SACRAMENTARIO
Il liber sacramentorum o sacramentorium, nel quale sono raccolte le orazioni recitate dall'officiante nel corso della messa, è il più importante testo liturgico della tradizione cristiana. La storia di questo libro e quella della sua principale derivazione, il messale, conservano il riflesso delle molte trasformazioni che investirono nell'Alto Medioevo la liturgia eucaristica.Contrariamente a quanto si è ritenuto in passato, la canonizzazione del rito latino ebbe inizio piuttosto tardi. Prima di questa fase, il panorama religioso dell'Europa cristiana sembra caratterizzato da una grande varietà di testi e pratiche rituali. La stabilizzazione delle formule e dei gesti che intervenne nell'Alto Medioevo è legata alla crescente influenza della Chiesa romana.Le più antiche testimonianze documentarie relative agli usi della città di Roma e della regione limitrofa rivelano che, sino alla fine del sec. 6°, la liturgia romana non prevedeva l'uso di un libro espressamente compilato per il celebrante. È assai probabile che in questa fase la trasmissione dei formulari fosse affidata in massima parte alla tradizione orale (Chavasse, 1993).La trascrizione delle formule eucologiche e delle prescrizioni rituali della messa romana prese avvio quasi certamente nel sec. 7°, in un momento particolarmente travagliato per la storia della città. I rivolgimenti politici e la forte presenza straniera - soprattutto greca - che caratterizzarono questo periodo determinarono un notevole abbassamento nel livello d'istruzione del clero locale. Ciò rese necessaria la compilazione di un prontuario che raccogliesse ordinatamente le preghiere e gli usi liturgici propri del celebrante, nelle due forme della prassi rituale normalmente in uso nella città: quella direttamente legata alla persona del pontefice e quella normalmente praticata nelle parrocchie suburbicane. Da questo complesso lavoro di sistemazione sarebbero scaturiti - in epoca pressoché contemporanea - i due assi testuali della tradizione liturgica altomedievale: il s. gelasiano e il s. gregoriano. La storia successiva di queste due collezioni - nate a Roma ma precocemente trasferite al di là delle Alpi - riflette il progressivo adattamento di questi formulari ai riti e agli spazi cultuali delle chiese non romane.Il più antico dei libri liturgici romani adottati nell'area transalpina è il s. tradizionalmente attribuito a papa Gelasio I (492-496). Si tratta in realtà di una raccolta non anteriore alla metà del sec. 7°, destinata all'uso delle parrocchie esterne al circuito delle chiese stazionali, attraverso le quali si snodava nel corso dell'anno il cerimoniale delle messe papali.Il testo, noto solo grazie ad alcune copie francesi della seconda metà del sec. 8°, era suddiviso in tre libri, rispettivamente dedicati ai formulari del temporale - ordinati secondo il ciclo dell'anno liturgico, svolto da Natale a Pentecoste - alle "orationes et praeces de nataliciis sanctorum" e alle "orationes et praeces cum canone per dominicis diebus". Il testimone più rappresentativo di questa edizione è un manoscritto prodotto all'interno del monastero femminile di Chelles, nella regione parigina, intorno alla metà del sec. 8° (Bischoff, 1966). Il codice, attualmente diviso in due sezioni (Roma, BAV, Reg. lat. 316, cc. 1-245; Parigi, BN, lat. 7193, cc. 41-56), presenta una struttura interna molto diversa da quella che distinse, alcuni secoli più tardi, i libri della messa. Il volume, intitolato Liber sacramentorum Romanae ecclesiae ordinis anni circuli, è dotato di tre grandi frontespizi a doppia pagina che introducono le tre sezioni del testo. La formula decorativa, identica in tutti e tre i libri, mostra una grande croce gemmata racchiusa all'interno di un'edicola; nella pagina a fronte il signum crucis accompagna l'incipit di ciascuna sezione vergato in lettere maiuscole vivacemente toccate a colore. L'assetto grafico e gli ornati del codice vaticano riflettono il repertorio animalistico - di lontana matrice mediterranea - che distingue la produzione di lusso degli scriptoria merovingi. Forme assai prossime a quelle del s. vaticano caratterizzano, per es., il testo delle Quaestiones in Eptateuchon di s. Agostino, copiato nella seconda metà del sec. 8° a Laon (Parigi, BN, lat. 12168). Il codice manca inoltre di un Leitmotiv che divenne una costante nel repertorio decorativo di s. e messali: i grandi monogrammi che segnalano l'inizio e il culmine della preghiera eucaristica, in corrispondenza delle formule Vere dignum (et iustum est) e Te igitur. Caratteri stilistici non dissimili da quelli del codice vaticano presentano i più antichi testimoni di alcune tradizioni liturgiche regionali, il Missale Gallicanum Vetus (Roma, BAV, Pal. lat. 493; Bierbrauer, 1992c), copiato in un'officina grafica della Francia centrosettentrionale nella seconda metà del sec. 8°, e il Missale Gothicum (Roma, BAV, Reg. lat. 317), prodotto a Luxeuil intorno al 700 (Mohlberg, 1961).La diffusione del gelasiano antico precedette di qualche decennio il primo concreto tentativo di 'romanizzare' in modo sistematico la liturgia franca (Deshusses, 1971-1982, I) promosso da Pipino il Breve (751-768) poco dopo la metà dell'8° secolo. Il frutto di questa nuova revisione dei formulari presbiteriali d'importazione romana è concordemente identificato in una seconda edizione del s. gelasiano, denominata gelasiano-franca o gelasiana dell'8° secolo.
La principale differenza che distingue questa nuova versione del gelasiano è l'inserimento di alcune formule cerimoniali derivate dal repertorio gallicano: il rituale delle ordinazioni dei gradi minori, la consacrazione delle vergini, la dedicazione degli altari, la benedizione dell'acqua battesimale e quella del cero pasquale. L'esemplare più noto di questa generazione è il s. (Parigi, BN, lat. 12048) composto per l'uso di un monastero della diocesi di Meaux intorno al 790-795, ma precocemente trasferito a Gellone (od. Saint-Guilhem-du-Désert, dip. Hérault; Teyssèdre, 1959). Rispetto ai gelasiani antichi, il s. di Gellone rivela una struttura compositiva più articolata. Il testo si presenta suddiviso in due grandi sezioni tematiche, la prima delle quali riservata ai formulari combinati del temporale e del santorale. Nella seconda parte si concentrano invece rituali e benedictiones di pertinenza episcopale. La veste grafica di questo s. conserva le forme d'apparato che accomunano le edizioni patristiche e i s. di scuola merovingia (Mütherich, 1989). Il vivace repertorio zoomorfo che movimenta la pagina è occasionalmente arricchito da qualche figurina di santo. La caratterizzazione liturgica del manoscritto affiora in forma più decisa solo nella disposizione grafica che distingue per la prima volta il canon missae (c. 143v), dove la formula dell'invocazione Te igitur è segnalata da una grande iniziale figurata con l'immagine del Cristo crocifisso.A pochi anni dalla sistemazione che ne aveva definitivamente adattato la struttura agli usi della Chiesa franca, la collezione gelasiana si trovò a competere con la nuova edizione 'gregoriana' del s. imposta da Carlo Magno. Il contenuto dei nuovi s. carolini fu elaborato presso la corte, a partire da un manoscritto che il sovrano aveva espressamente richiesto al pontefice. Il volume, che si pretendeva esemplato sul modello del s. utilizzato da s. Gregorio Magno, era conservato presso la biblioteca palatina di Aquisgrana. Il codice inviato da Adriano I (772-795) a Carlo Magno tra il 784 e il 791, il c.d. Hadrianum, è sfortunatamente disperso; se ne conserva però un esemplare molto prossimo all'originale nel s. compilato per Ildoardo, vescovo di Cambrai (811-812; Cambrai, Médiathèque Mun., 164). Le copie che recano il titolo In nomine domini hoc sacramentorium de circulo anni expositum a sancto Gregorio papa Romano editum ex authentico libro bibliothecae cubiculi scriptum furono all'origine del grande progetto di unificazione liturgica messo in opera da Carlo Magno negli ultimi anni dell'8° secolo. Il venerando cimelio che Adriano I aveva faticosamente esumato dagli armaria del Laterano - pur senza rimontare a Gregorio Magno (Deshusses, 1986) - conteneva solo i formulari della liturgia stazionale strettamente riservata al pontefice e difficilmente poteva sopperire alle normali attività del capo di una diocesi. Tale inconveniente rese indispensabile la stesura di un supplemento integrativo, nel quale trovarono spazio le formule eucologiche di alcune messe votive, riti di ordinazione e benedizionali ricavati dalla collezione gelasiana: tra questi l'Exultet (v.). Da quest'edizione mista, composta quasi certamente da Benedetto di Aniane (Deshusses, 1972) - ma lungamente attribuita ad Alcuino -, ebbe origine, poco meno di due secoli più tardi, il messale.Il relativo assestamento testuale che intervenne in epoca carolingia favorì la comparsa delle prime copie illustrate. Tra i s. prodotti in questo periodo si annoverano alcune delle testimonianze più alte della miniatura carolingia. Sebbene risulti caratterizzato da un discreto numero di varianti, il ciclo del s. rivela per molti aspetti i connotati di una vera e propria edizione illustrata. Lo dimostra il frontespizio del s. dell'incoronazione di Carlo il Calvo (Parigi, BN, lat. 1141, c. 1v). Il manoscritto, prodotto verso l'869 e dotato di un corredo illustrativo assolutamente eccezionale, presenta un'interessante immagine di s. Gregorio raffigurato mentre detta ai copisti il testo del s. che porta il suo nome.La compagine iconografica che forma il ciclo del s. ha fonti diverse. A una selezione più o meno vasta di scene evangeliche che scandiscono le principali festività dell'anno si accompagnano spesso immagini di contenuto più squisitamente liturgico. L'esemplare più rappresentativo di questo gruppo si riconosce nel s. di Marmoutier (Metz, 850 ca.; Reynolds, 1971), che conserva una delle più antiche illustrazioni dell'ordo per la consacrazione dei gradi minori (Autun, Bibl. mun., lat. 19 bis). Una grande attenzione al contenuto simbolico del testo rivela anche lo straordinario corpus di iniziali istoriate che orna il s. realizzato per Drogone, vescovo di Metz, intorno alla metà del sec. 9° (Parigi, BN, 9428). Il codice conserva, tra l'altro, un esempio precocissimo di una soluzione grafica destinata ad avere una grande fortuna nella tradizione manoscritta del messale: il formulario della preghiera eucaristica - sistemato in testa al volume - è scandito da una coppia di iniziali a piena pagina, che segnano rispettivamente l'incipit della Praefatio (Vere Dignum) e quello dell'intercessione (Te igitur). Le due vignette affrontate con l'agnello e l'altare unite dalla grande lettera miniata che apre il canon missae (c. 14v) tradiscono un'evidente allusione al sacrificio eucaristico. Questo sofisticato motivo iconografico riflette quasi certamente l'impronta degli scritti teologici di Amalario di Metz (780-850 ca.; Calkins, 1986).L'enfatizzazione grafica del canon missae che compare per la prima volta nei s. carolingi potrebbe dipendere dalla mise en page dei libelli missae che assicurarono per lungo tempo la trasmissione di questo testo. Nel 735 un rotulo con il testo del canon missae, munito delle indicazioni per i segni di croce da effettuare durante la lettura, fu inviato da papa Zaccaria a s. Bonifacio (MGH. Epist., III, 1892, p. 372). L'ipotesi di una lunga trasmissione su rotulo di parti più o meno consistenti del testo potrebbe spiegare la persistenza del formato oblungo e l'impaginazione a una sola colonna che caratterizzò a lungo l'assetto grafico dei s. (Bischoff, 1985; Gy, 1990).La grande germinazione figurativa dei s. carolingi trovò eco, verso la fine del sec. 10°, in un gruppo di codici prodotti all'interno dello scriptorium di Fulda (Palazzo, 1994). La recensione iconografica che accomuna questa piccola compagine di manoscritti segna in qualche modo l'apogeo nell'edizione illustrata del sacramentario. Alle scene cristologiche e rituali dei cicli carolingi i s. di Fulda associano immagini ricavate dai calendari e una sequenza più o meno numerosa di martirî di santi. Il frontespizio del codice di Gottinga (Niedersächsische Staats- und Universitätsbibl., 2 Theol. 231 Cim., c. 1v) sintetizza in modo particolarmente efficace le ambizioni enciclopediche di questa recensione illustrata. La composizione è articolata su tre registri. Nella fascia più alta dell'immagine si dispongono le prefigurazioni veterotestamentarie del sacrificio eucaristico, riconoscibili nelle offerte di Abele, Abramo e Melchisedec. Al centro spiccano le due figure degli autori, Gelasio e Gregorio Magno, che tornano poco più in basso all'interno di una scena allegorica di non facile interpretazione (Mayr-Harting, 1991).La fine del sec. 10° segnò un ulteriore passaggio nell'evoluzione testuale dei libri della messa. Sino a questo periodo, i s. comprendevano al loro interno solo le orazioni pronunciate dal celebrante; i testi delle letture e delle parti cantate che animano la sinassi eucaristica erano generalmente trascritti in volumi separati. A partire dal sec. 11° nei s. cominciarono ad apparire anche queste sezioni, in un primo momento in forma giustapposta o come semplici richiami mnemonici di poche righe, poi nella forma estesa che individua il testo del messale. La rimodulazione interna che interessò i libri della messa comportò una drastica riduzione delle sequenze decorative. Il grande ciclo con scene evangeliche e immagini di santi che orna il messale donato da Roberto di Jumièges all'abbazia normanna poco dopo la sua elezione a vescovo di Londra (Rouen, Bibl. Mun., 274, già Y. 6, c. 1020) rappresenta, sotto questo profilo, quasi un anacronismo (Temple, 1976).I messali romanici e tardomedievali hanno una veste grafica piuttosto sobria. Il corredo illustrativo di questi manoscritti è spesso limitato alle sole immagini di dedica e ai due monogrammi che segnalano - al centro del volume - il canon missae. Quest'appendice ospita di frequente vignette di forte contenuto simbolico, come l'allegoria sacerdotale annidata nel Vere dignum di un s. siciliano del primo sec. 13° (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, 18, c. 66r; Maiezza, 1995). Altrettanto comune si rivela la presenza della Crocifissione, generalmente sovrapposta o associata al monogramma dell'intercessione Te igitur. Alla grande fortuna di questo tema in epoca tardoromanica e gotica (Parigi, BN, lat. 861, c. 147v; 1314-1328; Avril, 1978) potrebbe avere contribuito l'esegesi liturgica, come rivela un interessante brano del Mitrale (III, 6; PL, CCXIII, col. 124) di Sicardo vescovo di Cremona (1185-1215; Suntrup, 1980).Queste tarde speculazioni dottrinali - che sono piuttosto comuni nella letteratura di questo periodo - riverberano, a distanza di secoli, le molte suggestioni di un testo ormai desolatamente spoglio, che sembra avere esaurito la grande parabola figurativa dell'Alto Medioevo.
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