MICHIEL, Sabello (Sabelo, Sabelio)
– La sua data di nascita va collocata intorno al 1340, a Venezia. Il padre, il nobile Pietro, era soprannominato «lo Fisica», appellativo di norma riservato ai medici eletti nel Maggior Consiglio.
Fino alla seconda metà dell’Ottocento l’identità del M., autore di un’opera in volgare toscano intitolata Il vago Filogeo, era completamente sconosciuta. Ci vollero le ricerche storico-letterarie di G. Mazzoni e di A. Medin prima e, in anni più recenti, di M. Pecoraro perché il profilo storico del M. assumesse contorni più precisi e netti.
Il giovane M. era stato indirizzato dal padre alla mercatura, come viene confermato da un testamento dell’agosto del 1344 conservato all’Archivio di Stato di Venezia (Notarile, Testamenti, b. 1154, n. 135); tuttavia gli interessi del M. sembrano orientati fin dalla giovinezza verso le lettere, in particolare allo studio delle forme della cultura volgare toscana e alla sua precoce diffusione in territorio veneto, nei nomi di Dante, Petrarca e Boccaccio. Proprio a quest’ultimo sembra ricollegarsi, anche nel titolo, Il vago Filogeo, l’unica opera del M. giunta fino a noi.
L’opera è trasmessa da tre manoscritti quattrocenteschi di cui due conservati presso la Bodleian Library di Oxford e un terzo conservato presso la Biblioteca Antoniana di Padova: la descrizione dei codici figura nel Catalogo dei manoscritti canoniciani italici della Biblioteca Bodleiana di Oxford, a cura di A. Mortara, Oxford 1864, n. 17, p. 19 e n. 32, p. 40 e nel catalogo a cura di A.M. Josa, I codici manoscritti della Biblioteca Antoniana di Padova, Padova 1886, scaff. XXIII, n. 639, p. 197, il quale commenta: «chi poi fosse questo Sabello non sappiamo». Un ulteriore manoscritto del Filogeo, conservato nella Biblioteca di Holkham (Holkham Hall, 523), è stato individuato da Griggio - Romano.
Il testo del Filogeo, tuttora inedito, è accompagnato da un ampio corredo di chiose non attribuibili all’autore; inoltre è preceduto da una lettera di dedica: elementi questi decisivi per la sua datazione e per la ricostruzione dell’ambiente storico-culturale in cui è vissuto il Michiel.
Destinatario dell’opera è un certo Iorio, affinché potesse avvantaggiarsene con «le vicentine donne». Questo Iorio è stato identificato, grazie alle chiose esplicative con cui il manoscritto ci è stato tramandato, con Giorgio Cavalli, un giovane veronese di nobile e colta origine che risulta allora risiedere a Vicenza (per una biografia vedi L. Miglio, Cavalli, Giorgio, in Diz. biogr. degli Italiani, XXII, Roma 1979, pp. 736-739). Dagli studi già avviati del Mazzoni, e perfezionati in seguito dal Pecoraro, apprendiamo che la famiglia Cavalli era stata molto vicina agli Scaligeri e che il padre di Giorgio, il nobile Niccolò, era stato nominato podestà di Vicenza nel 1361 mantenendone ininterrottamente l’incarico per oltre un decennio, fino al 1373; l’opera doveva essere stata completata entro quella data, quando il M. non doveva avere superato i trent’anni. D’altra parte il chiosatore, la cui identità è rimasta anonima, alludendo alla fedeltà del casato dei Cavalli agli Scaligeri, dimostra di ignorare che lo zio di Iorio, Jacopo, già capitano di Cansignorio, nel 1376 era passato al servizio di Venezia (dato che il M. non avrebbe potuto ignorare), combattendo insieme con lo stesso Iorio nella guerra di Chioggia. Da questo e da altri dettagli si comprende che le chiose devono essere state compilate quasi contemporaneamente all’opera, e comunque ultimate prima di quella data.
Dalla lettera dedicatoria si apprende anche un altro elemento utile alla biografia dell’autore: all’epoca della stesura del Filogeo il M. risulta da poco vedovo; della moglie che lo aveva sostenuto nella composizione dell’opera scrive: «ne le mani de quella dolcissima la quale adesso rapita dal crudele Plutone, a me diniega la lucolente e spaziata fronte» (cfr. Pecoraro, 1970, p. 120).
Per quanto riguarda la data della morte del M. vi è molta incertezza. Il fatto che il suo nome non figuri nella Leandreide, che contiene un repertorio di scrittori veneti e che fu composta tra il 1380 e il 1383, non può essere decisivo per fissarne necessariamente il termine prima di quelle date: di questo parere sembra essere il Viscardi, il quale propone come più verosimile l’anno 1390, al quale ci uniformiamo.
Il Vago Filogeo è un’opera di argomento amoroso, variamente definita ora «poemetto» ora «epistolario». Essa fu ideata dall’autore come un prosimetro: è costituita infatti, oltre che dalla lettera di dedica a Giorgio Cavalli, da venticinque epistole, di cui undici in prosa, due in endecasillabi sciolti, che nei codici figurano però trascritti come se si trattasse di prosa (per la novità del verso sciolto nelle due epistole del M. cfr. Comboni) e da dodici epistole in terzine, nelle quali il secondo verso è sempre settenario. La materia amorosa è offerta da Ovidio, in modo particolare dalle Heroides, mediata, però sia dal Boccaccio latino delle Genealogie deorum Gentilium sia dal Boccaccio volgare del Filocolo e del Filostrato che l’autore riesce a fondere, non senza abilità e destrezza, in un discorso abbastanza fluido.
Al di là dei risultati, talvolta discontinui, l’operetta merita un’adeguata attenzione da diversi punti di vista: innanzi tutto perché registra non solo nella poesia, come è più naturale aspettarsi, ma anche nella prosa l’affermazione precoce del volgare toscano a Venezia, in un contesto dove fino alla fine del secolo XIV è fermissimo l’uso del latino; al tempo stesso ci informa sul grado di assimilazione delle forme letterarie e linguistiche delle «tre corone», le quali, relativamente alla vivace sperimentazione attestata nel Filogeo, risultano piuttosto avanzate; infine ci conferma, come ha sostenuto G. Folena in un suo illuminante saggio, che nel territorio veneziano la cultura volgare diviene presto patrimonio di una nobiltà colta e intraprendente di cui il M. è un rappresentante significativo (cfr. Folena, p. 391).
Al M. sono attribuite altre due opere, anteriori alla stesura del Filogeo: Il tempo perso, in versi, e Il passatempo, una raccolta di novelle forse ispirate al Decameron, entrambe perdute.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Notai, Testamenti, b. 1154, n. 135; G. Mazzoni, Due epistole del secolo XIV in endecasillabi sciolti. Questioni metriche, in Studi editi dalla Università di Padova, Padova 1888, III, pp. 11-19; A. Medin, Per la storia della fortuna del Boccaccio nel Veneto, in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXXII (1913), parte 1ª, pp. 853-863; Id., La coltura toscana nel Veneto durante il Medioevo, ibid., LXXXII (1922-23), parte 2ª, p. 113; Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV indicate e descritte da F. Zambrini, a cura di S. Morpurgo, Supplemento con gli Indici generali, Bologna 1929, p. 80; A. Viscardi, Lingua e letteratura, in La civiltà veneziana del Trecento, Firenze 1956, pp. 203 s.; M. Pecoraro, Echi delle «Tre Corone» nel «Vago Filogeo» del Michiel, in Saggi vari da Dante al Tommaseo, Bologna 1970, pp. 109-158; L. Lazzarini, La cultura delle Signorie venete nel Trecento e i poeti di corte, in Storia della cultura veneta, 2, Il Trecento, Vicenza 1976, p. 514; G. Folena, Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 201, 391; A. Comboni, Rarità metriche nelle antologie di Felice Feliciano, in Studi di filologia italiana, LII (1994), pp. 85 s.; C. Ciociola, Poesia gnomica, d’arte, di corte, allegorica e didattica, in Storia della letteratura italiana, II, Il Trecento, Roma 1995, p. 422; C. Griggio - A. Romano, Per il testo del «Vago Filogeo» di Sabello Michiel, in Antichi testi veneti, a cura di A. Daniele, Padova 2002, pp. 151-164; J.W. Somogyi, «Codices distincti» nell’Italia quattrocentesca. Tendenze di articolazione testuale mediante segni di punteggiatura in manoscritti nell’Italia quattrocentesca, in Verbum, V (2003), 1, pp. 275, 277.
G. Milan