SALMI e salmodia
Si chiamano salmi alcune composizioni poetiche ebraiche contenute sia isolatamente in varie parti . della Bibbia (ad es., in Deuteronomio, XXXII, 1-43; I Samuele [Re], II, 1-10; II Samuele [Re], I, 18-27; Abacuc, III, 1-19, ecc.), sia collettivamente in quel libro della Bibbia che perciò è chiamato Salterio (v.) o Libro dei Salmi.
Il nome salmo, applicato a queste poesie, proviene dalla versione greca dei Settanta, che ha reso con ψαλμός il termine ebraico mizmōr; questo termine, derivato dalla radice z m r, "sonare uno strumento musicale", "cantare accompagnato da uno strumento" (cfr. l'assiro zamaru "cantare", e l'arabo zamara, "gridare [di bestie]"), significò in ebraico quella particolare specie di canti composti per essere eseguiti con accompagnamento strumentale (al contrario di shīr, che era il "canto" in genere), e nella Bibbia ebraica si trova applicato soltanto alle composizioni contenute nel Salterio (così pure nei frammenti ebraici di Ecclesiastico, XLIV, 5; ma in senso profano, ivi XXXII, 6; II, 1). La collezione del Salterio si trova chiamata Libro dei Salmi, βίβλος ψαλμῶν, già in Luca, XX, 42; Atti, I, 20, e questo termine prevale in seguito fra i cristiani; tuttavia nella Bibbia ebraica essa riceve il titolo di Tehillīm (sing. tehillāh), "Laudi (sacre)", "Inni".
Iscrizioni. - Su molti salmi si trovano brevi iscrizioni che indicano o il genere di composizione, o il modo e l'occasione di esecuzione e l'"aria" su cui si doveva cantare, o l'occasione in cui si riteneva composto, o l'autore a cui si attribuiva.
Alludono al genere di composizione, oltre ai già visti termini di mizmōr, shīr e tehillāh, anche tephillah "preghiera", e gli oscuri higgāyon "ditirambo?", maskīl "erudiente?", e miktam "epigramma?", i quali tre ultimi rimasero problematici già per le antiche versioni.
Sembrano riferirsi al modo di esecuzione i seguenti termini: bineghinōth "su strumenti a corda", ‛al ha-neḥīlōth "su strumenti a fiato", ‛al ‛ălāmōth "su (voci di) vergini" (soprano), e in contrario ‛al has-shemīnīth "su ottava" (baritono), ‛al ha-gittīth "sulla (cetra) Ghittea" (del tipo fabbricato a Gath). All'occasione dell'esecuzione paiono alludere termini quali: lehazkīr "per rammentare" (forse per la cerimonia dell'Azkārāh; cfr. Levitico, II, 2; Isaia LXVI, 3); shīr-ḥanukkath ha-bayit "canto per l'Encenia del Tempio" (per l'omonima festa); shīr ha-ma‛aloth "canto delle salite", probabilmente cantato dai pellegrini che salivano verso Gerusalemme; si possono invece riferire all'"aria" su cui si doveva cantare la composizione le seguenti espressioni, che sono probabilmente inizî di canzoni comunemente note: ‛al mūth labben "sulla morte del figlio?"; ‛al shoshannīm "sopra i gigli"; ‛al-yōnath 'elem reḥoqīm "su colomba del silenzio dei lontani?"; ‛al-'ayyeleth has-shaḥar "su cerva dell'aurora"; ‛al-tashḥeth "non guastare!". Spesso queste indicazioni si trovano due o tre insieme, in cima alla stessa composizione, e sovente accompagnate con l'altra generica lamenaṣṣeaḥ "al corifeo".
Altre annotazioni iniziali ricollegano la composizione con una data occasione, ad es. "Di un afflitto che viene meno, e davanti a Jahvè effonde il suo lamento" (Salmo CII); oppure con una data occasione e insieme con l'autore a cui attribuisce la composizione, ad es. "Salmo, di David, quando era nel deserto di Giuda" (Salmo LXIII); oppure soltanto con un nome d'autore, ad es. "Di Asaph", "Di Mosè, uomo di Dio", "Dei figli di Qoraḥ", "Di David".
Un'annotazione che si ritrova nel corpo di molti salmi (39, in alcuni dei quali più volte), e che ha certamente un valore musicale o riguardante l'esecuzione, è il termine selāh, il cui preciso significato tuttavia oggi è ignoto. S. Girolamo lo traduce con semper (dietro l'esempio di Aquila, ἀεί); meglio forse lo rendono i Settanta con διάψαλμα, "interludio (strumentale)?". Altri salmi hanno, in cima o in fondo, l'indicazione generica hallelū-jāh, "celebrate-Jah[vè]" (cfr. Matteo, XXVI, 30). Qualche altra annotazione è affatto isolata e anche più oscura.
Che queste varie annotazioni siano generalmente assai antiche, è cosa comunemente ammessa. Più discussa è l'autorità che hanno le attribuzioni ai diversi autori nominati, e che non di rado discordano fra il testo ebraico e le antiche versioni. È certo che talvolta quei nomi di autori furono apposti da oscuri amanuensi per motivi del tutto infondati, come appare specialmente nelle versioni tardive: ad es., il Salmo CXXXVII, che tratta degli esuli giudei piangenti lungo i canali di Babilonia, reca nella versione dei Settanta l'iscrizione "Di David", il quale David fu anteriore di più secoli all'esilio babilonese. Altre volte solo un dato passo di un salmo non si accorda storicamente con l'autore a cui è attribuito: ad es., il Salmo LI nei suoi versetti finali 20-21 tratta della ricostruzione delle abbattute mura di Gerusalemme, perciò almeno quel tratto finale non può essere di David a cui pure il salmo è attribuito (si è pensato che sia un'aggiunta finale). Al contrario, quando le attribuzioni sono concordi nei varî testi, né vi sono serie ragioni interne per richiamarne in dubbio le attribuzioni, queste conservano quell'autorità che è raccomandata all'antichità della tradizione e insieme talvolta alla congruità dell'argomento trattato.
La questione della struttura interna di queste poesie ebraiche si riversa su quella della metrica ebraica (v. metrica, XXIII, p. 102). Inoltre, i confronti con la letteratura babilonese-assira hanno messo in rilievo la stretta dipendenza dello stile e della forma dei salmi ebraici dai babilonesi (v. babilonia e assiria, V, p. 748; ebrei: Letteratura biblica, XIII, 358 seg.).
Numero e raggruppamemo. - I salmi contenuti nel libro omonimo sono 150, ma la loro numerazione è alquanto differente nel testo ebraico confrontato con quello dei Settanta e della Volgata latina. Eccone la tabella comparativa:
La stessa numerazione dell'ebraico non è però uniforme nella tradizione manoscritta, e la tradizione rabbinica (Talmūd jer., Shabbat, 16) testimonia una numerazione di 147 salmi. Anche riguardo al contenuto dei singoli salmi la loro numerazione è tavolta evidentemente errata in ambedue i testi: ad es., i Salmi XLII-XLIII devono essere uniti, perché formano una sola composizione; al contrario, sono due composizioni distinte, e quindi da separarsi, le due parti del Salmo XIX, cioè 1-7 e 8-15. (Qui si seguirà la numerazione del testo ebraico).
È da notare che questi 150 salmi in realtà si riducono a qualcuno di meno, perché il XIV è uguale al LIII, il LXX è uguale a XL, 14-18, e il CVIII risulta composto di LVII, 8-12 con l'aggiunta di LX, 7-14 (anche il CXXXVI è una trascrizione litanica di passi desunti da altri salmi, specie dal precedente).
Questa raccolta di 150 salmi è poi suddivisa in 5 libri, o collezioni minori, cioè: I-XLI; XLII-LXXII; LXXIII-LXXXIX; XCCVI; CVII-CL; ognuna di queste collezioni è conclusa da una dossologia, che la prima volta è: "Benedetto Jahvè Dio d'Israele, dall'eternità all'eternità. Amen, amen", e nelle altre volte è circa di questo tipo, salvo all'ultima collezione in cui il breve Salmo CL è tutto una dossologia con cui termina il Salterio.
Anche questa ripartizione dei Salmi in 5 collezioni è molto antica: se ne ha una prova, oltreché nell'accordo del testo ebraico con quello dei Settanta, anche nel fatto che il Cronista (v. cronache, libri delle), riportando la finale del salmo con cui termina la quarta collezione, riporta anche la dossologia di conclusione (I Cron., XVI, 35-35). Il caso inverso, di un riporto dalle Cronache nel Salterio - salvo il ritornello del popolo - non sembra probabile, avendo contro di sé l'uso della dossologia alla fine di ogni collezione. Tuttavia questa ripartizione, sorta forse per esigenze liturgiche, non può essere anteriore al sec. IV a. C.; è probabile invece che in tempi più antichi tutti i 150 Salmi fossero raggruppati in maniera più ampia, come sembra indicare l'attribuzione a dati autori e l'impiego dei nomi divini Jahvè ed Elohim (v. jahvè).
Troviamo, infatti, che nella prima collezione (Salmi I-XLI) tutti i salmi sono attribuiti a David - salvo tre o quattro eccezioni - e il nome di Jahvè vi è impiegato 272 volte, di fronte alle 15 volte che è impiegato il nome di Elohim; la seconda e terza collezione prese insieme (Salmi XLII-LXXXIX) hanno un carattere misto sotto ambedue gli aspetti, giacché vi sono una ventina di salmi attribuiti a David, mentre gli altri sempre in quantità minore sono attribuiti ai Figli di Qorah, ad Asaph e ad altri, e vi troviamo impiegato il nome di Elohim 207 volte di fronte alle 74 volte di Jahvè; la quarta e quinta collezione insieme (Salmi XC-CL) hanno salmi anonimi - salvo uno attribuito a Mosè e circa una dozzina a David - e l'uso costante del nome di Jahvè, cioè 339 volte contro 7 volte per Elohim (di cui 6 volte nel Salmo CVIII che è formato di due frammenti precedenti: v. sopra).
Di questi anteriori raggruppamenti, tre più ampî in luogo di cinque, quello di mezzo suggerisce probabilmente la spiegazione del procedimento. In esso solo prevale di gran lunga il nome di Elohim, mentre negli altri due raggruppamenti estremi l'impiego di Jahvè è quasi esclusivo; sennonché il confronto dei salmi ripetuti dal primo nel secondo raggruppamento (XIV e LIII; XL, 14-18 e LXX; v. sopra) mostra che al termine Jahvè (XIV e XL) si è sostituito quasi sempre Elohim (LIII e LXX. che sono di redazione posteriore), come pure una tendenza di aggiungere o sostituire Elohim a Jahvè è dimostrata in questo raggruppnmento mediano anche da altri confronti (cfr. l'espressione "Jahvè (Dio) delle Schiere", ove Dio è irregolarmente in stato assoluto, in LIX, 6; LXXX, 5, 20, con LXXXIX, 9, ove Dio è regolarmente in stato costrutto; cfr. anche l'espressione tautologica "Dio, Dio mio [o: tuo, nostro]" di XLIII, 4; XLV, 8; XLVIII, 15; L, 7, con l'espressione regolare "Jahvè. Dio mio [o tuo, nostro]"). Da questi rilievi si può argomentare che il raggruppamento mediano circolò per un certo tempo separatamente dagli altri due, e che in quel mentre fu sottoposto a quel lavoro di sostituzione "elohistica" che gli ha dato la prevalenza dell'appellativo in questione in confronto con gli altri due raggruppamenti: allorché questo processo di sostituzione era già molto avanzato, avvenne l'incorporazione di questo fra gli altri due raggruppamenti, per cui il processo fu arrestato o quasi.
Quanto all'attribuzione agli autori, questo raggruppamento mediano era di carattere eclettico (v. sopra), mentre il primo raggruppamento era quasi assolutamente davidico e il terzo era in gran prevalenza anonimo.
Soggiacenti sia alle 5 collezioni, sia ai precedenti raggruppamenti più ampî, vi sono poi nel Salterio nuclei di raccolte che sembrano anche più antiche; tali sono la raccolta attribuita ai Figli di Qorah (XLII-XLIX), quella attribuita ad Asaph (LXXII-LXXXIII), quella intitolata "Delle salite" (CXX-CXXXIV), e altre in parte scompaginate, come quella del "Hallel[ū-jāh]" (CXI segg.) e le davidiche minori (di una di queste ultime l'annotazione finale si è conservata in LXX, 20, in fondo alla 2ª collezione).
Nulla di sicuro sappiamo circa le varie epoche in cui questi raggruppamenti e nuclei sorsero. Le più antiche raccolte possono essere quelle davidiche, che si andarono formando qua e là lungo i secoli: a queste e ad altre si poté lavorare nei tempi di Ezechia, (secondo gli accenni di Proverbî, XXV, 1; II Cron., XXIX, 30), in quelli di Neemia, e anche di Giuda Maccabeo (II Maccabei, II, 13-14). È inoltre possibile che in queste raccolte già riunite nelle 5 collezioni s'inserissero poi occasionalmente altre composizioni, rimaste fino allora extravagantes.
In occasione della recezione in queste raccolte sembra che siano state aggiunte quelle annotazioni iniziali che ricollegano la composizione con una data occasione storica (v. sopra). Le più interessanti sono quelle di 13 salmi davidici, le quali però sono tutte desunte spesso quasi a parola dai libri di Samuele: cioè Salmi, III, VII, XVIII, XXXIV, LI, LII, LIV, LVI, LVII (CXLII), LIX, LX, LXIII, per i quali cfr. rispettivamente II Sam. (Re), XV, 14; XVIII, 31; XXII, 1; I Sam., XXI, 15; II Sam., XII, 1; I Sam., XXII, 9; XXIII, 19; XXI, 12; XXII, 1 e XXIV, 4; XIX, 11; II Sam., VIII, 3-14; I Sam., XXII, 5. Risulta quindi che queste annotazioni sono posteriori ai libri di Samuele (v. re, libri dei), e che esse furono apposte da ignoti collettori i quali trovarono corrispondenti l'argomento del salmo e il relativo episodio di Samuele; la corrispondenza tuttavia è quasi sempre estremamente generica e vaga.
Si può quindi concludere che l'odierno Libro dei Salmi è sorto per un processo di collezione durato più secoli. Dapprima circolavano raccolte minori di canti attribuiti per lo più a un dato autore o destinate a particolari circostanze; in seguito queste raccolte, in parte scompaginate e in parte accresciute con nuove composizioni, confluirono in tre maggiori raggruppamenti, di cui il primo fu quasi esclusivamente davidico, il secondo di carattere eclettico, e il terzo prevalentemente anonimo; infine i tre raggruppamenti furono riuniti in un solo libro, e nel secondo e terzo raggruppamento furono praticate quelle suddivisioni che portarono a 5 le collezioni del libro. Questa ripartizione del libro sembra già definita al secolo IV a. C.; non così il suo contenuto, il quale, anche nei quadri di tale ripartizione, può aver ricevuto ulteriori apporti. Ad ogni modo, al sec. II a. C. anche il contenuto rimase stabilmente fissato, come mostrano sia il confronto con la versione dei Settanta, sia il fatto che i cosiddetti Salmi di Salomone (v. salomone: I Salmi e le Odi di Salomone), apocrifi composti nel sec. I a. C., non sono stati ricevuti nel canonico Libro dei Salmi.
Epoca. - Già da quanto si è detto, appare chiaro che i salmi conservati nell'omonimo libro sono il prodotto di un lunghissimo periodo e l'apporto graduale di molte generazioni di tutto un popolo. Resta però da delimitare possibilmente gli estremi massimi di quel periodo ed eventualmente rintracciarne singoli autori.
Vi fu già un'opinione, condivisa sia da antichi rabbini sia da alcuni Padri, secondo cui David sarebbe stato autore di tutti i salmi (così pensò anche S. Agostino, De civit. Dei, XVII, 14). Ma siffatta opinione fu recisamente respinta da altri, fra cui S. Girolamo (Epist. 140 ad Cyprianum, 2); il quale tuttavia stabilisce lo strano principio che i salmi anonimi nel Salterio siano da attribuirsi all'autore nominato per ultimo nelle precedenti iscrizioni. Con l'applicazione però dei metodi critici moderni queste opinioni sono state abbandonate e sostituite con altre del tutto opposte.
L'argomento principale per cui anticamente si attribuivano tutti o la maggior parte dei salmi a David era esterno, costituito cioè sia dall'appellativo "David", con cui talvolta era stato designato l'intero libro, sia dalla testimonianza delle iscrizioni iniziali e dei passi del Nuovo Testamento, che difatti attribuiscono esplicitamente questo o quel salmo a David: all'argomento esterno si aggiungeva talvolta l'argomento interno, cioè la congruenza dell'argomento trattato con l'abilità e temperamento poetico di David attestati dalla tradizione (v. david). Sennonché l'argomento esterno è stato quasi totalmente respinto dalla critica moderna, la quale attribuisce un puro valore leggendario alla massima parte delle attribuzioni contenute nelle iscrizioni; quanto all'argomento interno, la stessa critica, pur concedendo che David possa aver composto molte poesie, nega per ragioni concettuali e filologiche desunte dal materiale stesso, e insieme per considerazioni storiche più ampie, che i salmi - quasi tutti - siano del numero di quelle poesie.
Per questa critica le iscrizioni iniziali dei salmi o sono semplici ipotesi di amanuensi, o rispecchiano tutt'al più vaghe tendenze popolari che amavano riportare a personaggi più famosi, e specialmente all'eroe nazionale David, le più diffuse e note composizioni poetiche usate dal popolo e nel servizio liturgico dai Leviti: David, cioè, sarebbe diventato l'esponente tipico di un dato genere letterario, come, ad es., fra i Greci Focilide per il genere gnomico ed Esopo per il favolistico, fra gli Arabi Luqmān, ecc. A questa comune credenza si sarebbero uniformate le testimonianze del Nuovo Testamento.
L'esame interno poi confermerebbe nei singoli casi questo giudizio generico: esso rileva infatti in alcuni salmi espressioni aramaizzanti e quindi posteriori all'epoca di David; in altri, accenni a fatti storici (tempio già costruito, ecc.) posteriori egualmente a quell'epoca; in altri ancora, artificiosità di composizione (acrostico) o fiacchezza e servilità di stile, incompatibili col vigore e con la fresca robustezza che dovevano avere le composizioni vere di David.
Un'importanza anche maggiore si attribuisce a considerazioni storiche più ampie: ai tempi di David cioè non si aveva un'idea della Divinità così raffinata, né una morale così elevata, né un'organizzazione teocratica e liturgica così elaborata, quali sono testimoniate dai salmi anche davidici.
Insistendo su queste varie ragioni non solo si negarono agli autori nominati dalle iscrizioni i salmi loro attribuiti, ma si assegnarono questi a epoche sempre più recenti; da Mosè e dall'epoca di David si discese sempre più verso quella posteriore all'esilio babilonese, a cui dapprincipio solo eccezionalmente si assegnava qualche salmo isolato; venne infine il Wellhausen a far notare che la questione ormai non era di sapere se esistessero salmi posteriori all'esilio, bensì se ne esistessero di anteriori: cosicché altri ritennero che il Salmo CXXXVII, che descrive evidentemente gli esiliati in Babilonia, fosse il più antico del Salterio, mentre altri ancora ritennero che pure questa composizione era una finzione letteraria composta all'epoca dei Maccabei. Per molti critici, infatti, il periodo dei Maccabei (sec. II a. C.) sarebbe stato l'epoca principale dell'attività dei varî salmisti anonimi, i quali tutt'al più avrebbero utilizzato qualche frammento anteriore.
Troviamo quindi che mentre le iscrizioni dei salmi ne attribuiscono a David 73 (oltreché 1 a Mosè, 2 a Salomone, 12 ad Asaph, 11 ai Figli di Qoraḥ, 1 a Heman e 1 a Ethan), fra i critici moderni Franz Delitzsch fu forse l'ultimo che ne conservò ancora un certo numero a David assegnandogliene 44, mentre gli altri scesero a numeri sempre minori: alcuni tuttavia gli conservarono ancora il Salmo XVIII, in forza della testimonianza di II Samuele (Re), XXII.
A questi metodi così radicali ha tenuto però dietro una naturale reazione, e atteggiamenti recentissimi mostrano che di tanta fiduciosità negativa si comincia a sospettare anche fra i critici indipendenti, sia concedendo qualche maggiore autorevolezza alle iscrizioni iniziali, sia dubitando che quei capolavori della letteratura ebraica, che sono molti fra i salmi, appartengano a un'epoca così tardiva e letterariamente così decadente quale quella dei Maccabei. Una teoria proposta recentemente da S. Mowinckel sostiene che i numerosi salmi ove si celebra "il re" o sono contenuti accenni a cerimonie d'intronizzazione del "re" e simili, si riferiscano a una funzione liturgica che sarebbe stata celebrata annualmente nel tempio di Gerusalemme in onore di Jahvè quale re della nazione: e ciò sarebbe una prova per attribuire a un'epoca generalmente antica quei salmi. Riguardo a questa teoria bisogna dire che, in realtà, non si ha alcuna prova dell'esistenza di detta festa; d'altra parte è certo che le più recenti scoperte di documenti letterarî extra-israelitici dell'Asia anteriore hanno favorito la tendenza a rialzare in genere l'epoca dei Salmi. Gli studiosi cattolici, che fino verso il 1910 si erano spesso uniti alla corrente critica, si uniformarono in massima parte al decreto disciplinare pubblicato nel 1910 dalla Pontificia Commissione Biblica, che respingeva le conclusioni della critica indipendente.
L'opera letteraria. - I salmi non si possono classificare con criterî rigorosamente applicati, e tutt'al più si riducono ad alcuni principali tipi secondo l'argomento trattato. I tipi meglio definiti sembrano i seguenti: Inno d'indole lirica, ma di argomento che può essere sia pubblico (il regno teocratico, eventi straordinarî, ecc.) sia privato; Preghiere d'indole lirico-parenetica, che si possono egualmente riferire a circostanze pubbliche o private; Odi d'indole didascalico-profetica, che trattano d'argomenti liturgici, storici, edificativi, ecc. È naturale che spesso questi diversi tipi s'intreccino insieme, senza mantenersi fedeli a norme ben definite.
È anche strano, per noi, il frequente improvviso passaggio dalla 1ª persona singolare alla 1ª plurale da parte di chi parla: anche in composizioni che sono di riferimento senza dubbio collettiva, a un tratto la collettività che fino allora ha parlato alla 1ª plurale è sostituita dall'individuo che parla alla 1ª singolare, e che di nuovo cederà la parola alla collettività (cfr., ad es., il Salmo XLIV). In questi casi di brusche alternanze, l'individuo parla certamente a nome della collettività; ma non ne consegue però che ciò avvenga in ogni caso, e che non esistano salmi strettamente personali. Anche sotto questo aspetto i salmi potranno essere riportati a un doppio tipo, il monodico e il corale.
Per la storia delle idee religiose dell'ebraismo hanno particolare importanza quei salmi, che, riferiti in una maniera o nell'altra al futuro Messia, sono chiamati "messianici" (v. messianismo). I salmi riconosciuti più comunemente come messianici dalla tradizione giudaica sono II, LXXII, CX; a questi la tradizione cristiana ne aggiunse altri, quali XVI, XXII, XLV, LXXXIX, ecc.
Anche dal punto di vista esclusivamente letterario il Libro dei Salmi ha un valore particolarissimo. La potenza delle immagini grandiose vi si trova unita con la profondità del sentimento, sia religioso, sia di amore nazionale, sia di odio verso i proprî nemici, ecc. (ad es., Salmi, LXIX, CIX, ecc.), pur non mancandovi finezza di espressioni delicate e soavi; non poche composizioni sono bensì, letterariamente scadenti e artificiose - e questo può essere già un segno della loro origine tardiva - ma la maggior parte supera la mediocrità e non di rado raggiunge altezze sublimi. L'insieme di queste ragioni ha fatto sì che i Salmi siano divenuti non solo il libro classico di preghiere sia per la pietà ebraica sia per la cristiana, ma anche uno dei libri prediletti dagli "spiriti magni" di ogni età e di ogni nazione.
La bibliografia sui Salmi è immensa, e moltissime volte ha uno scopo soltanto devozionale, senza mire scientifiche; ci limiteremo perciò ad alcune traduzioni commentate apparse nel secolo XX e d'indole più scientifica, trascurando le semplici traduzioni con poche note elucidative. Del resto nelle opere citate si potranno trovare altre referenze, anche ad antichi commenti: Fr. Bäthgen, Die Psalmen übers. u. erkl., 3ª ed., Gottinga 1904 (Handkommentar. z. A. Test. del Nowack); S. Minocchi, I Salmi tradotti dal testo originale e commentati, 2ª ediz., Roma 1905; A. Padovani, I Salmi secondo l'ebraico e la Volgata, Cremona 1905; C. A. Briggs, The Psalms, Edimburgo 1907 (Internat. Critical Commentary); J. Böhmer, Das Buch der Psalmen, Lipsia 1907; A. Maclaren, The book of Psalms, Londra 1908; E. Pannier, Les Psaumes d'après l'hébreu en double traduction, Lille 1908; J. Knabenbauer, Comment. in Psalmos, Parigi 1912; S. R. Hirsch, Die Psalmen, 3ª ed., Francoforte s. M. 1914; N. Schögl, Die Psalmen, Lipsia 1915 (Die hl. Schrift des A. Bundes); H. Pérennès, Les Psaumes, Saint Pol de Léon 1922; B. Duhm, Psalmen, 2ª (3ª) ed., Tubinga 1922; F. Wutz, Die Psalmen textkritisch untersucht, Monaco 1925; H. Gunkel, Die Psalmen, Gottinga 1926; E. König, Die Psalmen, Gütersloh 1927; R. Kittel, Die Psalmen, 6ª ed., Lipsia 1929 (Kommentar zum Alt. Test. del Sellin); N. Peters, Das Buch der Psalmen, Paderborn 1930; W. E. Barnes, The Psalms, voll. 2, Londra 1931; B. Ubach, El Psalteri, Montserrat 1932 (La Bibbia de Montserrat).
Studî varî riguardo ai Salmi: S. Minocchi, Storia dei salmi Firenze 1904; E. Balla, Das Ich der Psalmen untersucht, Gottinga 1912; S. Movinckel, Psalmenstudien, Cristiania 1921; Fr. Stummer, Sumerisch-akkadische Parallelen zum Aufbau alttest. Psalmen, Paderborn 1922; id., Die Psalmengattungen im Lichte der altorient. Hymnenliteratur, in Journal Society Orient. Research, 1924, p. 123 segg.; G. Quell, Das kultische Problem dèr Psalmen, Stoccarda 1926; E. Simpson, The Psalmists, Oxford 1926; H. Gunkel, Einleitung in die Psalmen. Die Gattungen der religiösen Lyrik Israels, Gottinga 1933.
Musica. - Mentre della musica che accompagnava la recitazione dei Salmi nell'antico culto israelitico nulla o quasi è noto (né le varie teorie musicali avanzate in tempi recenti hanno condotto ad alcun risultato sicuro), è certo che gli elementi primitivi del repertorio liturgico cristiano, risalenti alla pratica del culto nelle sinagoghe, hanno dovuto ricevere necessariamente dal canto religioso ebraico la forma di cui si trovarono rivestiti sino dalle origini del Cristianesimo. In tale categoria rientrano le melodie applicate ai salmi responsoriali, che precedono il Sacrificio e che i primi cristiani, già iniziati al canto salmodico delle sinagoghe, trasportarono nel nuovo culto. La più antica testimonianza di tale fatto si trova nelle Epistole di San Paolo, dove si dichiara che il genere di musica usato dai seguaci di Cristo era la salmodia. Sulla salmodia nelle antiche sinagoghe hanno fatto molta luce gli studî di Abramo Levi Idelsohn, che risalgono al principio del secolo XX. Dai raffronti dell'Idelsohn sono risultate chiare le affinità fra le maniere ebraiche e le latine del canto salmodico e di quello ornato. Il primo è detto anche tono di lezione, ed è usato in entrambi i culti.
Le ricerche di L. Duchesne hanno poi provato che il canto dei salmi nella liturgia cristiana si limitò dapprima ad essere intercalato alle letture preliminari della Messa ed è quindi più antico dell'Introito, dell'Offertorio; del Communio. Come l'alleluiatico, tale canto sembra fosse ricco di ornamenti melismatici.
Tra tutti i paesi della cristianità fu la Siria il teatro principale dei successivi sviluppi del canto sacro. E in Antiochia infatti, a metà del sec. IV, fu inaugurata la salmodia responsoriale, sotto l'impulso degli asceti Flaviano e Diodoro. Di questo canto salmodico alternativo si distinguono tuttavia due tipi: il più antico, durato sino allo scorcio del sec. IV, e ricco di ornamentazioni complicate, esigeva, per la sua stessa natura, un cantore assai addestrato, che eseguiva a solo, e al quale la comunità dei fedeli rispondeva, ripetendo in modo più semplice le ultime formule del canto. L'altro tipo di salmodia responsoriale si fondò invece su quel principio, che i trattatisti del canto liturgico chiamano accentus, o recitazione sillabica (in contrapposto al concentus, o cantillazione ornata, melismatica) ed era affidato a un praecentor, cui rispondeva il coro dei fedeli con la medesima formula melodica.
Nei monasteri invece - prima di Siria, poi d'Occidente - prevalse la salmodia antifonica, cioè a cori alternati. Comunque, responsoriale o antifonica che fosse, la salmodia, per l'intonazione fiorita o dimessa corrispondeva perfettamente ai due tipi di esecuzione delle sinagoghe, la solenne e l'ordinaria.
I benedettini di Solesmes nei Psaumes notés hanno codificato la pratica del canto dei Salmi. Secondo tali dettami, la salmodia dovrebbe avere il suo posto tra i Recitativi liturgici; sennonché differisce da questi: 1. per il fatto che i Salmi non si cantano per intero su una sola nota (recto tono) come le parti dell'ufficiatura dette in tono di lezione, ma richiedono frequenti inflessioni di voce e di cadenze regolate da norme diverse per ognuno dei toni ecclesiastici; 2. perché il canto dei salmi è preceduto e seguito da quello delle antifone, da cui il primo prende il tono, mentre la modulazione finale di ogni versetto si piega a seconda dell'intonazione della seguente antifona.
Tra tutte le parti della liturgia, la salmodia è la più antica e, dalle maniere come essa era praticata nelle sinagoghe e come essa passò fino dai tempi degli Apostoli nel rito cristiano, ritenne quattro elementi, che in sostanza costituiscono il canto dei versetti: Intonazione, Cadenza media, Cadenza finale, Tenore (da "tenere").
Ecco la distribuzione di questi elementi:
Ed eccone la funzione:
L'Intonazione serve di legame tra l'antifona e il canto del salmo. Essa si fa sentire soltanto al primo versetto.
La Cadenza media serve a preparare al piccolo riposo dopo la prima metà o emistichio del versetto.
La Cadenza finale è la conclusione melodica del versetto stesso.
Il Tenore corrisponde alla dominante (v.) di ogni tono gregoriano, sulla quale si cantano indistintamente tutte le parole che avanzano dalle due cadenze.
Questa maniera di canto, codificata dalla tradizione liturgica cristiana, riunisce in realtà le due antiche maniere salmodiche, la solenne e l'ordinaria, identificandosi la prima con le cadenze e con l'intonazione, che recano tracce d'inflessione melodica, la seconda col tenore, che ha il tono dimesso della lezione.
Al difuori del campo strettamente liturgico, i 150 Salmi della Bibbia inspirarono ai compositori di età più vicine a noi musiche rispecchianti i varî trapassi dello stile, verificatisi negli ultimi cinque secoli.
Così i testi davidici furono interpretati negli aspetti della severa polifonia vocale cinquecentesca da Giovanni Gabrieli, che lasciò i Psalmi poenitentiales a sei voci (Venezia 1583), da Orlando di Lasso, di cui restano Septem Psalmi Poenitentiales a 5 voci, da Giovanni Maria Nanino di scuola romana, dal fiammingo-veneto A. Willaert. Nel secolo del massimo sbocciare della monodia accompagnata, il Seicento, continuarono a scrivere salmi in puro stile polifonico Monteverdi, che ne lasciò una raccolta pubblicata postuma dal Vincenti (Venezia 1650), Ludovico Grossi da Viadana, Heinrich Schütz; nel secolo dell'opera napoletana F. Durante, la cui severa sapienza contrappuntistica si espresse in Sedici Salmi polivoci.
Contemporaneamente, tuttavia, la grande rivoluzione stilistica avvenuta sulla fine del Cinquecento e concretata nel melodramma, nell'oratorio, nella cantata, operò presto nella musicazione dei salmi, che assunsero gli aspetti dello stile concertante. Così lo stesso Schütz, già nominato, compose anche salmi a più cori con strumenti e basso continuo, e nelle cantate prese i testi da quei versetti dei Salmi, che meglio si prestavano a essere drammatizzati dalla musica.
Nel sec. XVIII vide la luce quella famosa raccolta di salmi musicati da Benedetto Marcello, che fu pubblicata nel 1724 sotto il titolo di Estro poetico armonico - Parafrasi sopra i primi cinquanta salmi di Giovanni Ascanio Giustiniani. Sono a una o più voci col basso continuo per organo o clavicembalo, e alcuni recano parti obbligate di due viole o di violoncello.
I compositori dell'età romantica - specialmente tedeschi - si rivolsero con simpatia alla poesia davidica dei salmi, come quella che si prestava egregiamente agli slanci di un lirismo mistico, consono ai loro ideali d'arte. Così di F. Mendelssohn Bartholdy si hanno 5 salmi, di cui tre con a soli, coro e orchestra e due per coro a otto voci e orchestra; di F. Liszt 4 salmi per coro e orchestra; di J. Brahms il Salmo 13 op. 27 per coro femminile ed organo; di A. Bruckner il Salmo 150 per soli, coro e orchestra; di C. Franck pure il Salmo 150 per coro organo e orchestra.
Sono tornati a una libera musicazione dei salmi alcuni contemporanei, come I. Stravinskij, A. Honegger, che sotto il titolo di Roi David ha riunito ventotto parti di salmi musicate; Z. Kodály, il cui Psalmus Hungaricus è tratto dal salmo 55 e interpretato con solo di tenore, coro e orchestra; e infine E. Bloch. Il Servizio sacro di quest'ultimo, va messo in questa categoria più che altro perché, tra le opere moderne, meglio si accosta nello spirito, e in taluni aspetti formali (alternativa tra il Chazan e il coro) che maniere del canto salmodico in uso nelle antiche sinagoghe.