SALERNO (A. T., 27-28-29)
Città della Campania, capoluogo di provincia, situata quasi al centro dell'arco formato dal golfo omonimo, compreso tra la punta Campanella a O. e la punta Licosa a S. Risulta costituita di due parti: il nucleo antico, con vie anguste e irregolari, si adagia sul declivio di una collina, mentre la parte moderna, con strade dritte, larghe e regolari, fiancheggiate da alte costruzioni si stende lungo la marina di levante, ove continua a espandersi. Salerno sorge presso un fiumicello, l'Irno, che scorre a E. della città.
Salerno, che è sede arcivescovile, accentra il 66% della popolazione del comune (41.944 abitanti nel 1931); il resto, per il 15%, vive in case sparse e per il 19% in 10 centri, di cui i più importanti sono Pàrtena, lungo il litorale, con 2058 abitanti (1931), Fratte e Ogliara, all'interno, che hanno rispettivamente 3387 e 1187 abitanti.
La popolazione di Salerno ha segnato un forte incremento negli ultimi cinquant'anni: da 22.338 ab. nel 1881 è passata a 29.338 nel 1896, a 25.658 nel 1901, a 41.780 nel 1921 e a 41.994 nel 1931; lo stesso si può dire della popolazione dell'intero comune che da 21.241 ab. nel 1859 è salita a 27.759 nel 1871, a 31.245 nel 1881, a 42.727 nel 1901, a 45.682 nel 1911, a 51.980 nel 1921 e a 63.084 nel 1931. La natalità e la mortalità nella media del quadriennio 1929-32 sono indicate dalle cifre seguenti: 1807 nati (media 28,6 su 1000 ab.), 938 morti (media 14,8 su 1000 ab.), con un'eccedenza di nati sui morti di 869 ab. (13,8 su 1000 ab.).
Salerno ha una temperatura media annua di 16°, con una media di 9° in gennaio e 24° in luglio, e perciò un'escursione di 15°. La pioggia annualmente raggiunge in media i 965 mm., con un massimo autunnale (novembre) e con un minimo estivo (luglio): i giorni piovosi sono in media 100 con qualche giornata nevosa.
L'economia del comune si basa sull'agricoltura, sull'industria e sul commercio, quest'ultimo favorito dal movimento del porto. Il territorio comunale è esteso 58,45 kmq., dei quali il 40% è occupato da seminativi semplici e con piante legnose, il 17% da colture legnose di viti, agrumi, alberi da frutta e il 32% da boschi: i prodotti agricoli sono vino, frutta, ortaggi, agrumi, grano, canapa, pomodori.
Le industrie che hanno maggiore importanza sono le molitorie e quelle del pastificio, le tessili (filatura e tessitura del cotone), le fabbriche di conserve alimentari, le industrie meccaniche di costruzione di caldaie a vapore e lavorazione del ferro battuto, le industrie di materiali da costruzione (cemento e laterizî). Base del commercio sono i prodotti del suolo e delle industrie locali, il cui movimento per buona parte è fatto attraverso il porto, esteso circa 15 ettari e profondo da m. 6,50 a 7,50, e che in questi ultimi anni ha avuto un movimento di 15 mila passeggeri e 150 mila tonn. di merci (1934: 23.672 passeggeri e 202.953 tonn. di merci). La costruzione del porto risale al re Manfredi (1260); successivamente esso fu ricostruito tra il 1892 e il 1898. Va soggetto a continui interramenti da parte dei corsi d'acqua che vi sfociano, e la profondità è mantenuta con forti spese di dragaggio. Traffica con i porti della costa tirrenica e delle isole, e con molti paesi del Mediterraneo.
Salerno ha stazione ferroviaria a E. dell'abitato sulla linea Battipaglia-Napoli, con diramazione per Mercato San Severino, e tramvia per Pompei e Fratte.
Monumenti. - Cimelio mirabile di scultura antica, la testa ellenistica di bronzo di Apollo (sec. III-II a. C.), tornata in luce dalle acque del golfo nel 1930, è venuta ad accrescere il già cospicuo patrimonio di arte classica, consistente per lo più in sarcofagi, con rilievi di scene mitologiche, adunati ad abbellire il duomo, in cui si trovano pure interessanti arche marmoree cristiane.
La città, a partire dal sec. VII, vantò copiosi monumenti longobardi, ora rappresentati da ben poveri avanzi, come la Porta Rateprandi, l'Arco di Arechi, il quale principe, oltre a fabbricare il palazzo, ampliò anche il romano castellum, rafforzato poi dai Normanni. Con costoro Salerno vide riedificare tra il 1076 e il 1085 il suo massimo tempio. Preceduto da ampio cortile con portico ad archi arabi rialzati e colonne frammentarie dai capitelli corinzî (nel lato destro sono ambienti dove sembra avesse sede la famosa scuola medica salernitana), il grandioso duomo di S. Matteo a tre navi fu snaturato con vaste modifiche nel sec. XVIII, ma di recente è stato in parte ripristinato. Il portale mediano, classicheggiante, ha imposte bronzee ageminate, fuse a Costantinopoli nel 1099. Di somma importanza è poi trovar qui riunito il complesso dell'antico arredo liturgico, d'inaudita ricchezza, tipicamente campano. Il candelabro pasquale, gli amboni, l'iconostasi (fine del sec. XII), con musaici e fini sculture classicheggianti; il celebre paliotto eburneo di artefici locali dei secoli XI-XII; l'Exultet miniato, e codici di varia epoca. Nello spazioso presbiterio si conservano il ricco pavimento in opus alexandrinum, la sedia di marmo di Gregorio VII e, nel semicatino dell'abside destra, il prezioso musaico dell'Arcangelo Michele, fatto eseguire da Giovanni da Procida; alla parete l'Assunta: imponente tela di L. Giordano. Il vicino episcopio, a terreno, si compone di archi acuti su colonne scannellate pagane e originali capitelli con foglie e teste umane.
Si mantengono intatte le aeree arcate dei vetusti acquedotti (secoli IX-XIII) sulla via Arce e, qua e là, tra le piccole chiese medievali, sebbene rimaneggiate nei secoli posteriori, interessano soprattutto S. Andrea con campanile del sec. XII, S. Alfonso eretta circa il Mille, S. Gregorio con portale del sec. XII e il Crocifisso dei secoli IX-X con 6 colonne di spoglio nell'interno e cripta.
Fra gli edifizî religiosi del Seicento il Monte dei Morti e il Salvatore hanno forma ottagona e la chiesa barocca di S. Giorgio, con cupola frescata dal Solimena, possiede due quadri di Andrea da Salerno, massimo pittore del Rinascimento nel Mezzogiorno. Andrea lasciò in patria varie tavole, tra le quali La Madonna col Bambino e Santi in S. Agostino. Notevoli architetture di L. Vanvitelli sono la chiesa dell'Annunziata e un ampio portale. Neoclassico è il palazzo del governo; e il Teatro Verdi, con l'annesso Circolo sociale, custodisce pregevoli opere di G. B. Amendola, D. Morelli, E. Dalbono, G. Sciuti, ecc.
V. tavv. CXVII e CXVIII.
Storia. - Salerno appare per la prima volta nella storia nel 197 a. C., quando i Romani vi dedussero una colonia cittadina; che però già prima esistesse una città è attestato dalla recente scoperta di una necropoli del sec. VI-V, nella frazione di San Nicola delle Fratte, a un chilometro appena dalla città medievale. È quasi certo che con la Salerno preromana si debba identificare la città di Irnthi, nota solo attraverso monete campane della fine del sec. IV, a causa del fiume Irno che sbocca presso la città; e poiché per alfabeto e per il fenomeno glottologico della caduta della vocale disaccentata la scritta di queste monete si riallaccia all'etrusco, ne esce confermata la notizia di Plinio che Salerno era etrusca di origine, come lo conferma ancora la presenza del bucchero nella necropoli di Pontefratte. Con Irno è probabile che vada congiunto il nome stesso di Salerno. Con Salerno va con grande probabilità identificata anche la città di 'Αρίνϑη (forma probabilmente corrotta) che Ecateo colloca nell'Enotria, ossia appunto nell'agro picentino. Il castrum Salerni anteriore alla fondazione della colonia del 197 fu probabilmente una fortezza (distinta dall'abitato preromano) senza veste giuridica di città, destinata a tenere a freno i Picentini trapiantativi dai Romani, ovvero (se vogliamo credere col Beloch a un'invenzione provocata dall'omonimia) delle popolazioni locali di questo nome. La città non sembra aver avuto grande importanza prima dell'epoca longobarda, il che si spiega con la decadenza generale del Mezzogiorno dopo la seconda guerra punica.
Durante il periodo della decadenza dell'impero pare abbia sofferto per le invasioni di Alarico e nel 456 di Genserico. Contesa quindi aspramente fra Greci e Goti nella guerra gotica fu in mano di Belisario dal 536 al 539 e cadde in potere di Totila nel 541. Dal 552 fu sotto il dominio di Bisanzio, finché nel 646, dopo lunga lotta tra i Greci e i Longobardi, venne in potere di questi ultimi come parte del ducato di Benevento. Dall'839 fu capitale di un principato longobardo indipendente. Nel 1075, dopo lungo assedio, fu conquistata da Roberto il Guiscardo.
Nel 1076 Salerno non perde il prestigio di città capitale, ché anzi - totius principatus quasi metropolis - viene messa a capo dei vasti dominî normanni. E gli splendori della corte del Guiscardo, il quale tra l'altro pone mano alla costruzione del celebre duomo tutto rilucente di musaici; l'accoglienza offerta nelle sue mura (1084) a Gregorio VII; i versi dell'arcivescovo Alfano, tanto superiori per arte e per gusto classico a quelli dei contemporanei; la fama sempre maggiore della Scuola medica, ormai in pieno fiore e rinomatissima oltre Alpe: tutto insomma spinge a considerare lo scorcio del sec. XI come il periodo aureo della storia cittadina di Salerno. Anche quando nel 1127 essa perdette il suo primato per il ricongiungimento politico dell'Italia meridionale con la Sicilia, i re, oramai residenti in Palermo, continuarono a considerare la vecchia città come la più importante tra quelle di terraferma. E nacquero e vissero a Salerno nel periodo normanno uomini davvero insigni, quali l'arcivescovo Romualdo Guarna che scrisse una delle migliori cronache del tempo, Pietro da Eboli, autore del noto poema in onore di Enrico VI, Liber ad honorem Augusti, e sopra tutti Matteo D'Aiello, cancelliere di Guglielmo II, il quale non solo concorse a rendere il reame normanno prospero all'interno e rispettato in Europa, ma fu l'anima del partito nazionale che si affermò con l'elezione di Tancredi. Salerno fu perciò ostilissima a Enrico VI, che nel 1194, per punirla di avere tenuta prigioniera la moglie Costanza, la saccheggiò orribilmente, la distrusse in parte, ne mandò prigionieri in Germania i migliori cittadini. Danni questi, a cui cercò di porre riparo mezzo secolo più tardi, sotto Manfredi, uno dei più famosi cittadini di Salerno, Giovanni da Procida, il quale promosse l'ampliamento e la ricostruzione del porto, e per migliorare le condizioni economiche della sua città, fece istituire dal re una fiera annuale da tenersi nella ricorrenza della festività del patrono; fiera che divenne poi la più importante del regno.
Comunque, e malgrado ciò, con l'avvento della casa sveva e l'inizio della sua politica livellatrice cominciò per Salerno un periodo di grande decadenza; danno non lieve venne alla città dall'importanza sempre crescente della vicina Napoli, ove nel 1224 Federico II aveva creato, tra l'altro, con grave ripercussione sulla scuola salernitana, la prima università di stato. Le condizioni non migliorarono con l'avvento della nuova dinastia, ché anzi la proclamazione di Napoli a capitale fu ritenuta dai Salernitani come una vera offesa a loro recata da Carlo I d'Angiò.
Nel 1268 la città fu concessa come principato all'erede della corona, Carlo lo Zoppo; e dopo lui altri principi ereditarî - Carlo Martello, Carlo l'Illustre e il piccolo figlio di Giovanna I - l'ebbero successivamente in appannaggio.
L'"Universitas Salernitana" ebbe vita travagliatissima: i bassi ceti sociali ebbero agio di elevarsi e i mercatores, malgrado le opposizioni dei nobili (distinti nei tre seggi di Portanuova, Portarotese e Campo), riuscirono spesso, con l'aiuto dei mediocres, a dominare la vita cittadina. Agli eccessi, ai disordini e alle conseguenti condanne al carcere e all'esilio, che contrassegnarono le annue elezioni delle magistrature, tentò di porre riparo Carlo Martello con uno statuto emanato a Melfi nel 1290.
Nel 1419 Giovanna II per impellenti necessità finanziarie fu costretta a cedere in feudo la città a Giordano Colonna; e dai Colonna il principato passò successivamente agli Orsini e infine ai Sanseverino. Sotto i Sanseverino, per l'importanza che le venne dall'essere a capo di dominî vastissimi e ritenuti quasi indipendenti da ogni ingerenza sovrana, Salerno ebbe decennî d'intensa vita culturale: basti dire che segretario del primo principe di quella famiglia fu il celebre novelliere Masuccio; che compagno nella buona e nella cattiva fortuna dell'ultimo Sanseverino fu Bernardo Tasso; e che, infine, nuovo impulso e splendore ebbe la scuola medica, dove insegnarono, tra gli altri, Matteo Macigni, Agostino Nifo, i fratelli Martelli e Scipione Capece.
Caduto Ferrante Sanseverino, Salerno non badò a sacrifici pur di restare nel demanio regio, ma nel 1578 il re la infeudò di nuovo concedendola a Nicola Grimaldi. Nel 1590 la città si poté definitivamente riscattare col pagamento di una somma fortissima.
La rivoluzione del 1647 contro gli Spagnoli ebbe gravi ripercussioni a Salerno, dove fomentò la rivolta - come a Napoli Masaniello - un pescivendolo, Ippolito da Pastina, che ebbe poi una parte di prim'ordine nei tentativi del duca di Guisa e nella spedizione del principe Tommaso di Savoia.
Negli avvenimenti del 1799 Salerno tra le città meridionali si distinse per la sua immediata e spontanea adesione alla repubblica: attivissimi nell'istituire il governo provvisorio e nell'organizzare spedizioni contro i realisti furono i fratelli Ferdinando e Antonio Ruggi, che, sopraggiunta la reazione, pagarono con la vita il loro nobile slancio. Dopo l'avvento dei Napoleonidi, ai quali però i Salernitani non seppero mai perdonare la soppressione della loro gloriosa, se pure ormai decadente, scuola medica, le vicende della città si confondono politicamente con quelle del regno e si segnalano per un'attiva partecipazione ai moti del Risorgimento.
Iniziando la sua vita come capoluogo di provincia del regno d'Italia, Salerno, pur nelle gravi ore del brigantaggio, subì una nuova trasformazione igienica ed edilizia, e, risoluto finalmente l'annoso problema della spiaggia, vede ora triplicata l'estensione delle sue aree coperte.
La provincia di Salerno. - Comprende tutta la parte meridionale della Campania, circoscritta tra i monti Lattari della Penisola Sorrentina e il Terminio a N., l'Appennino Lucano a E. e SE., il Tirreno a O. Il territorio, esteso 4939 kmq., è per 6/10 montuoso, per 1/7 collinare e per 1/4 in piano: la parte montuosa è costituita dall'alta e compatta catena dei Picentini che culmina a 1790 m. nel M. Polveracchio e dal gruppo del Cilento che si eleva a 1899 m. nel M. Cervati; la pianura è formata dalla vasta e fertile zona alluvionale della bassa Valle del Sele, dall'antico specchio lacustre del Vallo di Diano e dalle minori piane costiere lungo le vallate dei numerosi corsi d'acqua.
La popolazione, aumentata tra il 1881 (550.157 ab.) e il 1901 (564.328 ab.), ha subito lievi diminuzioni dal 1901 al 1921 (1911, 558.282; 1921, 556.206) a causa esclusivamente dell'emigrazione, e un notevolissimo aumento dal 1928 al 1931, in cui è risultata di 657.973 ab. con una densità di 133 per kmq., pari a quella media del regno. Essa, per il 60% circa occupata nell'agricoltura e per il 23%, nelle industrie, vive per un quinto in case sparse, e per il resto accentrata. Il coefficiente di natalità, nel decennio 1925-1935 è stato di 36 per 1000 ab. e quello di mortalità di 19, con un'eccedenza di 17 per 1000 ab. La provincia comprende 145 comuni, la cui estensione va da un minimo di 2,60 kmq. (Minori) a un massimo di 137,80 (Eboli).
La superficie per poco meno di 1/3 è occupata da seminativi semplici e con piante legnose, per 1/5 da prati e pascoli permanenti con un buon allevamento di bestiame, per 1/10 da ricche colture di olivi, viti, alberi da frutta, e per 1/4 da boschi e castagneti. I principali prodotti agricoli sono grano, avena, mais, patate, tabacco, ortaggi, vino, castagne, olio d'oliva, frutta.
Le industrie, in prevalenza meccaniche, manifatturiere (tessili) e alimentari, si concentrano a Salerno e negli altri maggiori centri (Scafati, Sarno, Cava dei Tirreni, Angri, Amalfi, ecc.: v. le singole voci e anche campania).
Bibl.: Per la storia della città dell'epoca antica, v.: Philipp, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, col. 1869; H. J. Beloch, Companien, 2ª ed., Breslavia 1890, p. 10; id., Römische Geschichte, Berlino 1926, p. 475; A. Maiuri, in Studi etruschi, III (1929), pp. 91-101; R. Garrucci, Le monete dell'Italia antica, II, Roma 1885, p. 97, tav. XC, 6-9. - Per l'età medievale e moderna, v.: C. Carucci, Codice diplomatico salernitano del sec. XIII, I e II, Subiaco 1931, 1933; id., Il principato di Salerno dopo i Sanseverino, Salerno 1910; A. Mazza, Historiarum Epitome de rebus Salernitanis, Napoli 1681; A. Capone, Il duomo di Salerno, voll. 2, Salerno 1927-29; C. Carucci, Il Masaniello salernitano, Salerno 1908; G. A. Goffredo, Ragguaglio dell'assedio di Salerno, ecc., Napoli 1649; F. Pinto, Salerno assediata dai Francesi, ivi 1656; A. Perassi, La spedizione del principe Tommaso verso Salerno, Roma 1914; A. Parente, L'armata francese a Salerno nell'agosto del 1648, Napoli 1931; A. Genoino, Francesi e realisti nel Salernitano nel 1799, Cava 1931; G. Abbignente, Le consuetudini inedite di Salerno, Roma 1888; id., I seggi dei nobili e la platea dei popolari a Salerno, Napoli 1886; M. De Bartholomeis, Storia di Salerno, ivi 1894; Città di Salerno (numero unico in occasione dell'ottavo centenario dell'unione politica della Sicilia alla terraferma), Salerno 1929; Annuario della Reale Società economica, ivi 1936. Per i monumenti, v.: A. Venturi, Storia dell'arte italiana, II e III, Milano 1902-1903; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Parigi 1904; F. Furchheim, Bibliographie der Insel Capri und der Sorrentiner Halbinsel, ecc., Lipsia 1916; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I: Il Medioevo, Torino 1927.
Il principato di Salerno.
La Rudelgisi et Siginulfi principum divisio Ducatus Beneventani (anno 847) è l'atto di nascita del principato longobardo di Salerno. Si frantumava così, scissa dalle lotte civili, l'antica Longobardia meridionale, sopravvissuta alla conquista franca; e Siconolfo, che aveva capeggiato la ribellione contro il fratello, faceva di Salerno, mediatore Ludovico II, la capitale d'uno stato affatto indipendente da Benevento. Il nord della Calabria, il territorio fino a Taranto, la costiera press'a poco formante l'odierna provincia di Salerno (tranne Amalfi, dall'840 emancipatasi dall'effimera signoria longobarda), Capua con buona parte della ricca pianura campana, tutti questi territorî, che geograficamente ed economicamente si presentavano in condizioni migliori di quelli restati al principato beneventano, venivano a costituire il nuovo stato. Il quale, lambito in gran parte dal mare, trovava in Salerno il suo mercato e il suo porto naturale; e già il lungimirante principe Adelchi, morto nell'878, ne aveva fatto una seconda capitale, abbellendola, fortificandola e favorendola, fino a sottomettere, per breve tempo, Amalfi, temuto ostacolo allo sviluppo del traffico marinaro salernitano.
Sennonché la prima età del principato fu fortemente insidiata da perniciosi mali interni e da gravi minacce esterne, quali l'insubordinazione dell'aristocrazia, la rivalità con Benevento, il pericolo musulmano. Difatti, mentre i conti di Capua si emancipavano, dando vita a un altro stato longobardo, dai principi di Salerno, quivi la turbolenta nobiltà scalzava dal trono, uno dopo l'altro, gl'immediati successori di Siconolfo. Solo nell'861 Guaiferio, l'ambizioso nobile beneventano, che, pur avendo appoggiato Siconolfo nella ribellione contro Radelchi, era stato da quello messo al bando, tornò a Salerno, vi si fece proclamare principe e stabilì una dinastia che resse per oltre un secolo il principato.
Agevolati da tali rivolgimenti e dagl'intrighi che contro questo tramavano i Longobardi di Benevento e di Capua e il duca di Napoli, preoccupato della vicinanza salernitana, i musulmani dalle loro sedi di Puglia e di Calabria, nonché dal mare, presero di mira Salerno: per circa un anno (ottobre 871-luglio 872) essa sostenne disperatamente l'assedio in cui venne dall'Africa a stringerla, a capo d'un grosso esercito, ‛Abdallāh ibn Ya‛qūb. Le fu di aiuto Ludovico II, tornato nell'Italia meridionale per cacciare i Saraceni e per riaffermarvi, non senza disinganni e umiliazioni, la supremazia dell'Impero occidentale. L'assalto da lui dato alle falangi musulmane che muovevano contro Benevento, stornò le forze bloccanti Salerno; e questa, salva, riconobbe la supremazia dell'Impero occidentale.
Riconoscimento nominale ed effimero, poiché la dura necessità di non soccombere sotto la persistente minaccia dei musulmani e di salvarsi da altre soffocanti egemonie, ne ispirò la condotta politica. La quale, lungi dall'irrigidirsi in posizioni statiche, seguì agilmente il perenne fluttuare delle vicende meridionali, le cui forze determinanti furono, fino all'apparizione dei Normanni, il papato, i due imperi, l'occidentale e l'orientale, i musulmani. Si cercò così, partito Ludovico II, l'accordo con questi ultimi; ma qualche anno dopo, nell'871, quando Giovanni VIII, l'insonne pontefice intento ad affermare l'egemonia della sede apostolica sul Mezzogiorno, convocò a Traetto, per stringerli in una lega antisaracena, i potentati meridionali, fra questi non mancava Guaiferio di Salerno. Ma il tentativo di farne un docile vassallo, in virtù dei diritti di sovranità sugli stati longobardi da Carlo il Calvo riconosciuti alla Santa Sede, restò infruttuoso; molto aperta era la propensione pontificia per Pandolfo di Capua, nemico giurato di Guaiferio. Purtroppo i pericoli divennero più gravi dopo la morte di Giovanni VIII, quando Salerno suscitò la cupidigia non tanto dei Saraceni, che, insediandosi in Agropoli, si erano incuneati nel corpo del principato, quanto di Guido di Spoleto, che ambiva Benevento, e dei Bizantini, risoluti a restaurare il loro dominio italiano. Ci volle la scaltra duttilità del figlio di Guaiferio, Guaimario I, per non perire. A difesa della minaccia musulmana, concomitante con quella spoletina, egli si pose sotto il protettorato del basileus e fu decorato dell'ambito titolo di patrizio; di poi, per reagire contro gli stessi Bizantini, che, impadronitisi nell'891 di Benevento, marciarono contro Salerno, egli, sorretto dal suo popolo, si volse verso Guido di Spoleto, che gli era cognato e che gli affidò il governo di Benevento, da cui aveva espulso i Bizantini. Sognò allora Guaimario di ricomporre l'infranta unità longobarda e mosse da Salerno verso Benevento; ma l'avventura ebbe un tragico epilogo presso Avellino, dov'egli venne con i suoi fermato da quel gastaldo e accecato.
Di nuovo, al dischiudersi del sec. X, tutela bizantina. Solo questa poteva proteggere Salerno da Pandolfo di Capua, che, anelando di ricomporre la Longobardia meridionale, aveva congiunto al suo lo stato beneventano, e dai Saraceni, contro cui Bisanzio, associate le forze marinare dei ducati campani, aveva iniziato un'offensiva che strappò loro Agropoli e condusse alla vittoria del 914 sul Garigliano, che incrinò la potenza musulmana nel Mediterraneo.
Sennonché il protettorato bizantino durò finché si rese utile ai bisogni di Salerno. Difatti, i disastri che il basileus patì in Italia tra il 925 e il 929, non solo cancellarono bruscamente ogni segno di vassallaggio, ma indussero il principe Guaimario II a tentare acquisti o riacquisti in Lucania e in Val di Crati. Certo, rimossa la tutela bizantina e in pari tempo placatesi le lotte fratricide tra gli stati longobardi, il principato godette anni di raccoglimento, che favorirono il consolidarsi del potere monarchico e lo sviluppo delle energie economiche.
A un tratto, come per improvvisa e violenta burrasca, quel raccoglimento tramontò e l'indipendenza di Salerno cedette all'impeto audace e intelligente d'un personaggio apparso, nella seconda metà del sec. X, sul trono delle vecchie dinastie longobarde. Raccogliere nelle sue mani le sparse membra degli stati longobardi, mettendo a profitto, sotto la bandiera di Ottone I, il riarso conflitto tra i due imperi nell'Italia meridionale, tale il piano di Pandolfo Capodiferro. Nell'attuarlo, attraverso drammatiche e svariate congiunture, che lo videro financo prigioniero a Bisanzio, egli ebbe l'appoggio, dapprima cauto, poi palese, di Gisulfo I di Salerno. Ingenuamente questi credeva che, aggirandosi entro l'orbita della fortunata politica tedesca, si sarebbe salvato; sennonché la radice del pericolo stava non nell'imperatore sassone, sibbene in Pandolfo, che, scaltro, ne seguiva le parti soltanto in vista delle sue ambizioni. Principe di Capua, poi di Benevento, poi marchese di Camerino e di Spoleto, egli non poteva non agognare Salerno, felice sbocco sul Tirreno di tanto complesso di territorî. E Salerno finì col trovarsi inavvertitamente sotto il suo dominio. Una congiura ordita dai duchi di Amalfi e di Napoli, ligi a Bisanzio, e dal turbolento conte di Conza, vassallo di Gisulfo e nemico di Pandolfo, ebbe per epilogo che Gisulfo fu menato in catene ad Amalfi (973). Intervenne Pandolfo, costrinse gli Amalfitani a rilasciare Gisulfo, che rimandò a Salerno, ma gli pose accanto suo figlio Pandolfo, facendoglielo riconoscere come erede e successore. Di poi, quando di lì a qualche anno Gisulfo morì, egli stesso si associò al figlio, e così tutta la Longobardia si trovò ricomposta a unità nelle mani dell'ardimentoso principe di Capua (978).
Unità apparente: i contrasti la frantumarono all'indomani della morte del Capodiferro (981), non senza danno per la politica italiana della casa di Sassonia. Nonostante i più fieri propositi, Ottone II vide il crollo dell'influenza tedesca in Salerno: se, per attrarlo a sé, egli s'era rassegnato a riconoscervi signore Mansone III di Amalfi, che, chiamato dalla fazione nemica, aveva espulso Pandolfo II, l'erede del Capodiferro, non molto dopo, mentre l'imperatore si preparava a lavare l'onta di Stilo, anche il dominio di Mansone precipitava per effetto di una controrivoluzione. L'indipendenza del principato era restaurata; una nuova dinastia saliva sul trono di esso col conte spoletino Giovanni (II) di Lamberto, stato consigliere del defunto Pandolfo, e col figlio di lui, Guido (983).
Dopo tanti trambusti, poté Salerno ristorarsi in una certa calma, sentirsi libera da onerose soggezioni e più o meno sicura dalla cupidigia degl'irrequieti vicini. Vero è che, inoltrandosi il sec. XI, l'atmosfera politica meridionale tornava a conturbarsi: contro l'oppressione bizantina insorgono le città pugliesi. Si sa che quelle rivolte, sintomo del travaglio in cui si dibatteva il paese, vennero incoraggiate dai principi longobardi; certo il capo di esse, Melo, trovò cordiale asilo presso Guaimario IV di Salerno. Tutt'altro che scevro di ambizioni, non era uomo, questi, da starsene in disparte, quando novità si presentivano nella contrada; e difatti, solidale dapprima col fronte antibizantino, che nel Mezzogiorno era stato costituito, per opposti interessi, dal papa Benedetto VIII e dall'imperatore Enrico II, Guaimario si accostò di poi, sconfitto Melo presso Canne nel 1018, ai Bizantini, per ritornare di lì a poco ai Tedeschi, quando l'imperatore, reduce dalla Germania, mandò l'arcivescovo di Colonia, Pilgrim, ad assediare per quaranta giorni Salerno.
Aveva Guaimario compreso che dal ridesto antagonismo fra i due imperi per la supremazia sull'Italia meridionale un'effettiva potenza politica l'avrebbe tratta solo colui tra i principi indigeni che avesse avuto maggior forza, abilità e intuito: così era accaduto al Capodiferro. E all'inobliabile Capodiferro fa pensare l'ambizioso e coraggioso Guaimario V, che, quattordicenne, successe all'omonimo genitore nel 1027 e che portò il principato salernitano a una grandezza fino allora neanche sognata. Tra i Bizantini, feriti nel loro dominio pugliese, e i Tedeschi, perseveranti nelle storiche rivendicazioni di recente riaffermate dall'ultimo imperatore sassone, Guaimario preferì muoversi nell'ambito della politica germanica, senza per questo alienarsi l'altro impero. Oltre un vistoso peculio, suo padre gli aveva lasciato una forza preziosissima, che, apparsa nel Mezzogiorno durante le ultime convulsioni pugliesi, stava diventando sempre più formidabile: erano i venturieri normanni che, arrivando a fiotti crescenti e raccogliendosi in bande armate, accrescevano il caos del paese. Di tali mercenarî Salerno fu una delle piazze meglio provviste: cominciò ad assoldarne Guaimario IV, continuamente ne assoldò Guaimario V. Entrambi si avvalsero di quest'arma ben tagliente per intervenire nelle faccende del principato capuano: l'uno in aiuto del cognato Pandolfo IV, spodestato da Enrico II; l'altro per strapparglielo, come glielo strappò, consenziente Corrado II, presso cui si era querelato contro la torbida avidità del vecchio zio (1038).
Investito del principato di Capua, fattosi riconoscere suo signore dal primo conte normanno di Aversa, Guaimario V sottometteva, tra il 1038 e il 1040, i ducati di Amalfi, Sorrento, Gaeta. E frattanto, accortamente spediva a Maniace, che glieli aveva richiesti, mercenarî normanni per la fallita impresa di Sicilia. Ma questi, già di peso a Guaimario per la loro insaziabile cupidigia, si guastarono nell'isola coi Bizantini e, abbandonatili, raggiungevano la Puglia, satura di fermenti di ribellione. Onde rivoluzione e guerra, estremo sforzo di espellere i Bizantini; sennonché l'accentuata pressione ai confini del suo stato non poteva non preoccupare Guaimario. Quando a lui, ch'era sempre stato amico dei Normanni, giunse un messaggio di Guglielmo Braccio di ferro, eletto, dopo il tradimento di Argiro, capo dei Normanni guerreggianti vittoriosamente in Puglia: gli si diceva che questi si dichiaravano suoi vassalli. E Guaimario accorse, assunse il titolo di duca di Puglia e di Calabria e, come tale, assediò invano Bari e si spinse a fare conquiste in Calabria. Parve allora che tutta l'Italia meridionale dovesse raccogliersi sotto lo scettro del fortunato principe di Salerno.
Eppure questi aveva costruito sulla sabbia, poiché i popoli sottomessi fremevano per emanciparsi e i Normanni non si sarebbero prestati a lungo a essere mero strumento della sua smisurata sete di dominio. E difatti, mentre nel giugno 1052 egli, che già aveva potuto constatare sintomi della scarsa coesione del suo stato, finiva vittima d'un complotto ordito, conniventi gli Amalfitani, dai suoi nemici, il figlio di lui, Gisulfo II, doveva restare travolto sotto l'impeto poderoso del maggiore artefice delle fortune normanne in Italia, Roberto Guiscardo, fratello del Braccio di ferro.
Nonostante l'ardente sete di conquista che gli agitava l'anima, Gisulfo si vedrà strappare, pezzo a pezzo, i territorî del principato dai Normanni. Per combatterli, egli aveva tentato tutte le possibili combinazioni, rappattumandosi un momento con gli Amalfitani, dando la sorella in moglie al Guiscardo, profondendo tesori per trovare alleati, recandosi a Costantinopoli in cerca di aiuti. Ma la squisita abilità diplomatica e militare del Guiscardo, al quale nel concilio di Melfi del 1059 il papato concedeva quel titolo di duca di Puglia e di Calabria che aveva fregiato Guaimario V, doveva aver ragione di tutti gli espedienti a cui Gisulfo fece ricorso. Ond'egli si trovò accerchiato in una catena di ferro, quando Amalfi, da lui incautamente posta alla disperazione, invocò l'aiuto del Guiscardo. I giorni di Salerno indipendente erano così contati. Dopo onorevolissima resistenza, nel dicembre del 1076, essa piegava sotto lo stesso ineluttabile destino cui già soggiaceva l'Italia meridionale; e Gisulfo pigliava la via dell'esilio.
Facendola capitale del suo ducato, il Guiscardo rendeva onore all'importanza e alla fama di Salerno nell'alto Medioevo. Di un modesto borgo, quale s'era ridotta al tempo della conquista longobarda, i suoi principi ne aveva fatto una città, la cui ricchezza e il cui fasto, che culminavano nel "Sacro Palazzo", impressionava ambasciatori, mercanti, viaggiatori. "Opulenta Salerna" fu la leggenda d'uno fra i tanti tipi di moneta ch'essa coniò; e il periodo della maggiore prosperità e splendore coincise col principato di Guaimario V, quando Salerno esercitò una specie di primato politico sugli stati meridionali.
M. Schipa, Storia del principato longobardo di Salerno, in Archivio storico per le prov. napoletane, XII (1887), rifuso e rielaborato nel volume dello stesso autore, Il Mezzogiorno d'Italia anteriormente alla Monarchia, Bari 1923; G. Gay, L'Italia meridionale e l'Impero bizantino dall'avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (887-1071), trad. it., ivi 1917; E. Pontieri, La crisi di Amalfi medievale, in Archivio storico per le prov. nap., n. s., XXI (1934); C. Carucci, La provincia di Salerno dai tempi più remoti al tramonto della fortuna normanna. Economia e vita sociale, Salerno 1923; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, I, Parigi 1907; G. Paesano, Memorie per servire alla storia della Chiesa salernitanna, Napoli 1846-57, I.