Salmonellosi
Per salmonellosi si intendono tutte le malattie infettive sostenute dagli schizomiceti del genere Salmonella (dal nome del medico statunitense D.E. Salmon). Costituiscono un vasto gruppo di malattie che presentano quadri morbosi diversi, perlopiù caratterizzati da disturbi gastroenterici.
1. Agenti batterici
Le salmonelle sono batteri di forma bastoncellare, gram-negativi, mobili per presenza di flagelli, asporigeni, appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae. Il genere comprende circa 2000 sierotipi, distinguibili in base ai loro antigeni somatici (O) e antigeni flagellari (H). Tali antigeni risultano particolarmente importanti per la classificazione delle diverse salmonelle (classificazione di Kauffmann-White): gli antigeni O, circa 60 (indicati in numeri arabi) sono gruppo-specifici e ciascun gruppo è indicato con lettere maiuscole dell'alfabeto; gli antigeni H sono distinti in due fasi, dette fase 1 (in cui sono indicati con lettere minuscole dell'alfabeto) e fase 2 (in cui sono indicati con numeri arabi), e permettono di differenziare le singole specie nell'ambito di ciascun gruppo. Le salmonelle crescono facilmente su terreni semplici in aerobiosi o anaerobiosi. Le colture di materiali biologici quali sangue, liquido articolare o liquor possono essere eseguite su terreni ordinari come agar-sangue; i campioni di feci ed espettorato, che abitualmente contengono elevate concentrazioni di altri germi, vengono in genere coltivati in terreni selettivi come l'agar-solfato di bismuto o l'agar desossicolato. Per i campioni di feci possono, inoltre, essere utilizzati terreni di arricchimento quali brodi con inibitori verso altri batteri. La trasmissione delle salmonelle avviene, in genere, per via fecale-orale mediante l'ingestione di alimenti (frutta, verdura, frutti di mare, latte ecc.) o acqua contaminati da feci o urine di un malato o di un portatore. È possibile anche una trasmissione per via endovenosa (trasfusioni), o attraverso l'uso di strumenti a fibre ottiche in corso di indagini endoscopiche del tratto gastrointestinale superiore. Le salmonelle sono enzootiche nella quasi totalità e possono raggiungere l'uomo in conseguenza dell'inquinamento delle acque oppure con l'ingestione di carne contaminata e di uova.
2. Febbre tifoide
La febbre tifoide è un'infezione ad andamento setticemico, causata da Salmonella typhi (bacillo di Ebert); l'infezione interessa il tessuto linfatico dell'intestino tenue ed è caratterizzata da febbre, disturbi del sensorio, leucopenia e splenomegalia. La Salmonella typhi è strettamente antropofila e il suo esclusivo serbatoio è rappresentato dall'uomo. La febbre tifoide ha diffusione ubiquitaria, in quanto colpisce in prevalenza i paesi con carenti condizioni igienico-sanitarie e con elevato grado di fecalizzazione dell'ambiente (zone tropicali e regioni a clima temperato, specie del bacino mediterraneo). Si osserva in tutte le stagioni, ma in prevalenza nei mesi estivi e autunnali. Il contagio è interumano, quasi sempre per via fecale-orale. Sorgente di infezione risultano essere le feci e le urine dei malati oppure dei portatori sani (questi ultimi possono ospitare il microrganismo nell'intestino o nella colecisti, anche per tutta la vita). Le più comuni fonti d'infezione sono le acque inquinate, oppure gli alimenti contaminati direttamente (frutti di mare) o indirettamente da escreti umani (verdure) o inquinati durante la loro preparazione da un portatore (gelati, creme, carni ecc.), nonché gli oggetti di uso personale di un malato. La Salmonella typhi resiste a lungo nell'ambiente (acqua, ghiaccio, alimenti). In Italia si registrano ogni anno circa 1000 casi di febbre tifoide. Il microrganismo penetra attraverso la via orale, supera la barriera gastrica e giunge nell'intestino tenue. La carica batterica necessaria a provocare la malattia non è nota con sicurezza. Alcuni autori ritengono necessaria un'elevata carica infettante, tuttavia in corso di epidemia è stato dimostrato che anche bassi inoculi sono in grado di causare la malattia. Giunti nell'intestino tenue, i microrganismi invadono le cellule epiteliali e raggiungono la lamina propria della mucosa, dove ha luogo la prima moltiplicazione. Attraversata la mucosa intestinale, i microrganismi passano nei linfonodi regionali ove la reazione dell'ospite si manifesta con un'attiva fagocitosi da parte di elementi cellulari mononucleati. Una parte dei microrganismi però supera i linfonodi e attraverso il dotto toracico giunge al torrente circolatorio, dando luogo a una modesta batteriemia, e viene fagocitata dal sistema reticoloistiocitario (milza, midollo osseo, placche di Peyer dell'intestino, cellule di Kupffer del fegato). Qui i microrganismi non vengono distrutti, ma si moltiplicano attivamente per essere poi reimmessi nel torrente circolatorio fino a produrre una batteriemia consistente e persistente. A questo punto termina il periodo di incubazione, si positivizzano le emocolture e compaiono i primi segni clinici della malattia mentre vengono raggiunti i vari organi e in particolare la colecisti e le strutture linfatiche intestinali (placche di Peyer). La localizzazione colecistica è causa di un'ulteriore moltiplicazione dei microrganismi nella bile con successiva eliminazione attraverso l'intestino. Pertanto, in questa fase (2ª-3ª settimana di malattia) la carica batterica fecale aumenta. Attualmente appare ancora scarsamente compresa la patogenesi del quadro sintomatologico e il ruolo svolto dalla persistente batteriemia e dall'immissione in circolo dell'endotossina. La somministrazione di quest'ultima in soggetti volontari provoca febbre, cefalea, mialgia, piastrinopenia, leucopenia, analogamente a quanto si osserva nell'infezione naturale. L'inoculazione ripetuta induce una tolleranza sempre maggiore, fino alla scomparsa dei sintomi; tuttavia, se i soggetti resi tolleranti all'endotossina vengono infettati con Salmonella typhi, si ha una risposta analoga a quella dei soggetti non trattati in precedenza. È pertanto ipotizzabile nella patogenesi l'intervento di mediatori chimici (citochine) liberati dai macrofagi infettati dai microrganismi, che partecipano all'istituzione del quadro clinico. La produzione di anticorpi sierici sembra avere uno scarso ruolo nella guarigione, in quanto il paziente spesso continua a peggiorare nonostante la comparsa di anticorpi rivolti verso gli antigeni O, H e l'antigene polisaccaridico capsulare Vi. L'immunità cellulomediata, invece, è probabilmente il fattore chiave nella guarigione. L'immunità che consegue alla febbre tifoide si dimostra protettiva per un periodo di tempo significativo, ma non è permanente.
Le principali lesioni anatomopatologiche provocate dall'infezione sono a carico dei follicoli linfatici e delle placche di Peyer a livello dell'ultima parte dell'intestino ileo: durante la 1ª settimana si riscontrano iperemia della mucosa enterica e iperplasia delle formazioni linfatiche (placche di Peyer e follicoli solitari) con infiltrazione di linfociti, cellule istiocitarie e grandi cellule di tipo epitelioide con funzione macrofagica (cellule di Rindfleisch); nel corso della 2ª settimana segue la necrosi del tessuto linfatico che arriva a estendersi sino alla tunica muscolare intestinale con formazione di escare; nella 3ª settimana le escare si demarcano fino a staccarsi, dando luogo a ulcere tifose di forma ovalare con asse maggiore parallelo all'asse intestinale; l'intestino può perforarsi provocando peritoniti o enterorragie che rappresentano le più temibili complicanze di questa fase; durante la 4ª settimana di malattia si ha la cicatrizzazione e la riepitelizzazione delle ulcere. Il sistema reticoloistiocitario mostra segni evidenti di iperplasia. La milza appare aumentata di volume, molle e al suo interno è possibile osservare un'iperemia dei seni sanguigni e un'iperplasia della polpa; il fegato risulta ingrossato, mentre anche altri organi (miocardio, apparato respiratorio, reni) possono presentare lesioni degenerative. Il periodo d'incubazione è compreso fra 10 e 14 giorni. La durata della malattia, nei casi non trattati, è di norma di 4 settimane e il decorso clinico viene classicamente suddiviso in 4 settenari. L'esordio non ha caratteri peculiari. La febbre di solito tende a salire 'a gradini', cosicché ogni giorno la temperatura risulta essere di mezzo grado superiore a quella del giorno precedente fino a raggiungere un plateau sui 39-40 °C. Altre volte l'esordio può essere brusco con febbre elevata fin dall'inizio oppure, eccezionalmente, con febbre bassa per un certo periodo. Il paziente si presenta notevolmente prostrato, con labbra aride, cute secca, lingua asciutta con punta e bordi arrossati (lingua a dardo), cefalea e, a volte, segni di irritazione meningea. Frequenti sono la tosse, spesso stizzosa, e i dolori addominali diffusi, ma non le alterazioni dell'alvo che di solito compaiono solamente in fase avanzata (diarrea verdastra a purea di piselli). Si può osservare una tumefazione delle tonsille con presenza di piccole ulcerazioni superficiali (angina di Duguet) e il rilievo di rumori bronchiali secchi all'auscultazione del torace. Caratteristico è il riscontro di una dissociazione polso-temperatura per la comparsa di una bradicardia relativa. L'addome è meteorico e nella fossa iliaca destra con la palpazione si provoca un gorgoglio ileocecale. Già nei primi giorni di malattia può evidenziarsi epatosplenomegalia. Gli esami di laboratorio mostrano leucopenia con neutropenia, linfocitosi relativa e scomparsa degli eosinofili, mentre nelle urine può essere presente albuminuria. Nella seconda metà della 1ª settimana di malattia le emocolture risultano positive nell'80% dei casi, mentre al termine del 2° settenario si positivizza anche la coprocoltura. Alla fine della 1ª settimana di malattia il paziente presenta spesso un obnubilamento del sensorio (stato tifoso) e nel 50% dei malati si ha la comparsa di piccole e fugaci papule rosa pallido (roseola tifosa), localizzate prevalentemente sull'addome e in misura minore sul torace: la roseola è un segno patognomonico. La situazione clinica rimane più o meno immodificata finché, dopo 3-4 settimane dall'inizio, lo stato generale del malato migliora, la febbre cade per lisi, l'astenia e l'anoressia si riducono, il sensorio e la sintomatologia addominale si normalizzano.
Alla guarigione segue un lungo periodo di convalescenza durante il quale non sono eccezionali le ricadute. Delle complicanze descritte, a tutt'oggi mantengono una reale importanza solo le enterorragie, verosimilmente dovute all'azione dell'endotossina sui capillari (enterorragie lievi) oppure alla caduta delle escare e alla rottura di un'arteriola (enterorragie massive), e la perforazione intestinale per l'approfondimento delle ulcere oltre la tunica muscolare. Altre complicanze sono rappresentate da: colecistite, epatite, miocardite, flebiti, focolai broncopneumonici. La diagnosi si basa sull'isolamento dell'agente eziologico mediante emocolture, coprocolture e urinocolture e sulla individuazione degli anticorpi specifici nel siero del paziente. L'emocoltura risulta positiva nell'80% dei casi durante il 1° settenario di malattia, ma tale percentuale diminuisce con il procedere dei settenari. La coprocoltura (così come l'urinocoltura) risulta positiva nel 15% dei casi durante la 1ª settimana di malattia e il tasso di positività cresce durante il 2° e 3° settenario. L'esame coprocolturale permette di accertare l'eventuale stato di portatore, con il quale si intende una persona sana, con o senza precedenti di febbre tifoide, che elimina Salmonella typhi per un lungo periodo. I criteri sierologici mirano a evidenziare la risposta agli antigeni di Salmonella typhi. La reazione di Widal dimostra la comparsa di anticorpi specifici anti-O (IgM) che compaiono durante la fase acuta e permangono positivi per circa 2 mesi e anticorpi anti-H (IgG) che compaiono alla 10ª-12ª giornata e persistono per anni. Pertanto, gli anticorpi anti-O rivestono un maggior valore diagnostico rispetto gli anticorpi anti-H, potendo questi ultimi essere riscontrabili in soggetti con malattia recente o vaccinati. Quadri clinici analoghi possono essere provocati dalla Salmonella paratyphi A e talora dalla B. La mortalità dovuta alla febbre tifoide è oggi scesa al di sotto dello 0,5%, grazie all'introduzione degli antibiotici che hanno permesso di modificare radicalmente sia la prognosi sia il decorso naturale.
La terapia in linea di massima si pratica per via orale, quando le condizioni del paziente lo consentono, somministrando cloramfenicolo, farmaco cardine della terapia antibiotica, che permette lo sfebbramento in 3-5 giorni di cura. Allo scopo di ottenere un efficace trattamento e quindi di evitare le ricadute, la terapia andrà continuata per almeno 2 settimane. Il cloramfenicolo è di solito ben tollerato, ma potenzialmente mielotossico (aplasia o ipoplasia midollari). Le principali alternative terapeutiche sono rappresentate da cotrimossazolo, ampicillina, amoxicillina, fluorochinoloni e alcune cefalosporine di terza generazione. Nei casi con grave obnubilamento del sensorio è utile associare al cloramfenicolo piccole dosi di corticosteroidi da scalare rapidamente in pochi giorni. Importante la reidratazione del paziente mediante soluzioni saline e glucosate che integreranno una dieta povera di scorie, di circa 2000 calorie al giorno. Per quanto concerne il trattamento delle complicanze, l'enterorragia richiede immediate trasfusioni oppure, più raramente, l'intervento chirurgico; la perforazione intestinale richiede un intervento di resezione segmentaria, previo trattamento con altri antimicrobici (per es., gentamicina, penicillina ecc.) in associazione al cloramfenicolo per combattere i batteri della flora intestinale. Importante è la bonifica dei portatori. A tale scopo viene utilizzata l'ampicillina oppure la ciprofloxacina per lunghi periodi di tempo.
La profilassi generale si basa sul controllo della fecalizzazione dell'ambiente mediante l'organizzazione dello smaltimento dei liquami così da impedire l'inquinamento delle acque, sul controllo degli alimenti e sull'individuazione e il trattamento dei portatori. La profilassi specifica consiste nella vaccinazione. In passato venivano usati preparati trivalenti costituiti da sospensioni di salmonelle del tifo e del paratifo A e B uccise. Attualmente si preferiscono due preparati: un vaccino orale contenente ceppi vivi attenuati di Salmonella typhi (ceppo Ty 21a) e un vaccino per uso parenterale contenente l'antigene polisaccaride Vi purificato. Il vaccino orale deve essere somministrato a giorni alterni per un totale di 3 somministrazioni e consente una valida protezione contro la febbre tifoide e i paratifi per almeno 2 anni. Non deve essere prescritto nei pazienti immunocompromessi e in età inferiore ai 6 anni. Il vaccino per uso parenterale, che può invece essere utilizzato anche nei pazienti immunocompromessi e nei bambini di età superiore ai 2 anni, presenta un'efficacia pari a quella del vaccino per via orale.
3. Salmonellosi minori
Le enterocoliti da salmonelle, o salmonellosi minori, sono infezioni di origine alimentare estremamente diffuse e ubiquitarie, caratterizzate da diarrea, dolori addominali, febbre e vomito. Molte salmonelle possono causare enterocolite: i sierotipi più comuni sono Salmonella typhimurium, enteriditis, dublin, panama, choleraesuis, newport, wien, agona, anatum. Salmonella typhi e paratyphi A sono responsabili di infezioni setticemiche. Le salmonellosi minori sono diffuse in tutto il mondo e la sorgente d'infezione è abitualmente identificabile negli animali (bovini, suini, ovini, pollame, pesce e frutti di mare) o nei loro prodotti (carne, uova e latte). L'uomo si inserisce nella catena epidemiologica ingerendo alimenti inquinati oppure per contagio interumano, da portatori, o da animali da compagnia. I portatori sono numerosi ma temporanei. Le salmonelle vengono distrutte dall'ebollizione, dalla pastorizzazione e dai raggi γ mentre resistono all'insaccamento, alla salatura e alla cottura di superficie. Queste forme sono dette minori perché non presentano i quadri settici delle forme che vengono causate da Salmonella typhi e paratyphi A. In Italia incidono con alcune migliaia di casi ogni anno. Penetrate per via orale e superata l'acidità gastrica, le salmonelle invadono la mucosa dell'intestino tenue dove avviene la loro moltiplicazione. In genere, l'infezione resta limitata al tubo digerente e il passaggio nel torrente circolatorio si verifica solo in soggetti immunodepressi. La carica batterica e lo status dell'ospite (ipocloridria o acloridria, età, stato immunitario) determinano lo svilupparsi della malattia. Nell'intestino tenue e talvolta nel colon provocano un'infiammazione acuta della mucosa che perlopiù non arriva a formare ulcerazioni. La sintomatologia esordisce 12-48 ore dopo l'ingestione degli alimenti contaminati con diarrea, vomito, dolori addominali crampiformi e, nei casi gravi, febbre elevata di breve durata. I dolori e le alterazioni dell'alvo possono presentare una estrema variabilità. Le feci contengono muco e talvolta sangue. Nei soggetti defedati e nei bambini si possono evidenziare segni di disidratazione con alterazioni metaboliche (acidosi) e idroelettrolitiche con tachicardia, ipotensione e oliguria o anuria. L'accertamento si basa sull'evidenziazione del microrganismo responsabile, mediante coprocoltura. Di solito l'infezione ha un andamento benigno e tende a risolversi nel volgere di 4-5 giorni; tuttavia nei soggetti defedati e nei bambini, specie nel primo anno di vita, il decorso può essere molto impegnativo e potenzialmente letale, se il trattamento non è adeguato. Questo consiste essenzialmente nella correzione delle turbe idroelettrolitiche e delle eventuali alterazioni metaboliche. La terapia antibiotica appare giustificata solo nei soggetti considerati ad alto rischio (neonati, soggetti defedati) oppure nei soggetti con presenza di localizzazioni extraintestinali conseguenti a batteriemia, nei quali si impiegheranno gli stessi farmaci usati per la febbre tifoide. La durata del trattamento dovrà essere limitata a 10 giorni circa. Le norme profilattiche riguardano la corretta cottura e conservazione degli alimenti e il controllo degli animali domestici e di allevamento. Data la difficoltà di sterilizzazione mediante terapia antibiotica, i portatori cronici devono essere individuati e allontanati dagli ambienti nosocomiali o dai luoghi dove si preparano sostanze alimentari, in attesa di una loro bonifica spontanea.
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