SALII
Dinastia regia e imperiale germanica regnante dal 1024 al 1125.Nei Gesta Friderici (MGH. SS rer. Germ., XLVI, 19123) del cronista Ottone di Frisinga (m. nel 1158) e nell'ideologia del regno degli Svevi la stirpe dei S. veniva citata come quella degli 'Enrichi' da Waiblingen, mentre a Wipo il Salico venne aggiunto l'attributo 'di Worms' che si ritrova anche in alcuni documenti (Schmid, 1976; 1991; Glässner, 1978). I S. si considerarono anche discendenti da Guido da Spoleto e da Lamberto da Spoleto, sovrani carolingi del sec. 9°; Corrado il Rosso (m. nel 955) - il cui matrimonio con Liutgarda, figlia di Ottone il Grande, è già indicativo dell'alta posizione sociale raggiunta dalla stirpe - nella sua genealogia può invece essere ricondotto, non senza lacune, a quei Guidoni, identificabili almeno nominalmente, che si ritrovano nelle diocesi di Treviri e Metz soprattutto come fondatori di monasteri nel corso del 7° e dell'8° secolo. Il legame dei successivi S. con fondazioni si manifesta in menzioni nei documenti ottoniani (Doll, 1953) e testimonia la loro coscienza di stirpe legata ai Guidoni (Boshof, 1987). La fondazione della dinastia regia e imperiale tedesca dei S. si ebbe invece soltanto nel sec. 11°, dopo la morte (1024) senza eredi di Enrico II della stirpe degli Ottoni. Nella successiva elezione, Corrado il Vecchio poté imporsi rispetto al suo omonimo cugino della linea di Worms e farsi incoronare come Corrado II nel 1027 proprio a Roma, dopo aver avuto la corona regia di Germania (1024) e d'Italia (1026). Poterono assicurarsi la corona imperiale anche i suoi successori Enrico III (1046-1056), Enrico IV (1084-1106) ed Enrico V (1111-1125); con quest'ultimo, morto senza figli, ebbe termine la dinastia regnante dei Salii.Quasi tutti gli oggetti d'arte realizzati per committenza dei S. avevano lo scopo di rappresentare la 'legittimazione del potere e dell'autorità imperiale' (Weinfurter, 1991b, p. 55ss.). Proprio Spira, in precedenza insignificante città vescovile (Doll, 1953), forniva le migliori premesse perché le donazioni e le fondazioni dei S. potessero restare legate inequivocabilmente e in modo duraturo alla loro dinastia. In modo particolare il duomo, che ebbe funzioni di pantheon reale dei S., può essere visto come simbolo della concezione che aveva di sé tale dinastia, che per prima fondò un mausoleo di famiglia, lasciando con esso testimonianza della sua aspirazione a un'imperitura memoria. Iniziata sotto Corrado II, la cripta venne notevolmente ampliata sotto Enrico III per essere consacrata nel 1061, all'epoca di Enrico IV. Enrico III aveva inoltre fatto prolungare l'edificio, per il quale il figlio Enrico IV fece realizzare le ampie volte della navata, innovative per l'epoca, e ricostruire la parte orientale (Kubach, Haas, 1972; Kubach, 1974).Se l'edificio di Corrado II può essere visto come simbolo dinastico, rivolto verso il futuro, della stirpe salica, l'architettura diventava con Enrico III emblema di 'una idea del regno che va oltre la persona' (Weinfurter, 1991b, p. 95). A Enrico IV fu inoltre possibile utilizzare la sepoltura dei suoi predecessori per legittimare e rafforzare la propria ambizione alla dignità e al potere regale. Allo stesso tempo l'edificio rappresentava la 'grazia divina' concessa ai regnanti, giacché tramite le fondazioni si otteneva la cura della memoria e della salvezza dell'anima (Schmid, 1984). Il fatto che con l'imporsi del potere regale la consuetudine della sepoltura avesse acquistato il carattere di simbolo è dimostrato dalla traslazione di Enrico IV, il quale, spodestato dal figlio Enrico V, era stato inizialmente sepolto altrove. Nel corso delle indagini circa le loro sepolture all'interno di sarcofagi di pietra situati in una posizione particolarmente privilegiata del coro imperiale, è stata confermata la presenza di un consistente corredo funerario (Kubach, Haas, 1972, p. 923ss.; Schulze-Dörrlamm, 1992e, p. 288). Mentre la sepoltura di Enrico V venne saccheggiata, in quella del primo imperatore salico, Corrado II, venne trovata, per la prima volta in Europa, una corona funeraria (Spira, Dom- und Diözesanmus., D 10); in quella di Enrico III, accanto alla corona funeraria, anche una copia del pomo imperiale (Spira, Dom- und Diözesanmus., D 6; D 509) e nella tomba di Enrico IV una corona funeraria, una croce pettorale, una capsella cruciforme e un anello vescovile (Spira, Dom- und Diözesanmus., D 7; D 8; D 9; D 12), simboli del potere imperiale.Poiché anche i sovrani salici viaggiavano attraverso l'impero per rafforzare e imporre con la propria presenza il loro potere, essi si servirono di castelli, corti, palazzi imperiali sia come residenze temporanee per le loro soste sia per convocarvi le assemblee. Godette di particolare considerazione il palazzo di Goslar, fondazione ex novo di Enrico III (Dahlhaus, 1992). Sullo Pfalzplatz sorgevano, l'uno di fronte all'altra, il palazzo imperiale e la collegiata di St. Simon und Juda, dalla quale proveniva un gran numero di rappresentanti dell'episcopato imperiale, incarnando così le ambizioni della Corona nei confronti sia del potere temporale sia di quello religioso (Hölscher, 1927; Meckseper, 1991).Paradigmatica della concezione che gli imperatori avevano di sé è la corona dell'impero conservata a Vienna (Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer), in cui le iscrizioni delle placchette di smalto con rappresentazioni di Davide, Salomone, della Maiestas Domini e di Isaia ed Ezechia rimandano contemporaneamente alla Bibbia e alla liturgia dell'incoronazione. Oltre a ciò, al di sotto della corona ad arco (Bügelkrone), veniva in origine indossata una mitra, che corrispondeva all'ornamento del sommo sacerdote ebraico, i cui tre colori, verde, blu e bianco, resi tramite pietre, erano riservati, nell'impero bizantino, all'imperatore e ai suoi familiari (Staats, 1976). Inoltre, le dodici pietre preziose della placchetta frontale fanno riferimento ai dodici apostoli e, contemporaneamente, secondo l'Apocalisse, alludono alla fine del mondo e al ritorno di Cristo. Almeno l'arco e la croce inserita verticalmente nella corona possono essere considerati opere saliche, poiché, secondo Sprater (1942, p. 23), Fillitz (1953, p. 23ss.; 1954a, p. 50ss.; 1954b, p. 16ss.; 1993, p. 313ss.), Decker-Hauff (1955, p. 560ss.) e Kugler (19862, p. 45ss.), dovettero essere stati aggiunti al cerchio della corona, realizzato già nel sec. 10° all'epoca di Ottone I. Ritengono ugualmente tale corona una testimonianza dell'arte ottoniana, considerandola tuttavia pertinente a Ottone III, Elbern (1968, p. 220; 1988, p. 106ss.) e Hoffmann (1968, p. 57ss.). Al contrario ipotizzano che il cerchio della corona sia stato realizzato per Ottone II Bornscheuer (1968, p. 213ss.), Wolfram (1970, p. 84ss.) e Staats (1976, p. 41ss.), poiché la raffigurazione di Ezechia sarebbe da ricondurre alla grave malattia di Ottone I e la corona avrebbe dovuto sostituire quella che l'aveva preceduta, in seguito al furto delle insegne del 978, mentre le raffigurazioni di re Davide e di re Salomone sarebbero da intendersi come prefigurazione dell'associazione al regno di Ottone II sotto la reggenza di Ottone I. Weixlgärtner (1926, p. 15ss.; 1938, p. 20ss.), Metz (1932, p. 225) ed Eichmann (1941, p. 193) individuarono nell'insegna la corona regale borgognona del sec. 10°, mentre Swarzenski (1953) ha preferito considerarla una creazione della Lotaringia o di Magonza. Infine, secondo Haupt (1926-1927, p. 79ss.) e Bühler (1975, p. 124) essa sarebbe stata realizzata a Ratisbona o a Fulda e il suo committente sarebbe stato addirittura papa Benedetto VIII: questi avrebbe donato a Enrico II la corona, così fortemente improntata in chiave teocratica nelle sue immagini, poiché l'imperatore aveva trasferito le proprie insegne al monastero di Cluny e aveva donato all'altare di S. Pietro la propria corona portata a Roma per l'incoronazione. Invece Falke (1913) e Schlosser (1920, p. 43ss.) ritenevano che l'intera corona, quindi anche la fascia circolare, fosse da datare al sec. 11°, all'epoca di Corrado II. Questa ipotesi di recente è stata confermata da Schulze-Dörrlamm (1991a, pp. 117ss., 242ss.) che - dopo un'analisi comparata delle forme ornamentali - vi ha individuato caratteri tipici dell'età salica, come le sferette d'oro che compongono i castoni oppure le pietre preziose inserite in semplici castoni a grappe, accanto ai quali ritrova elementi che si riallacciano a forme tardo-ottoniane.Anche se riguardo alla cronologia del cerchio della corona le opinioni divergono, l'arco è considerato senza dubbio opera salica, poiché nella parte inferiore si può leggere un'iscrizione realizzata con perle bianche: "Chuonradus Dei gratia Romanoru(m) imperator Aug(ustus)". Essa può essere posta in relazione soltanto con Corrado II perché né Corrado I, né Corrado III vennero incoronati imperatori. Anche la croce della fronte, per le sue forme decorative, deve essere datata in epoca salica (Schülze-Dörrlamm, 1991a, p. 110). Come l'arco della corona, anche la croce dell'impero (Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer), mostra un'iscrizione che corre sulla costola e attesta come essa sia stata commissionata da Corrado II: "Ecce crucem Domini fugiat pars hostis iniqui. Hinc Chuonrade tibi cedant omnes inimici". Nell'anima in legno di quercia si trovavano un tempo reliquie, i cui contenitori erano estraibili dal lato frontale della crux gemmata. Nei bracci orizzontali una cavità serviva a ospitare (analogamente al modello della croce lignea della basilica di Costantino) in tempo di pace la 'santa lancia', mentre uno scomparto più lungo nella parte inferiore del braccio verticale conteneva una particola della croce e due cavità alle estremità della croce custodivano reliquie non meglio identificate (Schulze-Dörrlamm, 1992a, p. 242). L'antico corredo della croce, così come anche i perni di ferro ne attestano l'uso come croce processionale. Il lato posteriore è provvisto di un programma iconografico con temi sacri realizzato con una lavorazione a niello, i cui singoli motivi corrispondono alle visioni dell'Apocalisse. L'Agnello di Dio, nel quadrato mediano in corrispondenza dell'incrocio dei bracci, tiene come segno di vittoria l'asta della croce tramite la quale si rimanda sia alla passione di Cristo sia al suo trionfo sulla morte così come anche alla fine dei tempi e al ritorno di Cristo. Alle estremità allargate, che alludono quindi a tutti i punti cardinali, sono posti i simboli degli evangelisti, mentre sui bracci si trovano, seduti, gli apostoli.La visione teocratica che i S. avevano di sé si manifesta anche in altre loro insegne, come per es. nella spada imperiale (Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer) nota come arma di s. Maurizio, il cavaliere cristiano per eccellenza. Mentre la spada vera e propria venne rinnovata intorno al 1200 (Speneder, 1929; Fillitz, 1954a, p. 56; 1986, p. 167; Schramm, Mütherich, 1962, p. 175; Trnek, 1987c; Schulze-Dörrlamm, 1992c, p. 246), il fodero, con la sua decorazione, risale ancora all'epoca dei Salii. Su ciascun lato sono raffigurati, in rilievo in lamina d'oro, sette sovrani in gran parte non identificati, con corona ad arco (con o senza prependúlia), pomo, scettro o asta. Viene quindi rappresentata una serie di sovrani che va da Carlo Magno a Enrico III. Tale sequenza è confermata dall'unico sovrano espressamente contrassegnato da un nome inciso "L: rex", cioè re Ludovico IV. Particolarmente messi in risalto nella serie sono l'ultimo dei Carolingi, Ludovico IV, e il primo dei S., Corrado II (imparentato con i primi tramite la sposa Gisella), rappresentati sulle placchette di smalto, la cui ornamentazione fitomorfa si distingue chiaramente dalla restante decorazione con motivi romboidali a tappeto. Mentre alcuni (Trnek, 1987c, p. 171) ritengono che la spada imperiale sia stata realizzata per Enrico III, Schulze-Dörrlamm (1992c, p. 246) fa riferimento a Enrico IV per le vesti e per le insegne da datare a epoca successiva e vede nell'incoronazione imperiale di Enrico IV, avvenuta a Roma nel 1084, l'occasione per la sua realizzazione. In ogni caso, la spada presenta la serie degli 'antenati' carolingi e ottoniani nella quale la stirpe dei S. si inserisce come erede legittima. Proprio Enrico IV, dopo la lotta per le investiture, dopo la scomunica e i due antiré insediati contro di lui, dovette avere particolarmente a cuore questa testimonianza sicché l'attribuzione più probabile è quella avanzata da Schulze-Dörrlamm (1992c, p. 246).Un autentico albero genealogico dei S. venne redatto da Eccheardo di Aura per Enrico V. Intorno al 1107 la redazione originale, purtroppo non conservata, dovette giungere a Enrico V sotto forma di libro, del quale tuttavia si sono conservate le immagini in una successiva versione rielaborata dallo stesso Eccheardo (Chronicon universale; Berlino, Staatsbibl., Lat. 2° 295, c. 81v). Come primo sovrano esse mostrano il capostipite Corrado II in trono circondato dai medaglioni raffiguranti i busti di Enrico III, di Enrico IV e dei suoi due figli Corrado ed Enrico.Si sono conservate anche testimonianze di miniatura di epoca salica. Centro di produzione fu soprattutto Echternach; l'attività di questo scriptorium si caratterizza per le pagine decorative che riprendono motivi delle stoffe, come si incontrano anche nel Codex Aureus Epternacensis (Norimberga, Germanisches Nationalmus., 156142; Metz, 1956; Verheyen, 1963; Mütherich, 1990, p. 146). L'opera più nota della scuola di Echternach dovette essere l'evangeliario per il duomo di Spira (Escorial, Bibl., Vitr. 17). Sulla base dell'immagine di Enrico III e della sposa di questi Agnese (c. 3r), esso può essere datato quasi con precisione a un periodo che va tra il 1043 e il 1046, perché Enrico è definito re (l'incoronazione imperiale avvenne nel 1046) ed è nel contempo rappresentato dopo le seconde nozze avvenute nel 1043. I versi dedicatori dal canto loro testimoniano come esso fosse in origine destinato al mausoleo reale, il duomo di Spira. Le miniature attestano ancora una volta il significato dell'evangeliario per la profusione di oro e porpora; in particolare la miniatura dedicatoria (cc. 2v-3r), simbolo programmatico del potere, chiarisce la concezione che l'imperatore aveva del proprio potere, conferitogli direttamente da Dio. Ulteriori opere di miniatura prodotte a Echternach per Enrico III sono l'evangeliario realizzato per la collegiata del palazzo di Goslar consacrata nel 1050 (Uppsala, Universitetsbibl., C 93) e il Libro delle Pericopi di Enrico III, realizzato tra il 1039 e il 1043 (Brema, Staats- und Universitätsbibl., B.21). Al confronto di altre opere, il Libro delle Pericopi ha un formato piuttosto ridotto (cm 19,4 × 14,7), ma l'opera - offerta certamente a Enrico III dall'abate di Echternach Umberto - è riccamente illustrata (Plotzek, 1970). Mancano tuttavia, contrariamente a quanto avviene nell'evangeliario evidentemente commissionato dallo stesso sovrano per la collegiata di Goslar, tutte le allusioni al carattere sacro dell'impero. Nell'evangeliario destinato alla collegiata di Goslar sono ornate con particolare profusione le pagine dedicatorie (Nordenfalk, 1971). Qui Enrico III e sua moglie Agnese ottengono la corona da Cristo in trono all'interno di una mandorla dorata, circondato dai simboli degli evangelisti (c. 3v). L'origine divina del potere imperiale è rafforzata inoltre dall'iscrizione "Per me regnantes. Vivant Heinricus et Agnes".Analogamente a quanto avviene nel Chronicon universale di Eccheardo di Aura, anche l'immagine di Enrico V come sovrano e la rappresentazione di Enrico IV tra i figli Enrico e Corrado nell'Evangeliario di Enrico V (Cracovia, Bibl. Kapitulna, 208, c. 2v) sottolineano i legami dinastici dei S. per legittimarne la pretesa al trono (Schmid, 1991, p. 142ss).Un'ulteriore testimonianza della considerazione che i S. avevano della propria dinastia imperiale è costituita dal tesoro di Agnese di Poitou, sposa dell'imperatore Enrico III, rinvenuto nel 1880 a Magonza. Il luogo del ritrovamento, in quello che era un tempo il quartiere ebraico della città, e la datazione dei singoli monili, che nel loro complesso dovrebbero risalire al sec. 11°, indicano che il tesoro venne nascosto già alla fine di quel secolo, in occasione del pogrom del 1096. Il possessore ebreo dell'epoca potrebbe aver ricevuto il tesoro come pegno da parte di Enrico IV, il quale aveva urgente necessità di denaro per la sua quarta crociata (Schulze-Dörrlamm, 1991b, p. 111; 1992d, p. 262).I venticinque gioielli appartenenti al tesoro sono attualmente conservati a Magonza (Mittelrheinisches Landesmus.) e a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kunstgewerbemus.). Tra questi di particolare significato sono la collana e il relativo ornamento da busto nonché le due fibule a disco con l'aquila-pavone. Sfortunatamente la collana è stata gravemente danneggiata dagli accadimenti bellici della seconda guerra mondiale nel Deutsches Mus. di Berlino, dove era conservata all'epoca: le perle e alcune gemme sono andate perdute, altre pietre intagliate - come l'antico cammeo con una rappresentazione della Fama - hanno perso o mutato il loro colore. La forma del gioiello, le cui catenelle che si dipartono lateralmente in corrispondenza delle gemme incastonate dovevano essere fissate alle vesti, rimanda al maniákion dell'imperatore bizantino; infatti essa era considerata parte dell'ornamento imperiale (Falke, 1913; Schulze-Dörrlamm, 1991b, p. 89ss.; 1992d, p. 270).Anche l'ornamento da busto realizzato in forma di rete rettangolare con catenelle laterali da fissare alla veste si orienta tipologicamente verso una delle insegne imperiali bizantine, il lóros. Che tale adattamento salico del lóros appartenesse al corredo dell'imperatrice è reso verosimile anche dallo stretto legame stilistico con la corona dell'impero (Decker-Hauff, 1955, p. 592ss.), poiché proprio le sferette d'oro che compongono i castoni a giorno sono state considerate elemento decorativo tipico dell'epoca salica (Schulze-Dörrlamm, 1992d, p. 272). I simboli araldici che ugualmente alludono all'origine imperiale si ritrovano anche sulle fibule con l'aquila-pavone. Schulze-Dörrlamm (1992d, p. 267) ritiene che la loro differente grandezza dipenda dal fatto che esse potrebbero essere rispettivamente dell'imperatore e dell'imperatrice; tuttavia, la posizione tradizionale, araldicamente corretta, della donna, alla sinistra dell'uomo - come si ritrova per es. nel medaglione salico del Liber Aureus (Treviri, Stadtbibl., 1709), oppure nella rappresentazione di Enrico III e della sposa di questi Agnese nell'evangeliario per la collegiata di Goslar (Uppsala, Universitetsbibl., C 93, c. 3v) -, contraddice tale avvincente ipotesi. Il simbolo dell'aquila-pavone però - come Schulze-Dörrlamm (1991b, p. 110; 1992d, p. 266) giustamente ha notato - va oltre la speranza di risurrezione cristiana, alludendo al significato di simbolo di sovranità rappresentato dall'aquila imperiale.
Bibl.: O. von Falke, Der Mainzer Goldschmuck der Kaiserin Gisela, Berlin 1913; J. von Schlosser, Die deutschen Reichskleinodien, Wien 1920; A. Weixlgärtner, Die weltliche Schatzkammer in Wien. (Neue Funde und Forschungen), JKhSWien, n.s., 1, 1926, pp. 15-84; G. Haupt, Zur Entstehung der deutschen Kaiserkrone, Oberrheinische Kunst 2, 1926-1927, pp. 79-87; U. Hölscher, Die Kaiserpfalz Goslar, Berlin 1927; L. Speneder, Das Mauritiusschwert in der Weltlichen Schatzkammer zu Wien, WienJKg, n.s., 6, 1929, pp. 43-61; P. Metz, Das Kunstgewerbe von der Karolingerzeit bis zum Beginn der Gotik, in H.T. Bossert, Geschichte des Kunstgewerbes aller Zeiten und Völker, V, Berlin 1932, pp. 197-254: 225; A. Weixlgärtner, Geschichte im Widerschein der Reichskleinodien, Baden bei Wien-Leipzig 1938; G. Haupt, Die Reichsinsignien. Ihre Geschichte und Bedeutung, Leipzig 1939; E. Eichmann, Zur Symbolik der Herrscherkrone im Mittelalter, in Festschrift A. Notter, 1941; P. Schweinfurth, Das goldene Evangelienbuch Heinrichs III. und Byzanz, ZKg 10, 1941-1942, pp. 40-66; F. Sprater, Die Reichskleinodien in der Pfalz, Ludwigshafen am Rhein 1942; A. Doll, Das Pirminskloster Hornbach. Gründung und Verfassungsentwicklung bis Anfang des 12. Jahrhunderts, Archiv für mittelrheinische Kirchengeschichte 5, 1953, pp. 108-142; H. Swarzenski, Monuments of Romanesque Art. The Art of Church Treasures in North-Western Europe, London 1953, p. 43, nr. 75; H. Fillitz, Studien zur römischen Reichskrone, JKhSWien 50, 1953, pp. 23-52; id., Die Insignien und Kleinodien des Heiligen Römischen Reiches, Wien 1954a; id., Insignien und Reichskleinodien des Heiligen Römischen Reiches, Wien-München 1954b; H. Decker-Hauff, Die 'Reichskrone', angefertigt für Kaiser Otto I., in Herrschaftszeichen und Staatssymbolik, a cura di P.E. Schramm, II, Stuttgart 1955, pp. 560-637; P. Metz, Das goldene Evangelienbuch von Echternach im Germanischen Nationalmuseum zu Nürnberg, München 1956; J. Deér, Kaiser Otto der Grosse und die Reichskrone, in Beiträge zur Kunstgeschichte und Archäologie des Frühmittelalters, 1962, pp. 261-277; P.E. Schramm, F. Mütherich, Denkmale der deutschen Könige und Kaiser. Ein Beitrag zur Herrschergeschichte von Karl dem Grossen bis Friedrich II. 768-1250, München 1962 (19812); E. Verheyen, Das goldene Evangelienbuch von Echternach, München 1963; J. Fleckenstein, Die Hofkapelle der deutschen Könige, II, Die Hofkapelle der ottonisch-salischen Reichskirche, Stuttgart, in MGH. Schriften, XVI, Stuttgart 1966; H. Fillitz, Die Krone des Heiligen Römischen Reiches. Zur Rekonstruktion der ursprünglichen Form, in Studien zur Buchmalerei und Goldschmiedekunst des Mittelalters. Festschrift Karl Hermann Usener, Marburg a. d. L. 1967, pp. 21-26; L. Bornscheuer, Miseriae Regum. Untersuchungen zum Krisen- und Todesgedanken in den herrschaftstheologischen Vorstellungen der ottonisch-salischen Zeit, Berlin-New York 1968; V.H. Elbern, Ottonische Bildnerei in edlen Materialien, in Das frühmittelalterliche Imperium, a cura di E. Kubach, V.H. Elbern, Baden-Baden 1968 (19802), p. 220ss.; K. Hoffmann, Taufsymbolik im mittelalterlichen Herrscherbild, Düsseldorf 1968; J.M. Plotzek, Das Perikopenbuch Heinrichs III. in Bremen und seine Stellung innerhalb der Echternacher Buchmalerei, Köln 1970; H. Wolfram, Überlegungen zur Datierung der Wiener Reichskrone, MIÖG 78, 1970, pp. 84-93; C. Nordenfalk, Codex Caesareus Upsaliensis. Kommentarband zur Faksimileausgabe, Stockholm 1971; H.E. Kubach, W. Haas, Der Dom zu Speyer, 3 voll., München-Berlin 1972; H.E. Kubach, Der Dom zu Speyer, Darmstadt 1974; A. Bühler, Hypothesen zur Entstehung der Wiener Reichskrone, in Festschrift Nikolaus Grass, a cura di L. Carlem, F. Steinegger, II, Innsbruck 1975, p. 119ss.; K. Schmid, De regia stirpe Waiblingensium. Bemerkungen zum Selbstverständnis der Staufer, ZGO 124, 1976; R. Staats, Theologie der Reichskrone. Ottonische 'Renovatio imperii' im Spiegel einer Insignie (Monographien zur Geschichte des Mittelalters, 13), Stuttgart 1976; W. Glässner, Das Königsgut Waiblingen und die mittelalterlichen Kaisergeschlechter der Karolinger, Salier und Staufer, Waiblinegn 1978; K. Schmid, Die Sorge der Salier um ihre Memoria. Zeugnisse, Erwägungen und Fragen, in Memoria. Der geschichtliche Zeugniswert des liturgischen Gedenkens im Mittelalter, a cura di K. Schmid, J. Wollasch (Münstersche Mittelalter-Schriften, 48), München 1984, pp. 666-726; G. Wolf, Der 'Waise'. Bemerkungen zum Leitstein der Wiener Reichskrone, DAEM 41, 1985, pp. 39-65; H. Fillitz, Die Schatzkammer in Wien. Symbole abendländischen Kaisertums, Salzburg-Wien 1986, p. 166ss.; G.J. Kugler, Die Reichskrone, Wien 19862 (1968); E. Boshof, Die Salier, Stuttgart-Berlin-Köln 1987 (19953, pp. 7-8); H. Trnek, Die Reichskrone, in Weltliche und Geistliche Schatzkammer, Bildführer des Kunsthistorischen Museums Wien, Salzburg-Wien 1987a, pp. 148-155; id., Das Reichskreuz, ivi, 1987b, pp. 155-159; id. Das Reichsschwert, ivi, 1987c, pp. 170-171; V.H. Elbern, Goldschmiedekunst im frühen Mittelalter, Darmstadt 1988; F. Mütherich, Malerei bis zum Ausgang des 11. Jahrhunderts, in Das Mittelalter, a cura di H. Fillitz, I, Berlin 1990, pp. 127-152; M. Schulze-Dörrlamm, Die Kaiserkrone Konrads II. (1024-1039). Eine archäologische Untersuchung zu Alter und Herkunft der Reichskrone (Römisch-Germanisches Zentralmuseum. Monographien, 23), Sigmaringen 1991a (19922); id., Der Mainzer Schatz der Kaiserin Agnes aus dem mittleren 11. Jahrhundert. Neue Untersuchungen zum sogenannten 'Gisela-Schmuck' (Römisch-Germanisches Zentralmuseum. Monographien, 24), Sigmaringen 1991b; C. Meckseper, Zur salischen Gestalt des Palas der Königspfalz in Goslar, in Die Salier. Burgen der Salierzeit, a cura di H.W. Böhme (Römisch-Germanisches Zentralmuseum. Monographien, 25), Sigmaringen 1991, I, pp. 85-95; S. Weinfurter, Herrschaft und Reich der Salier. Grundlinien einer Umbruchzeit, Sigmaringen 1991a; id., Herrschaftslegitimation und Königsautorität im Wandel: die Salier und ihr Dom zu Speyer, in Die Salier und das Reich, a cura di S. Weinfurter, H. Seibert, I, Sigmaringen 1991b, pp. 55-96; K. Schmid, Zum Haus- und Herrschaftsverständnis der Salier, ivi, 1991, pp. 21-54; P. Moraw, Die Pfalzstifte der Salier, ivi, II, 1992, pp. 355-372; J. Dahlhaus, Zu den Anfängen von Pfalz und Stiften in Goslar, ivi, pp. 373-428; M. Schulze-Dörrlamm, Reichskrone, in Das Reich der Salier. 1024-1125, cat. (Speyer 1992), Sigmaringen 1992a, pp. 242-243; id., Reichskreuz, ivi, 1992b, pp. 243-246; id., Reichsschwert sog. "Mauritiusschwert", ivi, 1992c, pp. 246-247; id., Schatz der Kaiserin Agnes aus Mainz, ivi, 1992d, pp. 262-272; id., Die Gräber der Salier im Dom zu Speyer, ivi, 1992e, pp. 288-300; S. von Roesgen, K. Weidemann, Ekkehard von Aura, Chronik, ivi, p. 421; H. Fillitz, Bemerkungen zur Datierung und Lokalisierung der Reichskrone, ZKg 56, 1993, pp. 313-334.K. Schwedes