricchia Santoro, Roma 1980, pp. 176-184; E. Storelli, R. M.: inediti a Gubbio, in Prospettiva, 1985, n. 42, pp. 65-67; G. Chelazzi Dini - A. Angelini - B. Sani, Pittura senese, Milano 2002, pp. 425-431.