Vedi SABUCINA dell'anno: 1965 - 1997
SABUCINA (v. vol VI, p. 1060)
Il sito è un punto nodale nell'insieme ambientale dell'Himera (odierno fiume Salso), costituendo un unico sistema con la vicina Montagna di Capodarso. Si tratta di due piattaforme arenarie a rampa che strapiombano a Ν e sui lati, scivolando a S ripidamente verso la valle che in quel punto si restringe in una gola. Derivano da tale posizione le possibilità di difesa e di dominio della vallata, che non sfuggirono alle popolazioni preistoriche e poi ai Greci.
Il primo consistente nucleo abitato è un aggregato della tarda Età del Bronzo che nel XIII sec. a.C. si insedia nella parte sommitale della collina, dove si arrocca in posizione di facile difesa, secondo un processo che si verifica in tutta l'isola (basti pensare a Pantalica, Disueri e Montagna di Capodarso) per le mutate situazioni politiche e sociali, già messe in relazione con l'arrivo dal continente della popolazione dei Siculi.
L'abitato si presentava con capanne circolari, sia sulla piattaforma sia sul pendio del colle, costruite alla base con un robusto muro a secco, pavimentate di roccia spianata, tetto in travi e paglia impostato direttamente sui muri, come è facile ricostruire dai resti carbonizzati trovati all'interno. Frammiste alle capanne erano le tombe ricavate nella roccia, anch'esse circolari, con dròmos di accesso, variamente riutilizzate in età greca. Il limite meridionale di questo villaggio è segnato da complessi artigianali, fornaci di vasi e officine di strumenti in bronzo.
Questo grosso centro del Tardo Bronzo presenta tracce di distruzione violenta in un momento che precede le fasi della cultura di Cassibile e di Pantalica Sud, di cui non v'è traccia a Sabucina.
Dopo tre secoli, la vetta di S. fu occupata da un nuovo abitato indigeno con case rettangolari disposte lungo il pendio, anche al di fuori di quello che sarà il limite fortificato meridionale del successivo centro ellenizzato del VI sec. a.C. Questo abitato del VII sec. a.C., che in alcuni casi si sovrappone alle capanne del Tardo Bronzo, entra in contatto con i coloni di Gela, come mostra la ceramica protocorinzia rinvenuta sul piano pavimentale di una delle abitazioni rettangolari.
È possibile che l'abitato siculo abbia avuto edifici sacri anch'essi a pianta rettangolare, ma è certo che nel corso del VII sec. a.C. risultano costruiti tempietti a capanna circolare, di cui restano significativi esempî sul pendio meridionale al di fuori delle fortificazioni del centro di età greca. Notevole, tra queste capanne-sacelli, la struttura ubicata nel punto in cui le strade salgono dal pendio sottostante verso la vetta. Si tratta di una cella circolare (diam. 7,50 m) con muro di pietre irregolari rinforzato alla base da un controanello che ne raddoppia lo spessore; aperta a E, presenta nel fondo una banchina a rozza squadra. Sulla fronte è un portichetto a pianta trapezoidale che si apre sulla strada con due colonne fra le ante: documento architettonico eccezionale di edificio sacro indigeno in cui, più che rispecchiarsi il fenomeno di cultura mista siculo-greca (frutto del processo di ellenizzazione proprio di altri centri indigeni), sono riflessi aspetti particolari di persistenze locali e di forme di contatto in termini di non assimilazione del modello greco.
Dallo stesso edificio proviene il modello fittile di tempietto che rende evidente il processo di trasformazione nel corso del VI sec. a.C., dove si colgono elementi di evoluzione della forma del sacello indigeno verso il tipo architettonico greco a cella rettangolare.
Questo processo di trasformazione è lento e quando, nel VI sec. a.C., il centro di S., come una pòlis greca, si fortifica e si urbanizza, l'impianto urbano sfugge all'assetto regolare dell'orientamento e dell'incrocio ortogonale generalmente imposto dalla diffusione della civiltà greca dei coloni; l'aspetto è quello di un agglomerato con strade e stradine irregolari e con il carattere agglutinante degli organismi edilizi.
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(E. De Miro)