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SALIMBENI

di Anna Maria Ciaranfi - Enciclopedia Italiana (1936)
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SALIMBENI

Anna Maria Ciaranfi

. Famiglia di pittori senesi operosi nel secolo XVI-XVII. Capostipite ne fu Arcangelo (nato fra il 1530 e il 1540, morto dopo il 1580), mediocre seguace del Sodoma, spesso con ricordi manieristici (p. es., Adorazione al Carmine, 1574; Morte di S. Pietro Martire in S. Domenico, 1579). Riuscì talvolta a opere notevoli soprattutto per colore, come lo Sposalizio di S. Caterina nella casa della santa e due Santi nella Chiesa dei Servi. Altre sue pitture sono a S. Martino a Strove (1574), alle Serre di Rapolano (1875), a Staggia, a Montefollonico, ecc.

Da lui (che fu patrigno del pittore Francesco Vanni) apprese i primi elementi il figlio Ventura (1567 o 1568-1613), uno dei migliori artisti senesi della fine del sec. XVI, detto "il cavalier Bevilacqua" (v. appresso). In età giovanile si recò a Roma, dove trovò attivissima la scuola dei manieristi, e opere di Federigo Barocci ch'egli, educato al gusto del colore raffinato e leggiero e alle preziose fantasie del Beccafumi, doveva gustare, capire e assimilare più di ogni altro. A Roma lavorò in S. Agostino, al Gesù, in S. Maria Maggiore, nel Vaticano (specialmente nella Libreria), ecc. Tornato a Siena, forse dopo un periodo passato a Lucca (belle decorazioni ad affresco nel palazzo Buonvisi), vi iniziò nel 1595 la pittura della vòlta nella Compagnia della Trinità, in cui lavorò anche più tardi, sulle lunette in basso e sulle pareti, finendo l'importante ciclo nel 1602. Dopo altre pitture a Montalcino, compì a Siena, nel 1600, alcune lunette nell'oratorio di S. Bernardino, e gli affreschi con storie di S. Giacinto in S. Spirito, dove una volta di più il S. appare eccellente come frescante, aperto alle impressioni di luce e di colore, rese con padronanza di mezzi e con originale senso compositivo. Un breve periodo trascorso a Perugia (S. Pietro, Madonna degli Angeli) gli fruttò dal cardinale Bevilacqua il cavalierato dello Speron d'Oro e la facoltà di portare il suo stesso cognome.

Dopo altre opere a Siena (S. Quirico, 1603; S. Caterina, 1604), la fama sempre crescente delle sue qualità di frescante gli valse l'invito di recarsi a Firenze, dove eseguì due lunette nel chiostro grande dell'Annunziata. Importante fu per lui la visione dei pittori fiorentini. L'anno di poi, 1606, tornato a Siena, lavorava in S. Domenico (Crocifissione) e al Refugio, compiendovi opere lasciate in tronco da A. Casolani e da F. Vanni, con bravura e gusto. Tornò quindi a Pisa (1607, Martirio di S. Cecilia, in S. Ceeilia) e a Firenze (1608, Morte del B. Bonfigliolo Monaldi e Visione di S. Filippo Benizzi, nel chiostro grande dell'Annunziata). Era di nuovo a Siena nel 1608 (decorazione delle pareti sulla parte terminale del duomo, compiuta nel 1611); nella cattedrale di Pisa dipingeva nel 1609 una tavola con Angeli nel 1610 a Genova eseguiva affreschi in San Francesco di Paola e in S. Siro, nel 1612 a Siena compiva una serie di affreschi assai graziosi nella chiesa del Santuccio (1612).

Artista dotato di qualità eccellenti di decoratore, volto non a espressioni di forza, ma a uno stile leggiadro e raffinato, mostrò di saper conciliare il fare del Barocci e dei seguaci di lui con la tradizione senese, specialmente del Beccafumi.

Il figlio di Ventura, Simondio (1597 già morto nel 1650), fu molto inferiore a lui per temperamento artistico. Fra le sue opere sono due grandi tele nella chiesa della Contrada della Lupa (1620 e 1621), varie lunette al Santuccio, ecc.

Oltre alle fonti stampate (I. Ugurgieri-Azzolini, Le pompe sanesi, II, Pistoia 1649; G. Della Valle, Lettere sanesi, III, Roma 1786; F. Baldinucci, Notizie de' profess. del disegno, ivi 1618-88) e alle Guide di Siena di G. A. Pecci (1759), del Faluschi (1784) e del Romagnoli (1840), e alle fonti manoscritte (principalissime le Biografie cronol. de' Bellartisti Senesi di E. Romagnoli, circa 1825), si vedano la monografia di E. Mirolli su V. S., in La Diana, VII (1932), p. 111 segg.; e soprattutto H. Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz, Berlino 1920; e A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, v e vii, Milano 1932 e 1934, dov'è una più precisa bibl.; come alla voce S. (Brandi e Stechow) nel Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIX, Lipsia 1935.

Vedi anche
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