S'io fosse quelli che d'amor fu degno
Sonetto (Rime LIII) di Guido Cavalcanti in risposta al sonetto dantesco Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io (LII). Al richiamo voluttuoso, ispirato al plazer provenzale, il Cavalcanti contrappone la propria tristezza di amante deluso, tutt'altro che incline a intraprendere lo smemorato vagabondaggio al quale l'invita l'amico. Non un vago sogno sollecita il poeta, bensì la rimembranza del passato, la memoria di una ferita inferta al suo cuore da un " prest'arcier " che par si compiaccia crudamente nel tormentarlo.
Questa replica va disposta, piuttosto che su un piano ideologico diverso da quello dantesco (quasi un ritorno a principi di più stretta pertinenza occitanica di contro ad accenti di " romanzeria cavalleresca arturiana " [Contini]), entro il ben noto clima sentimentale di Guido, misto di angoscia e sbigottimento, forse occasionalmente incupito dalla proposta dantesca: il malinconico commento " assai mi piaceria sì fatto legno " (v. 4) lascia infatti intravedere, al di fuori della specifica circostanza, un'adesione di fondo alla progettata evasione fantastica nei regni d'amore e letizia; si ricordi in tal senso il sonetto Biltà di donna e di saccente core che pur in altra situazione si approssima, nelle quartine, al tono dei versi danteschi e può aver offerto a D., con l'immagine degli " adorni legni 'n mar forte correnti " (v. 4), l'idea del vasel, ch'ad ogni vento / per mare andasse.
Da un punto di vista tecnico la risposta non è per le rime, salvo la rima in -ore e la ripresa della parola ‛ amore ', ma riproduce fedelmente la struttura delle terzine.