SAINT-CYRAN, Jean du Vergier de Hauranne, abate di
Nacque a Bayonne (Paesi Baschi) nel 1581; recatosi a studiare teologia all'università di Lovanio, ove fu assai apprezzato da Giusto Lipsio, sostenne la sua tesi il 26 aprile 1604. Non è certissimo che già a Lovanio, e non piuttosto a Parigi, S.-C. entrasse in rapporti con Cornelio Giansenio. Certamente a Parigi dal 1604 al 1610 e a Bayonne dal 1611 al 1613-1614 i rapporti fra i due furono continui e strettissimi, rivolti all'indagine dell'antichità cristiana (soprattutto di S. Agostino) e all'elaborazione di un piano di riforma religiosa (il famoso Pilmot), di cui è traccia anche nella corrispondenza scambiata fra loro dal 1617 al 1635 e che era intesa a rafforzare i poteri degli ordinarî contro quelli degli ordini regolari (e specialmente della Compagnia di Gesù) e a restaurare l'agostinismo. Ma oggi appare certo che alla elaborazione delle idee ispiratrici dell'Augustinus di Giansenio, S.-C. è rimasto totalmente estraneo sia a Parigi sia a Bayonne e ne ha avuta la prima vaga notizia da Giansenio stesso in una lettera del 6 marzo 1621. Nel 1614 Giansenio fece ritorno in Fiandra, mentre S.-C., ricevuta l'ordinazione da Bertrand d'Eschaux, seguì costui a Tours quando questo prelato ne fu nominato arcivescovo. Recatosi quindi a Poitiers e legatosi col cardinale Pierre de Bérulle, fu dall'arcivescovo di Poitiers nominato prima gran vicario di Poitiers, quindi (1620) abate dell'abbazia di Saint-Cyran nel Berry. A Poitiers S.-C. conobbe altresì Richelieu, allora vescovo di Luçon, e fece amicizia con Robert Arnauld d'Andilly, amicizia che doveva a poco a poco estendersi a tutti i membri della famiglia Arnauld. Nominato (1630) dalla regina Maria de' Medici vescovo di Bayonne, si vide privato del beneficio dalla famosa journée des dupes, che annullò, col potere della regina, la nomina da lei fatta: quando Richelieu fece offrire nuovamente il vescovato a S.-C., questi riflutò. Nel 1633 S.-C., invitato da Sebastiano Zamet, cominciò a interessarsi di Port-Royal a proposito della faccenda dello chapelet secret. A poco a poco l'autorità di S.-C. su Port-Royal andò aumentando, al punto che nel 1638 lo Zamet dovette abbandonare la direzione effettiva dell'istituto e ritornarsene nella sua sede episcopale di Langres non senza prima avere indirizzato a Richelieu una dura memoria contro S.-C., memoria che dovette essere il motivo non ultimo dell'arresto di S.-C., ordinato, per volere di Richelieu, dal segretario di stato di Noyers con lettera del 2 maggio 1638. Imprigionato a Vincennes e accusato di "mauvaises maximes" e di "fausse doctrine", S.-C. fu sottoposto a duro e lungo processo, durante il quale testimoniò a suo favore lo stesso S. Vincenzo de' Paoli. Solo dopo la morte di Richelieu, S.-C. fu messo in libertà, il 6 febbraio 1643, tre anni dopo la pubblicazione dell'Augnstinus, avvenuta a Lovanio nel 1640 mentre S.-C. era in prigione. Tutto lascia credere (anche se i limiti di questa collaborazione non debbano esser ritenuti così ampli come si è da taluni pensato) che S.-C. abbia fornito idee e documentazione ad Antonio Arnauld per il suo libro su La fréquente communion che rappresenta il vero punto di partenza della polemica giansenista: questa scoppia in tutto il suo fragore dopo la morte di S-C., avvenuta a Parigi l'11 ottobre 1643.
Personalità complessa e non sempre chiara, l'abate di S.-C. è stato giudicato nel modo più diverso, contraddittorio e partigiano, soprattutto con riguardo alla sua posizione nella storia del movimento giansenista. Il Bremond, troppo equilibrato e freddo anatomizzatore per comprendere sempre a pieno anime non tagliate sulla sua misura, ha ritenuto di poter porre a base della personalità di S.-C. una forma nevrotica caratterizzata da megalomania morbida e da atassia intellettuale. Ma se questa diagnosi medico-psicologica difetta di penetrazione, non si può dire lo stesso di alcune circostanze di fatto illustrate egualmente dal Bremond, le quali possono essere invocate per un più obiettivo collocamento del S.-C. nel quadro della polemica giansenista. Il S.-C. fu estraneo, di fatto, all'elaborazione dell'Augustinus e del resto, nonostante la sua adesione esteriore al libro di Giansenio, lo stesso intimo mondo spirituale di lui, anima istintivamente religiosa, ma confuso temperamento di erudito e niente affatto temperamento di intellettuale e di teologo - come fu invece Giansenio - induce a vederlo più al rimorchio che in armonia con le idee espresse dall'Augustinus. Il S.-C. fu partigiano di una riforma religiosa che per molti tratti è comune aspirazione di parecchie correnti della Controriforma cattolica. E del resto egli, morto prima che la polemica giansenista prendesse corpo e desse così vita a un preciso movimento, fu religiosamente più vicino all'"umanismo devoto" sul tipo di S. Francesco di Sales che al rigorismo giansenista e inclinato se mai per istinto verso una forma di cristianesimo interiore, di individualismo mistico, asacramentario (in quanto i sacramenti rappresentano i canali ufficiali e prescritti della Grazia); fu ricco di una vita interiore nella quale si faceva largo posto alle attività dello spirito affinché l'anima si presentasse "flessibile" alle ispirazioni della grazia divina. "La setta giansenista non realizza in alcun modo il pensiero religioso di S.-C., il quale ha tutt'al più creato un ambiente, un'atmosfera propizia al movimento che stava per diffondersi". Queste le conclusioni del Bremond. Ma può sembrare che a questo giudizio presieda una concezione troppo stilizzata del giansenismo, che anche come movimento concreto, non può essere conchiuso o esaurito nelle formule che furono oggetto della polemica, ma è più genericamente un atteggiamento di fronte al cristianesimo e, in generale al fatto religioso, atteggiamento a cui l'abate di S.-C., vero plasmatore spirituale dell'ambiente che doveva esser centro del movimento giansenista, Port-Royal, non rimase certamente del tutto estraneo.
Bibl.: Un buon elenco delle opere di S.-C. (fra le quali si ricordano il Petrus Aurelius, Parigi 1632-33, fondamentale per intendere il programma riformatore di S.-C., e le Lettres chrétiennes et spirituelles, ivi 1645) e un'ampia per quanto farraginosa bibliografia, nell'articolo (tendenzioso nella sostanza e da usarsi con molta cautela) di C. Constantin, in Dictionn. de théol. cathol., IV, coll. 1967-1975. La migliore opera d'insieme è ancora J. Laferrière, Étude sur J. D. de H., Lovanio 1912. V. inoltre H. Bremond, Hist. litt. du sentiment religieux en France, IV, ii, Parigi 1929, pp. 36-175 e, per i rapporti con Port-Royal, C. Gazier, Hist. du monastère de Port-Royal, Parigi 1929, passim.