RUVO di Puglia (v. vol. vi, p. 1039)
La realtà antica di R. è rispecchiata nelle testimonianze archeologiche della sua necropoli, disperse dal commercio antiquario ottocentesco nei vari musei nazionali ed esteri e nelle raccolte private. In anni recenti, la più celebre di queste, formatasi agli inizi del XIX sec. per volontà dei fratelli Giulio e Giovanni Jatta di R., è stata acquisita allo Stato con la conseguente istituzione del Museo Nazionale Jatta; aperto al pubblico nel 1993, esso occupa gli stessi spazi espositivi all'interno del palazzo di famiglia, dove Giovanni Jatta iunior aveva dato definitiva sistemazione alla raccolta, intorno agli anni 1840-1845.
Le più antiche testimonianze del popolamento nel territorio di R. sembrano risalire al Paleolitico Medio cui subentra una documentazione più ampia del Neolitico. Recenti indagini archeologiche sul rilievo collinare occupato dalla città medievale e moderna hanno consentito di far risalire al Neolitico Antico la fase iniziale di occupazione del sito; ma è solamente nell'Età del Ferro che si sviluppano forme insediative più stabili e diffuse, come hanno accertato gli scavi all'interno della cattedrale romanica e lungo i versanti orientali e meridionali della collina. Questo momento, caratterizzato in Puglia dalla diffusione della civiltà iapigia, è documentato dal rinvenimento di ceramica figulina dipinta con motivi geometrici, tipica di questa facies culturale. Le assonanze con le coeve produzioni vascolari dell'entroterra murgiano (Gravina-Botromagno) e metapontino (Cozzo Presepe) indicano l'esistenza di legami culturali stabiliti dalla comunità ruvestina con i centri della Basilicata orientale e con la Puglia centrale lungo direttrici di collegamento determinate da itinerari interni.
Sebbene fino a oggi non sia noto alcun dato sul sistema insediativo e sulla tipologia strutturale delle abitazioni di questo periodo, l'ampia diffusione nel territorio di R. di nuclei di necropoli con tombe a tumulo e di ceramica di tradizione iapigia prova l'esistenza di stanziamenti sparsi, in analogia con un sistema topografico distributivo noto in altri siti della regione (Monte Sannace, Altamura, Canosa). La transizione alla fase avanzata dell'Età del Ferro non deve avere apportato modifiche a questo schema pagano-vicanico che sarà alla base degli sviluppi successivi.
Questa ipotesi di continuità topografica sembra confermata dai risultati di recenti indagini di scavo che hanno portato all'individuazione di una struttura abitativa arcaica, a pianta curvilinea su fondazioni in muratura, all'interno di un insediamento di età classico-ellenistica, sviluppatosi alle falde della collina. La cronologia è data dall'associazione, nei livelli inferiori, di ceramica a decorazione geometrica daunia, della fase iniziale (Daunio I), la cui produzione è ora localizzata a Canosa (De Juliis, 1988).
Le fasi di frequentazione della struttura sono caratterizzate dalla compresenza, in rapporti percentuali omogenei, di ceramica geometrica della fase Daunio II e di quella peucezia con le classi bicrome e monocrome diffuse, rispettivamente, nell'entroterra murgiano e nella fascia costiera adriatica. Questo dato, nel confermare la fisionomia di centro di «confine», sembra indicare la coesistenza a R. delle influenze culturali dei due gruppi etnici confinanti, smentendo l'ipotesi di una originaria prevalenza della componente daunia ridimensionata dall'ampliamento della sfera di influenza dei Peucezî.
Il processo di ellenizzazione che investe la Puglia a partire dal VI sec. a.C. non sembra avere innescato a R. quei processi di urbanizzazione noti nello stesso periodo nella Puglia centro-meridionale (Monte Sannace, Cavallino), ma si esprime nell'assimilazione di schemi culturali, evidenti nelle espressioni del costume funerario.
Per il periodo arcaico e classico la documentazione prevalente si riferisce a questo ambito e indica la formazione di un ceto aristocratico locale coerente con i fenomeni di dinamica sociale avvertiti all'interno delle comunità peucezie, grazie alle attività di scambio col mondo greco. L'afflusso e la circolazione delle ceramiche figurate di importazione attica testimoniano la crescita economica del centro; dalla necropoli di R. proviene una documentazione di elevata qualità, confluita nei principali musei e nelle raccolte private di formazione ottocentesca, per lo più disperse (p.es. le collezioni Caputi, Fenicia, Lojudice). Oltre alla pisside calcidese della Collezione Jatta e una ventina di esemplari di ceramica attica a figure nere, i circa cento vasi a figure rosse di accertata provenienza ruvese esemplificano le diverse fasi dello sviluppo stilistico della pittura vascolare attica nel corso del V sec. a.C., con opere dei maestri dello stile severo e classico, quali, p.es., Myson e il Pittore dei Niobidi sino ai manieristi dei decenni finali del secolo, come i Pittori di Pronomos e di Meidias, sino al Pittore di Talos (v.), col celebre cratere eponimo.
Di grande rilievo documentario sono le attestazioni di armi restituite dalla necropoli di R.: si tratta di una particolare classe di materiali che le aristocrazie apule e lucane adottarono tra il VI e IV sec. a.C. nel costume funerario per segnalare il proprio status. Elementi di panoplie oplitiche ed equestri quali elmi di varie fogge, corazze anatomiche, schinieri e scudi, bardature di cavalli sono stati dispersi dagli scavi illeciti ottocenteschi e moderni in diverse raccolte museali e private e risultano, pertanto, privi degli originari dati di contesto e associazione.
L'inconfutabile evidenza archeologica induce a ritenere attendibili le recenti ipotesi circa l'individuazione a R. e nella vicina Canosa dei possibili luoghi di produzione di tali manufatti che, in passato, erano invece riferiti alle attività delle officine metallurgiche operanti a Taranto.
Una componente non trascurabile nella definizione dei circuiti commerciali nei quali R. appare inserita, è quella che rimanda all'area tirrenica; la continuità di relazioni con la Campania etruschizzata, stabilite attraverso i percorsi fluviali, si concretizza nell'importazione di materiali (placchette eburnee di fabbrica vulcente con scena di simposio e cavalieri, ceramiche a figure nere di produzione etrusco-campana, oreficerie dei Musei Nazionali di Napoli e Taranto) e negli apporti culturali ravvisabili in alcune manifestazioni di artigianato artistico quale la pittura funeraria (lastre dipinte della Tomba delle Danzatrici al Museo Nazionale di Napoli; D'Andria, 1988).
Dalla fine del V sec. a.C. e nel corso del successivo, momento in cui si sviluppano nella regione forme di organizzazione urbana definite da impianti difensivi, si assiste anche a R. a un graduale processo di aggregazione di abitati sparsi con una progressiva prevalenza dell'insediamento collinare su cui insiste il centro medievale e moderno. I segni di un netto incremento demografico si colgono nell'infittirsi dei rinvenimenti tombali nell'intero perimetro urbano moderno, concentrati nell'ambito del IV sec. a.C. con una rarefazione di attestazioni per quello successivo, spiegabile non tanto con il progressivo decadimento del centro, quanto con la scarsa attenzione rivolta a queste fasi cronologiche.
La persistenza di una classe aristocratica ancora in questo periodo, segnato dalla progressiva penetrazione romana in Puglia, si coglie in alcune manifestazioni di architettura funeraria che rimandano a tipologie ben note nella Daunia meridionale, in particolare ad Arpi e Canosa, ispirate dalla cultura artistica di matrice greco-macedone. Si tratta di una tomba a camera, rinvenuta nel 1834 in un imprecisato «fondo del Capitolo» che le note descrittive, uniche testimonianze documentarie della sua scoperta, suggeriscono di assegnare al III sec a.C. Il complesso si articolava in tre camere funerarie in asse, costruite in blocchi isodomici di tufo intonacati. La prima, con pilastro centrale di ordine corinzio (?), presentava una pittura raffigurante un porticato corinzio con al centro un loutèrion e uccelli in atto di abbeverarsi; nelle altre due «archeggiate a volta» la decorazione era limitata a semplici ornati di tipo «strutturale» (zoccolature, riquadri, cerchi).
In contiguità con nuclei di necropoli dovevano disporsi gli impianti insediativi. Le testimonianze acquisite si riferiscono a complessi abitativi, individuati alle falde meridionali della collina, con fasi di vita comprese in prevalenza tra il V e il III sec. a.C. Le abitazioni, articolate in vani a pianta rettangolare annessi, talvolta, ad ambienti scoperti destinati allo svolgimento di attività lavorative, presentano fondazioni in muratura a secco e piani pavimentali in terra battuta, al di sotto dei quali sono spesso collocate le sepolture infantili, secondo una pratica apula.
Gli elevati, costruiti con materiali deperibili, sono provvisti di copertura a tegole che utilizza, in qualche caso, elementi decorativi architettonici di influsso greco, quali le antefìsse circolari con protome gorgonica, del primo ellenismo. La presenza di una matrice di questo tipo nella Collezione Jatta potrebbe rappresentare un aggancio per la definizione di attività artigianali specializzate, operanti a R. e impegnate nel settore della produzione vascolare destinata a soddisfare le esigenze di un ceto caratterizzato da un diffuso grado di acculturazione greca. Alle richieste di una committenza colta, individuabile nelle classi socialmente elevate, si deve l'afflusso a R. delle opere dei principali ceramografi italioti attivi dalla fine del V sec. a.C. (Pittore di Amykos; di Sisiphos, che a R. conta il più alto numero di attestazioni; Pittore della Nascita di Dioniso; Pittore di Tarporley; Pittore di Licurgo) cui si sostituiscono, dalla seconda metà del IV sec. a.C., quelle dei maestri della fase tardo-apula operanti nella vicina Canosa, che vi esporta pure altri tipici prodotti del suo artigianato ceramico come le classi dorate, a decorazione policroma e plastica, listate.
Con la progressiva romanizzazione della Puglia, le testimonianze diventano sempre meno consistenti, riflettendo, peraltro, una situazione comune a tutta l'area peucezia. La tradizione storiografica tace a proposito di un eventuale coinvolgimento di R. negli eventi bellici che riguardano la regione. I riferimenti letterari rimandano esclusivamente alla menzione dell'etnico Robustini e al toponimo Rubi, riportato dalle fonti itinerarie e negli elenchi amministrativi delle suddivisioni territoriali create dall'ordinamento romano. Solo con il processo di municipalizzazione che vede R. iscritta alla tribù Claudia insieme ai centri peucezî di Barium e Caelia, la nuova realtà istituzionale viene strutturata in senso urbano con la creazione di una cinta difensiva munita di torri. Un'epigrafe, ora nella Collezione Jatta, segnala, infatti, l'appalto dei lavori, per decreto dei decurioni, da parte dei magistrati quinquennali A. Alsineus e [...]atius Rufus e il successivo collaudo effettuato da A. Alsineus, figlio omonimo del precedente. La realizzazione di quest'opera pubblica, che rientra in un programma di rinnovamento urbanistico attuato in numerosi centri della Regio II in seguito agli eventi della guerra sociale, rivela, attraverso il gentilizio indigeno dei magistrati, il graduale inserimento delle vecchie aristocrazie locali nel ceto dirigente cittadino e la stabilità nell'assunzione di cariche pubbliche da parte di alcune famiglie.
La concentrazione dell'evidenza archeologica di età romana nell'area del centro storico di R. ne rende probabile la coincidenza topografica con quella del municipium delimitato dal murum, non altrimenti documentato se non dal riferimento epigrafico e dallo sviluppo planimetrico ricostruibile nel tessuto urbano moderno che, almeno lungo il versante settentrionale, sembra essere stato ricalcato su quello delle fortificazioni medievali. Il carattere discontinuo dei rinvenimenti (epigrafi funerarie, di incerta lettura e attribuzione) non consente definizioni dell'assetto di R., che dovette svilupparsi sull'incrocio di due principali assi viari di origine preromana: uno era orientato in direzione NE verso la costa adriatica; l'altro, in senso NO, sembra coincidere con il tracciato della Via Troiana, ipotesi confermata dal rinvenimento sulla stessa direttrice di un tratto di selciato stradale con segni di carreggiata. Con la definitiva sistemazione di quest'ultima arteria in età antonina, anche R. sembra coinvolta, come Ordona e Canosa, in una crescita edilizia documentata tuttora da rinvenimenti frammentari e disorganici. Questi si concentrano nell'area della cattedrale che si qualifica, in assenza di dati più specifici, come il centro «politico» di quella che l’ Itinerario Burdigalense definisce civitas ancora alle soglie della tarda antichità. Inglobata nella vicina Chiesa del Purgatorio e nota come Cripta di S. Cleto, una cisterna in struttura laterizia e reticolata segnala l'esistenza di un complesso termale, forse pubblico, tra l'età antonina e severiana; l'erezione di un monumento onorario a Gordiano III, voluta dai decurioni e dagli Augustali, è ricordata dall'iscrizione sulla base in marmo rinvenuta nel 1793 in un'area non distante dalla Cattedrale, verosimilmente di reimpiego.
Da recenti scavi sotto l'impianto duecentesco di quest'ultima, i resti di una domus con mosaici pavimentali databili in età severiana, documentano, per questo periodo, la destinazione residenziale del sito che, tra il VI e l'XI sec., assume una funzione sepolcrale in relazione a edifici di culto la cui costruzione nel XIII sec. costituisce l'ultima e più monumentale realizzazione.
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