MALASPINA, Saba
Nacque, probabilmente a Roma, nella prima metà del secolo XIII.
L'origine romana è confermata dallo stesso M. che nell'explicit della sua cronaca si dice "de Urbe", nel corso dell'opera definisce "patrium crimen" l'imboscata organizzata nel 1260 dal nobile romano Raul de Surdis, nipote del cardinale Riccardo Annibaldi, a danno degli ambasciatori bavaresi inviati presso il pontefice da Corradino di Svevia e chiama "concives" i responsabili di quel misfatto. Nella descrizione di eventi e ambienti relativi alla città di Roma, inoltre, il M. appare sempre ben informato, "circostanziato come solo un romano poteva esserlo" (Dupré Theseider, p. 110). Il M. fu probabilmente membro della stessa famiglia alla quale appartennero, nella seconda metà del secolo XIII, Nicola Malaspina de Urbe - che nel novembre del 1272 fu nominato dal re di Sicilia Carlo I d'Angiò, nella sua veste di senatore di Roma, giudice presso il suo vicario in Roma e nel 1279 venne assegnato come giudice a Bertoldo Orsini, rettore della Romagna, da papa Niccolò III - e un dominus Angelo Malaspina, cittadino romano del rione Trastevere, che in un documento del 1290 compare come "Urbis aedificiorum magistrorum iudex". Il M. fu probabilmente vicino al gruppo di potere cristallizzatosi intorno alle famiglie Orsini e Savelli: nella sua opera il cardinale Gian Gaetano Orsini, dapprima punto di riferimento del partito interno alla Curia sempre più insofferente della supremazia angioina, successivamente papa con il nome di Niccolò III, viene celebrato come campione dell'indipendenza e dei diritti della Sede apostolica; altrettanto positivo è il giudizio sul cardinale Giacomo Savelli, il futuro papa Onorio IV, artefice della promozione episcopale del M., e su Giovanni Savelli, senatore di Roma nel 1260, indicato come "homo securi cordis et animi" (Die Chronik, p. 147) e "homo probate fidei" (p. 187), sincero alleato di Carlo I d'Angiò e desideroso della pace e della tranquillità di Roma.
Il titolo di magister, di cui il M. si fregia nell'explicit, fu sicuramente conseguito presso uno Studium, ma non conosciamo né la sede né la qualità della sua formazione universitaria. Con ogni probabilità si spostò nel Regno di Sicilia in seguito alla conquista angioina; nell'estate del 1268 era sicuramente in Calabria e nei primi giorni di settembre fu testimone, probabilmente dalla costa calabrese o da quella della Sicilia nordorientale, della fuga delle navi provenzali comandate da Roberto di Lavena di fronte alla flotta pisana al largo di Messina.
Il M. compare per la prima volta nella documentazione come canonico e decano della cattedrale di Mileto in un mandato al secreto di Calabria, datato 8 luglio 1274, con il quale Carlo I d'Angiò dispose il pagamento in suo favore di alcune decime sulle rendite dell'amministrazione, del trasporto del grano, delle regalie e delle tintorie di Messina nonché di altri redditi. Nel 1275 fu uno dei subcollettori della decima destinata al finanziamento della crociata bandita l'anno precedente, in occasione del secondo concilio di Lione, dal pontefice Gregorio X. In questa veste raccolse la decima da cinque monasteri nei dintorni di Mileto: l'abbazia della Ss. Trinità e quattro delle nove fondazioni greche della stessa diocesi.
Nel corso del triennio 1283-85 il M. fu impiegato come scriptor presso la Curia pontificia; forse era stato chiamato a questo incarico alcuni anni prima da Niccolò III, che nel 1278 aveva provveduto alla riforma della Cancelleria papale, tuttavia egli è testimoniato solo come estensore di una lettera pontificia datata Orvieto 20 genn. 1283. Nel 1284, approfittando del tempo che il poco lavoro presso la Curia gli concedeva, iniziò la stesura del Liber gestorum regum Sicilie, portato a termine il 29 marzo 1285, lo stesso giorno in cui morì a Perugia il pontefice Martino IV.
Il 12 luglio 1286 Onorio IV nominò il M. vescovo di Mileto, una diocesi immediatamente soggetta alla S. Sede che era stata amministrata fino a pochi anni prima dal vescovo Domenico, più volte incorso nelle censure ecclesiastiche come fautore di Manfredi di Svevia e dal 1274 fedele sostenitore di Carlo I d'Angiò. La nomina del M. alla guida di una diocesi che si trovava al centro del teatro dello scontro tra Angioini e Aragonesi era finalizzata al rafforzamento dello schieramento filoangioino dell'episcopato calabrese.
Dopo la morte di Domenico, nel 1282, i canonici della Chiesa di Mileto si erano divisi sulla scelta del nuovo vescovo, al punto che Martino IV aveva affidato l'amministrazione della diocesi al presule di Agrigento. Questi, non volendo lasciare l'amministrazione della diocesi calabrese, si oppose alla scelta del capitolo - che in una successiva elezione e con voto unanime aveva eletto il decano M. come nuovo vescovo - e si rivolse al cardinale Gerardo di S. Sabina legato pontificio nel Regno il quale, a sua volta, rimise la decisione alla Curia. Onorio IV affidò il compito di esaminare le qualità dell'eletto e la correttezza del procedimento elettorale a una commissione composta da tre cardinali, Girolamo d'Ascoli, Gervais de Clinchamp e Benedetto Caetani.
Personaggio inquieto e in continuo movimento, il M. nei primi mesi del 1287 si trovava in Abruzzo: il 22 gennaio da Serramonacesca concesse 40 giorni di indulgenza a quanti avessero visitato la chiesa di S. Nicola di Polegra in diocesi di Chieti; il 13 febbraio concesse indulgenze a coloro che avessero visitato la chiesa di S. Eufemia in Fara Filiorum Petri, sempre nella diocesi teatina, o inviato elemosine alla stessa chiesa.
Il principale risultato conseguito dal M. nel governo della sua diocesi fu l'accordo, raggiunto nel 1287 con l'abate Ruggero della Ss. Trinità di Mileto, grazie al quale fu risolta un'annosa questione di carattere giurisdizionale: il vescovo ottenne l'assegnazione definitiva della giurisdizione su Monteleone, l'odierna Vibo Valentia, mentre l'abate conservò i diritti spirituali su San Gregorio e altri centri minori.
Nel 1288-89 una violenta offensiva aragonese in Calabria costrinse gli Angioini ad abbandonare la regione: Ruggero di Lauria occupò il castello di Monteleone, e le milizie siculo-catalane si impadronirono di Mileto. Il M. fu spogliato dei beni e fatto prigioniero; riuscito a fuggire, abbandonò la sua diocesi e riparò nei territori controllati dagli Angioini. Niccolò IV il 6 ag. 1289 scrisse a Berardo da Cagli, cardinale vescovo di Palestrina e legato apostolico nel Regno di Sicilia, per chiedergli di provvedere al vescovo di Mileto "ab hostibus spoliato e manibusque eorum evaso" (Les registres de Nicolas IV, p. 237). Il M. ottenne l'amministrazione della diocesi di Larino nel Molise - una Chiesa sensibilmente più povera rispetto a quella di Mileto - che si trovava senza pastore in seguito alla sospensione del vescovo Perrone, accusato dopo la morte di Carlo I d'Angiò di aver spinto i suoi fedeli alla ribellione contro gli Angioini e quindi contro la Chiesa romana.
Durante gli anni dell'esilio il M. compare spesso nel gruppo dei vescovi dell'Italia meridionale che si ritrovavano intorno agli arcivescovi Filippo di Salerno e Ruggero di Santa Severina, come testimoniato da alcune lettere di indulgenza quale, per esempio, quella concessa da Eboli il 13 sett. 1289 o 1290 in favore di quanti avessero contribuito alla costruzione della chiesa del monastero femminile di S. Maria di Borgonuovo, nella diocesi di Penne. Il 13 sett. 1291 Niccolò IV confermò al M. l'amministrazione della diocesi di Larino e scrisse al capitolo e al clero di quella diocesi "ut eidem Sabae de redditibus et proventibus episcopatui Larinensi debitis respondeant" (ibid., p. 803).
Nel 1294 il M. fu coinvolto in un'aspra contesa insorta a causa dei continui danni arrecati dagli animali appartenenti agli abitanti di San Martino nelle vigne e nei campi chiusi del casale di Ururi, dominio feudale del vescovo di Larino.
Probabilmente il M. approfittò del momento di relativa tranquillità assicurato dall'armistizio di Figueras, concluso sul finire del 1293 tra Carlo II d'Angiò e Giacomo d'Aragona e durato fino alla ripresa delle ostilità da parte di Federico III d'Aragona nella primavera del 1296. Apprendiamo, infatti, da una delle note marginali presenti in un sinassario della Biblioteca Ambrosiana di Milano (D 74 sup.) che nel 1294 il M. consacrò Atanasio a catigumeno del monastero greco dei Ss. Pietro e Paolo di Arena, prova evidente che in quell'anno egli era tornato a occuparsi della sua diocesi. Nel 1295 il M. raggiunse un accordo con lo stesso monastero mediante il quale venne fissato l'ammontare della prestazione annua dovuta dai monaci. Sempre nel 1295 incontriamo di nuovo il M. a Roma intento a concedere, insieme con un nutrito gruppo di presuli, lettere di indulgenza. L'8 aprile dello stesso anno Bonifacio VIII, accogliendo la richiesta del M., gli confermò la cura e l'amministrazione "spiritualiter et temporaliter" della diocesi di Larino. La ripresa delle ostilità a opera di Federico III d'Aragona, che nell'estate 1296 si impadronì di buona parte della Calabria, può aver indotto il M. ad abbandonare nuovamente la sua diocesi. Nell'estate del 1297, infatti, egli era di nuovo a Roma dove, insieme con l'arcivescovo Filippo di Salerno e altri vescovi, sottoscrisse l'ennesima lettera di indulgenza. Sempre nel 1297, il 13 giugno, il capitolo di Larino, riunito con il consenso e l'autorità del M. amministratore della diocesi, considerato che le rendite non erano più sufficienti a far fronte ai bisogni del clero della cattedrale, decretò la riduzione a quindici del numero dei canonici, compresi l'arcidiacono e l'arciprete.
Il M. morì tra la fine del 1297 e l'inizio del 1298; in quest'ultimo anno, infatti, fu eletto come suo successore nella diocesi di Mileto il vescovo Andrea.
Il nome del M. è legato alla Chronica o Liber gestorum regum Sicilie, che è una delle fonti letterarie più importanti per la ricostruzione della storia dell'Italia meridionale nel periodo che va dalla morte di Federico II di Svevia alla morte di Carlo I d'Angiò. L'opera, divisa in dieci libri e dedicata agli ufficiali e ai procuratori in audientia della Curia pontificia, descrive le circostanze del crollo della potenza sveva in Italia, le battaglie di Benevento e Tagliacozzo, l'avvento di Carlo I d'Angiò, la dura amministrazione angioina, la sollevazione del Vespro siciliano, di cui il M. individua con precisione le cause, e i primi anni dello scontro con Pietro d'Aragona. Nell'economia dell'opera un'attenzione particolare è riservata ad alcuni momenti della storia della città di Roma, attenzione che denota la vicinanza dell'autore agli interessi della nobiltà romana e la sua sprezzante avversione per la fazione popolare e per le sue simpatie ghibelline. La narrazione è basata su una ricca e precisa documentazione, tratta essenzialmente dalla Cancelleria pontificia, ma anche sui ricordi personali dell'autore e sulle testimonianze orali di persone da lui conosciute che avevano partecipato direttamente agli eventi narrati. Impressionante la dettagliata enumerazione delle violenze e delle iniquità degli ufficiali angioini, esempi concreti di una testimonianza diretta degli eventi narrati, di fatti di cui il M. stesso afferma di essere stato testimone oculare.
Convinto sostenitore della supremazia papale - al punto da apparire "prigioniero della sua concezione teocratica" (Fuiano, p. 286) - il M. è espressione di quel guelfismo italiano che, dopo l'iniziale entusiasmo, cominciò a prendere le distanze dalla politica di Carlo I d'Angiò, cercò un'alternativa all'avida amministrazione angioina e alla politica repressiva portata avanti dai Francesi nel Regno e, nonostante la sua mentalità essenzialmente guelfa e ostile agli Svevi, non esita a dare un giudizio prevalentemente negativo del primo sovrano angioino, al punto che Pietro d'Aragona viene identificato come lo strumento del castigo divino, per punire le colpe di Carlo e la malvagità dei suoi rappresentanti.
La prima edizione del Liber gestorum regum Sicilie, limitata alla parte iniziale dell'opera, fu pubblicata nel 1713 da Étienne Baluze. Successive edizioni, sempre parziali e non di rado inaffidabili, furono curate da Giovanni Battista Caruso (Palermo 1723), Pieter Burmann e Johann George Graeve (Leiden 1723), Ludovico Antonio Muratori (Milano 1726), Rosario Gregorio (Palermo 1792). Nel 1868 Giuseppe Del Re fornì la prima edizione completa della cronaca riunendo la prima parte (1250-76) pubblicata dal Baluze e la seconda (1276-85) pubblicata dal Gregorio e affiancandola con una traduzione in italiano curata da Bruto Fabbricatore (Saba Malaspina, Rerum Sicularum historia, in Cronisti e scrittori sincroni napoletani, a cura di G. Del Re, II, Napoli 1868, pp. 203-408). Nel 1999 l'esigenza più volte rimarcata di un'edizione critica della cronaca malaspiniana è stata soddisfatta con la pubblicazione dell'ottima edizione curata da W. Koller e A. Nitschke, Die Chronik des Saba Malaspina, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXXV, Hannover 1999.
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