SABII (dall'arabo ṣābi'; al plur. ṣābi'ūn o ṣābi'ah)
Sono i seguaci di alcune sette religiose non bene precisabili, delle quali è cenno nei libri arabi e nel diritto musulmano. La prima menzione ne ricorre nel Corano, in passi che appartengono al secondo periodo (il medinese) della predicazione di Maometto: in due (II, 59 e V, 73) è detto che nella vita futura non avranno a temere presso Dio coloro che credono, coloro che seguono il giudaismo, i cristiani e i ṣābi'ūn; nel terzo (XXII, 17), che nel giorno della risurrezione Dio farà distinzione "fra credenti (musulmani), seguaci del giudaismo, ṣābi'ūn, cristiani, zoroastriani e politeisti". Dai primi due versetti risulta che Maometto considerò i ṣābi' come una comunità religiosa distinta dagli ebrei e dai cristiani, ma al par di loro monoteista e avente ricevuto una rivelazione celeste; donde la norma di diritto musulmano che i ṣābi'facciano parte della "gente della Scrittura", e che quindi a loro vadano applicate tutte le regole di tolleranza prescritte per gli ebrei e i cristiani.
Sappiamo d'altra parte che, nella fase più antica della predicazione di Maometto, questi e i primi musulmani erano considerati da molti oppositori meccani come ṣābi'. Questo fatto, e alcuni accenni contenuti in scrittori arabi posteriori di oltre tre secoli, portano a supporre che il vocabolo, privo di etimologia araba, sia il participio attivo del verbo aramaico ṣĕba' (pronunzia addolcita per ṣĕba‛), che significa "immergere (nell'acqua), battezzare", e che quindi designasse qualche setta cristianizzante o giudaizzante, i cui frequenti lavacri rituali somigliassero alle abluzioni prescritte da Maometto prima delle preghiere canoniche quotidiane. Studiosi europei fino dal sec. XVII pensarono ai mandei o cristiani di S. Giovanni; ma ragioni storico-geografiche rendono improbabile questa identificazione per l'età di Maometto. J. D. Michaelis (1784) ed altri pensarono all'oscura setta degli hemerobaptistae, il cui nome ben si confarebbe con l'idea espressa dalla designazione aramaica; nel 1856 D. Chwolson, partendo da un passo prima ignoto del Kitāo al-Fihrist, vide nei ṣābi' del Corano gli elkesaiti diffusi nella Transgiordania (v. elxai), e questa opinione ebbe largo seguito, malgrado che la corruttela dei mss. renda assai dubbia la menzione di Elxai in quel passo. Anche l'ipotesi di A. Sprenger (1861), ripigliata da W. Barthold (1917) e J. Pedersen (1922), che per Maometto i ṣābi' fossero la stessa cosa che i ḥanīf (v.), non può esser facilmente accolta.
Nell'età posteriore alla morte di Maometto il nome di sabii fu assunto da due comunità religiose nettamente diverse fra loro. Una è quella dei mandei, che vivono nella parte centrale dell‛Irāq, sono considerati dai musulmani come una setta cristiana, sono rinomati come lavoratori di oggetti artistici d'argento e vengono abitualmente denominati Ṣubbah (al sing. ṣubbī); al qual proposito è da rilevare che il plur. ṣubā' e ṣubāh era già in uso nel sec. II-III ègira.
L'altra è la comunità ellenistica pagana, che continuò sino alla fine del sec. XI d. C. nella Mesopotamia, avendo come centro Ḥarrān (la Carrhae dei Romani); il culto dei sette pianeti e delle dodici costellazioni dello zodiaco teneva il massimo posto nella loro religione, la cui lingua liturgica nell'età musulmana sembra fosse il siriaco. Sotto il dominio dell'islamismo accolse pratiche cultuali affini alle musulmane, e probabilmente ciò rese possibile che nel 215 eg., 830 d. C., fossero considerati dall'autorità musulmana come identificabili con i ṣābi'ūn del Corano e quindi tollerati dallo stato. Questi Sabii di Harrān, cultori di scienze e di filosofia, diedero illustri personaggi alla cultura arabo-musulmana, fra i quali Thābit ibn Qurrah e suo figlio Sinān; sabio fu anche il padre del famoso astronomo al-Battānī od Albatenio.
Bibl.: Per quel che riguarda i Sabii di Ḥarrān, D. Chwolson, Die Ssabier und der Ssabismus, Pietroburgo 1856, voll. 2; M. J. Goeje, Nouveaux documents pour l'étude de la religion des Harraniens, in Actes du VIe Congrès intern. des orientalistes (Leida 1883), parte 2ª, 1885, pp. 281-366.