SALADINO
. Forma italianizzata del laqab o soprannome onorifico arabo Ṣalāḥ ad-dīn ("integrità della religione"), sotto la quale (con lievi varianti finali, lat. Saladinus, fr. Saladin) l'Occidente cristiano conobbe il sultano ayyūbita d'Egitto Yūsuf ibn Ayyūb, noto tra i Musulmani anche col soprannome di al-Malik an-Nāṣir, fondatore della dinastia degli Ayyūbiti in Egitto e in Siria. Egli nacque da un emiro di stirpe curda a Takrīt nella Mesopotamia nel 532 eg., 1138 d. C., e fu allevato in Siria, a Baalbek e a Damasco, alla corte dell'atābek Zengide di Damasco Nūr ad-dīn (Norandino delle fonti occidentali). Nel 558/1163 accompagnò lo zio Shīrkūh, inviato da Nūr ad-dīn in Egitto, con un corpo di spedizione siro, per appoggiare Shāwar, visir del califfo fātimita al-‛Āḍid in lotta con un rivale; e colà, nella difesa di Bilbais, e quattro anni dopo, in una seconda campagna, fece le prime armi contro i Franchi capeggiati dal re Amalrico I di Gerusalemme, che dapprima sostenevano le parti del visir rivale di Shāwar, e poi minacciavano apertamente il califfato fāṭimida d'Egitto. Quando poi Shāwar stesso fu da S. fatto uccidere per avere tesa un'insidia a Shīrkūh, e questi, successo a Shāwar nel visirato, morì anche egli due mesi dopo, Saladino stesso fu scelto nel 1169 dal califfo quale suo visir.
Il giovane poco più che trentenne, e sino allora tenutosi con sincera modestia nell'ombra, spiegò subito, nell'alta carica a cui era asceso, eccezionali qualità amministrative e politiche, forse ancor più che militari. Repressa duramente l'insubordinazione dei mercenarî del califfo fāṭimida che si erano rivoltati contro il nuovo effettivo padrone d'Egitto, ebbe a fronteggiare l'immediata ostilità dei Franchi, giustamente allarmati della pericolosa potenza che con lui si profilava, a minaccia del regno cristiano di Gerusalemme. Ma, logoratasi nell'assedio di Damietta, l'offensiva delle forze collegate franco-bizantine falliva, e Saladino si consolidava in Egitto, e con la presa di Ailah sul Mar Rosso assicurava le comunicazioni tra l'Egitto e la Palestina e la Siria. Nel 567/1171 egli dava poi il colpo di grazia all'ultima parvenza del califfato fāṭimida d'Egitto facendo pronunziare la khuṭbah del venerdì al nome del califfo ortodosso ‛abbāside di Baghdād, e, con la morte subito seguita dell'ultimo fāṭimida al-‛Aḍid, si trovava padrone assoluto d'Egitto, solo formalmente vassallo del califfo di Baghdād, e stabiliva la dinastia che dal nome di suo padre Ayyūb fu detta dagli Ayyūbiti, e che nel ramo egiziano doveva colà durare sino al 1250.
Seguì un periodo di crescente tensione tra Saladino e il suo antico signore Nūr ad-dīn di Damasco, ormai geloso e inquieto della fortuna di quello; ma un conflitto armato, che sembrava ormai imminente, fu stornato dall'improvvisa morte di Nūr ad-dīn (569/ 1174). Subito Saladino, su richiamo di emiri siriani stessi, invase la Siria, pur affermandosi ubbidiente al figlio e successore di Nūr ad-dīn, Ṣāliḥ Ismā‛īl; ben presto la battaglia di Qurūn Ḥamā stroncava le velleità di resistenza dei suoi avversarî, e gli dava il possesso della Siria, di cui lasciava Aleppo all'innocuo Ismā‛īl, e Ḥamā, come feudo, a un proprio nipote. Oramai (570/1175) la signoria di Saladino comprendeva l'Egitto, parte della Palestina, la Siria Centrale, lo Yemen (conquistato l'anno prima dal fratello di lui Tūrān Shāh) e il Maghrib sino a Tripoli; territorî tutti di cui il califfo ‛abbāside gli conferiva l'investitura sultanale.
Un urto decisivo con i principati latini di Palestina e di Siria era inevitabile, ed esso occupa infatti quasi ininterrottamente tutta la seconda parte della vita di Saladino. Il punto saliente di questa guerra (v. crociate), fu, dopo un decennio di alterni successi, la battaglia campale di Hiṭṭīn sul Lago di Tiberiade (5 luglio 1187), in cui Saladino annientò l'esercito di re Guido di Lusignano, e catturò questo e Renaud de Châtillon signore di al-Karak e fierissimo nemico dei Musulmani, che il sultano uccise di propria mano; tre mesi dopo (2 ottobre) Saladino rientrava vittorioso in Gerusalemme, restituita dopo circa un secolo all'Islām, e, proseguendo l'anno dopo la campagna, infliggeva gravissime perdite di territorio al principato cristiano d'Antiochia.
Il grande successo dell'offensiva musulmana provocò, come è noto, la terza crociata, con l'intervento dell'imperatore Federico Barbarossa (che però annegò nel viaggio in Asia Minore) e del re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Episodio culminante di questa fu l'assedio famoso di ‛Akkā (San Giovanni d'Acri), difesasi ostinatamente contro le forze cristiane collegate, e che invano Saladino tentò di sbloccare. Ma la sua caduta (12 luglio 1191) come anche qualche altro brillante successo militare di Riccardo, non segnò affatto per i crociati una vittoria che potesse militarmente e politicamente bilanciare la rotta di Ḥiṭṭīn. La pace, finalmente conclusa il 2 novembre 1192, lasciava Saladino padrone di quasi tutta la Palestina, manteneva intatte le comunicazioni tra l'Egitto e Siria, e nella sostanza riconosceva la riconquista musulmana, e la distruzione del regno di Gerusalemme. Saladino non sopravvisse a lungo alla sua vittoria, guadagnata con circa un ventennio di campagne ininterrotte. Egli moriva a Damasco il ṣafar 589/4 marzo 1193, spartendo tra il fratello al-‛Ādil e tre dei suoi figli il conglomerato, ancora in verità non armonizzato e unificato, di territorî su cui si distendeva ormai il suo dominio.
La figura del grande campione dell'Islām grandeggiò sin da lui vivo nella tradizione musulmana, e, con particolarmente vividi e simpatici colori, in quella cristiana, storiografica e novellistica (vedi per questa più oltre). Le fonti storiche musulmane ne mettono in rilievo lo zelo religioso, la rigida ortodossia, la fermezza, che noi possiamo ben dire fanatismo, nella lotta contro i Franchi, nemici dell'Islām. Atti come la strage, da lui ordinata, dei Templari e Ospitalieri presi prigionieri a Ḥiṭṭīn possono invero sembrare in contrasto con la fama di liberalità e umanità che proprio la tradizione occidentale esalta in lui. Ma accanto a questa dura applicazione della legge di guerra, anche nelle fonti orientali appaiono i tratti di una personalità di eccezione, tenace, paziente, lungimirante, di attività e solerzia instancabile, prode sul campo, e insieme amica delle lettere e delle scienze, soprattutto religiose. L'imponente attività monumentale legata al suo nome (cittadella del Cairo, ecc.) congiunge insieme le necessità militari con la passione edificatrice propria di quell'ambiente e di quell'età. Un ricco materiale storico, epistolografico (dovuto questo in gran parte ai suoi segretarî al-Qāḍī al-Fāḍil e al-Kātib al-Iṣfahānī) ed epigrafico, sui monumemi superstiti, perpetua sino a noi, da parte musulmana, il ricordo del grande sultano ayyūbita.
La leggenda del Saladino. - Quella trasfigurazione ed eleborazione fantastica che mancò in generale alla figura del Saladino nelle letterature musulmane (egli compare solo in un episodio del romanzo popolare di Baibars), fiorì invece rigogliosa nella tradizione letteraria e pseudostorica occidentale, in latino, in francese e in italiano, improntata per lo più a un'idealizzazione veramente singolare di colui che pure fu il maggior distruttore dell'opera del pio Goffredo. Solo un piccolo gruppo di fonti cristiane (probabilmente il più antico, il più vicino o addirittura contemporaneo agli eventi storici che esso prende a esporre) è animato da tendenza ostile al Saladino, e si sofferma particolarmente sugl'inizî della sua carriera, ora insistendo sui punti oscuri dell'uccisione di Shāwar e della poco chiara scomparsa del sultano fāṭimida al-‛Aḍid (v. sopra), ora favoleggiando addirittura d'una origine servile e d'una equivoca carriera di adultero e assassino del sovrano ayyūbita. (Carmen de Saladino, parti della Chronique d'Ernoul e del romanzo di Jean d'Avesnes, ecc.). Ma questa tendenza ostile cede ben presto il campo a quella idealizzatrice, che resterà decisiva per la formazione della figura leggendaria del Saladino: da fervente, anzi quasi fanatico musulmano, quale storicamente fu, egli è fatto curioso, simpatizzante, persino segretamente aderente al cristianesimo, con cui è talvolta anche collegato da vincoli di sangue per una sua pretesa discendenza franca da parte di madre! Largo di cortesie, di cavallereschi favori e d'onori ai baroni cristiani (si fa armare cavaliere da Honfroi de Touron, o da Hugues de Tabarie), egli salda non di rado regalmente, con loro, debiti di amicizia e di ospitalità contratti nei suoi frequenti viaggi in incognito in terra cristiana (si ricordi per tutte la nota novella di messer Torello, Decameron X, 9); rinvia prigionieri senza riscatto, o paga egli stesso riscatti esorbitanti; ama di amor cortese e discreto dame cristiane; mette finemente alla prova la pietà e la saggezza dei suoi avversarî, o disputa umanamente della preminenza delle tre religioni. Questa figura generosa, arguta e valente di barone saracino, la cui piena elaborazione si ritrova in altre parti della ricordata Chronique d'Ernoul, nel Ménestrel de Reims, nel Novellino, nell'Avventuroso Ciciliano di Bosone da Gubbio, e in varie altre fonti, venne così a far parte, già lontana nella leggenda, anche se cronologicamente contemporanea, della cerchia di spiriti magni, che accarezzò con ingenua commozione la fantasia medievale. Dante la vide nel Limbo, sola tra gli eroi e i savî antichi (Inf., IV, 129); trascorsi i secoli, l'illuminismo settecentesco raccolse alcuni tratti di questa leggenda, e per bocca del Lessing (Nathan der Weise, 1776) tornò a vagheggiare nel Saladino il savio sovrano tollerante, superante nell'intimo la contingenza delle confessioni religiose in una più alta e serena sfera di generosità e di umana saggezza.
Bibl.: Oltre alle fonti storiche generali citate s. v. crociate (cui è da aggiungere R. Grousset, Histoire des croisades, II, Parigi 1935), C. W. Wilson, The life of Saladin by Behâ ed-din, Londra 1897 (è una traduz. della biografia del S. di Bahā' ad-dīn Ibn Shaddād); S. Lane Poole, Saladin and the fall of the Kingdom of Jerusalem, ivi 1898; M. Sobernheim, in Encyclopédie de l'Islam, IV, 1925, 87-92. - Per la leggenda, v. G. Paris, La légende de Saladin, in Journal des Savants, 1893 (ed estratto a parte).