SABATINI (Sabattini, Sabbatini), Lorenzo, detto il Lorenzino
SABATINI (Sabattini, Sabbatini), Lorenzo, detto il Lorenzino. – Nacque a Bologna nel 1530 circa (Ticozzi, 1832).
Scarse le notizie sulla sua attività giovanile, mancando dati certi sino alla fine degli anni Cinquanta, quando tuttavia doveva già essere un artista maturo e stimato. Del 1558 è l’Incontro alla Porta Aurea in S. Martino a Bologna, alternativamente riferito a lui o a Giulio Taraschi, per via delle lettere TAR leggibili di fianco alla data apposta sull’opera (Cavazzoni, 1603, 1999, p. 30 n. 70).
Anteriore al 1559 è l’Artemisia di palazzo Poggi, già decoro di un camino (Winkelmann, 1986, p. 596). La figura affrescata ha una posa monumentale e artificiosa, che denuncia l’ascendente di Michelangelo per tramite di Tibaldi, ma è alleggerita da una materia pittorica più vicina a Niccolò dell’Abate. Si ritiene che la formazione del pittore sia avvenuta a Bologna, con Prospero Fontana (p. 596). Il dipinto, importante per la sua datazione, rivela Sabatini già maturo e con uno stile coerente con quello adoperato negli anni a seguire.
Non lontana dal 1560 deve essere la pala in S. Egidio, riferita a Sabatini già dalle antiche fonti (Masini, 1666, p. 445); a una cronologia del dipinto al 1570 circa (Winkelmann, 1986, p. 598) si oppongono le considerazioni di Sassu (2002), il quale ravvisa una cultura pienamente emiliana nell’opera, non ancora fusa a cadenze vasariane e semmai legata a esperienze parmensi. Di poco successiva – ma non del tutto coerente al dipinto testé citato – è l’Ultima cena di S. Girolamo alla Certosa, forse del 1562, già erroneamente riferita al coetaneo e conterraneo Orazio Samacchini; la tela è stata resa a Sabatini anche sulla scorta del disegno preparatorio conservato a Parigi (Louvre, inv. 9008), ascritto a Sabatini già da Vasari, che lo possedette (Winkelmann, 1986, p. 597; Cirillo - Godi, 1982, p. 8).
Già nel 1562 Sabatini risulta in contatto, ed è lecito domandarsi se per tramite di Fontana, con Vasari, al quale scriveva il 9 febbraio: «Una anatomia cavallesca è stata causa che non ò potuto finir il promesso disegno», destinato al «Signor priore», ovvero Vincenzio Borghini (Gaye, 1840, pp. 65 s.).
Il disegno sarebbe stato inviato assieme a «certe robe di mess. Gioan Bologna a Firenze», ma l’ipotesi che proprio lo studio anatomico di Sabatini fosse destinato al Giambologna (Gasparotto, 2006) non sembra del tutto convincente; il foglio spedito sembra essere quello per Borghini, e secondo Jürgen Winkelmann (1986, p. 597) potrebbe essere la citata Ultima cena del Louvre, mentre l’«anatomia cavallesca» potrebbe essere stata realizzata per un committente bolognese, per esempio il naturalista Ulisse Aldrovandi.
La stima di Vasari nei confronti di Sabatini emerge anche da un passo delle Vite... (Vasari, 1568, VI, 1987), laddove il biografo aretino lo giudica «pittore eccellente», del quale, avendo «bonissima maniera e gran pratica in tutte le cose», si attendeva «onoratissima riuscita»; Vasari afferma inoltre che, se il bolognese non fosse stato «carico di moglie e molti figliuoli», avrebbe raggiunto Primaticcio in Francia (cfr. Winkelmann, 1986, p. 596); l’episodio attesta una familiarità che aiuta a gettare luce sugli esordi di Sabatini.
Nel 1565 fu chiamato a lavorare a Firenze, dove realizzò in Palazzo Vecchio, nel ricetto dell’appartamento di Giovanna d’Austria, che conduce alla sala dei Duecento, alcuni affreschi ancora in loco (Vasari, 1568, VI, 1987, p. 148); nello stesso anno risulta tra gli otto pittori forestieri iscritti alla neonata Accademia del disegno della città medicea (Winkelmann, 1986, p. 595). A Firenze il pittore dovette conformarsi alla tendenza cosmopolita e all’impronta decorativista della pittura del tempo.
Di non unanime datazione è il fregio con Storie di Ciro in palazzo Vizzani a Bologna, per il quale è stata proposta una cronologia al 1560 circa (pp. 598 s.) o al 1570 circa (Benati, 1991, p. 249); spetta agli anni Sessanta l’Omaggio di Pan a Diana dell’Hessisches Landesmuseum di Darmstadt (Benati, 1999), interessante relitto di una produzione erotica e profana, che trova spazio nei fregi delle dimore patrizie bolognesi e in poche opere mobili superstiti, tra le quali si ricorda la Allegoria (Geometria?) della Galleria Sabauda di Torino, anch’essa databile agli anni Sessanta.
La Circoncisione, nata per la chiesa felsinea di S. Lucia su committenza di Matteo Zani, è databile al 1564 circa ed è oggi alla Bob Jones University a Greenville, South Carolina (Winkelmann, 1986, p. 598; Sassu, 1999, p. 313). Dalla stessa chiesa dei gesuiti provengono anche la Madonna con il Bambino in gloria e i ss. Lucia e Agata, ora nella Pinacoteca nazionale di Bologna e datata al 1568-70 (Sassu, 1999, p. 310; Danieli, 2011a, pp. 60 s.), e la pala ora a Berlino, dipinta entro il 1572, poiché nel dipinto s. Petronio sostiene un modellino di Bologna su cui compare lo stemma di papa Pio V Ghislieri, morto in quell’anno (Sassu, 1999, pp. 310 s.).
Nel 1564 i Malvasia fecero restaurare la loro cappella in S. Giacomo Maggiore a Bologna, e forse l’intervento di Sabatini in quel contesto – la pala e gli affreschi – si data di lì a breve (Winkelmann, 1986, p. 603). Negli affreschi, all’influenza parmigianinesca, ben rilevata, si affianca il rinnovato interesse per Michelangelo, evidente nel S. Girolamo, ispirato al Mosè.
Tra il 1566 e il 1568 dovrebbe datarsi la Predica di s. Caterina della Pinacoteca nazionale di Bologna, proveniente dal convento dei Frati della Carità (pp. 603 s.). Del 1569 è la pala della chiesa di S. Clemente, oggi conservata in S. Lorenzo a Milano (Benati, 1991, pp. 250-252); nella chiesa bolognese, cappella del Collegio di Spagna, il pittore dipinse anche affreschi, dei quali rimane solo un frammento con Dio Padre (Winkelmann, 1979, p. 211).
Tra le opere databili attorno al 1570, periodo nel quale il catalogo del pittore si fa denso e particolarmente coerente, si collocano alcuni dipinti profani oggi in collezione privata, come l’Amore e Psiche (Benati, 1999, p. 54), l’Apoteosi di Diana e Venere, databile proprio intorno al 1570 e già riferita a Joachim Wtewael (Benati, 2009); dello stesso periodo è la Madonna assunta, già in S. Maria degli Angeli e ora nella Pinacoteca nazionale; opera di notevole fortuna iconografica, più volte replicata o copiata (Cirillo - Godi, 1995, p. 148; L’Occaso, 2016).
La pala già in S. Lucia e ora a Berlino e la Madonna assunta esemplificano la svolta di Sabatini verso la fine degli anni Sessanta.
Nel dipinto berlinese la Madonna è posta su un alto trono, che bipartisce nettamente la scena; le figure sono atteggiate in pose artificiose, ma dominano le linee ortogonali, che danno solidità alla composizione, compatta e serrata eppure elegante e mai ‘muscolare’. La monumentalità tibaldesca è superata, ma ne rimane l’accelerazione prospettica, riletta in una semplificata, lineare e lucida sintesi formale che si manifesta in questa svolta stilistica del pittore, che sfocia in un linguaggio controriformato, a presagire il naturalismo carraccesco.
Entro questa fase bolognese devono porsi le decorazioni di palazzo Vizzani, dove Sabatini lavorò fianco a fianco con Fontana (nelle Storie di Ciro), e dipinse due Figure allegoriche nello scalone (Winkelmann, 1986, p. 599) e il Polifemo, del 1570 (p. 605). Proprio a ragione della data del Polifemo, Benati (1991, p. 249) riconduce al 1570 circa tutte le decorazioni di quel contesto.
Attorno al 1570 potrebbe porsi anche la tela raffigurante Davide e il profeta Nathan, ora nella Pinacoteca di Brera ma proveniente da S. Domenico di Ancona (pp. 247-250), forse testimonianza di rapporti tra l’artista e le Marche.
Un nuovo soggiorno fiorentino avvenne tra il luglio e il settembre del 1572, quando Sabatini fu pagato per aver dipinto la parte sommitale della cupola di S. Maria del Fiore; al pittore, che dipinse a tempera su muro, spetta la finta architettura dalla quale sporgono profeti (Acidini Luchinat, 1999).
Proprio del 1572 è una delle sue rare opere firmate, la Sacra famiglia con s. Giovannino del Louvre, che reca anche il nome di papa Gregorio XIII, divenuto pontefice in quell’anno, e della quale si conosce almeno una replica autografa sul mercato antiquario (Wannenes, Genova, 30 novembre 2016, lotto 605). Tra le opere da cavalletto firmate, si può segnalare anche la Madonna del cedro, di collezione privata (Winkelmann, 1989).
Al principio del 1573 Sabatini era ancora nella città natale e lì riceveva pagamenti per la pala Ghislardi in S. Domenico (Winkelmann, 1986, p. 595), ma nel corso dell’anno si trasferì a Roma. Qui ebbe inizio l’ultima fase della carriera, densa di importanti commissioni presso la Curia pontificia (per una disamina cfr. Danieli, 2011b), certo favorite dai natali felsinei del papa Boncompagni. Sabatini fu dapprima chiamato a lavorare nella sala Regia, assieme a Vasari e a numerosi altri artisti (Marinig, 1999, pp. 189 s., n. 11); a Sabatini si devono interventi nella vasariana Battaglia di Lepanto e decori sulla parete del trono, la settentrionale; i due Angeli affrescati sono uno di Sabatini, l’altro di Raffaellino da Reggio, ma entrambi furono preparati da due disegni di Sabatini, uno a Edimburgo e l’altro in collezione privata tedesca (Pillsbury, 1976-1977, pp. 41 s.).
Nel corso del 1573 a Sabatini fu chiesto il completamento delle decorazioni della cappella Paolina in Vaticano, scartato un progetto di Vasari, il quale il 18 agosto 1573 aveva inviato «il disegnio et inventione per la volta et faccjate» (Baumgart - Biagetti, 1934, pp. 89-91); il bolognese dipinse a sinistra della Conversione di Saulo di Michelangelo la Lapidazione di s. Stefano e a destra il Battesimo di Saulo; a sinistra della michelangiolesca Crocifissione di s. Pietro fece la Caduta di Simon Mago (pp. 57 s.); i lavori furono completati solo alcuni anni dopo da Federico Zuccari. Della Lapidazione si possono segnalare uno schizzo preparatorio, conservato a Roma (Istituto nazionale della grafica, inv. FC 129822), e una replica dipinta di piccolo formato, nella Wellcome Library di Londra (inv. 17701), attribuita a Orazio Samacchini.
Tra i lavori vaticani, una coeva memoria, forse di mano di Tommaso Laureti, menziona anche decorazioni nella «Galeria picola» accanto alla sala del Concistoro e ricorda inoltre che «sopra le cinque porte di S. Pietro e tutte le capescale di Palazzo, dove sono dipinti tutti l’Atti dell’Apostoli, furon fatte con ordin e disegno di Lorenzo Sabbati pittor bolognese» (Pinelli, 1994, p. 70); questo impegno fu pagato tra il luglio 1574 e il gennaio 1575 (Eitel-Porter, 2009, p. 49). A Sabatini spettarono anche la progettazione e in parte l’esecuzione degli affreschi della sala Bologna (Ceccarelli - Aksamija, 2011, passim).
In quei brevi ma assai fruttuosi anni, Sabatini dipinse anche la Pietà nella sagrestia di S. Pietro, in Vaticano, ricordata già da Gaspare Celio (1638, pp. 76 s.) e Giovanni Baglione (1642, p. 18).
L’opera è palesemente ispirata alla Pietà Bandini di Michelangelo, ma Sabatini vi tenta, come nelle altre pitture di questa fase estrema, di conciliare la terribilità michelangiolesca con una sintassi più equilibrata e di ascendenza raffaellesca; la piena leggibilità delle immagini e la piana scansione compositiva attestano l’aderenza del pittore ai dettami della Controriforma e l’abbandono di ogni bizzarria tibaldesca.
Non prima del 1575 Sabatini dovette coordinare e in parte eseguire di sua mano un ciclo di affreschi nel palazzo romano del bolognese Teseo Aldrovandi (fratello del naturalista Ulisse): si tratta di storie dell’ospedale e della Confraternita di S. Spirito in Sassia, di cui Teseo fu nominato commendatore nel 1575 (Rodolfo, 1993). In quell’anno l’artista risulta iscritto alla Compagnia di S. Luca (Winkelmann, 1986, p. 596).
Il 21 febbraio 1576 fu pagato per conto di papa Gregorio XIII, per lavori fatti in diversi ambienti vaticani, per «pitture fatte e da farsi nella loggia al piano delle stantie del cardinale Santo Sisto [Filippo Boncompagni], et nella capella et stantie al piano della Sala di Costantino» (Di Marco, 2012, p. 39). Non sembra tuttavia accoglibile, per ragioni stilistiche, la proposta di Hess (1967, p. 126) di riferire a Sabatini alcuni riquadri nella volta delle logge di Gregorio XIII. La «sopraintendenza» di Sabatini sulle imprese vaticane di Gregorio XIII è attestata anche da Baglione (1642), che ne elenca gli impegni per il pontefice. È invece Celio (1638, p. 118; Hess, 1967, p. 184) a ricordare l’intervento di restauro di Sabatini sulla raffaellesca Incoronazione di Carlo Magno nella Stanza dell’Incendio; la castigatezza del suo linguaggio pare avesse suggerito a papa Gregorio XIII di fargli dipingere nella cappella Sistina, in sostituzione del Giudizio universale di Michelangelo, un Paradiso «tutto pieno di onestà e di nobiltà, non di oscenità e facchinerie» (Malvasia, 1678, p. 231).
Nel 1576 Sabatini diede principio a una pala con s. Matteo per la chiesa romana di S. Lorenzo in Damaso, ma la morte prematura fece sì che la commissione passasse al suo allievo Eugenio Bianchi (Bertini, 2001, pp. 304 s.). Poche settimane prima, Sabatini scriveva a Ottavio Farnese di aver completato un Cupido, opera di quel suo allievo piacentino (p. 304). Nessuna delle due opere ‘a quattro mani’ ci è giunta.
Il catalogo dei dipinti dell’artista è ben assestato e presenta relativamente poche opere di discutibile autografia; occorre tuttavia espungere – in accordo con Benati (1999, p. 52) – la Giuditta e Oloferne delle collezioni Rolo Banca, riferibile allo stesso Agostino Carracci, che incise quel soggetto da un’invenzione di Sabatini.
All’artista spetta un interessante corpus di disegni, caratterizzati da tecniche eterogenee ma da un ductus grafico nitido, che delinea forme solide (Bodmer, 1935, p. 283; Johnston, 1973; Cordellier, 2002; Faietti, 2002). Una verifica appare tuttavia opportuna sulla congruità di alcune attribuzioni:per esempio, per il foglio della collezione Franchi a lui riferito (Di Giampaolo, 1997), preparatorio per una tela pubblicata come opera di Frans van de Casteele (G. Sapori, Fiamminghi nel cantiere Italia, 1560-1600, Milano 2007, p. 63; Vienna, Dorotheum, 21 aprile 2015, lotto 210), sembra preferibile il nome di Giovan Battista Ramenghi, detto Bagnacavallo.
Alcune invenzioni di Sabatini furono tradotte in stampa: per esempio da Domenico Tibaldi (la Madonna con il Bambino sulla mezzaluna, che deriva dalla gloria nella pala in S. Lorenzo a Milano: Benati, 1991, p. 251), da Agostino Carracci (la citata Giuditta con la testa di Oloferne), da Annibale Carracci (la pala Malvasia), da Cornelis Cort (le Nozze di Cana, del 1576).
Tra le opere perdute, numerose erano nei palazzi nobili di Bologna (Malvasia, 1678, p. 230, ricorda la perdita dei fregi in casa Zani, su cui Danieli, 2011a, p. 47), ma anche dipinti da cavalletto nelle gallerie romane: una Madonna col Bambino e s. Giuseppe in villa Borghese, e un «quadro grande di Diana cacciatrice» (Manilli, 1650).
La letteratura artistica di primo Seicento gratificò Sabatini di lusinghiere menzioni; molte sue opere bolognesi sono ricordate da Francesco Cavazzoni (1603), mentre Celio (1638) cita quelle romane. L’artista si guadagnò una prima breve biografia nel Seicento, scritta da Baglione (1642) e tutta incentrata sul periodo romano; un successivo medaglione biografico è di Carlo Cesare Malvasia (1678). Il più completo e ricco profilo moderno è di Winkelmann (1986), per quanto limitato all’attività bolognese dell’artista.
Sabatini ebbe un buon numero di allievi, tra i quali menzioniamo almeno il figlio Mario, Denys Calvaert, Eugenio Bianchi, Felice Pinariccio, Girolamo Mattioli.
Morì a Roma il 2 agosto 1576, come comunemente si ritiene (Winkelmann, 1986, p. 595), o il 5 (Bertini, 2001, p. 308).
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