SA‛ADYĀH ben Yōsēf al-Fayyūmī
Dottore ebreo, nato nell'882 in Egitto, nel distretto del Fayyūm (o forse nel vicino villaggio Dilāṣ), morto nel 942 a Sūrā in Babilonia. Fu il massimo fra i Gĕ'ōnīm, e la figura più notevole di tutto il periodo che da essi prende il nome. Nato quando il giudaismo, precedentemente racchiuso nella propria cerchia, si era da poco aperto agl'influssi della civiltà araba e per il tramite di essa a quelli della civiltà classica, egli seppe, assommando in sé il sapere tradizionale giudaico delle età trascorse e collegandovi una vasta conoscenza di quello del mondo arabo circostante, fissare le nuove forme dello sviluppo futuro del giudaismo, e creare per ciascuno dei campi della cultura ebraica opere destinate a rimanere fondamentali per secoli. In pari tempo, nelle lotte interne del campo giudaico, e soprattutto in quelle causate dallo scisma caraita, egli assunse la posizione dominante di sostenitore dell'ebraismo tradizionale illuminato dalle nuove forme di cultura, e l'ebraismo tradizionale dovette a lui la sua vittoria sul caraismo, ridotto alle proporzioni di un movimento periferico, e la sua saldezza per l'avvenire.
Già in Egitto, dove dimorò fino a verso il 915, S. venne foggiando la sua personalità di studioso, di maestro, e di scrittore, che affermò poi in Palestina, dove passò qualche tempo in contatto coi dotti del paese, e più ancora in Babilonia (‛Irāq), dove si trasferì successivamente. In Babilonia era già nel 922 aggregato all'accademia di Sūrā, col titolo di allūf, e nel 928 divenne il capo, o Gā'ōn, della stessa accademia. In tale ufficio rimase fino alla morte, salvo una parentesi di alcuni anni, nei quali, in seguito ai suoi fieri contrasti con l'esilarca Dāvīd ben Zakkay, fu costretto a ritirarsi a vita privata.
Fra le opere di sa‛adyāh, scritte per la maggior parte in arabo, e per minor parte in ebraico, quella che ha avuto di gran lunga la più ampia diffusione è il trattato di filosofia religiosa da lui composto in arabo, kitāb al-Amānāt wa'l-I‛tiqādāt (Libro delle credenze religiose e dei dogmi), che ebbe presto due traduzioni ebraiche; una, di tipo piuttosto parafrastico, nel sec. XI, e una, seguente da vicino il testo, nel sec. XII. Particolarmente quest'ultima, dovuta a Yĕhūdāh ibn Tibbōn e intitolata Sēfer hā-Ĕmūnōt wĕ-ha-Dē‛ōt (Libro delle credenze e delle opinioni), si diffuse largamente in tutta la diaspora giudaica, ed esercitò profonda influenza sul giudaismo, in alcune cerchie fino ad oggi. Seguendo in prevalenza l'atteggiamento e i metodi del kalām, ma non senza accogliere qualche elemento anche da altre scuole e da altri indirizzi, Sa‛adyāh costruisce in quest'opera un compiuto sistema delle credenze religiose dell'ebraismo controllate coi resultati dell'esperienza sensibile e del ragionamento, e basate su questi resultati del pari che sulla rivelazione rispecchiantesi nella Bibbia.
L'originale arabo, dopo alcuni saggi che ne furono dati da J. Gagnier (Specimen novae editionis libri hā-Ĕmūnōt wĕ-ha-Dĕōt, Oxford 1717), e da S. Munk (Notice sur R. Saadia Gaon, Parigi 1858, pp. 20-29), fu pubblicato da S. Landauer (Leida 1880); una diversa recensione del cap. VII fu edita da W. Bacher, in Steinschneider-Festschrift (Berlino 1896, parte ebr., pagine 98-112). La parafrasi ebraica, composta nel 1095 o prima, è nella sua integrità ancora inedita; ma diversi estratti ne furono pubblicati a parte, e porzioni considerevoli ne furono riportate in varie opere (indicazioni bibliografiche presso H. Malter, Saadia Gaon, his Life and Works, Filadelfia 1921, pp. 361-369). La traduzione letterale, compiuta nel 1186, fu pubblicata a Costantinopoli nel 1562, e molte volte in seguito, spesso con commenti. Saggi di traduzione latina: J. Gagnier, op. cit.; Th. Dassov, Diatribe qua Iudaeos de resurrectione mortuorum sententia errasse explicatur (Wittenberg 1675). Traduzione tedesca (meno il cap. X): J. Fürst (Lipsia 1845); saggi diversi, citati presso Malter, op. cit., pp. 374-376.
Come col suo trattato filosofico surricordato, e col suo commento al Sēfer Yēsīrāh (Libro della creazione), Sa‛adyāh fu il fondatore della filosofia ebraica medievale (i suoi predecessori non ebbero che scarsissima influenza sul giudaismo), così anche con altri suoi scritti egli esercitò in altri campi opera di pioniere e di creatore, dando costantemente prova di quella limpida chiarezza, di quell'ordinamento sistematico, e di quel metodo scientifico che erano in lui dovuti all'abito della cultura classica acquistato per il tramite degli Arabi. Egli fu il fondatore della scienza linguistica ebraica medievale, coi suoi Libri della lingua, col suo lessico-rimario, e con la sua monografia sugli ἅπαξ λεγόμενα della Bibbia. La sua traduzione araba della Bibbia, accompagnata da un commentario pure in arabo, preparò il fiorire della cultura ebraica nei paesi dell'Islām, e divenne la classica traduzione araba della Bibbia per tutti gli Ebrei parlanti arabo e anche all'infuori dell'ambiente ebraico. Nel campo del diritto talmudico le sue attitudini caratteristiche si palesarono nella sua introduzione al Talmud, nei suoi commentarî, nei suoi responsi, e nei suoi trattati intesi a codificare le norme giuridiche relative a determinati istituti. Analogamente, nel campo della liturgia la sua ampia compilazione del materiale liturgico tradizionale, con aggiunta di composizioni poetiche dei migliori autori medievali e di lui stesso, fu, nonostante il precedente tentativo del Gā'ōn ‛Amrām (856), la prima opera fondamentale in proposito, messa assieme con spirito scientifico e con acuto senso storico. E come in questa compilazione, così egli esaminò criticamente il contenuto dogmatico e giuridico del giudaismo nelle sue opere storiche e nelle sue opere polemiche.
La grande maggioranza delle opere di Sa‛adyāh andò perduta nel corso dei secoli; e solo negli ultimi tempi, grazie specialmente alla gěnīzāh (v.) cairina, sono stati recuperati numerosi frammenti delle opere perdute; sicché ora è possibile farsi un'idea abbastanza chiara della sua vastissima operosità, particolarmente sorprendente se si pensi alla brevità della sua vita.
L'originale arabo del commento al Libro della creazione (Tafsīr kitāb al-Mabādī) dopo le sporadiche pubblicazioni di diversi estratti, fu edito, con traduzione francese, da M. Lambert (Parigi 1891); della traduzione ebraica di Mōsheh ben Yōsēf di Lucena furono pubblicati qua e là varî estratti; di altre due o tre traduzioni ebraiche esistono frammenti. Non è di Sa‛adyāh il commento pubblicato col suo nome in alcune edizioni del Libro della creazione (Mantova 1562, ecc.).
I Libri della lingua (kutub al-Lughah) sono la più antica grammatica ebraica conosciuta; in conformità di modelli arabi, o almeno sotto l'influsso della linguistica araba, essi pongono le basi della scienza grammaticale ebraica. Un ampio frammento ne fu trovato da A. Harkavy, che ne pubblicò un saggio in ha-Gōren, VI (1906), pp. 30-38; l'edizione di tutto il frammento viene preparata da L. Skoss (cfr. Jewish Quarterly Review, XXIII, 1932-33, pp. 329-336)- Del lessico e rimario della lingua ebraica, Agrōn (Il raccoglitore), destinato a valer come guida alla versificazione nella lingua della Bibbia, Sa‛adyāh compilò due redazioni: nella prima i singoli vocaboli erano esplicati in ebraico, e anche l'introduzione era in ebraico, vocalizzato e accentuato come i testi biblici; nella seconda, accresciuta con un'introduzione in arabo e con diverse aggiunte sì da divenire quasi una specie di "arte poetica", il significato dei vocaboli è dato in arabo. Le due introduzioni, incomplete, furono pubblicate da A. Harkavy (in Zeitschr. für alttestam. Wissenschaft, II, 1882, pp. 73-94), e con altri frammenti nelle sue Studien und Mitteilungen, V, fasc. 1, Pietroburgo 1891; e poi (la seconda in traduzione ebraica) da D. Kahana (in Ōṣar ha-Sifrūt, IV, Cracovia 1891). Di un altro frammento, in parte pubblicato dallo stesso Harkavy (in ha-Gōren, VI, 1906, pp. 26-30), prepara ora l'edizione L. Skoss (v. sopra). L'Esplicazione dei 70 vocaboli isolati, o ἅπαξ λεγόμενα, chiarisce questi vocaboli biblici col confronto dell'ebraico postbiblico: i vocaboli illustrati sono 91, e forse nei manoscritti sab‛īn (70) è errore per tis‛īn (90). Fu pubblicata da L. Dukes (in Zeitschr. der deutschen morgenländischen Gesellsch., V, 1844, pp. 115-136), e parecchie volte di poi (altre tre volte nello stesso anno 1844).
La traduzione biblica di Sa‛adyāh, la prima traduzione completa in arabo dall'originale ebraico, si propone di presentare la Bibbia in modo chiaro e facilmente comprensibile, inserendo ove occorra parole o frasi esplicative, collegando sintatticamente fra loro i versi o le varie parti dei versi, e accettando francamente una determinata spiegazione per i passi oscuri o dubbiosi. Come nel campo filosofico, così nel campo esegetico Sa‛adyāh contempera armonicamente la fede nella rivelazione con le esigenze dell'indagine razionale. Questa sua traduzione, destinata al gran pubblico, è già in un certo senso una spiegazione, donde il suo nome di tafsīr. Per gli studiosi egli accompagnò il tafsīr, se non di tutti i libri della Bibbia, almeno dei più di essi, con un vero e proprio commento (sharḥ), arricchito d'introduzioni e di excursus grammaticali e filosofici. La traduzione del Pentateuco fu pubblicata nelle Bibbie Poliglotte di Costantinopoli 1546, Parigi 1645, Londra 1657, e altre volte di poi; edizione critica di J. Derenbourg, come primo volume della serie, rimasta incompiuta, delle Øuvres complètes de R. Saadia (Parigi 1893). La traduzione commentata è perduta, salvo alcuni frammenti dell'introduzione e del commento, pervenutici nell'originale arabo o in traduzione ebraica (su essi v. Malter, op. cit., pp. 311-316). Porzioni dei commenti ai profeti anteriori, trovate da Harkavy, sono ancora inedite. La traduzione d'Isaia fu pubblicata da H. E. G. Paulus (Jena 1790-91) e in edizione critica da J. Derenbourg (in Zeitschr. für alttestam. Wissensch., IX-X, 1889-1890), poi in Øvres, III, Parigi 1896, con frammenti del commento (per altri frammenti vedi Malter, p. 317). Della traduzione e del commento a Geremia e a Ezechiele abbiamo frammenti in citazioni. Salmi: dopo varî saggi dati da Ewald (1844: v. Malter, op. cit., p. 318) la pubblicazione della traduzione e del commento fu fatta per gruppi successivi da diversi studiosi; iniziata coi primi 20 salmi da S. H. Margulies (Breslavia 1884), fu compiuta con gli ultimi 26 da B. Schreier (Berlino 1904). Introduzione con commento più ampio ai Salmi 1-4, a cura di S. Eppenstein, in Harkavy-Festschrift, (Pietroburgo 1908, pp. 135-160). Proverbî: introduzione, traduzione e commento a cura di J. Derenbourg e M. Lambert (Øuvres, VI, Parigi 1894). Giobbe: id., dopo pubblicazioni parziali di altri, a cura di W. Backer e di J. e H. Derenbourg (Øuvres, V, Parigi 1899). Discussa è l'autenticità delle traduzioni della Cantica e del Ruth, di cui la prima pubblicata da Merx, (Heidelberg 1882), e poi nel rituale pasquale (Haggādāh) degli Ebrei yemeniti (Gerusalemme 1930), e la seconda da M. Peritz (in Monatsschrift für Gesch. u. Wissensch. des Judentums, XLIII 1899, passim). La traduzione di Ester è pubblicata nel formulario delle preghiere secondo il rito di Ṣan‛ā' (Vienna 1896); del commento di Ester, Ecclesiaste e Lamentazioni abbiamo frammenti. La traduzione di Daniele fu edita da H. Spiegel (Berna 1906); del commento abbiamo manoscritti (non è autentico quello pubblicato nelle Bibbie Rabbiniche). Dubbiosa è l'autenticità del commento a Ezra-Nehemia, pubblicato da H. J. Mathews (Oxford 1882) e da H. Berger (Berlino 1895), e di qualche citazione del commento ai Parahpomeni.
Dell'introduzione al Talmud (kitāb al-Madkhal) cinque passi furono riportati in traduzione ebraica da un talmudista del sec. XVI, Beṣal'ēl Ashkĕnāzī, e poi riprodotti più volte (v. Malter, op. cit., p. 342). Di un'altra piccoia opera metodologica, il commento alle 13 regole ermeneutiche, l'originale arabo è inedito, e la traduzione ebraica fu pubblicata da S. Schechter (in Bēt-Talmūd, Iv, 1885, pp. 235-244 e poi da J. Müller, Øuvres, IX, Parigi 1897, p9.73-83). Per i commenti talmudici si vedano le indicazioni bibliografiche di Malter, (op. cit., pp. 342-344). Ora essi vengono raccolti secondo l'ordine dei testi talmudici, da B. Lewin nel suo Ōṣar ha-Gĕ'ōnīm (Ḥaifā 1928 segg.). Una cinquantina di responsi fu pubblicata da J. Müller (in Øuvres, IX, Parigi 1897, pp. 87-142); per altri sparsi, v. Malter (op. cit., pp. 349-350); anche i responsi vengono ora raccolti da Lewin, op. cit. Delle monografie giuridiche abbiamo intera quella sulle eredità (kitāb al-Mawārīth), pubblicata da J. Müller (in Øuvres, IX, Parigi 1897, pp.1-53). Frammenti sono stati pubblicati di quelle sui pegni (da S. Schechter, Saadyana, nn. XI-XII), sulla testimonianza e sui contratti (da H. Hirschfeld, in Jewish Quarterly Review, XVI, 1903-04, pp. 294-295,299), sui matrimonî proibiti (uno dallo stesso, ibid., XVII, 1904-05, pp. 713-720, e altri da altri: v. Malter, op. cit., p. 346-7), e sull'usura (dal Hirschfeld, ibid., XVIII, 1905-06, pp. 119-120). Di altre ancora abbiamo frammenti del tutto o pressoché del tutto inediti, ovvero citazioni (v. Malter, op. cit., pp. 347-349)
La compilazione liturgica (il cui titolo è incerto) è inedita. Per le composizioni poetiche liturgiche di Sa‛adyāh, comprese o non comprese in essa (‛Abōdāh, Azhārōt, Baqqāshōt, Sĕlīḥōt, Hōsha‛ănōt, ecc.) si vedano le notizie di Malter, op. cit., pp. 330-336,338-339. Per le composizioni poetiche non liturgiche, v. Malter, op. cit., pp. 336-338 (epitalamio), 339-340 (sul numero delle lettere nella Bibbia); altre saranno ricordate più oltre, fra le opere polemiche.
Opere storiche e cronologiche: 1) Cronaca (kitāb at-Ta'rīkh), pubblicata da Neubauer (Mediaeval Jewish Chronicles, II, pp. 89-110); 2) traduzione araba del "Rotolo di Antioco", pubbl. anonima dal Hirschfeld (in Arab. Chrestomathy, Londra 1896, pp.1-6), e col nome di Sa‛adyāh da A. S. Wertheimer (Leqeṭ Midrāshīm, Gerusalemme 1903). Di una cronaca dei dotti della Mishnāh e del Talmūd ci è pervenuto un frammento, inedito; e una genealogia di Giuda il Santo è menzionata dallo stesso Sa‛adyāh. Colla cronologia si connettono gli scritti sul calendario, scritti polemici occasionati dal contrasto del dottore palestinese Ben-Mē'īr coi dottori di Babilonia (v. Malter, op. cit., pp. 351-353,409-419).
Altre opere polemiche: A) In arabo: 1. Libro della distinzione (kitāb at-Tamyīz), contro i caraiti, forse la più importante opera di questo gruppo; 2. Libro della refutazione (kitāb ar-Radd) contro ‛Ānān, fondatore del caraismo; 3. Libro della refutazione contro Ibn Sāqawaihi (probabilmente il caraita Salmōn b. Yĕruḥam); 4. Libro della refutazione contro l'aggressore arrogante (forse lo stessa persona del n. 3). Di tutte queste opere arabe abbiamo frammenti: v. Malter, op. cit., pp. 380-384. B) In ebraico: 5. La composizione poetica iniziantesi Essā mĕshālī, contro lo stesso Salmon ben Yĕruḥam (due frammenti; v. Lewin, in Tarbīṣ, III, 1931-32, pp. 147-160); 6. Quella intesa a refutare le critiche mosse alla Bibbia da Ḥayawaihi al-Balkhī (la parte pervenutacene pubblicata da J. Davidson, New York 1915, e da S. Poznański, Varsavia 1916). In due recensioni, la prima ebraica, con vocali e accenti, e la seconda accresciuta di ampie aggiunte in arabo: 7. Sēfer ha-Gālūy (Il libro palese, Ger. 32, 14), sulla lotta contro l'esilarca Dāvīd ben Zakkay: per i frammenti di entrambe le recensioni vedi Malter, op. cit., pp. 387-394. Per il titolo arabo (al-kitāb aẓ-ẓāhir), v. Yellin, in Freidus Memorial Volume, New York 1929, parte ebraica, pp. 403-409.
Per le lettere di sa‛adyāh, oltre le notizie del Malter (indice, p. 446), vedi Revel e Epstein, Dĕbīr, I (1923), pp. 180-190, e Mann, Texts and Studies, Cincinnati 1931, pp. 66-75. Per altre citazioni o frammenti d'incerta determinazione, v. Malter, pp. 394-403. Per le opere attribuite a Sa‛adyāh erroneamente, v. Malter, pp. 403-409.
H. Malter, Saadia Gaon, his Life and Works, Filadelfia 1921, con ampia bibliografia. Le principali pubblicazioni posteriori al Malter sono state citate di mano in mano più sopra. Inoltre: M. Ventura, La philosophie de Saadia Gaon, Parigi 1934.