MARIANI, Sabino
– Nacque a Cellamare, presso Bari, il 6 ott. 1665 da Giuseppe Antonio e da Maria de Toma. In una sua lettera datata Macao 20 nov. 1718 al cardinale Giuseppe Sacripanti, prefetto di Propaganda Fide, densa di insoliti riferimenti autobiografici, si dice che nel 1667 si trovava a Roma e che per trentacinque anni aveva avuto «l’honore di essere intimo servitore di Sua Santità» (Roma, Arch. storico di Propaganda Fide, Scritture riferite nei Congressi, Indie Orientali-Cina, 1718-19, vol. 14, c. 323). Era così entrato in contatto con la Curia (tra gli altri, il potente cardinale Annibale Albani, nipote di Clemente XI); aveva inoltre curato gli affari di casa Spinelli e aveva spesso trattato col principe di Belvedere, Francesco Carafa, padre del segretario di Propaganda Fide, Francesco.
Tali circostanze lasciano supporre una spiccata attitudine per la gestione di rendite e capitali, di cui si ha conferma dopo che il M. divenne missionario. Doveva possedere una discreta cultura classica e una non superficiale conoscenza del latino, come dimostrano due composizioni laudatorie in versi latini dedicate a Clemente XI, risalenti al novembre 1710 (Arch. segr. Vaticano, Fondo Albani, 253, vol. I, cc. 11, 13v).
Probabilmente dal 1683 si trovò a svolgere mansioni presso la Dataria, non è noto quali e a che titolo, forse gratuitamente poiché nella lettera a Sacripanti affermava di non aver ricevuto dalla Dataria «emolumento né beneficio alcuno, ma ho vissuto con la mia povertà» (Roma, Arch. storico di Propaganda Fide, Scritture riferite nei Congressi, Indie Orientali-Cina, 1718-19, vol. 14, c. 323). Sempre da questa lettera risulta che già nel 1697 desiderava recarsi in Cina. A questa data senza dubbio il M. era già avviato al sacerdozio, che secondo Metzler conseguì nel 1700. Quando «Dio si degnò chiamarmi allo Stato Ecclesiastico», confidava al Sacripanti, «havevo considerabili quantità di olij con non poco frutto»: egli cedette le sue proprietà, lasciò i suoi affari al fratello e viaggiò per l’Italia centrale (ibid., c. 323v).
Quando il suo direttore spirituale lo informò che Propaganda Fide era alla ricerca di accompagnatori per il legato pontificio Carlo Tommaso Maillard de Tournon in Cina, il M. chiese di far parte della spedizione e fu accontentato e il 4 luglio 1702 si imbarcò da Civitavecchia. Aggregato inizialmente alla spedizione come uditore di Tournon, il M. ne guadagnò ben presto la fiducia.
Il 31 dic. 1705 ebbe luogo a Pechino la prima udienza concessa dall’imperatore cinese Kangxi al legato pontificio. L’imperatore invitò Tournon a scrivere al papa per informarlo della favorevole accoglienza ricevuta e a scegliere un inviato da mandare a Roma col compito di recare il resoconto dell’udienza e alcuni regali di Kangxi a Clemente XI. Il legato scelse senza esitare il Mariani.
Il M., accompagnato da alcuni funzionari imperiali, avrebbe dovuto imbarcarsi ad Amoy su un vascello inglese prossimo a salpare per l’Europa. Tuttavia, per le difficoltà di comunicazione linguistica con i funzionari imperiali si rese necessaria la nomina di un europeo che parlasse il cinese e che accompagnasse il Mariani. Dopo essersi consultato coi gesuiti di corte, Kangxi decise di affiancare al M. Joachim Bouvet. Costui, che già pochi anni prima aveva dovuto sottoporsi per ordine dello stesso imperatore a un altro massacrante viaggio in Europa al fine di reclutare scienziati e virtuosi nel suo paese, la Francia, non fu affatto entusiasta per questo inatteso e faticoso incarico, ma dovette fare buon viso a cattivo gioco. La nomina di Bouvet, unico depositario delle chiavi dei bauli che contenevano i regali (si trattava di alcune balle di seta, pelli di zibellino, perle, coperte, ecc.) si rivelò esiziale a causa della rivalità che immediatamente sorse col M., il quale, sostenuto in ciò da Tournon, si considerava l’unico ambasciatore. Anche il vescovo di Pechino, Bernardino Della Chiesa, scrivendo al cardinale Charles Maigrot nel gennaio del 1706, si diceva convinto che solo il M. potesse fregiarsi del titolo di inviato dell’imperatore (Relationes et epistolas ill.mi d. fr. Bernardini Della Chiesa…, in Sinica Franciscana, V, a cura di A. van den Wyngaert - G. Mensaert, Romae 1954, p. 488). Giunti ad Amoy, Bouvet e il M., poiché il vascello inglese era già salpato, furono costretti a proseguire per Canton, dove rimasero diversi mesi in attesa di un imbarco, mentre i mandarini riprendevano la via di Pechino. La tensione fra i due inviati era nel frattempo giunta a un punto tale che comunicavano fra loro solo per iscritto.
Intanto Tournon si alienava sempre più le simpatie del monarca cinese. In virtù della sua prerogativa di plenipotenziario pontificio, pretendeva assoluta ubbidienza dai gesuiti di corte – che l’imperatore considerava invece uomini del proprio entourage e consiglieri di fiducia – e si trovò più di una volta al centro di polemiche. Tutti i suoi reiterati tentativi di conferire con Kangxi per denunciare presunte prevaricazioni di Bouvet nei confronti del M. fallirono: l’imperatore, sdegnato per quelle che considerava ingerenze in questioni di propria esclusiva pertinenza, non lo volle ricevere e gli concesse solo un’udienza finale nel giugno 1706, nel corso della quale lo invitò a tornarsene in Europa. Qualche mese dopo egli richiamò a Pechino Bouvet e il M.: l’incarico fu revocato a entrambi e affidato ad altri due gesuiti, il portoghese Antonio Barros e il francese Antoine Beauvollier, destinati peraltro ambedue a perire in un naufragio al largo di Lisbona.
Bouvet e il M. giunsero nella capitale l’11 genn. 1707, a un anno dalla loro partenza. Il 30 gennaio il M. subì un interrogatorio per ordine dell’imperatore, in seguito al quale gli fu intimato di lasciare entro quattro giorni Pechino e ripartire di nuovo per Canton, ma il M., adducendo motivi di stanchezza per il lungo viaggio appena concluso, riuscì a ottenere qualche giorno in più. Il 6 febbraio il M. lasciò Pechino per riaggregarsi a Tournon.
Kangxi aveva nel frattempo ordinato di raccogliere dagli archivi imperiali gli atti della legazione Tournon, che, tradotti dai gesuiti in latino, sarebbero stati diffusi per tutta Europa e stampati qualche anno dopo a Colonia col titolo Atti imperiali autentici, di varj trattati, passati nella regia corte di Pekino tra l’imperatore della Cina e M. patriarca Antiocheno.
Intanto a Nanchino, dove si trovava, il legato prese una iniziativa poco opportuna in un frangente così delicato, intimando ai missionari – attraverso un’apposita ordinanza, il cosiddetto decreto nanchinense (25 genn. 1707) – di conformarsi strettamente alla condanna dei riti cinesi. Kangxi considerò l’iniziativa di Tournon una vera e propria provocazione e, profondamente irritato, ordinò che fosse prelevato da un drappello di soldati e relegato a Macao, dove il 30 giugno 1707 il legato fu posto agli arresti domiciliari con il suo entourage, compreso il M., sotto la stretta sorveglianza dei portoghesi. L’8 giugno 1710 Tournon, che, cardinale dal 1707, pochi mesi prima aveva ricevuto la berretta cardinalizia, morì. Il giorno seguente si svolsero le esequie, descritte dal M. in una lettera dell’11 luglio (Arch. segr. Vaticano, Fondo Albani, 253, vol. II, c. 7r).
Con la morte di Tournon si aprì una serie di questioni tra i missionari del suo seguito, anche se formalmente il M. era stato designato procuratore da Tournon. Una delle prime emergenze fu la salvaguardia dell’archivio: Andrea Candela, segretario di Tournon e notarius apostolicus, stilando nel settembre 1712 l’inventario delle carte per trasmetterle a Roma faceva riferimento con una punta d’insofferenza a un nucleo di scritture ancora possedute dal M., che tardava a rendere disponibili (Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 1631, inserto tra cc. 50-51). In una lettera da Macao del 6 ott. 1713 il M. scriveva «d’haver preso possesso dell’eredità del Sig. Cardinale come Procuratore deputato da Sua Eminenza ad negotia S. Sedis» (Roma, Arch. storico di Propaganda Fide, Scritture riferite nei Congressi, Indie Orientali-Cina, 1712-14, vol. 12, cc. 414v-415r). Tuttavia, la sua guida non durò a lungo, per motivi poco chiari, ma che nascevano senza dubbio da contrasti anche forti in una gestione che si rilevò di fatto collegiale, avendo disposto il cardinale che altri tre missionari affiancassero il M. come coprocuratori. Dopo pochi mesi il M. rinunciò al suo ufficio, rimettendo il mandato nelle mani di Giuseppe Cordero. Questi diresse la procura per tre anni, fino a quando, espulso da Macao, gli subentrò, dal 1713 al 1721, Giuseppe Cerù, uno dei missionari che avevano portato a Tournon la berretta cardinalizia.
Le ragioni del disagio del M., anche se non esplicitamente confessate, emergono in alcuni passi di una lettera scritta al prefetto di Propaganda il 16 nov. 1713 e sembrano collegate proprio all’impossibilità di gestire con pieni poteri la procura. Il M. dichiarava che per amor di pace aveva preferito non introdurre innovazioni nell’amministrazione finanziaria, lasciando la gestione nelle mani di Domenico Marchini. Da quest’ultimo tuttavia non era riuscito ad avere il rendiconto delle spese, né il pagamento, che pure gli spettava, del sussidio, negato peraltro anche a diversi altri missionari, e che pure sarebbe stato ragionevole erogare senza attendere nuove disposizioni da Propaganda, dal momento che Tournon aveva lasciato i suoi beni al dicastero missionario romano. Pertanto, concludeva, «viddi che non mi compliva entrar in amministrazione con tener altri il denaro senza darmene conto, anzi senza voler accettar i miei ordini» (ibid., c. 448). In un’altra lettera, del 26 nov. 1714, il M. sottolineava che fin dal 1710 né lui, né Candela avevano ricevuto il sussidio e, di conseguenza, avevano dovuto mantenersi a proprie spese (ibid., c. 713).
Anche se non pienamente esplicitato, il dissenso del M. con i suoi successori nell’ufficio di procuratore era evidente: «subentrò altri» scrive con ostentato distacco nei confronti del Cordero, e anche sulla nomina del successore di questi, il Cerù, si percepisce il suo disaccordo: «crederei […] che in assenza del sig. Cordero debba subentrare in terzo luogo il sig. Candela, missionario di molti anni e di fedel servizio, poiché il nostro parimente zelante p. Cerù fu fatto dal Cordero procuratore di lui con procura da me, da lui richiesta, dettata» (ibid., rispettivamente alle cc. 448 e 712).
Il 29 genn. 1712 Martin de la Baluère, Marchini, Candela e lo stesso M., rimasti nella casa dove era morto Tournon a custodirne religiosamente le spoglie, furono improvvisamente sfrattati. Si trasferirono dunque in un’altra abitazione e il feretro fu sistemato in una casa, che era stata acquistata dallo stesso Tournon, dove si insediarono Cordero e alcuni agostiniani di Macao i quali, per aver prestato obbedienza al legato pontificio, erano stati cacciati dal loro convento.
La tensione fra lo sparuto gruppo di missionari e le autorità di Macao si fece sempre più aspra: il 10 giugno 1712 il capitano generale della piazzaforte vietò al M. e a Cordero di pubblicare il decreto papale contro i riti cinesi e, al loro rifiuto, li mise sotto stretta sorveglianza. Per otto giorni le guardie controllarono la loro abitazione. Dal 17 giugno al 29 luglio 1712 il M., Candela, Martin de la Baluère e Cordero furono segregati nella fortezza della città, quindi trasferiti nel convento degli agostiniani e infine liberati il 17 agosto, «senza sapere se l’impulso che haveva havuto il Capitano Generale di porli in libertà fosse venuto da parte de Mandarini Cinesi, o pure da altro motivo occulto» (ibid., Miscellanea, 9, c. 7: J. Cerù, Notizie della missione di Cina). Al solo Marchini fu consentito di restare nella casa per non lasciare incustodito il feretro di Tournon.
Nel febbraio del 1713 furono espulsi da Macao sia Martin de la Baluère sia Cordero, e il M. si sistemò nella camera di quest’ultimo. Il 4 dic. 1715 egli riferiva a Pier Luigi Carafa le difficoltà finanziarie in cui versava la missione, in particolare per i mancati introiti delle «poche rendite d’affitti di botteghe o case [di proprietà degli agostiniani] in mano de Chini gentili e vigliacchi», che approfittavano delle difficoltà dei religiosi per non pagare la pigione (Arch. segr. Vaticano, Fondo Albani, 256, cc. 161-162).
Come il M. non perse mai di vista i risvolti finanziari e patrimoniali della missione, così era parimenti attento ai propri interessi. Nelle sue missive sono frequenti le richieste di raccomandazioni, di posti, di titoli per qualche suo parente o protetto. Nella citata lettera del 20 nov. 1718 egli pregava il prefetto di Propaganda di aiutarlo a recuperare un prestito di 300 scudi dagli eredi di un suo debitore (Roma, Arch. storico di Propaganda Fide, Scritture riferite nei Congressi, Indie Orientali-Cina, 1718-19, vol. 14, cc. 326 e 330); nell’archivio di Propaganda si conserva la lettera di un avvocato, tal Domenico Cianci, datata Napoli 12 marzo 1720, che proponeva una transazione per conto di un altro debitore del M., un fittavolo moroso da varie annate, di alcune terre appartenenti alla parrocchia di Melito, presso Napoli, le cui rendite erano state assegnate da Clemente XI al M. come beneficio poco dopo la sua partenza per la Cina (ibid., 1720, vol. 15, c. 204). Probabilmente il M. intendeva rinunciare a questo beneficio dal quale nulla aveva ricavato e che avrebbe automaticamente comportato, al momento della sua morte, la devoluzione di tutti i suoi beni a Propaganda. Dobbiamo infatti qui precisare che gli excursus biografici e confidenziali presenti nella importante, più volte citata lettera scritta a Sacripanti nel novembre 1718 miravano in sostanza a ribadire che i beni di cui disponeva il M. erano tutti di sua esclusiva pertinenza e che dunque alla sua morte Propaganda non poteva avanzare alcuna pretesa di spoglio (ibid., 1718-19, vol. 14, c. 324).
Nel 1718 investì alcuni capitali nella fondazione di un’opera pia nella Mesa de la Misericordia a Manila, che alla morte del M. il cugino ed erede, Francesco Maroscelli Mariani, del quale il M. aveva sollecitato spesso notizie a Roma, vendette a Propaganda (Margiotti).
Il 19 febbr. 1719 il M. insieme con Candela fu forzosamente imbarcato su una nave per il Coromandel. Le ultime lettere del M., scritte da Madras, contrariamente a quelle spedite da Macao, sono insolitamente brevi; una del 6 luglio 1719 è di poche righe, così come un’altra dell’8 genn. 1720, che trasudava ancora di indignazione per la violenta e repentina espulsione subita (Roma, Arch. storico di Propaganda Fide, Scritture riferite nei Congressi, Indie Orientali-Cina, 1718-19, vol. 14, c. 563; 1720, vol. 15, t. I, c. 109). Poco è noto degli ultimi mesi del M.; di lui parlano i barnabiti Onorato Maria Ferraris e Filippo Maria Cesati in una lettera del 5 luglio 1720 da Madras, dove lo avevano incontrato ed egli aveva detto loro che Cordero e Candela, partiti da poco per l’Europa, recavano notizie fresche a Roma (ibid., 1720, vol. 15, t. I, c. 307).
Il M. morì nella notte tra il 22 e il 23 maggio 1721, come riferì il 22 ottobre dello stesso anno Marchini a Propaganda (ibid., t. II, c. 928); secondo altri morì il 24 maggio (ibid., vol. 16, t. I, c. 9v: relazione di Cerù).
Marchini allegò alla sua lettera un rendiconto dei beni del M. (ibid., vol. 15, t. II, cc. 909-912) e precisava che questi, attento com’era al suo, aveva preferito trattenere il suo denaro piuttosto che impiegarlo a un interesse che lui considerava troppo basso. Infine, passando agli oggetti ed effetti personali trovati a casa del defunto, concludeva che «quello ch’era vendibile si vendé all’incanto» (ibid., 1720, vol. 15, t. II, c. 928). Il M. fu seppellito nella chiesa di Madras.
Fonti e Bibl.: Mancano studi o monografie, anche parziali, sul Mariani. Lettere e relazioni del M. si trovano, in originale o in copia, nell’Archivio segreto Vaticano, soprattutto nel Fondo Albani, negli archivi di Propaganda Fide (soprattutto nei vari volumi del fondo Indie Orientali-Cina) e negli archivi parigini del MEP (Missions Étrangères de Paris, secondo l’indicazione contenuta in Sinica Franciscana, cit., p. 488). La Biblioteca Casanatense di Roma conserva un cospicuo nucleo di manoscritti, lascito del procuratore di Tournon, Giovanni Iacopo Fatinelli, relativi alla sfortunata legazione (in particolare Istoria della spedizione del card. di Tournon nella Cina: mss. 1623-1625 e in copia 1636-1638; del Fatinelli si veda anche Relazione della preziosa morte dell’eminentissimo e reverendissimo Carlo Tomaso Maillard di Tournon…, Roma 1711), con diverse lettere del Mariani. Fra le lettere di missionari a Propaganda Fide nel primo ventennio del Settecento non è raro trovare menzione del M., anche in virtù dell’ufficio di procuratore di Propaganda Fide che egli ricoprì per alcuni mesi. Dell’abortita missione Mariani-Bouvet trattano gli Acta Pekinensia del gesuita Kilian Stumpf, manoscritto in Roma, Arch. centrale della Compagnia di Gesù, Iap. Sin., 138. Riferimenti al M. possono trovarsi nelle fonti della legazione di Maillard de Tournon: G. Di Fiore, Maillard de Tournon, Carlo Tommaso, in Diz. biografico degli Italiani, LXVII, Roma 2006, pp. 539-544. Atti imperiali autentici…, cit., in particolare pp. 28, 46, 52; Memorie storiche dell’eminentiss. monsignor cardinale di Tournon, I-VIII, Venezia 1761-62, passim; C.-P. Platel [P. Parisot], Mémoires historiques sur les affaires des jésuites avec le Saint-Siège, VI, Lisbonne [ma Paris] 1766, passim (ma in particolare il III capitolo, a partire da p. 263); M. Ripa, Giornale, a cura di M. Fatica, II (1705-1724), Napoli 1996, ad ind.; R. Streit - J. Dindinger, Bibliotheca missionum, VII, Chinesische Missionsliteratur 1700-1799, Aachen 1932, ad nomen; A.S. Rosso, Apostolic legations to China of the eighteenth century, South Pasadena, CA, 1948, ad nomen; F. Margiotti, Il cattolicismo nello Shansi dalle origini al 1738, Roma 1958, p. 412; F.A. Rouleau, Maillard de Tournon papal legate at the court of Peking, in Archivum historicum Societatis Iesu, XXXI (1962), pp. 264-323 passim; J. Metzler, Das Archiv der Missionsprokur, in La conoscenza dell’Asia e dell’Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, II, 1, a cura di A. Gallotta - U. Marazzi, Napoli 1985, pp. 81 s.; C. von Collani, Une légation à Rome manquée. Joachim Bouvet et S. M., in Variétés sinologiques, n.s., LXXVIII (1995), pp. 277-301; G. Di Fiore, Il presunto avvelenamento del cardinal Tournon e la traslazione del suo cadavere da Macao a Roma, in Studi settecenteschi, IV (1998), pp. 9-43.