SALINGUERRA TORELLI
Secondo di questo nome, figlio di Torello di Salinguerra I, nacque forse attorno al 1170, da una famiglia di rango capitaneale di origine bolognese, già in rapporto coi Canossa. L'avo e il padre (presente nel 1177 alla pace di Venezia) svolsero dal 1150 ca. un ruolo di rilievo nella vita politica di Ferrara (v.). La già solida posizione della famiglia nella società cittadina fu poi indirettamente rafforzata dall'inattesa estinzione di una delle famiglie capo-parte in Ferrara, i Marchesella-Adelardi. I seguaci dei Marchesella affidarono agli Este (sino ad allora assenti dalla scena politica ferrarese; v. Este, famiglia), la leadership della pars; e i Torelli ‒ provvisti del prestigio e delle risorse per contrastarne la penetrazione politica ‒ assunsero un ruolo di contraltare dei marchesi: prevalentemente in Ferrara, ma non senza collegamenti sovracittadini nella Marca trevigiana. L'intera esperienza politica di S., svoltasi nel cinquantennio 1190 ca.-1240, si inscrive in questo quadro, e parzialmente si intreccia con le vicende della pars Imperii nell'Italia nordorientale.
La carriera politica di S. inizia nel 1191, a fianco del padre; ma nel 1195 è già podestà del comune di Ferrara, e destinatario di un diploma imperiale che gli concede diritti giurisdizionali sul patrimonio. Ricoprirà nuovamente la carica nel 1199 e 1203. Già in questi anni la sua politica interna sembra orientata a incarnare le esigenze d'insieme del mondo urbano (anche dei ceti produttivi), promulgando forse (1195) il primo corpus statutario, e circoscrivendo autonomie e giurisdizioni ecclesiastiche. Sul piano esterno, S. tenta di arginare la potenza estense accordandosi con le città venete. Vanno letti in tal senso sia lo scambio dei podestà con Verona, predisposto nel 1199 e attuato nel 1200 (quando S. fu podestà a Verona, suo fratello Pietro di Remengarda a Treviso, un loro sostenitore a Vicenza), che le scelte matrimoniali di S. (che anziché una Marchesella sposò invece Sofia, sorella di Ezzelino III da Romano; v.).
Per alcuni anni, i rapporti politici fra S. e gli Estensi non furono tuttavia conflittuali: nel 1202 Azzo VI e S. mediarono un contrasto di confine fra Modena e Reggio. Ma nel 1205 tuttavia (S. era podestà a Modena) Azzo VI attaccò un castello dei Torelli; e tra il 1207 e il 1208 le controversie di partito s'inasprirono nell'intera Marca, coinvolgendo Ferrara nella politica sovracittadina dei marchesi. Azzo VI (nel 1208 podestà di Verona, Mantova e Ferrara) espulse dalla città S., con la sua pars, che si accostò politicamente ai da Romano. La reazione di S. ‒ "vir nobilis prudens et bellicosus", secondo la definizione del cronista Maurisio (1913-1914, p. 16); mentre Rolandino (1905-1908, pp. 31, 71) insiste di più nei suoi giudizi sull'intelligenza politica: "probus, sapiens et astutus", "ingeniosus et cautus" ‒ portò alla riconquista della città (primavera 1209), cui seguì la restituzione del castello di Argenta all'arcivescovo di Ravenna (largo di investiture verso S.). Pochi mesi dopo, la discesa in Italia di Ottone IV mise temporaneamente la sordina ai contrasti (vividamente tratteggiati dal cronista Maurisio nell'incontro a Ossenigo in Val d'Adige, nella curia regis, fra Ezzelino II, S. e il marchese). Nel settembre S. è a Bologna al seguito dell'imperatore (con Azzo VI ed Ezzelino II), e poi a Ferrara col podestà imperiale Ugo di Worms; scorta Ottone IV verso Roma, presenziando alla concessione di molti privilegi (compresa l'investitura della Marca di Ancona ad Azzo VI). Fallito, nel marzo 1210, un tentativo di conciliazione fra Azzo VI e S. operato in Ferrara da Ottone IV, S. gli restò fedele anche dopo la scomunica (mentre l'Estense si schierò con il papa) e fu cacciato dalla città, insieme con un seguito cospicuo di partigiani e con il podestà imperiale, agli inizi del 1211.
Nel 1213 la morte di Azzo VI e la crisi della pars estense favorirono però un accordo tra S. e Aldobrandino d'Este, e il rientro in Ferrara, con l'impegno a governare in comune la città. Il compromesso resse abbastanza a lungo: solo nel 1222-1224 vi fu una rottura aperta, con espulsioni e rientri di Azzo VII e dei suoi sostenitori. Ma il successivo accordo stipulato nel 1224, che prevedeva la spartizione delle cariche cittadine fra le due partes, durò nella sostanza ancora per quindici anni. In effetti gli interessi politici estensi spaziavano anche (e soprattutto) sulla Marca e su Mantova, mentre solo su Ferrara insistevano quelli di S., che pure non trascurò i rapporti con le città venete (podesterie a Treviso [1214], a Mantova [1221], a Verona [1230]) e con Ezzelino III da Romano, e il consolidamento patrimoniale (transazione col comune di Modena per i beni ex matildici).
In riferimento a questo periodo (1224-1239) di preminenza informale ma indiscutibile, S. è stato connotato per la sua "adesione alla patria cittadina" (Vasina, 1987, p. 94), o "vero signore ante litteram" (Trombetti Budriesi, 1987, p. 170); Sestan (1962, p. 205) ha parlato di "sostanziale signoria", Castagnetti di "soluzione signorile […] inevitabile: si trattava solo di scegliere fra Torelli ed Estensi" (1985, p. 256). S. interpreta gli interessi commerciali e politici della società urbana, non esaspera i pur gravi contrasti politici (non molti sono i fuorusciti) e asseconda forse (specie durante l'ultimo periodo di predominio) l'organizzazione e l'affermazione sociopolitica dei ceti artigianali. Svolge inoltre in qualche momento un ruolo di mediazione in altre città (Verona). Nel complesso, la sua politica è a lungo molto più 'ferrarese' che imperiale o filoimperiale; e prova l'astrattezza e il formalismo giuridico delle distinzioni fra 'regime comunale' e 'regime signorile' nel Duecento italiano, quando vi sia una figura dotata di prestigio, forza militare, capacità di interpretare le esigenze di fondo di una società cittadina. Di dominium ("dominium Ferarie optime habuit") parla Salimbene de Adam (che definisce S. "potens homo et famosus et nominatus et magne sapientie reputatus"; 1966, p. 242).
Già in quegli anni, tuttavia, si profila per il comune di Ferrara e per S. un problema di crescente importanza: la definizione dei rapporti fiscali e commerciali con Venezia. Tra 1226 e 1234 l'andamento è alterno, fra aperture agli interessi veneziani e tutela (anche con la forza) delle prerogative del comune e degli operatori locali. Proprio l'ostilità prima latente e poi palese di Venezia segnò la crisi della politica di S.: dal 1236-1237 la città lagunare sostenne in modo deciso il fronte antifedericiano. S., che aveva tentato di mantenere una politica equilibrata ‒ come attestano i trattati con le città della Lega e con Padova, del 1234 e 1235 (Brescia), e con l'imperatore stesso (1236) ‒, si trovò in crescente difficoltà, anche per la pressione interna del partito filoestense e per le scelte ostili alle istituzioni ecclesiastiche da lui compiute.
La situazione precipitò nel 1239: i cronisti parlano di civilis dissensio. Ferrara fu costretta ad accettare un podestà imperiale, segno di quella obbligata adesione che S. barcamenandosi con abilità aveva a lungo cercato di evitare. Dopo la scomunica di Federico II e il bando imperiale contro gli Estensi (primavera 1239), si erano saldati gli interessi di Venezia, del marchese, del papa e del suo legato, di Filippo da Pistoia vescovo di Ferrara, e si giunse alla guerra. Perduti vari castelli nel territorio, la città fu conquistata nel giugno 1240 dopo un assedio di alcuni mesi; iniziò allora il plurisecolare dominio estense. S., catturato con l'astuzia durante le trattative di pace, fu posto al confino a Venezia, ove morì nel 1245.
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