Vedi SABRATHA dell'anno: 1965 - 1997
SABRATHA (Sabrătha, Σαβράϑα)
Città della costa della Tripolitania, nata da un emporio fenicio verosimilmente già nella prima metà del I millennio a. C. per il commercio che dall'interno del continente, attraverso Cydamus (Ghadames), scendeva al mare. Con Leptis ed Oea costituì nell'impero marittimo di Cartagine la regione degli Emporia, che, tra la seconda e la terza guerra punica, Massinissa aggregò al regno di Numidia; è incerto se, come Leptis, passasse dalla parte di Roma durante la guerra di Giugurta; comunque fu solo nel 46 a. C. che, avendo Cesare posto fine al regno di Numidia, entrò a far parte della provincia romana d'Africa. Già fiorente al tempo di Augusto, come provano le monete battute da lei in questo periodo e le prime costruzioni del Foro, raggiunse un alto grado di prosperità nella seconda metà del II sec. d. C.: sono di questa età la sistemazione urbanistica del quartiere del teatro, il teatro stesso ed altri edifici religiosi e civili della città; circa il medesimo tempo questa dovette ricevere il diritto di colonia da parte di Antonino Pio. Intorno al 158 fu celebrato a S., avanti al tribunale del proconsole Claudio Massimo, il processo contro Apuleio che, accusato di magia, si difese con l'Apologia, scritto interessante e divertente, nel quale si riflettono aspetti della vita della regione in quel tempo. Continuò la prosperità della città nel secolo seguente, per quanto nessuna prova abbiamo di una particolare benevolenza dei Severi verso di essa. È del principio del III sec. la statio Sabratensium del piazzale delle corporazioni di Ostia, testimone dei rapporti commerciali tra S. e Roma in questo tempo.
Cominciò invece a declinare alla fine di questo secolo e nel successivo, fino a che un colpo gravissimo le recarono le incursioni degli Austuriani del 363-366; dei danni di esse e degli sforzi fatti dai Sabratensi per rialzarsi da tanto colpo, grazie anche agli aiuti sollecitati dal governo imperiale, abbiamo molteplici prove da testi epigrafici e dai restauri che ebbero allora varî monumenti, soprattutto nella zona del Foro. Il rifiorimento non fu peraltro che passeggero: ché gravemente compromesso ormai il commercio con l'interno per le turbolenze delle popolazioni locali, travagliata la città dalle discordie religiose fra cattolici e donatisti, venivano a mancare per essa i presupposti di una vita prospera e regolare. I Vandali, che si impadronirono della Tripolitania dopo il 455, abbatterono le mura della città, disinteressandosi completamente di essa e della regione. La quale conobbe altro breve periodo di vigore soltanto con la riconquista bizantina: è a Giustiniano che si deve la costruzione della basilica dal magnifico mosaico pavimentale. Poi, con le invasioni arabe del sec. VII e dell'XI, la città fu del tutto abbandonata, a vantaggio di Oea, divenuta il solo grande centro abitato della regione fra le due Sirti.
Il più antico stanziamento fenicio e la prima città punica debbono localizzarsi nell'area più tardi occupata dal Foro e dalle sue adiacenze; lo si rileva dai residui di alta antichità (frammenti di vasi attici a figure rosse, forse del V sec. a. C.) e dai resti di costruzioni pre-romane in pietra e mattoni crudi, rivelati dai saggi in profondità eseguiti in questa zona, e lo si deduce dalla ubicazione della zona stessa rispetto allo specchio d'acqua chiuso tra il litorale e una antistante fila di scogli, specchio che, appunto per tale sua conformazione, era l'unico che poteva prestarsi a sosta e rifugio di navi. Dell'impianto più antico il quartiere mantenne anche più tardi l'irregolare conformazipne, solo parzialmente corretta dall'apertura del Foro e dalla costruzione degli edifici con esso connessi. Tracce di un muro di età punica sembra siano state riconosciute circa sulla linea settentrionale del Foro stesso, ma certo già da questo periodo l'abitato dovette notevolmente estendersi, come prova anche la necropoli scoperta dal Bartoccini circa 300 m a S del teatro, con tombe a inumazione e a cremazione; una sola di queste tombe era a camera con pozzo verticale di accesso, del tipo frequente nel mondo punico e punico-romano. La suppellettile, non ricca, di ceramiche (brocche, anfore, balsamari, lucerne) di uso comune, di pochi vetri e, in una tomba, di elementi di collana in pasta vitrea con figurine di chiara provenienza egizia, ci riporta ai secoli immediatamente precedenti la nostra èra (III-II a. C.).
La città romana si sviluppò invece sia al di sopra di quella precedente, sia più largamente a S e a E di essa: i nuovi quartieri si individuano facilmente dal caratteristico impianto ad assi ortogonali: il tratto urbano della grande strada costiera ne costituì verosimilmente il decumano massimo; nel punto dove questo, venendo da oriente, piegava verso S-O, al limite all'incirca tra il quartiere nuovo e la città vecchia, un tetrapilo, di cui restano appena pochi avanzi, segnava e nascondeva il mutamento di direzione. Quanto al cardine massimo, potrebbe pensarsi fosse da identificare con quello su cui fu più tardi aperta la porta bizantina: esso infatti viene a cadere all'incirca con la sua estremità nell'area del Foro: può darsi che corrispondesse esso all'ultimo tratto della carovaniera proveniente dal S. Lo sviluppo del quartiere orientale deve datarsi intorno alla metà del II sec. d. C., l'età del teatro, del tempio di Ercole, delle Terme di Oceano ecc. Se la città avesse mura nell'alto Impero non sappiamo; nel IV sec., dopo le incursioni degli Austuriani, fu costruita la cerchia di cui si veggono avanzi ad oriente, presso il tempio di Iside, che da essa rimase in parte tagliato fuori. Dopo la conquista giustinianea i Bizantini si limitarono, come di solito, a difendere con una nuova cinta solo il nucleo interno dell'abitato più prossimo al porto; delle mura bizantine restano varî tratti e una porta nella cortina meridionale.
Alquanto discosto dall'abitato, verso oriente, era l'anfiteatro, adattato in una delle latomie che circondano quasi da ogni parte la città. I Sabratensi non disposero infatti di altri materiali per le loro costruzioni che della pietra arenaria che poteva trarsi dal suolo stesso: una pietra tenera e porosa, di assai scarsa consistenza, difetto al quale la spessa intonacatura, di cui usarono largamente gli antichi, non riuscì che a porre scarso rimedio: da ciò il facile guasto che tutti i monumenti hanno subito nei secoli, e il rapido deterioramento cui anche oggi vanno soggetti i restauri più recenti. Di pietra intonacata furono assai spesso fatti anche gli elementi architettonici, colonne, basi, capitelli; ma nel periodo migliore, a cominciare dal II sec., abbastanza largamente fu usato anche il marmo, breccia corallina, cipollino, marmo di Simitthu, marmo bianco, tutti importati di fuori.
Il Foro con i suoi annessi occupa il centro del nucleo più antico: esso comprende, oltre la piazza vera e propria, due templi, la basilica, la curia; ma altri templi sorgevano nelle immediate sue adiacenze, a S ed a N.
La piazza, la cui prima sistemazione risale verosimilmente al principio dell'Impero, era in origine fiancheggiata da tabernae, solo più tardi, nel II sec., sostituite da portici a colonne; tra gli edifici che lo circondano, i più antichi sembrano essere il tempio di Liber Pater ad oriente e quello di Serapide all'angolo nord-occidentale. Tra di essi, posizione e aspetto prevalente ha il tempio del lato occidentale, e cioè il Capitolium. Il tempio era di tipo italico: sorgeva su un alto podio, nel quale erano ricavate delle favisse, e presentava sulla fronte, rivolta a levante, una piattaforma accessibile da due scale laterali: è probabile che essa servisse, come sovente, da tribuna per gli oratori; una seconda scala, che si sviluppava su tutta la larghezza della fronte, metteva in comunicazione la piattaforma con la cella. A questa si entrava per tre porte e probabilmente essa era anche all'interno divisa in tre ambienti. All'esterno sei colonne sulla fronte e quattro sui lati (contando due volte le colonne d'angolo) la circondavano, mentre un muro continuo ne chiudeva il tergo e le due ali dei colonnati laterali: in corrispondenza di questi verosimilmente sporgevano dallo stesso muro di fondo due semicolonne o due pilastri. L'edificio, costruito interamente in pietra nella prima metà del I sec. d. C., fu in gran parte rifatto in marmo nel II secolo.
Corrispondeva sul lato opposto della piazza un secondo tempio, dedicato verosimilmente a Liber Pater, una delle divinità più venerate nell'Africa, ipostasi dello Shadrapa punico.
Il tempio, preceduto verso la piazza dal portico di questa, era circondato sugli altri tre lati da un colonnato doppio, ionico e tuscanico, alquanto sopraelevato sul piano da cui spiccava il podio dell'edificio; è probabile che tale portico dati da un restauro di età post-costantiniana, di cui è ricordo in un'iscrizione. Una gradinata sulla fronte dava accesso alla cella, in origine circondata da colonne su tre lati, più tardi su tutti i quattro lati. Del tempio più antico resta qualche avanzo entro il podio di quello attuale, insieme con le tracce di un altro edificio ancora più antico, probabilmente una casa, il cui diverso orientamento prova essere stata innalzata prima che la zona ricevesse la sistemazione rimasta poi invariata per tutto l'Impero.
A S e a N della piazza si innalzano rispettivamente la basilica e la curia. Lo stato in cui questa si presenta è quello che essa ebbe dopo i danni dell'invasione degli Austuriani, ma è da credere che, almeno l'aula vera e propria delle adunanze, non avesse in origine sistemazione diversa. Essa ripete infatti il tipo più comune di tal genere di edifici: una sala quadrangolare, preceduta da un breve vestibolo, nella quale corrono sui due lati maggiori tre gradini destinati ad accogliere i seggi mobili dei decurioni; lungo il lato di fondo sta la piattaforma sopraelevata per la presidenza; lungo tutte le pareti sono nicchie per statue.
Singolare tuttavia qui a S. il fatto che l'aula delle adunanze non si apriva direttamente sulla piazza, ma su una corte porticata piuttosto ampia, di cui l'aula stessa occupava non il lato di fondo, ma un fianco, quello di ponente. La corte, circondata da colonne, aveva invece nel lato di fronte agli ingressi dalla piazza un'esedra rettangolare, absidata, ornata di due colonne, evidentemente destinata ad accogliere l'immagine di una divinità. La diversità di materiale, il reimpiego di marmi provenienti da altri edifici, lo stile stesso del mosaico a grosse tessere adoperato per il pavimento di alcune parti dell'edificio, sono tutte prove del restauro che questo subì in età tarda.
La basilica giudiziaria, sul lato meridionale del Foro, ha subito anch'essa notevoli modifiche attraverso i tempi, prima di essere trasformata in chiesa cristiana e, come tale, subire ancora ulteriori mutamenti: di questi si dirà più avanti.
La sua prima costruzione è verosimilmente da porre intorno alla metà del I sec. d. C. Essa si presentava allora come un'aula quadrangolare accessibile da una porta al centro del lato lungo verso la piazza e circondata tutto all'intorno sui quattro lati da un colonnato: lo spazio centrale era coperto verosimilmente da un lucernario e da un tetto in legname, più alto dei tetti delle ali circostanti: è il tipo delle basiliche più antiche. Al quale riporta altresì l'ampia esedra absidata, con ambienti minori ai lati che, preceduta da quattro colonne, si apriva di fronte all'ingresso, sul secondo lato lungo dell'edificio: è probabile che l'esedra servisse, oltreché da tribunale, anche da cappella per il culto imperiale, come Vitruvio ci dice per la basilica di Fano, dato che in essa furono rinvenute numerose statue imperiali loricate dell'età dei Flavi e di Traiano.
Nella seconda metà del II sec., con la nuova veste marmorea data all'edificio, questo, abolita l'abside dell'esedra primitiva, fu invece ampliato verso occidente con la costruzione di una nuova tribuna absidata, fiancheggiata pur essa da due stanze più piccole. Infine nel IV sec., dopo le distruzioni degli Austuriani, la basilica, rimpicciolita sia in larghezza che in lunghezza, assunse la forma della basilica a due absidi contrapposte, usufruendo in parte dei muri originari e in parte costruendone di nuovi.
Attigua alla basilica, all'estremità del portico meridionale della piazza, fu costruita nel II sec. una sala cruciforme: nel braccio orientale di essa si apriva l'ingresso scandito da due colonne; negli altri tre bracci un podio, sporgente dalla parete, sosteneva due colonne sormontate da una trabeazione finemente scolpita: a quale uso fosse adibita questa sala non sappiamo.
Nel IV sec. fu trasformata in ambiente per adunanze, assai simile nella disposizione interna alla curia: sul lato di fondo fu ricavato il banco della presidenza, sui due laterali, aboliti i podî primitivi, furono disposti dei gradini: quale corpo o collegio vi si riunisse non sappiamo; infine in età bizantina vi fu allogato un battistero.
Nello stesso quartiere del Foro, nelle immediate adiacenze della piazza, sono stati messi in luce altri tre templi, tutti planimetricamente dello stesso tipo, e cioè con la cella al centro o al fondo di una corte porticata.
Il più prossimo alla piazza è quello che sorge all'angolo nord-occidentale di questa, tra il Capitolium e la curia. Il suo orientamento, leggermente diverso da quello di questi altri edifici e della piazza stessa, lo fa supporre anteriore alla sistemazione di questa.
Da un'immagine del dio ritrovata in esso è da credere fosse dedicato a Serapide. Il tempio vero e proprio è al centro della corte, con la fronte a levante preceduta da una gradinata, e probabilmente tetrastila. Gli altri muri esterni della cella erano ornati di pilastri o lesene in stucco.
Gli altri due templi sono a S del Foro. Uno subito dietro la basilica, della quale anzi determinò, quando fu costruito nella seconda metà del II sec., la soppressione dell'abside dell'esedra originaria. Non si sa a quale divinità fosse dedicato. Si alzava contro il muro di fondo di una corte, con portici sugli altri tre lati, accessibile, come nel tempio precedente, da levante. Le due ali laterali del portico terminavano ad abside, conforme una disposizione che ritorna anche in altri templi dell'Africa.
Il terzo dei templi in questione, denominato di solito "Tempio antoniniano", perché eretto sotto l'impero di M. Aurelio e L. Vero dal proconsole M'. Acilio Glabrione, si apre su una piccola piazza, ornata di una fontana, tra la basilica, il tempio testé descritto e il Foro. La sua fronte era rivolta ad occidente; anch'esso si alzava al fondo di una corte preceduta da un vestibolo, o propileo a colonne; il podio era molto alto e in esso erano ricavate due stanze; una lunga scalinata saliva al pronao, tetrastilo, ma con due altre colonne al posto delle ante. I muri della cella erano esternamente decorati da pilastri scanalati; l'interno fu in tempi molto tardi trasformato in sepolcro.
Per completare la rassegna degli edifici religiosi della città dobbiamo ricordare un sesto tempio, sempre dello stesso tipo, e cioè con la cella su podio al fondo di una corte, le cui ali terminano ad abside, messo in luce nel quartiere a N del teatro, con la fronte sul decumano massimo. Fu costruito nel 186 d. C. e dedicato ad Ercole, una cui immagine, del tipo dell'Epitrapezios, sta ancora avanti la gradinata. Era ornato, oltre che di marmi policromi, di pitture nelle pareti dei portici e nelle absidi al fondo di questi.
Diversa, in relazione alla particolare divinità a cui era dedicato e alle pratiche del suo culto; era la pianta del tempio di Iside, situato sul mare, al margine orientale della città: la frana del terreno e la cinta di età tarda, che proprio in questo punto veniva a cadere sul mare, hanno distrutto o alterato la fronte e l'angolo N-E dell'edificio. Esso fu costruito sotto il proconsolato di G. Paccio Africano in un punto dove forse già esisteva una più piccola cappella della dea. Al recinto, che circondava il tempio vero e proprio, si accedeva da levante attraverso un ampio vestibolo, preceduto da una gradinata, e decorato da due file di colonne, la prima continua per tutta l'ampiezza del vestibolo, la seconda interrotta al centro e ai lati, in corrispondenza delle tre porte che immettevano nell'interno del santuario; altre due porte si aprivano nel muro meridionale del recinto. Ai lati del vestibolo si alzavano due specie di torri quadrangolari, nelle quali, dal lato interno, erano ricavate due sale ad esedre rettangolari. Altre sale o esedre o ambienti di diversa grandezza si allineavano sul lato interno del recinto opposto a quello dell'ingresso; essi erano evidentemente riservati al culto della dea o di altre divinità con essa connesse, come testimonia la presenza in uno di una esedra bassa in funzione di base per statue, in un altro di un pozzo-altare, e in altri ancora di basi per immagini.
Il tempio vero e proprio stava al centro di una corte circondata da colonne corinzie su tutti i quattro lati, sopraelevate di quattro gradini al di sopra del piano della corte stessa; tre coppie di dadi quadrangolari, in corrispondenza delle tre porte del vestibolo, interrompevano sul lato di levante le file dei gradini. Come di solito, il tempio sorgeva su podio piuttosto alto, con gradinata sulla fronte; all'interno del podio, accessibile da una porta sul tergo, si aprivano un corridoio perimetrale e due stanze a vòlta al centro; un altro corridoio lo attraversava in corrispondenza dell'ultimo dei gradini della scalinata dando accesso alla bocca di un'ampia cisterna sotterranea. È probabile che la cella fosse divisa, nel senso della lunghezza, in due ambienti, corrispondenti alle due stanze del podio.
S. non ha rivelato fino ad ora l'esistenza di un grande edificio termale del tipo delle maggiori terme romane a pianta assiale, come abbiamo a Leptis, a Thamugadi, a Cuicul; sono venuti in luce invece quattro stabilimenti di bagni di piccole e medie dimensioni, disseminati nei varî quartieri: due vicino al mare: uno, il maggiore, le cosiddette Terme a mare a N-E del Foro, il secondo, le Terme di Oceano, cosiddette dalla grande testa di Oceano, motivo assai caro ai mosaicisti africani, che orna il centro di una grande sala absidata, forse un tepidario, verso l'estremità orientale della Città, non lontano dal tempio di Iside; un terzo nel quartiere a N del teatro; il quarto invece a S presso l'ingresso agli scavi; non è improbabile che quest'ultimo sia stato, piuttosto che uno stabilimento pubblico, l'annesso di una casa o villa privata. Di nessuno di essi abbiamo una pianta esatta e completa: dobbiamo pertanto limitarci a dire che essi comprendevano gli elementi consueti di tale genere di edifici: stanze con vasche, latrine, apodyteria ecc. Tutti sono decorati di mosaici geometrici o a figure: nel primo furono rinvenute anche due statue di Liber Pater e di ninfa velata.
Di edifici per pubblici spettacoli S. possedeva un teatro e un anfiteatro. Il primo, dopo l'ampio accurato restauro condotto dal Guidi, e completato dal Caputo, è largamente noto, e costituisce oggi uno degli elementi più caratteristici del paesaggio sabratense; esso soprattutto offre uno degli esempî più perspicui della disposizione e della ornamentazione di un frons scenae. Costruito in terreno pianeggiante nel quartiere orientale tra la fine del II sec. e il principio del III, e cioè tra l'età degli Antonini e quella di Severo, ha la cavea, rivolta a settentrione, sorretta da sostruzioni definite esternamente da tre ordini sovrapposti di arcate (due soli in parte ricostruiti), incorniciate da pilastri tuscanici e scandite da basse lesene corinzie sostenenti la trabeazione; quale fosse con precisione l'ordinanza del terzo ordine non è noto; comunque sembra che in alto corresse una fila di mensole a sostegno dei pali del velario. Dietro le arcate dell'ordine più basso girava, tutto intorno all'emiciclo, un ambulacro, dal quale poteva salirsi mediante scale ai meniani superiori della cavea o passare in un secondo ambulacro concentrico, più interno; può essere che alcuni degli ambienti che davano nel primo dei due ambulacri, facilmente accessibili dalle arcate esterne, fossero usati come tabernae. Le due arcate alle estremità immettevano direttamente nell'orchestra.
La cavea era spartita in tre meniani, ed ognuno di questi in sei cunei; la coronava in alto un portico a colonne; alla base di essa, e da essa invece divisi da una balaustra, stavano nell'orchestra i tre bassi gradini destinati ad accogliere i seggi mobili della proedria.
Particolare interesse offre nel teatro di S. la fronte del pulpito, non per la sua disposizione, che è la consueta a nicchie rettangolari e semicircolari alternate, con due scale alle estremità per salire dall'orchestra al piano della scena, ma per la sua decorazione a rilievo: partito non frequente negli edifici del genere: nell'Africa ne abbiamo un altro esempio, non peraltro del tutto simile, ad Ippona. La decorazione comprendeva scene e figure isolate; il rilievo è ora più ora meno accentuato. Nella grande nicchia semicircolare al centro è una scena di soggetto storico, allusiva ai rapporti tra Roma e S.: che essa si riferisca alla concessione del diritto di colonia alla città, è probabile, ma non certo: tra una scena di sacrificio e un'altra di libazione ai lati, stanno in mezzo le personificazioni di Roma e della Tyche di S. fiancheggiate da figure virili in abito militare. La disposizione frontale domina nell'ampio gruppo centrale, che le scene laterali chiudono simmetricamente.
Le altre due nicchie semicircolari hanno invece scene di soggetto mitologico: le Muse da una parte, le tre Grazie e il giudizio di Paride dall'altra. Nelle nicchie rettangolari, più piccole, ricorrono infine scene di commedia e di mimo, e negli avancorpi tra nicchia e nicchia figure isolate di divinità o di danzatrici.
Uno stretto canale dietro la fronte del pulpito serviva per la manovra del velano. Il pulpito, largo m 8,55, aveva in origine il piano tutto in legno sostenuto da travi; forse nei restauri del IV sec. lungo i bordi di esso fu disteso un rozzo mosaico a grosse tessere.
La fronte-scena, ricostruita nei due ordini inferiori e in parte del terzo, è come di solito articolata in tre grandi nicchie, tutte semicircolari, e chiusa sui due lati dalle versurae; al fondo delle nicchie si aprivano le tre porte, la regalis al centro, le hospitales ai lati. Lungo tutta la fronte e nelle versurae si distendevano tre ordini sovrapposti di colonne diverse di marmo e nel fusto, bianche e colorate, lisce, scanalate e tortili: in corrispondenza delle tre porte esse formavano dei protiri rettilinei, che interrompevano l'alternanza di linee rette e curve determinata dalle nicchie semicircolari e dagli avancorpi tra esse. Sul tergo della scena, oltre alle tre porte già dette, se ne aprivano altre secondarie che davano accesso agli ambienti di risulta tra nicchia e nicchia e, alle estremità, a due scale per salire sull'alto della costruzione, e da servire sia per la manutenzione di questa sia per le necessità degli spettacoli. Di una iscrizione che correva sull'architrave dell'ordine inferiore non resta che una parola, lacuna, che offre il campo a interpretazioni diverse.
L'edificio della scena era integrato da due ampie sale rettangolari ai lati, riservate verosimilmente ad usi in relazione con gli spettacoli, data la loro stretta connessione con il pulpito; sul tergo correva un portico, che, con le sue due ali laterali, chiudeva uno spazio quadrangolare in parte sistemato a giardino.
Da frammenti di intonaco dipinto con figure, rinvenuti durante lo scavo in varî punti dell'edificio, dobbiamo dedurre che varie parti di esso erano decorate di pitture.
L'anfiteatro era, come spesso, fuori della città, dalla parte di oriente, e fu verosimilmente sistemato nelle cavità di una precedente latomia.
Aveva l'asse maggiore in direzione E-O, e la cavea divisa verticalmente in due meniani. Dall'esterno si poteva scendere, attraverso passaggi coperti ricavati al di sotto delle gradinate superiori, alla praecinctio di divisione tra i due meniani, o salire mediante scale al meniano più alto, le cui gradinate erano in parte probabilmente in legname. Un corridoio interno, coperto a vòlta, girava tutto intorno all'arena, comunicando sia con questa sia con le entrate principali alle estremità dell'asse maggiore; ai lati di queste entrate erano stanze ricavate dal terreno naturale di roccia e destinate alle gabbie degli animali e a deposito di macchinarî. Il piano sotto l'arena (m 65 × 49) era tagliato da due gallerie incrociantisi ad angolo retto; un passaggio coperto sboccava da S nella galleria dell'asse minore.
Case e impianti di carattere industriale (presse per olive), ambienti per magazzini sono tornati in luce nell'ambito del nucleo più antico della città, tra il Foro e il mare, e nel quartiere del teatro; case di età bizantina a S del Foro. Una di maggiore ampiezza e di più nobili forme merita di essere ricordata: è a S-O del teatro, e il suo orientamento, diverso da quello del quartiere circostante, fa supporre che sia precedente all'impianto di questo, cioè al II sec. d. C. L'elemento principale di essa è un peristilio a colonne, che ne occupa il centro: di forma quadrangolare, ma con uno dei lati corti leggermente curvilinei, è circondato da colonne in pietra intonacate, con capitello corinzio. Al di sotto di esso corre un criptoportico che dà accesso a camere sotterranee, pavimentate a mosaico; analoga alla disposizione di questo piano inferiore era quella del piano del peristilio, intorno a cui si distribuivano altre camere: abbiamo quindi qui un altro esempio di quelle case in parte a livello in parte sotterranee, che troviamo in altre città dell'Africa e soprattutto a Bulla Regia, e che evidentemente furono ispirate dalla necessità di apprestare ambienti di gradito soggiorno anche durante la stagione più calda. Di nessuna delle altre case (come del resto nemmeno di questa) possediamo piante precise; sappiamo solo che, oltre che di mosaici nei pavimenti, erano ornate di pitture nelle pareti e nei soffitti: molti frammenti di queste sono stati recuperati e restaurati, e da esse le case stesse sono state denominate: Casa dell'Attore Tragico, Casa di Leda, Casa di Arianna, ecc. (v. oltre).
Di un acquedotto che portava l'acqua nella città restano avanzi piuttosto modesti a S di questa; tali resti, che si seguono per qualche chilometro in direzione S-S-E, consistono in un canale a vòlta, costruito in muratura di terra e sassi, che di tratto in tratto è interrotto da piccole camere con pozzi di aerazione.
Degli elementi della città scavati in questi ultimi anni abbiamo solo fino ad ora notizie sommarie: ad esempio del quartiere ricondotto in luce fra il museo e la cinta bizantina: sono in esso da ricordare in particolare i resti di un edificio monumentale d'incerta destinazione, e una piccola piazza colonnata, al centro della quale erano un altare e un'edicola ornata di pitture.
Non meno notevoli dei monumenti di età classica sono i monumenti cristiani della città, che sotto tale riguardo supera anche l'altro maggiore centro della Tripolitania, Leptis Magna.
Quattro basiliche sono tornate in luce, due nel quartiere del Foro, e altre due nel quartiere a N del teatro. Delle prime l'una, più antica, fu adattata, verosimilmente nella prima metà del V sec., e cioè non molto tempo dopo che l'edificio era stato restaurato dai danni delle incursioni degli Austuriani, nella basilica civile a S del Foro. Si trattò di un adattamento e in parte di un rifacimento dell'edificio: abbandonata per circa un terzo la parte orientale di esso con la relativa abside, riedificato il muro settentrionale, e costruita una nuova abside avanti a quella occidentale, la chiesa cristiana fu notevolmente più piccola di quella che era stata la basilica civile; ebbe l'abside ad occidente e la fronte, con le tre porte di ingresso, rivolta ad oriente: essa si uniformò così al tipo più comune delle chiese africane di questo periodo.
Due nuovi colonnati, costituiti ognuno da file di colonne binate, ne dividevano l'interno in tre navate; quasi al centro della navata centrale stava l'altare, probabilmente ligneo, sotto un ciborio sostenuto da colonnine; l'abside, sopraelevata, era scandita all'apertura da due pilastri, presi da costruzioni anteriori, come del resto tutti gli altri elementi architettonici dell'edificio: quello dei pilastri ancora superstite presenta una decorazione a volute di acanto e animali fra esse, dello stile ritenuto afrodisense, analogo cioè a quello dei pilastri della basilica severiana di Leptis Magna, ma forse di qualche decennio anteriore. L'abside occidentale originale della basilica civile, rimasta divisa dalla nuova abside da uno spazio scoperto, accolse una piccola vasca quadrangolare per il battistero. Sia questo spazio, sia la parte ad oriente esclusa dalla chiesa, furono adibiti a cimitero.
Nuove modifiche furono apportate all'edificio dopo la riconquista bizantina; fu rifatto, rialzandolo, il pavimento; sotto il ciborio l'altare, ora di marmo, fu posto al di sopra di una piattaforma messa insieme con basi di colonne rovesciate: un piccolo incavo al centro era destinato ad accogliere un reliquiario; la navata centrale venne, mediante una transenna o balaustra, isolata dalle laterali. D'altro canto, abbandonato il battistero primitivo, e messo al suo posto un altare sormontato da un ciborio, un nuovo fonte fu sistemato al centro della sala a crociera attigua alla basilica, già servita come luogo di adunanze; esso ebbe la forma a croce, così frequente nella stessa Tripolitania e nel resto dell'Africa dal VI sec. in poi.
La seconda basilica del quartiere del Foro fu costruita ex novo in età bizantina, a N della curia, fra questa e il mare: non par dubbio che si debba riconoscere in essa la chiesa dedicata nella città da Giustiniano, e ricordata da Procopio.
Sotto i riguardi costruttivi, essa appare messa insieme con materiali provenienti da edifici anteriori, e il calcare usato in alcune parti fu verosimilmente preso dalle cave di Leptis. La fronte è rivolta a ponente e, affacciata su una piccola piazza, è preceduta da un portico a colonne; l'interno, cui, oltre che dalle tre porte della facciata, si accedeva anche da due porte sui lati lunghi, è diviso in tre navate da colonne che sostenevano arcate; il presbiterio, rialzato, era chiuso da una balaustra; al centro era l'altare, con incavo per le reliquie, e sormontato da un ciborio; nella navata centrale, poco avanti il presbiterio, è ancora in situ l'ambone ricavato da un blocco marmoreo già pertinente alla trabeazione del Capitolium.
Plutei marmorei e alcune colonne con croci e monogrammi rivelano chiaramente l'età della chiesa. Ma la ricchezza e la bellezza di questa sono determinate soprattutto dai mosaici che ne decoravano per intero il pavimento, nella navata centrale, nelle laterali e nel presbiterio. Di particolare dovizia e di grandioso effetto, nell'ampiezza della composizione e nella vivace policromia, quello della navata centrale (ora nel museo), dalle larghe volute di tralci di vite carichi di pampini e grappoli, in mezzo ai quali volano e scherzano uccelli variopinti, e che definiscono campi occupati dai più varî motivi: un pavone dalla larga coda gemmata dispiegata in tutta la sua magnificenza, una gabbia ecc. Più semplici, ma non meno leggiadri i motivi delle altre parti del pavimento, tra cui quello della parte anteriore delle navate laterali con cipressetti stilizzati sormontati da una crocetta a braccia espanse: l'origine orientale di tutta questa decorazione è così palese ed accentuata da far pensare all'opera di artisti venuti direttamente da quelle regioni.
Le due basiliche a N del teatro, certamente più antiche, ci riportano nella loro disposizione a quella adattata nella basilica giudiziaria a S del Foro. Anch'esse sorsero entro e al di sopra di edifici preesistenti, tra cui uno stabilimento termale e, la seconda, più piccola, in un edificio di analoga pianta basilicale, forse di carattere commerciale. Le due chiese sono certamente coeve e, con l'ampio sepolcreto e le altre costruzioni annessse, costituivano verosimilmente un solo, grande complesso sacro, come tanti altri nell'Africa stessa (Cuicul, Theveste) e fuori (Salona); ambedue presentano un'analoga successione di due fasi costruttive. Sono ambedue rivolte con la fronte a levante. La prima, la maggiore, è preceduta da un portico quadrangolare ed è internamente divisa in tre navate; il presbiterio, chiuso da un recinto, occupava la parte estrema della nave centrale, ed aveva in mezzo l'altare; l'abside, sopraelevata, era preceduta da due colonne sostenenti una specie di arco trionfale, e vi si accedeva da una scala aperta sul lato sinistro. Il pavimento di essa, come quello dello spazio fra l'abside stessa e l'altare, è ornato di un mosaico, a motivi geometrici e vegetali, e l'iscrizione di un Fl(avius) Boni(fatius...) exceptor, che lo donò.
Due stanze si appoggiavano all'edificio dal lato meridionale, una contenente un battistero, l'altra servita come sagrestia. La costruzione originale, da datare in base a molteplici elementi, non molto dopo l'inizio del V sec., se non ancora alla fine del IV, subì modifiche, probabilmente in età bizantina.
Con l'innalzamento di due nuovi muri, furono ristrette le navate laterali; l'abside fu ancora sopraelevata e fatta accessibile da una scala dalla stessa navata centrale: un nuovo battistero fu sistemato entro una specie di ciborio decorato di pilastri intonacati, all'interno di alcune stanze situate a N della basilica.
La seconda chiesa, più piccola, è immediatamente adiacente alla prima verso N-E. Era anch'essa a tre navate con presbiterio e altare nella nave centrale; l'abside, sopraelevata, è fiancheggiata da due camere e chiusa esternamente da un muro rettilineo. Anche intorno a questa chiesa si stendeva un cimitero; un altro era immediatamente a oriente del teatro. Infine un cimitero suburbano, in forma di catacomba, fu messo in luce, pure da questa parte, a 500 m circa ad oriente del teatro: si tratta di varie gallerie con loculi nelle pareti e sarcofagi fatti di rozze lastre di pietra sul pavimento; taluni dei loculi hanno decorazione dipinta e iscrizioni; la presenza del monogramma nella sua forma originaria e l'assenza invece della croce monogrammata fanno assegnare la catacomba ad età piuttosto antica.
Considerata nel suo complesso, S. non presenta particolari caratteristiche di impianto e di aspetto che la differenzino dal maggior numero delle città romane dell'Africa settentrionale; in special modo essa si assimila a quelle della Bizacena e della Tripolitania occidentale. Nettamente invece si distingue da Leptis e forse anche, a giudicare dal non molto che ne conosciamo, da Oea, più simili, per grandiosità e ricchezza di monumenti, alle città della parte orientale dell'Impero.
Modestia di materiali usati nelle costruzioni e modestia di proporzioni, assenza di elementi decorativi che rivelino una particolare finezza di gusto, ad eccezione di pochi, dovuti probabilmente ad artisti o artigiani venuti da fuori, la stessa rozzezza di esecuzione, non solo delle statue onorarie e di divinità rinvenute nei diversi edifici, ma anche della fronte del pulpito del teatro, che pure, nel fatto stesso di averla voluta così decorata, rivela una certa pretenziosa ricerca di nobiltà, sono tutti elementi che provano il carattere assolutamente provinciale dell'ambiente sabratense. Né da tale qualità derogano nemmeno i mosaici, e geometrici e figurati, degli edifici di età classica, e nemmeno i resti di pitture del teatro e di alcune case: ché se questi resti sono a S. più copiosi che altrove, ciò dipende solo dal fatto che maggior cura si è avuta durante lo scavo nel raccoglierli e poi nel restaurarli. Essi d'altra parte sono ancora così imperfettamente conosciuti che sarebbe arrischiato volerne trarre conclusioni sugli schemi decorativi e sullo stile preferito nella città. Alcuni di essi sono stati datati al II sec., altri al IV: in effetti i primi mostrano una certa tal quale, sia pure contenuta, maestria di chiaroscuro e un'efficacia impressionistica, che gli altri invece sono ben lungi dall'avere, ridotti come sono a semplici disegni colorati. Quanto agli schemi decorativi non può non meravigliare la presenza, nelle pareti della Casa dell'Attore Tragico, di architetture più vicine a quelle cosiddette di II stile che a quelle del IV: tuttavia la casa è inserita nel quartiere sviluppatosi nel corso del Il sec. d. C. Dovrà dunque postularsi una persistenza di forme ormai antiche in piena età imperiale? È prematuro affermarlo.
Unica vera opera che si solleva al di sopra del più comune livello dei prodotti artistici sabratensi è il mosaico della basilica giustinianea, frutto verosimilmente, come si disse, di un artista estraneo all'ambiente.
Bibl.: D. E. L. Haynes, An Archaeological and Historical Guide to the Pre-Islamic Antiquities of Tripolitania2, Londra 1955, p. 107 ss.; art. varî di S. Aurigemma, R. Bartoccini, G. Caputo, G. Guidi, in Notiz. Arch. Min. Colonie, Africa Italiana, Rivista della Tripolitania, Quaderni di Archeologia della Libia; G. Pesce, Il tempio di Iside in Sabratha, Roma 1953; G. Caputo, Il teatro di Sabratha e l'architettura teatrale africana, Roma 1959. Per le pitture: G. Pesce, Pitture Sabratensi, in Boll. d'Arte, 1951, p. 158 ss.; S. Aurigemma, L'Italia in Africa. Le scoperte archeologiche, Tripolitania, vol. I, p. 11, Le pitture di età romana, Roma 1962; per i mosaici: id., vol. II, p. i, I mosaici, Roma 1960; per la necropoli punica: R. Bartoccini, in Annali Ist. Orientale Napoli, N. S., III, 1949, p. 35 ss. Per le antichità cristiane: J. B. Ward Perkins - R. G. Goodchild, The Christian Antiquities of Tripolitania, in Archaeologia, XCV, 1953, p. 7 ss. Per gli scavi più recenti: in Fasti Arch., 1948, p. 13 s.; 1951, p. 379; 1953, p. 292; 1957, p. 354; H. Sichtermann, in Arch. Anz., XXVII, 1962, c. 510 ss.