SAINT-GERMAIN en Laye (A. T., 30-31)
Graziosa cittadina dei dintorni di Parigi, capoluogo di cantone nel dipartimento di Seine-et-Oise con 21.996 ab. (1931). È in bella posizione sulla riva sinistra della Senna, circondata a N. e NO. dalla foresta omonima che non è che una parte di quell'immensa zona di foreste a cui appartengono anche quelle d'Orléans, di Rambouillet, di Montargis. Per il suo ottimo clima e la magnifica passeggiata da cui si gode un incantevole panorama sulla valle della Senna costituisce un soggiorno assai gradito per i Parigini. Ha scuole primarie e un interessante museo.
Per le comunicazioni è ottimamente servita da alcune importanti linee della rete dello stato.
Monumenti. - Il castello attuale risale, nella sua parte più antica, a Francesco I, che, desiderando edificarsi una residenza nello stile del tempo, nel 1535 fece abbattere tutte le costruzioni esistenti salvo la cappella e il torrione, ma si valse delle fondamenta medievali. Il nuovo castello costruito da Pierre Chambiges ha la stessa pianta del castello primitivo: una corte a pianta pentagonale irregolare, circondata di costruzioni su tutti i lati; fu coperto di terrazza all'italiana, splendido belvedere, da cui si poteva scorgere tutta la foresta. La terrazza era cinta da una balaustrata, con vasi in pietra scolpita e a sua volta posava su una vòlta gotica, puntellata da contrafforti; nell'insieme si mescolava l'arte di due epoche.
Qualche anno dopo, Enrico II iniziò la costruzione su disegni di Philibert de l'Orme, di un nuovo castello che, in contrapposto a quello di Francesco I, prese il nome di Castello Nuovo. Questo non fu terminato che sotto Enrico IV: era un palazzo sontuoso nello stile italiano, eretto da J.-B. Androuet du Cerceau e J. de Fourcy, con un giardino, costituito da una successione di terrazze e di scalinate che scendeva sino alla Senna: ma, abbandonato dopo Luigi XIV, fu poi demolito nel 1777 e ne restano solo i due padiglioni cosiddetti di Enrico IV e di Sully. Il Castello Vecchio, restaurato fra il 1862 e il 1902, dai tempi di Napoleone III è sede del museo delle antichità nazionali di Francia (preistoriche, celtiche e galloromane). Vi si notano soprattutto i calchi dei principali monumenti romani della Gallia. La terrazza del castello, tracciata nel 1676 da Le-Notre sul limitare della foresta, domina un vastissimo paesaggio ed è uno dei luoghi più degni di nota dei sobborghi parigini.
Storia. - La città si fa risalire a una cappella dedicata a S. Germano, e a una dimora reale di Luigi VI di cui si ha ricordo nel sec. XII e che fu ricostruita sotto Luigi IX. Attaccata dagl'Inglesi nel 1346, bruciata come altre località della medesima regione, Saint-Germain declinò sino a quando Carlo V non le consacrò le sue cure: ma nel 1419 gl'Inglesi rinnovarono le stesse gesta e la fine della guerra dei Cento anni fu dolorosa per Saint-Gemmain. Luigi XI se ne disinteressò. Il favore regio le ritornò con Carlo VIII, Luigi XII e specialmente Francesco I. Enrico IV vi soggiornò volentieri. Luigi XIV finì per interessarsene meno, e per qualche tempo vi abitò la Vallière. Il castello divenne la dimora della corte giacobita scacciata dall'Inghilterra dalla rivoluzione del 1689. Varî trattati sono stati firmati a Saint-Germain nei secoli XVI e XVII: il 16 novembre 1594, tra Enrico IV e Carlo III, duca di Lorena; il 29 marzo 1632 tra Luigi XIII e Carlo I d'Inghilterra per la restituzione alla Francia dell'Acadia e del Canada; il 27 novembre 1635 tra Luigi XIII e Bernardo di Sassonia-Weimar per il mantenimento da parte della Francia di un corpo di 18.000 uomini. Il castello fu adoperato come scuola di cavalleria sotto il Primo Impero e, dopo le violenze degli Alleati nel 1812 e 1815, come caserma delle guardie del corpo di Luigi XVIII; poi divenne un penitenziario. Napoleone III, nel novembre 1862, creò il museo delle antichità nazionali, aperto nel 1867. L'agglomerazione urbana si è sviluppata con ritmo regolare. La città è unità a Parigi da una linea ferroviaria inaugurata il 21 agosto 1837.
Bibl.: G. Houdard, Les châteaux royaux de Saint-Germain-en-Laye, voll. 2, Parigi 1909 e 1912; P. Gruyer, Saint-Germain-en-Laye (Coll. Villes d'art), Parigi 1922; L. de la Tourrasse, Le Château Neuf de Saint-Germain-en-Laye, sa terrasse et ses grottes, in Gaz. des beaux-arts, 1924, I, pp. 68-95; A. Vera, La terrasse de Saint-Germain-en-Laye, in Urbanisme, 1932.
Il trattato di Saint-Germain-en-Laye.
È il trattato di pace firmato il 1° settembre 1919 fra le potenze alleate ed associate e l'Austria.
La dissoluzione dell'impero austro-ungarico era ormai un fatto compiuto, e alla conferenza della pace non rimaneva che fare la ripartizione dei territorî fra i varî stati sorti sulle rovine della monarchia asburgica. Compito irto di difficoltà. Anzitutto le varie nazionalità, ossessionate da ambizioni particolari e dalle preoccupazioni del futuro, senza curarsi dei confini etnografici, aspiravano a territorî che, per la posizione o per le importanti risorse agrarie o minerarie o per le vie commerciali, assicurassero l'indipendenza economica e politica. Così Polacchi e Cèchi rivendicavano violentemente il distretto di Teschen con le sue miniere di carbone; gli Iugoslavi contendevano all'Italia la Venezia Giulia, l'Istria, Fiume e la Dalmazia; Romeni e Serbi ambivano egualmente al banato di Temesvár; gli Iugoslavi combattevano non solo a parole, ma con le armi contro gli Austriaci per il bacino di Klagenfurt; i Romeni volevano impadronirsi di territorî puramente ungheresi.
In secondo luogo vi erano gl'interessi delle grandi potenze. Gli Americani desideravano una sistemazione duratura, e cioè che le frontiere seguissero in massima i confini etnografici, e fossero evitati nuovi irredentismi. E così guardarono con simpatia le nazionalità vinte: Austria e Ungheria. Con le loro vedute in massima coincisero quelle degl'Italiani. Ma i Francesi, e in minor grado gl'Inglesi, temendo che Austria e Ungheria diventassero uno strumento della Germania, vollero circondarle di stati abbastanza forti che impedissero qualsiasi ritorno offensivo tedesco. E così cercarono di assegnare alla Cecoslovacchia, alla Iugoslavia e alla Romania territorî che rendessero sicuri i confini, più facile l'indipendenza economica e possibili le comunicazioni dirette fra Cecoslovacchia e Romania, e magari fra Cecoslovacchia e Iugoslavia, a costo anche d'includere nei confini di questi stati nuclei compatti di Tedeschi e di Ungheresi.
Alla conferenza della pace, da principio si cominciò con l'esame di tutte le questioni, e gli stati minori furono invitati a esporre per iscritto le loro rivendicazioni, che poi venivano di nuovo ripetute e difese davanti al consiglio dei Dieci. Ma l'esperienza delle prime settimane dimostrò che quel metodo avrebbe richiesto molti mesi di lavoro, e specialmente per le questioni riguardanti la Germania, che attraevano l'attenzione maggiore. Quindi a incominciare dai primi di febbraio, lo studio della delimitazione delle frontiere fu affidato a commissioni apposite, composte di due delegati per ognuna delle cinque maggiori potenze: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia, Giappone. Le commissioni dovevano esaminare le rivendicazioni dei singoli stati, verificarne la fondatezza, discutere coi delegati di questi, e infine redigere un rapporto per il consiglio dei Dieci, le cui risoluzioni avrebbero dovuto poi formare la base dei futuri trattati. In febbraio, marzo e aprile queste commissioni svolsero un lavoro accurato e grandioso.
Intanto col procedere dei lavori si era giunti alla conclusione di non fare un unico trattato di pace, ma tanti quanti erano i paesi ex-nemici. Però così avvenne che, nonostante le insistenze della delegazione italiana, il primo ad esser pronto fu quello con la Germania, mentre per gli altri rimanevano ancora insolute alcune questioni fondamentali. Con tutto questo il 2 maggio 1919, mentre V. E. Orlando e S. Sonnino erano assenti da Parigi, gli altri Alleati, con l'intenzione appunto di premere indirettamente per il loro ritorno, per quanto il trattato non fosse pronto, invitarono il governo austriaco a inviare i proprî delegati per il 12 maggio. Questi, con a capo lo stesso cancelliere K. Renner, arrivarono il 14 maggio. Ma la questione del bacino di Klagenfurt, che la Iugoslavia reclamava con molta insistenza, e che la delegazione italiana con non minor energia difendeva a favore dell'Austria, impedì per tutto il mese di maggio la messa a punto del trattato, nonostante le vive insistenze della delegazione austriaca. Alla fine di maggio la Iugoslavia ricorre alla forza e le sue truppe combattono con quelle austriache; inoltre essa minaccia di non intervenire alla consegna del trattato. Questo, approvato nella seduta plenaria della conferenza del 31 maggio, il 2 giugno viene consegnato alla delegazione austriaca incompleto, perché all'ultimo momento era stato stralciato quanto si riferiva al plebiscito per Klagenfurt. Con una nota del 10 giugno, il Renner esponeva sinteticamente la grave situazione che si veniva a creare a danno dell'Austria col progettato schema di trattato; in seguito trasmise altre note e memorie accurate sulle singole questioni.
Richiamandosi ai 14 punti di Wilson protestò contro l'assegnazione all'Italia e alla Cecoslovacchia di territorî abitati da Tedeschi. Ma soprattutto sostenne, con una logica che apparve inoppugnabile anche a molti degli antichi avversarî, che la nuova Austria, amputata di tanti territorî, in realtà formava uno stato completamente nuovo, nato dalla rivoluzione del novembre 1918, e che non poteva essere punito e costretto ad assumere un debito di guerra e un conto riparazioni, obbligazioni contratte dal governo asburgico col quale non aveva alcun rapporto. Fra i varî eredi della caduta monarchia non era giusto imputare solo a due di essi la responsabilità e gli errori dell'antico impero. Anzi l'Austria ridotta, senza comunicazioni col mare, con una capitale che aveva quasi un terzo della popolazione dell'intero stato, si veniva a trovare in condizioni precarie di vita, e non si sarebbe salvata se non unendosi alla Germania. Ma la conferenza non tenne conto di queste osservazioni e considerò ugualmente l'Austria e l'Ungheria, come i successori del defunto impero e le trattò sotto questo aspetto come la Germania. Il 20 luglio fu consegnato alla delegazione austriaca il testo completo del trattato e furono concessi 10 giorni per formulare le osservazioni. Il Renner, come aveva già fatto precedentemente, si recò a Vienna per esaminarlo col suo governo; appena tornato chiese una proroga, che ottenne fino al 6 agosto. Il cancelliere presentò molte osservazioni e proposte, ma ben poche furono accolte. Il 2 settembre gli fu rimesso lo schema definitivo, con invito a dichiarare entro 5 giorni, se lo accettava o meno. Il I0 settembre avvenne la firma nel castello di Saint-Germain-en-Laye, insieme con quella dei protocolli aggiuntivi. Nell'ottobre l'Assemblea nazionale austriaca approvò il trattato, che andò in vigore il 16 luglio 1920, con lo scambio delle ratifiche.
Le disposizioni principali del trattato sono:
Parte I: Patto della Società delle nazioni. È lo stesso che nel trattato di Versailles.
Parte II: Frontiere dell'Austria. Rimanevano fuori di esse i territorî a sud e a ovest dello spartiacque alpino, che passavano all'Italia; la Bosnia, l'Erzegovina, la Croazia e gran parte della Dalmazia che passavano alla Iugoslavia; la Galizia, di cui non è fatta menzione, e che passava alla Polonia; la Bucovina, la Moravia, gran parte della Slesia austriaca, e parte della Bassa Austria assegnate alla Cecoslovacchia.
Parte III: Clausole politiche europee. Comprende gli obblighi, specie finanziarî del precedente Impero austro-ungarico verso l'Italia, la Iugoslavia, la Cecoslovacchia, la Romania; la protezione delle minoranze, le clausole relative alla cittadinanza, e altre clausole politiche verso alcuni paesi d'Europa. Gli art. 49-50 dispongono per il plebiscito nel bacino di Klagenfurt, che a tale scopo veniva diviso in due zone, una meridionale e una settentrionale. Se il plebiscito nella prima fosse stato favorevole alla Iugoslavia allora anche nella seconda zona vi sarebbe stato un plebiscito, se invece era favorevole all'Austria, questa avrebbe avuto senza plebiscito, anche la seconda zona. Il plebiscito ebbe luogo il 10 ottobre 1920 e fu favorevole all'Austria, che così tenne tutta la regione di Klagenfurt. L'art. 88, ripete le disposizioni dell'art. 80 del trattato di Versailles e cioè vieta all'Austria di alienare la sua indipendenza senza il consenso del consiglio della Società delle nazioni.
Parte IV: Interessi austriaci fuori d'Europa. Analogamente alle disposizioni del trattato di Versailles, è stabilita la rinuncia totale da parte dell'Austria alle proprietà mobili e immobili dello stato fuori d'Europa, e ai trattati, capitolazioni, concessioni, ecc., nel Marocco, Egitto, Siam e Cina.
Parte V: Clausole militari. Anche qui sono seguite le clausole analoghe del trattato di Versailles. Abolita la coscrizione, viene permesso un esercito a lunga ferma di 30.000 uomini, e vengono fissate le modalità del reclutamento, dell'istruzione, dell'inquadramento e dell'armamento. La flotta fu distribuita fra gli alleati, e all'Austria fu permesso di tenere alcune navi di guardia nelle acque interne. Le clausole aeree stabilivano che l'Austria non potesse avere aviazione militare.
Parte VI: Sanzioni contro gli Austriaci che avessero violato le leggi e convenzioni di guerra. Questa parte non fu mai eseguita.
Parte VII: Prigionieri di guerra e sepolture.
Parte VIII: Riparazioni. Con l'art. 177 l'Austria accettava la responsabilità per sé e per i suoi alleati delle perdite e dei danni causati ai sudditi dell'Intesa con la guerra. La commissione delle riparazioni avrebbe dovuto fissare la somma. Intanto l'Austria dovette consegnare la sua flotta commerciale e molte merci. La Cecoslovacchia, la Iugoslavia, la Polonia e la Romania dovevano contribuire alle spese sostenute dagli Alleati per la loro liberazione. In seguito tutta questa parte cadde.
Parte IX: Clausole finanziarie. Dovevano risolvere le questioni circa la distribuzione dei debiti prebellici e di quelli di guerra fra gli stati successori.
Parte X: Clausole economiche. Contiene le disposizioni sulle dogane, sul trattamento della navigazione, concorrenza, debiti, interessi, contratti, prescrizioni, ecc.
Parte XI: Navigazione aerea. Questa parte è quasi in tutto eguale a quella del trattato di Versailles.
Parte XII: Porti, Nie d'acque e ferrovie.
Parte XIII: Lavoro. Eguale a quella del trattato di Versailles.
A Saint-Germaïn lo stesso giorno furono firmati: a) protocolli e dichiarazioni speciali, circa le riparazioni da addebitarsi ai territorî che passavano all'Italia; b) i trattati con la Cecoslovacchia e la Iugoslavia per la protezione delle minoranze e per l'equo trattamento del commercio degli altri paesi. La delegazione iugoslava però non firmò questo trattato, e vi accedette solo il 4 dicembre 1919; c) la convenzione per la revisione dell'atto generale di Berlino (26 febbraio 1885) e di Bruxelles (2 luglio 1890); d) la convenzione sul regime delle bevande alcooliche in Africa; e) la convenzione relativa al controllo del commercio delle armi e munizioni.
Bibl.: A. Giannini, Trattati ed accordi per l'Europa Danubiana, Roma 1923; id., Trattati ed accordi per l'Oriente mediterraneo, Roma 1923; Temperley, History of the Peace Conference of Paris, Londra 1920-1923, IV e V; E. M. House e Ch. Seymour, What really happened at Paris, New York 1921, traduz. francese, Parigi 1923, cap. V; O. Bauer, Die österreichische Revolution, Vienna 1923; Gleise-Horstenau, Die Katastrophe. Die Zertrümmerung Österreich-Ungarns u. das Werden der Nachfolgestaaten, Vienna 1928, traduz. ital., Milano 1934.