sacro
Compare solo nella Commedia e, nella sua accezione fondamentale, è riferito alla sfera religiosa. In If XXVII 91 [Bonifacio VIII] né sommo officio né ordini sacri / guardò in sé, è nominato uno dei sette sacramenti della Chiesa: l'uso del plurale può essere inteso come un'allusione alla pluralità dei gradi gerarchici che costituiscono il sacramento dell'ordine, cioè a un problema ampiamente discusso dalla scolastica (v., ad es., Tommaso Sum. theol. Suppl. 37 3c " Respondeo dicendum quod... sunt tres tantum ordines sacri: scilicet sacerdos; et diaconus... et subdiaconus "). Alla stessa accezione si riallacciano anche gli esempi di Pd III 114 le sacre bende, " il velo monacale ", e di XII 62 al sacro fonte, " al fonte battesimale ".
D'altra parte, ciò che è s., pur se non lo si voglia considerare inviolabile, richiede un particolare atteggiamento di riverenza e di ossequio: Bonifacio VIII, che non ha riguardo alla dignità degli ordini sacri conferitigli, Costanza d'Altavilla, che si vede strappata di capo l'ombra de le sacre bende sono quindi reo, l'uno, e vittima, l'altra, di una violazione a una legge sacrale, che l'aggettivo s. vuole, appunto, richiamare alla memoria.
All'idea del compimento di un rito santificante si collega anche un secondo gruppo di esempi, nei quali però il valore dell'aggettivo non è così specificatamente tecnico come accade in quelli ora esaminati. Poema sacro (Pd XXV 1) è la Commedia, " imperò che tratta di materia santa " (Buti); l'accento, nota il Mattalia, batte sull'ispirazione del sacrato poema (XXIII 62): ma non è senza significato, anche agli effetti della ricostruzione del valore semantico del vocabolo, che questo glorioso prologo interno della terza cantica si concluda proprio con l'accenno al fonte / del... battesmo (vv. 8-9) del poeta. Riti santificanti sono anche quelli che si compiono sul sacro monte (Pg XIX 38) del Purgatorio, dal momento in cui l'angelo ne apre la regge sacra (IX 134) per D. a quando questi giunge alle rive del Lete, il fiume sacro (XXXI 1). Anzi, l'idea di una santità progressivamente acquisita a mano a mano che D. procede per il secondo regno (I 4) è suggerita proprio dall'alternarsi, nell'uso, di s. con ‛ santo ', con cui viene semanticamente a coincidere: sacro monte, il Purgatorio, quando D. si trova ancora sulle soglie del quarto girone, ma santo (XXVIII 12) per chi, avendolo salito tutto, ha acquistato ormai la piena libertà e integrità spirituale. Con pari altezza poetica al fiume sacro del Lete si contrappone la santissima onda (XXXIII 142) dell'Eunoè. Si aggiungano tre esempi del Paradiso: sacro amore (XV 64), cioè ardor santo (VII 74) di carità, è quello di Cacciaguida per il poeta; a lui s. Pier Damiano appare come una sacra lucerna (XXI 73), così come Carlo Martello gli si era rivelato per lume santo (IX 7); santa è la simbolica scala di luce del cielo di Saturno (XXI 64), sacre scalee (XXXII 21) i gradini della mistica rosa.
La stessa ambivalenza, che è ricchezza concettuale, è assunta dall'aggettivo quando è riferito all'aquila imperiale, insegna del popolo santo (Cv IV IV 10) dei Romani. Dice Giustiniano: l'uccel di Dio / ... sotto l'ombra de le sacre penne / governò 'l mondo (Pd VI 7). Qui l'immagine è forse suggerita dall'auctoritas biblica (Ps. 16, 8 " sub umbra alarum tuarum protege me "); ma la complessità del valore dell'aggettivo appare più chiara allorquando si ricorda che altrove l'aquila è detta il sacrosanto segno (v. 32) o il benedetto segno (XX 86) perché fé i Romani al mondo reverendi (XIX 102), e vereor in latino esprime appunto un timore legato alla venerazione e al rispetto.
A una complessa questione esegetica ha offerto occasione il passo di Pg XXII 40 Per che [nella '21: Perché] non reggi tu, o sacra fame / de l'oro, l'appetito de' mortali?, che D. traduce dal virgiliano " quid non mortalia pectora cogis, / auri sacra fames! " (Aen. III 56-57).
I termini del problema sono ben noti, e li chiarì esaurientemente F. D'Ovidio (Sette chiose alla Commedia, in " Studi d. " VII [1923] 66-80). Il passo di Virgilio, compreso nell'episodio dell'uccisione di Polidoro per opera di Polimestore, è una chiarissima invettiva contro l'avarizia (" A qualieccessi non spingi tu, maledetta brama dell'oro, gli animi umani? "). Poiché parve poco plausibile che Stazio fosse stato indotto a correggersi del vizio della prodigalità da un grido di orrore contro un delitto compiuto per avarizia, un primo gruppo d'interpreti (i quali tutti accolgono la lezione accettata dalla '21) suppone che D. o citasse a memoria, sbagliando, o utilizzasse o ricordasse un testo che autorizzava a siffatta traduzione, o fraintendesse il senso del verso virgiliano. A queste ipotesi accedono, fra gl'interpreti più recenti, Casini-Barbi, Scartazzini-Vandelli, D'Ovidio (nello studio già citato), Pietrobono, Mattalia, Chimenz, Fallani, le cui interpretazioni, pur divergendo nei particolari (specie per il valore da darsi al verbo reggi quale traduzione del latino " cogis "), attribuiscono tutte a sacra il significato di " santa ", " giusta ", collegandosi così alle chiose del Lana (" ‛ oi humana natura perché no reggi tu ', çoè perché no osservi tu la sacra fame de l'oro, çoè lo vertuoso apetito delle richeçe; quasi a dire: ‛ tu non hai fame sacra d'oro e di richeçe, e perçò le giti via '. E nota ch'el dixe ‛ sacra ', çoè che s'ello s'abandonasse troppo in lei ella non serave altro che avarizia "), e a quella più perspicua del Buti (" così fa ora lo nostro autore, dicendo: o sacra fame Dell'oro; cioè o santo desiderio dell'oro: allora è santo lo desiderio dell'oro, quando sta nel mezzo e non passa ne l'estremi "). Per questi interpreti, insomma, il passo di D. dovrebbe significare " perché non sei tu, sacra, giusta e misurata brama dell'oro a governare l'appetito dei mortali (sì l'altra, la smisurata fame...) " (Mattalia), oppure " perché non freni tu gli appetiti umani, o giusto desiderio della ricchezza? " (Fallani). Cfr. anche la recensione di A. Mancini a uno studio di G. Pisani, in " Bull. " XIV (1907) 226-227.
Un secondo gruppo d'interpreti (Steiner, Grabher, Sapegno, Petrocchi [ad l.]) accolgono l'emendamento Per che proposto da F. Rosa Morando e ritengono, con il Serravalle (" Quid, idest, cur, o detestabilis appetitus habendi... ") che sacra conservi il valore di " esecrenda " che ha nel testo di Virgilio. La parafrasi dantesca andrebbe pertanto intesa così: " per quali opere, a quali malvagità, non conduci tu, o esecranda fame dell'oro, l'appetito dei mortali? " (Sapegno). Sostanzialmente identica è la spiegazione del Lombardi (" A che mai osare ed attentare non trasporti l'umana ingordigia, o empia ed esecranda fame dell'oro! "), che però accoglieva nel testo la variante A che invece di Per che.