SABRATHA (lat. Sabrătha; gr. Σαβράϑα)
Antica città costiera della Tripolitania, 70 km. a ovest di Tripoli. Fondata da coloni Fenici al principio dell'ultimo millennio a. C., insieme con Oea (Tripoli) e Leptis Magna, ebbe importanza come città commerciale per la fertilità del suo territorio, per le vie carovaniere che la mettevano in comunicazione con le regioni interne dell'Africa settentrionale e per il suo porto. I colonizzatori fenici si mescolarono con i Libî, e Sabratha fu detta città di "Libiofenici"; con Oea, Leptis Magna e altri centri minori, costituì un territorio, corrispondente presso a poco all'odierna Tripolitania, che fu detto degli Emporia. Cartagine esercitò una specie di dominio sugli Emporia, facendo sentire la sua influenza sugli ordinamenti politici, sui costumi, sulla religione e sulla lingua. Durante le guerre puniche Sabratha, con gli altri due Emporia, passò a far parte del regno di Numidia assumendo atteggiamento amichevole verso i Romani. Quando questi, nel 46 a. C., misero definitivamente fine al regno numida, Sabratha con tutta la regione degli Emporia fu incorporata nella provincia d'Africa, pure continuando a godere di una certa autonomia interna, come civitas foederata e poi come municipium; alla fine del sec. I o al principio del II d. C., ebbe il titolo di colonia. Dalla fine della repubblica al regno di Tiberio, Sabratha godette anche del privilegio di battere moneta con leggenda in neo punico e in latino. La città fiorì specialmente all'epoca degli Antonini e dei Severi. Nel Piazzale delle corporazioni a Ostia c'è una statio sabrathensium (l'insegna ne è un elefante); nel Foro di Cesare a Roma è stata rinvenuta una dedica dei Sabrathensi a Sabina, moglie di Adriano. Nel secolo III d. C. si delineò un periodo di decadenza, che si accentuò nella 2ª metà del sec. IV con le incursioni e i saccheggi degli Austuriani, irrequieta popolazione dell'interno. Seguirono, verso la metà del sec. V, le distruzioni dei Vandali: probabilmente furono allora abbattute le mura romane della città. Un nuovo periodo di pace e di relativa prosperità si ebbe con il dominio bizantino alla metà del-sec. VI; si ricostruirono le mura, per quanto con perimetro ridotto, e si edificarono molte chiese cristiane, fra le quali una splendida basilica, citata da Procopio. Sabratha cadde in mano. degli Arabi nel 643, ma più gravi danni subì più tardi quando giunsero dall'Egitto le orde sterminatrici dei Benī Hilāl e Benī Sulaim. La città abbandonata andò rovinando, i monumenti romani furono considerati come cave di pietra e al momento dell'occupazione italiana non si vedeva più che un campo ondulato, coperto di sterpi, fra i quali affioravano pochi resti antichi.
Scavi regolari, iniziati nel 1923, misero in luce gli edifici della zona forense, il teatro con i quartieri circostanti, l'anfiteatro. Non si sono ancora rinvenute tracce dell'antica colonia fenicia; i monumenti finora esplorati appartengono all'epoca romana e bizantina.
Il Foro Sabrathense costituisce un esempio tipico di quello che erano, nelle città provinciali, queste piazze pubbliche modellate sui fori di Roma. Esso misura m. 58 di lunghezza per m. 36 di larghezza: a ovest sorge il tempio principale, dedicato forse a Giove Ammone e preceduto dalla tribuna per gli oratori, come il tempio del Divo Giulio nel Foro Romano; a est è un altro tempio ricostruito due volte, di grandi proporzioni, tutto in arenaria rivestita di stucco e circondato da un vasto peristilio; a nord, dietro un lungo porticato a colonne di granito, si trova la curia con il suo atrio, e a sud un altro colonnato, simile al precedente, fiancheggiava la basilicagiudiziaria a tre navate, nella quale, con tutta probabilità, Apuleio lesse la sua celebre Apologia; all'angolo nord-ovest è il tempio di Serapide.
Nelle adiacenze della descritta zona forense sorgono il tempio detto antoniniano (costruito da Marco Acilio Glabrione, proconsole d'Africa sotto Antonino Pio), una fontana, molte piccole case private, numerosi oleifici e, sul mare; un edificio termale di notevoli dimensioni. Questo quartiere centrale, sorto sulle tracce della città fenicia e punica, ha strade irregolari e talvolta curveggianti.
I Bizantini trasformarono in chiesa e battistero la basilica giudiziaria e un altro edificio sacro costruirono fra la curia e il mare, utilizzando materiali romani, e decorandolo di uno splendido musaico, ora trasportato nel museo sabrathense.
A est del Foro sorge il teatro (fine del sec. II d. C.) completamente scavato e restaurato, di grandiose proporzioni. La parte meglio conservata è la scena, ricomposta da migliaia di frammenti, raccolti nello scavo; essa presenta tre piani di colonnati, sovrapposti, con colonne di marmi varî e trabeazioni in marmo bianco: lo stile architettonico è affine a quello dello scomparso settizonio, costruito da Settimio Severo ai piedi del Palatino. La fronte del pulpito è ornata di rilievi con figure di divinità, scene storiche e scene di teatro. Il quartiere che si estende fra il teatro e il mare presenta decumani e cardini che s'intersecano ad angolo retto (nuovo quartiere romano); vi sorgono edifici privati, un tempio, due piccole terme e due chiese cristiane, costruite con materiali classici.
L'anfiteatro, circa un chilometro a est del teatro, ha una arena che misura m. 65 × 49. La necropoli, solo in piccola parte esplorata, si estendeva tutt'intorno alle mura romane della città; i sepolcreti cristiani circondavano le chiese. A sud della zona archeologica è stato costruito un vasto museo, diviso in tre sezioni: 1. collezioni di statue e musaici classici; 2. Antiquarium, per i prodotti delle piccole industrie puniche e romane; 3. collezioni cristiane. (V. tavv. CI e CII).
Presso Sabratha si trova la modernissima cittadina di Sabratha Vulpia.
Bibl.: R. Bartoccini, Guida di Sabratha, Roma-Milano 1927; G. Guidi, Il teatro romano di Sabratha, in Africa italiana, III (1930), nn. 1-2, p. 1 segg.; G. Guidi, Il museo sabrathense, in Tripolitania, 1932, n. 7.