Vedi SABRATHA dell'anno: 1965 - 1997
SABRATHA (v. vol. VI, p. 1050)
I dati apportati dagli scavi e dagli studi fra il 1962 e oggi alla conoscenza dell'antica S. sono assai numerosi e importanti. Va ricordato anzitutto lo scavo stratigrafico condotto a partire dal 1963 attorno al Mausoleo Β - il primo di tale ampiezza praticato in Tripolitania - che, oltre a rivelarci l'esatta natura di questo singolare monumento, ha permesso una serie di osservazioni che, avendo trovato puntuale corrispondenza in altri monumenti e in altre aree della città, hanno consentito persuasive deduzioni di carattere generale riguardanti la storia e la vita dell'abitato, scandita, fra il I sec. a.C. e il IV d.C., da almeno quattro distruzioni dovute a violenti sommovimenti tellurici.
La città. - Il sorgere di un centro urbano presso lo sbocco al mare della carovaniera da Ghadames non è risultato databile prima del IV sec. a.C., anche se tracce di una frequentazione stagionale possono farsi risalire al secolo precedente. La città più antica sorse a ridosso del riparo naturale costituito da un seno d'acqua fra la costa e una bassa scogliera che la fronteggiava da presso e con la possibilità di fruire di una piccola rada poco a O riparata da N-NO da una bassa lingua di terra, ma largamente aperta a NE (l'attuale Marsa Sabratha). Ordinato su strette strade in blocchi di case orientate NO-SE, sì da offrire al vento predominante lunghe fronti chiuse, l'abitato dei primi due/tre secoli fu limitato (e difeso) dal lato di terra, al di là del muro che circondava il nucleo più antico, dalle ampie latomie utilizzate per costruirlo.
La più vicina si apriva all'altezza del segmento più meridionale del tardo muro bizantino, là dove nel corso del I sec. a.C., colmata la latomia, furono costruiti gli isolati più settentrionali (occupati, poi, perlomeno nel III-IV sec. dell'impero, da numerosi uffici di navicularii) del quartiere scavato da E. Vergara Caffarelli, fra il giardino del museo e la cinta giustinianea. Saggi condotti in profondità al di sotto della piazza di questo nuovo quartiere (fino a c.a 9 m) ce ne danno la certezza, e sappiamo anche che verso O tale latomia non poteva estendersi per più di 25-30 m, poiché proprio all'altezza della torre bizantina che chiudeva a O la cortina più avanzata della cinta è stato scoperto e scavato (A. Di Vita) il monumento più singolare di S., il Mausoleo B.
Liberi dalla soggezione di Cartagine, a partire dalla prima metà del II sec. a.C. gli emporia tripolitani, rimasti indipendenti ai margini del regno numida, prima, e mai soggetti nei loro territori a colonizzazione romana, dopo, con un retroterra assai fertile e una eccezionale posizione che li rendeva stazione obbligata fra il Mediterraneo e la ricca Africa nera, vissero la loro stagione più felice.
Fu ancora nel corso del II sec. a.C. che S. si organizzò urbanisticamente, creando, alle spalle dei quartieri più settentrionali del centro più antico, un'ampia agorà parallela al mare, e costruendo a E e a O, ma soprattutto a S di essa, la nuova città. Questa, sull'esempio di Alessandria e di tante coeve città del mondo ellenistico, fu costituita da isolati paralleli alla linea di costa, assai allungati, divisi da poche platèiai E-0 e da stenopòi N-S, e posti su terrazze digradanti verso il mare, a N, seguendo il profilo del terreno che si alzava verso meridione.
Poco prima della metà del I sec. a.C. - crollato per terremoto il Mausoleo Β e probabilmente proprio allora anche quello A - l'espansione della città verso S raggiunse la latomia di cui s'è detto, che fu colmata; gli isolati nel corso del I sec. d.C. raggiunsero e oltrepassarono il Mausoleo A, e l'abitato continuò ad allungarsi verso S, sempre tagliato da vie parallele al mare, fino all'altezza almeno dell'attuale museo romano.
Un violento terremoto in età tardo-neroniana colpì gravemente la città, ma i danni furono presto riparati e i monumenti ricostruiti in forma più grandiosa: così, p.es., il Tempio di Liber Pater al foro e quello di Iside all'estremità orientale del quartiere portuale.
Le necropoli. - Non v'è dubbio che la latomia meridionale più vicina alle abitazioni dei primi secoli abbia fagocitato le tombe più antiche, ma quando questa fu abbandonata per le cave più meridionali (quelle a S e a SE del teatro), ai suoi margini e sui suoi picchi s'inserì una necropoli d'età ellenistica con sepolcri a fossa e a camera. Di tale necropoli i due monumenti più significativi furono i mausolei A e B, i quali costituivano le nefeš, cioè il segnacolo monumentale di camere funerarie scavate nella roccia lungo il loro perimetro. Identici nella struttura, il Mausoleo A stava poche decine di metri a SO di quello Β e i suoi pochi resti erano stati ritenuti dal Bartoccini elementi di un ninfeo. Entrambi poggiavano sulla roccia e si trovavano certamente lungo una via che portava dal centro abitato verso l'interno. Costruito nei primi decennî del II sec. a.C., il Mausoleo Β si elevava per 23,65 m (46 braccia puniche); la sua singolarità consiste nella pianta a triangolo dai vertici tagliati e dai lati ad arco di cerchio. Alto zoccolo a gradini, primo piano massiccio e secondo piano a lanterna furono realizzati con curvature diverse, e il passaggio fra il primo piano - decorato da semicolonne ioniche al centro delle tre pareti e da tre quarti di colonne alle punte tronche - e la lanterna stessa era assicurato da tre grandiose metope scolpite che occupavano le fronti mentre, ai vertici, tre leoni seduti sorreggevano mensoloni sui quali si elevavano statue di kouroi alte quasi 3 m. Un pyramidion chiudeva il monumento che, per tante particolarità, appare la trascrizione punica di creazioni dell'ellenismo «barocco». E la porta a battenti chiusi della fronte orientale, con alto architrave decorato da urei e dal disco solare alato, richiama strettamente l'Egitto e Alessandria, un mondo con il quale i rapporti delle città di Tripolitania, specie dopo Zama, appaiono sempre più stretti.
Nel 1967 due tombe a fossa terragna di II sec. a.C. furono scoperte 250 m a S degli antichi uffici (oggi casa delle missioni); si pensa che facessero parte di quella necropoli meridionale di III-II sec. a.C. rinvenuta dal Bartoccini, alla stessa altezza, ma in direzione del teatro.
L'impressionante espansione della città nel I sec. a.C., dopo la distruzione dei mausolei A e B, portò a ubicare le necropoli dei primi secoli dell'impero abbastanza lontano dall'abitato, a O, a S sotto l'odierna S. e a E fra il Tempio di Iside e l'anfiteatro. La necropoli a O occupa una bassa altura presso la nuova arteria che, costeggiando il mare, porta oggi a Marsa Zwaga. Ai suoi piedi è stata rinvenuta negli anni '80 (Mabruk Zenati) una tomba a camera con breve pozzo d'accesso, con nicchie per ossuari decorate da pitture tipicamente puniche (segno di Tanit, ariete) e corredo soprattutto della prima metà del I sec. d.C. Agli stessi decennî, fra Claudio e Vespasiano, si colloca il lembo di necropoli a incinerazione con ossuari e corredo deposti in buche nella roccia, scoperto nel 1972-1973 a c.a 1.300 m a S del foro nell'area di Sidret el-Balik. Queste incinerazioni facevano parte di una più ampia necropoli di cui sono state rinvenute testimonianze sia ancora più a S sia più a N, fino a c.a 650 m dal recinto degli scavi oltre la nuova via di circonvallazione della moderna S. (scoperte del 1977); in due casi i cinerari erano stati deposti entro sarcofagi di pietra. Anche una grande tomba a camera scavata nella roccia, con corredi di I e inizî II sec. d.C., in corrispondenza della quale restano, in soprassuolo, due filari facenti parte di un sèma imitante in piccolo il più antico Mausoleo B, viene da quello che sembra il limite meridionale di questa necropoli, poche decine di metri a SE dell'area «sacro-funeraria» di Sidret el-Balik.
Impossibile dare qui notizia di tutti i rinvenimenti dovuti al caotico espandersi della città moderna fino ai limiti del recinto degli scavi, giacché da questo punto fino a c.a 1 km e mezzo più a S, e per un'eguale ampiezza E-O, edifici suburbani, fattorie e necropoli relative occuparono in antico tutta l'area. Per restare nel campo delle necropoli di I sec. d.C. si ricorderà ancora quella orientale, costituita da una fascia di tombe a camera tagliate nell'arenaria, con breve pozzo di accesso, di schietta tradizione punica, importanti perché quasi sempre decorate da pitture nelle nicchie che accoglievano i cinerari e nel soffitto. Si tratta di piccole camere rinvenute in una lunga trincea N-S scavata per una fognatura nel 1942, 850- 900 m a E del foro, all'incirca fra le catacombe a S e il Tempio di Iside a N. In conclusione, le necropoli di I sec. d.C., tutte a incinerazione (pratica che fino al II sec. a.C. sembra non fosse stata mai in uso), si trovavano a S, a E e in qualche caso anche a O di S., ma tutte abbastanza distanti - da 300-400 mai km - dal centro coevo.
La grande necropoli di II-IV sec. d.C. occupò fittamente (e anche con edifici di una certa monumentalità, molti ritrovati e distrutti negli ultimi decenni) la modesta altura già ricordata a O della via per Marsa Zuaga. Essa si allungava per parecchi ettari fino a sovrapporsi, al suo limite occidentale, all'area più orientale del tofet di Sabratha.
Allontanandosi dall'abitato, va ricordato che c.a 200 m a E dell'anfiteatro fu rinvenuta casualmente nel 1975 una tomba con due camere scavate nella roccia e ingresso a pozzetto, con significative pitture dell'età di Claudio (detta del «defunto eroizzato»: Di Vita, Mabruk, 1978-1979). Questa tomba e numerose altre, fra cui anche veri e propri mausolei, bordavano la strada litoranea per Oea.
La via per Oea. - Nel giugno del 1977, 6 km c.a a E di S., a 500 m dalla riva del mare, sul lato Ν di una strada a fondo naturale larga c.a 4 m, furono rinvenute (Mabruk, Di Vita) alcune pietre miliari indicanti la distanza a partire da Sabratha. Fra esse una colonna ha fornito testimonianza che la strada fu risistemata - certo su un percorso lungo costa già utilizzato in età punica - dalla III Legione sotto il proconsolato di Aulo Severo Cecina nell'8/9 o 9/10 d.C. Si tratta del più antico miliario di Tripolitania e del secondo o terzo più antico miliario proveniente dalla Proconsolare e mostra l'interesse strategico - non vi era ancora la via di arroccamento sul Ğebel - che questa litoranea ebbe per l'armata romana incaricata di difendere Proconsolare ed emporta dagli attacchi dei rivoltosi e delle tribù dell'interno.
Il tofet. - Scoperto nel dicembre del 1973 nell'allarga- re la strada che, superata la vecchia tonnara Paterno Moneada, costeggia il mare verso O, in località al-Munfakh, scavato in piccola parte da A. Di Vita negli anni 1974-1975, il tofet ha restituito più di trecento interessantissime stele - fra le quali non poche dipinte e anche alcune, rare, scolpite - le quali presentano tutti i segni e i simboli ricorrenti di norma su tale tipo di monumenti. Esse erano disposte in file parallele perpendicolari al mare, rivolte a E e, sotto di esse, furono trovate centinaia di piccole òlpai, olle e brocchette contenenti i resti di sacrifici animali, quasi sempre le zampe anteriori di una capra nana. La tipologia delle ceramiche, le monete e un'iscrizione latina su una delle stele (falsamente edita come punica) ci attestano l'uso del tofet, in quest'area periferica della città, fra il II-I sec. a.C. e il I sec. d.C.
L'acquedotto. - Alla seconda metà del II sec. d.C. (lo testimoniano le fontane donate a S. dall'evergete C. Flavius Pudens) va riferito l'acquedotto già visto dal Bartoccini 2-3 km a S di S., ma che sul finire degli anni '70 è stato portato alla luce e, purtroppo, distrutto, fra Sidret el-Balik e l'area degli scavi. Si trattava di un condotto a cavo chiuso, con possenti spallette in opera cementizia, il quale si alzava man mano che si avvicinava alla città con andamento SO-NE: lo si è potuto seguire fino a circa 500 m dal teatro verso il quale si dirigeva. Evidentemente subito a E del teatro doveva trovarsi un caput aquae assai elevato, dove l'acqua arrivava sotto pressione e dal quale veniva distribuita. A tale proposito occorre ricordare che due grandi cisterne ancora alte in soprassuolo sorgono una decina di chilometri a S della città, sui primi rilievi del Ğebel, ed è verosimile che proprio esse costituissero i depositi che alimentavano l'acquedotto.
L'area sacra a Baal Hammon. - I sobborghi della città erano ricchi di monumenti: fra i principali, sono da ricordare gli avanzi di un edificio non scavato (e non ancora travolto dall'urbanizzazione moderna), circa 500-600 m a S del recinto degli scavi, e un centinaio di metri a Ν della via di circonvallazione. Alcune vasche decorate da mosaici avevano fatto supporre la presenza di semplici piccole terme di II sec. d.C., ma in quest'area è stato rinvenuto anche un grande bacino marmoreo che reca incisa sull'orlo una iscrizione bilingue in punico e latino la quale, per la prima volta, attesta il culto di Ba al Hammon in Tripolitania (Garbini, Rossi, 1976-1977). E possibile dunque che ancora nel I sec. d.C. esistesse qui un'area sacra 0 un edificio dedicato al dio supremo del pantheon fenicio.
Le fortificazioni. I terremoti del IV sec. d. C. - Prima di passare alle mura del IV sec., va ricordato che a O di S. - oltre la ex villa Paterno e oltre una villa antica con bei mosaici che a essa segue, posta sul mare (scavi A. Chaiboub) - si trova una piccola insenatura, Marsa Sabratha, aperta a NE, sulla cui riva vi è il basamento di un pilone (m 2,95 X 2,30) spesso sommerso dal mare, fatto di grandi blocchi d'arenaria bene squadrati connessi a incastro, senza grappe, con ottima tecnica. Secondo A. Di Vita si tratta del basamento di una torre dalla quale si staccava, prima correndo verso O per c.a 20 m e poi verso S, un muro di cui si è potuta rintracciare la fondazione fatta di blocchi di arenaria accostati l'un l'altro per lungo in senso E-O (larghi fra m 1 e m 1,10) su cui correva un primo filare costituito da un solo blocco messo per costa, largo in media m 0,50 X 1 m circa di lunghezza.
Questo muro si segue, ancora oggi che è stato largamente distrutto, in linea diritta per quasi 200 m dall'altezza della torre sul mare verso S-SO. Esso raggiungeva così una quota abbastanza elevata (anche se non la sommità) del modesto rilievo che qui segue la linea di costa a una cinquantina di metri di distanza e che va a morire a E lì dove sorse l'abitato di Sabratha.
Una volta raggiunta questa quota, il muro volgeva a E con tracce visibili per alcune centinaia di metri fino, grosso modo, a S dell'area del tofet. Dato il suo limitato spessore è verosimile che si trattasse di una sorta di clausura che obbligava a entrare in città solo da alcuni punti ben precisi e che, naturalmente, poteva all'occorrenza costituire una prima linea di difesa a protezione del suburbio occidentale. Quando questo muro fu eretto e per quanto tempo sia stato in uso non è possibile dirlo. La tecnica ellenistica della torre, i frammenti ceramici - anch'essi d'orizzonte ellenistico - raccolti sia nella sabbia in cui il filare di fondazione fu deposto, sia fra i blocchi stessi, e il fatto che si tratti costantemente di blocchi di cava fanno propendere per una datazione ancora alta nell'ellenismo.
A parte questo muro, S. non conobbe altra difesa che quella delle sue latomie scavate lungo il margine meridionale della città fino all'anfiteatro. Ma dopo il violento terremoto che distrusse largamente l'abitato, databile fra il 306 e il 310 c.a, anche S. - come Leptis e Oea - provvide a costruirsi una cinta muraria utilizzando il materiale degli edifici distrutti. Abbandonata l'area a E del Tempio di Iside, un possente muro cominciava proprio da qui, dalla gradinata orientale del tempio stesso; se ne sono rintracciati i resti verso S (una porta fu aperta sulla via per l'anfiteatro e per Oea) fino a raggiungere lo stretto passaggio fra le due latomie a SE del teatro. Da questo passaggio e da quello a S del teatro uscivano le strade per l'interno, come attestano le carreggiate rinvenutevi. Resta da individuare come la città fosse protetta a O del teatro, mentre è possibile che il vecchio muro ellenistico di cui si è detto prima fosse ancora utilizzato a protezione del suburbio occidentale.
Ben nota nella sua interezza è la cinta di Giustiniano, della quale sono state però ora scoperte le due grosse torri quadrate che proteggevano gli angoli dell'avancorpo S e delle quali quella di occidente resta solo in piccola parte: è stato infatti necessario smontarla per recuperare la parte più bassa del Mausoleo Β che, emergente ancora dopo il terribile terremoto che nel 365 devastò la città, era stata recuperata e riutilizzata dai Bizantini nella torre vicina.
L'area «sacro-funeraria» di Sidret el-Balik. - Non vi è dubbio che dopo il terremoto del 306/310 la struttura ordinata della città iniziò a smagliarsi. Ne è prova eloquente il fatto che, nelle vie secondarie, privati occuparono parte della sede stradale per costruire leggere cortine murarie che impedissero la vista dei cortiletti posti dietro l'ingresso delle abitazioni: si costruirono cioè degli accessi a baionetta e potrebbe essere questa anche la testimonianza dell'inurbamento di genti provenienti dal contado con tradizioni culturali diverse. Certo è che, almeno a S., famiglie particolarmente autorevoli presero pian piano il posto, localmente, del potere imperiale, che evidentemente era, o almeno appariva, sempre più distratto e lontano.
Si spiega così la grande area denominata «sacro-funeraria» di Sidret el-Balik, individuata da A. Di Vita nel gennaio 1972 e salvata da distruzione grazie all'intervento di Awad Saddawja, allora Presidente del Dipartimento alle Antichità della Libia. Nell'area della necropoli di I sec. qui esistente, si formò, probabilmente durante il III sec., un piccolo quartiere industriale legato a una importante e profonda cava di tin, argilla usata per pareti e pavimenti specie nei piani alti delle abitazioni di Sabratha.
Dopo il terremoto del 306/310 i pochi vani sotterranei appartenenti a una o più abitazioni subito a O della cava appaiono abbandonati e con essa anche il grande vano laboratorio ove il tin veniva depurato in vasche d'acqua. Questo vano era stato ricavato tagliando un vasto rettangolo nella roccia fino a più di 3 m dal suolo circostante, e in esso, non molto prima della metà del IV sec., furono installati quattro grandi letti a sigma con al centro ampie basi quadrate, vere e proprie trapezae atte a ricevere i grandiosi piatti di sigillata africana D allora in uso per i pasti in comune di numerose persone (almeno 12 per mensa). Si trattava dei membri di un clan che si riconosceva nel defunto, seppellito in una camera ricavata in parte dell'antica cava e alla quale si accedeva attraverso una breve scala chiusa da pesanti blocchi. Questa scala si apriva al fondo (S) di un piccolo vano preceduto da un altro, tutto pavimentato e rivestito di marmi di recupero, in cui erano due piccoli altari: una cappella per i sacrifici al defunto. Questi vani erano coperti da una volta a botte e occupavano la parete occidentale dell'area, per il resto tutta scoperta e alla quale si accedeva dall'estremità O della parete Ν mediante almeno cinque gradini.
La parete meridionale, in parte occupata da una lunga vasca per acqua, era costituita dalla roccia stessa, le altre erano state costruite con blocchi tutti riutilizzati più volte e anche, nella parte più alta, con blocage. Queste pareti si alzavano fino a restare alte sul piano circostante all'incirca un metro e tutte, per una lunghezza complessiva di c.a 56 m e per un'altezza di c.a m 3,20 con uno sviluppo quindi di 178 m2, erano dipinte a fresco. Vale a dire che a Sidret el-Balik è stato recuperato quello che sembra il più grande complesso di pitture di IV sec. mai trovato in Africa. E poiché le pareti crollarono col terremoto del 365 e il grande rettangolo si riempì presto di sabbia, gli affreschi sono stati trovati in eccellente stato di conservazione; stato che, nonostante le cure prodigate (una équipe di restauratori italiani e libici vi lavora ogni anno da un decennio), è qua e là sensibilmente peggiorato. Attualmente si stanno ricollocando i frammenti pertinenti alle pareti settentrionale e occidentale. Mentre la parete S è tutta decorata da tralci animati da amorini e grappoli d'uva (come in un noto mosaico di Cherchel) e anche da pavoni e uccelli, le pareti E e Ν si presentavano divise in tre fasce sovrapposte, e la superiore in due grandi riquadri. In basso vi è un'alta zoccolatura imitante il marmo e su essa corre una fascia con animali domestici, selvatici e bestie feroci fra cespugli e amorini volanti con cestelli d'uva; quindi - almeno nella parete E - un grande quadro con elementi di città e un altro con cavalieri e pedoni a caccia di fiere. La parete O era decorata a intreccio di bellissimi festoni; la ricollocazione in opera dei blocchi abbattuti dal terremoto è in corso.
Alle novità nel campo degli scavi va aggiunta l'intensa attività di studio e di pubblicazione portata avanti dai membri del Dipartimento libico e soprattutto dai componenti delle missioni italiane attive a S. negli ultimi decenni, dirette da N. Bonacasa e da A. Di Vita.
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Urbanistica: J. B. Ward Perkins, Town Planning in North Africa during the First Two Centuries of the Empire, with Special Reference to Lepcis and Sabratha: Character and Sources, in 150-Jahr-Feier Deutsches Archäologisches Institut Rom (RM, Suppl., XXV), Magonza 1982. - Mausolei A e Β: A. Di Vita, Influences grecques et tradition orientale dans l'art punique de Tripolitaine, in MEFRA, LXXX, 1968, pp. 7-80; id., Il Mausoleo punico-ellenistico Β di Sabratha, in RM, LXXXIII, 1976, pp. 273-285; id., Architettura e società nelle città di Tripolitania fra Massinissa e Augusto. Qualche nota, in Architecture et société de l'archaïsme grec à la fin de la république romaine. Actes du Colloque international organisé par le Centre national de la recherche scientifique et l'École Française de Rome, Rome 1980, Roma 1983, pp. 355-376. - Per il tofet·. L. Taborelli, L'area sacra di Ras Almunfakh presso Sabratha. Le stele (RStFen, XX, Suppl.), Roma 1992, con bibl. prec. - Miliario di Cecina: G. Di Vita-Evrard, Le plus ancien militaire de Tripolitaine. A. Cecina Severus, proconsul d'Afrique, in LibyaAnt, XV-XVI, 1978-1979 (1987), pp. 9-44. - Tombe dipinte: G. Mabruk, A. Di Vita, G. Garbini, La tomba del «defunto eroizzato» a Sabratha, in LibyaAnt, XV-XVI, 1978-1979 (1987), pp. 45-68; A. Di Vita, Elementi alessandrini a Sabratha. A proposito di due nuove tombe dipinte d'età protoimperiale, in N. Bonacasa, A. Di Vita (ed.), Alessandria e il mondo ellenistico romano. Studi in onore di A. Adriani, III, Roma 1984, pp. 858-877; id., Il tema del «banquet couché" dei rilievi attici di IV secolo in una nuova pittura da Sabratha, in Πρακτικα του XII διεθνους συνεδριου κλασικης αρχαιολογιας, Αθηνα 1983, II, Atene 1988, pp. 72-76· - Templi: E. Joly, F. Tomasello, Il tempio a divinità ignota di Sabratha (Monografie di Archeologia Libica, XVIII), Roma 1984; G. Caputo, F. Ghedini, Il tempio di Ercole di Sabratha (Monografie di Archeologia Libica, XIX), Roma 1984. - Basiliche cristiane: R. M. Bonacasa Carra e altri, Il complesso paleocristiano a Nord del teatro di Sabratha, in QuadALibia, XIV, 1991, pp. 103-246. - Materiali: E. Joly, Lucerne del museo di Sabratha (Monografie di Archeologia Libica, XI), Roma 1974; M. Rossi, G. Garbini, Nuovi documenti epigrafici della Tripolitania romana, in LibyaAnt, XIII-XIV, 1976-1977 (1983), pp. 7-20; G. Barone, Gessi del Museo di Sabratha (Monografie di Archeologia Libica, XXI), Roma 1994. - Area sacro-funeraria: A. Di Vita, L'area sacro-funeraria di Sidret el-Balik a Sabratha, in RendPontAcc, LIII- LIV, 1981-1982 (1984), pp. 271-282. - Scavi inglesi 1948-1951 eseguiti da K. Kenyon e J. Ward-Perkins: P. M. Kenrick e altri, Excavations at Sabratha 1948-1951 (JRS, Monograph 2), Londra 1986; J. Dore, Ν. Keay, Excavations at Sabratha, II. The Finds, I. The Amphorae, Coarse Pottery and Building Materials (Society for Libyan Studies, Monograph 1), Gloucester 1989; N. Fulford, R. Tomber (ed.), Excavations at Sabratha 1948-1951, II. The Finds, 2 (Society for Libyan Studies, Monograph 3), Whitstable 1994.
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