Salò o le 120 giornate di Sodoma
(Italia/Francia 1975, colore, 116m); regia : Pier Paolo Pasolini; produzione: Alberto Grimaldi per PEA/Les Productions Artistes Associés; soggetto: dal romanzo Les cent-vingt journées de Sodoma di Donatien-Alphonse-François de Sade; sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti; fotografia: Tonino Delli Colli; montaggio: Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi; costumi: Danilo Donati; scenografia: Dante Ferretti.
Quattro Signori, rappresentanti dei poteri della Repubblica Sociale Italiana, il Duca (potere di casta), il Vescovo (potere ecclesiastico), il Presidente della Corte d'Appello (potere giudiziario), e il Presidente della Banca Centrale (potere economico), incaricano le SS e i soldati repubblichini di rapire un gruppo di ragazzi e ragazze di famiglia partigiana o antifascista; dopo una severa selezione, si chiudono con loro in una villa di campagna, arredata con capolavori d'arte moderna e presidiata da un manipolo di soldati nazifascisti. Con l'aiuto di Quattro Megere ex meretrici di bordello, instaurano per centoventi giornate una dittatura sessuale regolamentata da un puntiglioso Codice, che impone ai ragazzi assoluta e cieca obbedienza, pena la morte. Le Megere (tre narratrici e una pianista) guideranno le giornate raccontando le proprie specialità sessuali nella Sala delle Orge. Nell'Antinferno i Signori sottoscrivono le norme del Codice con un patto di sangue, sposando ciascuno la figlia di un altro, quindi suddividono le giovani 'prede' in quattro gruppi: vittime, soldati, collaborazionisti, servitù. Nel Girone delle Manie, i Signori, eccitati dai racconti feticisti della Signora Vaccari, seviziano ripetutamente i ragazzi, fino a farli stare nudi a quattro zampe, latranti come cani, dando loro in pasto polenta riempita di chiodi. Nel Girone della Merda, affidato alle perversioni anali della Signora Maggi, le vittime apprendono l'arte di farsi sodomizzare con gratitudine e partecipano a un pantagruelico pranzo la cui portata principale è costituita dalle proprie feci. Nel Girone del Sangue, instillando un meccanismo di mutua delazione tra i ragazzi, i Signori designano le vittime dello strazio finale. In un'orgia di efferatezze e riti profani, tra torture, sevizie, amputazioni e uccisioni perpetrate sulla base di una sorta di dantesca pena del contrappasso, Signori e collaborazionisti si cimentano in balletti isterici e atti di sesso necrofilo. Mentre la carneficina è in corso, due giovani guardie, sulle note d'una canzonetta trasmessa dalla radio, accennano timidamente qualche passo di valzer, parlano del mondo di fuori, delle ragazze che li aspettano, della vita.
Uscito postumo a poche settimane dall'oscuro omicidio del regista, e spesso considerato sbrigativamente il disperato testamento poetico di Pier Paolo Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma è un'opera cristallina, strutturalmente complessa, fondata su un realismo allegorico dove la presunta oggettività della rappresentazione attinge a una tale quantità di citazioni e riferimenti diretti e indiretti a altre forme espressive (pittura, musica, letteratura, finanche filosofia) da raggiungere sovente uno spessore metatestuale. Le situazioni moralmente inaccettabili messe in scena dal film, unite al gelo documentario delle modalità di ripresa e alla vuota e allusiva freddezza delle scenografie, rispecchiano in modo esatto e anti-retorico lo stile nudo e ossessivo della narrazione sadiana, al tempo stesso squallida e magniloquente. Attraverso la disgustosa ripetitività del gesto di profanazione dell'individuo assoggettato all'arbitrarietà del Potere, Pasolini indica in de Sade il prodotto più genuino del totalitarismo della Ragione e della sua indifferenza all'umano, la cui più diabolica e recente incarnazione è lo spirito spettacolare: la nefandezza sadiana, che dissacra la vita negandone l'autonomia ed estirpa la spontaneità tacciandola di infrazione alla norma in un clima permanente di terrore e di peccato, si colloca sullo stesso piano dell'autoritarismo 'fascista' dello spettacolo televisivo, discorso ufficiale che non ammette repliche o scarti dal cliché. La farsesca e provinciale Repubblica di Salò diviene lo spazio storico ideale dove far coincidere la tirannica Legge sadiana con l'autoritarismo volgare e meschino dei mezzi di comunicazione di massa: i Quattro Signori sono registi e attori di uno spettacolo idiota e osceno che aggredisce il desiderio delle vittime fino a mortificarlo e renderlo schiavo. L'uso costante di motti di spirito di dubbio gusto, finte cerimonie religiose e riu-nioni di programmazione della strage, in cui riecheggia il gusto per la ritualità nazifascista, nella cornice innocua e addomesticata dei capolavori pittorici delle avanguardie storiche che tappezzano le pareti della villa come mero ornamento, disegnano il quadro apocalittico delle metastasi culturali di un mondo che pratica il genocidio su ogni forma di diversità.
Il progetto di Pasolini fu quello di mettere in corto circuito la retorica del mezzo cinematografico attraverso sé stesso: fornendo concretezza corporea alle fredde descrizioni verbali del romanzo, rendendo la strage gesto quotidiano e normalizzato, trasformando il cinema da sogno a occhi aperti in incubo, per suscitare la reazione attiva dell'inebetita merce culturale a cui è ridotto lo spettatore. Come in de Sade, la posizione di distacco dai soggetti attivi del racconto, di cui l'autore gode, denuncia inoltre la finta neutralità della coscienza e della cinepresa, non solo testimoni ma anche complici dei fatti descritti. L'uso del grottesco, avvilito nelle grevi battute di spirito e nelle canzonette radiofoniche che 'abbelliscono' la strage, completa il quadro infernale, togliendo persino la dignità di tragedia alla descrizione del genocidio culturale in atto. La feroce provocazione di Pasolini colpì nel segno, scatenando proteste vigorose e lunghe persecuzioni giudiziarie: il produttore Alberto Grimaldi subì processi per oscenità e corruzione di minori e nel 1976 fu decretato il sequestro della pellicola, che scomparve dagli schermi prima di essere rimessa in circolazione nel 1978.
Interpreti e personaggi: Paolo Bonacelli (Duca Blangis), Giorgio Cataldi (Vescovo), Uberto Paolo Quintavalle (Presidente della Corte d'Appello Curval), Aldo Valletti (Presidente della Banca Centrale Durcet), Caterina Boratto (Signora Castelli), Elsa De Giorgi (Signora Maggi), Hélène Surgère (Signora Vaccari), Sonia Savange (pianista), Ines Pellegrini (cameriera), Sergio Fascetti, Bruno Musso, Antonio Orlando, Claudio Cicchetti, Franco Merli, Umberto Chessari, Lamberto Book, Gaspare di Jenno (ragazzi), Giuliana Melis, Faridah Malik, Graziella Aniceto, Renata Moar, Dorit Henke, Anteniska Nemour, Benedetta Gaetani, Olga Andreis (ragazze), Tatiana Mogilansky, Susanna Radaelli, Giuliana Orlandi, Liana Acquaviva (figlie), Rinaldo Missaglia, Giuseppe Patruno, Guido Galletti, Efisio Etzi (soldati), Claudio Torcoli, Fabrizio Menichini, Maurizio Valaguzza, Ezio Manni (collaborazionisti).
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