SACCHEGGIO
. È un insieme di fatti di depredazione, commessi di regola dall'unione di più persone contro la proprietà, con o senza violenza verso individui. Non si richiede un'organizzazione in banda, né un previo concerto, bastando anche la riunione repentina e accidentale e l'accordo istantaneo. La legge italiana punisce tale reato, ma non ne dà una precisa definizione, richiamandosi alla sua nozione tradizionale. L'art. 285 cod. pen. punisce con la morte chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello stato, commetta un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello stato o in una parte di esso. L'art. 419 punisce con la reclusione da otto a quindici anni chi, al difuori dell'ipotesi particolarmente grave preveduta nell'art. 285, commetta fatti di devastazione o di saccheggio. Infine l'art. 421 si occupa della semplice minaccia di commettere tali reati, in modo da incutere pubblico timore, e colpisce l'autore con la reclusione fino ad un anno. Non è necessario che il fatto di saccheggio sia commesso per un determinato motivo (lucro, vendetta, ragione politica). La consumazione del fatto stesso e il dolo, cioè la coscienza e la volontà di commettere il saccheggio, concretano i due elementi essenziali del reato.
Le speciali esigenze della guerra e la necessità di colpire con particolare rigore le mancanze contro la disciplina, di reprimere severamente i reati contro la proprietà da parte dei militari appartenenti alle forze belligeranti, esigono sanzioni molto gravi contro il saccheggio. L'art. 275 del codice penale militare, nelle disposizioni relative al tempo di guerra, proibisce il saccheggio e punisce con la morte il militare, che lo avrà ordinato, o che senza ordine se ne sarà reso colpevole. D'altra parte, l'art. 168, mentre punisce il militare che usi per qualsiasi motivo vie di fatto contro il suo inferiore, esclude dalle sanzioni stabilite il caso di necessità di frenare l'ammutinamento, la rivolta, il saccheggio o la devastazione.
Le disposizioni contro il saccheggio, contenute nelle leggi penali militari di tutti i paesi, oltre che rispondere a necessità indeclinabili di ogni esercito, si possono annoverare nel cosiddetto diritto interno "internazionalmente rilevante" ossia in quell'attività legislativa, che è imposta ad ogni stato dall'obbligo di osservare e di far osservare dai suoi organi e sudditi i principî del diritto internazionale. Il regolamento sulle leggi e i costumi della guerra, allegato alla quarta convenzione dell'Aia del 18 ottobre 1907, il quale su questo punto ha indubbiamente codificato principî di diritto consuetudinario universalmente riconosciuti, vieta nell'art. 28 di abbandonare al saccheggio una città o località anche se presa d'assalto e nell'art. 47, a proposito dell'occupazione militare di territorio nemico, sancisce: "Il saccheggio è formalmente proibito".
Tali divieti trovano le loro ragioni in evidenti esigenze di disciplina, di onore militare, di regolamentazione delle operazioni belliche, mentre in altri tempi la pratica della guerra consentiva ai capi militari di promettere ai loro soldati il saccheggio quale premio della conquista di una città assediata e non mancavano scrittori che consideravano come lecito tale fatto soprattutto a titolo di rappresaglia. Napoleone diceva: "La politique est parfaitement d'accord avec la morale pour s'opposer au pillage. Rien n'est plus propre à désorganiser et à perdre tout-à-fait une armée. Un soldat n'a plus de discipline dès qu'il peut piller". Il divieto del saccheggio è, d'altra parte, implicito nel riconoscimento del rispetto della proprietà privata nel territorio oggetto di occupazione bellica. La già menzionata convenzione dell'Aia sancisce nell'art. 46 l'obbligo di rispettare la proprietà privata, il divieto di confiscarla. Le requisizioni in natura sono dall'art. 52 subordinate alle risorse del paese, alla necessità di provvedere ai bisogni dell'esercito occupante, all'autorizzazione del comandante, al pagamento di indennizzi.
Tuttavia non sono mancati anche in età più recente casi, più o meno manifesti e confessati, di saccheggio. La scusa delle rappresaglie, cioè dell'autorizzata violazione della norma di diritto internazionale che vieta il saccheggio, quale risposta e reazione contro altre infrazioni commesse dal nemico, è stata anche nella guerra mondiale invocata per giustificare atti di depredazione, che la morale e l'umanità condannano, suscitando proteste e discussioni sulla liceità del fatto, sia pure commesso a titolo di rappresaglia.
Bibl.: Per il diritto penale: C. Saltelli e E. Romano di Falco, Commento teorico-pratico del nuovo codice penale, II, Roma 1930, parte 1ª, pp. 149-50; 490-95; V. Manzini, Commento ai codici penali militari, I, Torino 1916, pp. 627-30; P. Di Vico, Diritto penale militare, 2ª ed., Milano 1917, p. 323.
Per il diritto internazionale: P. Fauchille, Traité de droit international public, 8ª ed., II, Parigi 1922 segg., pp. 125, 238 seg.; K. Strupp, Das internationale Landkriegsrecht, Francoforte s. M. 1914, pp. 28, 104 seg.; G. Kirchenheim, in Wörterbuch des Völkerrechts, Berlino 1925, II, pp. 277-78; J. Bluntschli, Le droit international codifié, trad. di C. Lardy, Parigi 1895, p. 374.