Salomone (Salamone)
Re d'Israele, figlio di David e di Betsabea, salito al trono nel 971 e morto nel 931 a.C.; portò la Palestina, sia pur per breve tempo, a un apparente splendore che cessò con la sua morte, quando anche il regno si sfasciò. Costruttore, per comando di Dio significatogli per bocca del profeta Natàn, del tempio di Gerusalemme, fu ritenuto dalla tradizione autore del Proverbiorum Liber, dell'Ecclesiastes, del Canticum Canticorum e anche del Sapientiae Liber. I primi tre libri gli furono attribuiti in base al procedimento (già paolino e più tardi isidoriano) della nominum interpretatio, per cui ogni diverso nome di S. quasi sottolineava la diversa e specifica intentio di ogni libro; più precisamente S. " quod interpretatur Pacificus ", Ecclesiaste " quod interpretatur Concionator " e Idida " quod interpretatur Dilectus ", come scrisse Anselmo di Laon nelle sue Enarrationes in Cantica (Patrol. Lat. CLXII 1189): S. " trinomius... qui ad numerum nominum suorum tres libros composuit, et eorum intentionem ipsorum nominum interpretatione distinxit ".
Di questi tre nomi, il primo - " Pacificus " - e il terzo - " Dilectus " - dai grandi esegeti biblici furono sempre interpretati, sulla scorta di II Reg. 7, 8-14, 25 e III Reg. 1, 32-34, quale prova provvidenziale di prefigurazione cristologica e d'intervento divino sui fatti umani in quanto espresso annunzio sia del regno di Dio sia del salvatore stesso dal momento che le formule scritturali " regnum sempiternum " e la paternità divina - " Ego ero ei in patrem et ipse erit mihi in filium " - e la cavalcata sulla mula di David ripetute nei Vangeli ben si converranno al Cristo (Matt. 17, 5) come profezia realizzatasi e come tale attestata, per tutta la tradizione esegetica, da Beda il Venerabile (Quaestiones in libros Regum, in Patrol. Lat. XCIII 443), seguito sia da Ugo da San Vittore (De Claustro animae, ibid. CLXXVI 1141), sia, ma in altra dimensione teologico-politica, ereditata dai teorici carolini, da Giovanni di Salisbury, nel Policraticus, fino a s. Tommaso, nel De Regimine principum.
Oltre a questi autori, da considerarsi esempi limite perché esponenti di vari filoni interpretativi, nell'ambito della teologia-politica, che è il punto centrale del sistema dantesco, diventa categorico il sottolineare l'evoluzione che le figurae di S. e di David assunsero, nell'ambito della liturgia e dell'iconografia, a partire dalle formulazioni caroline e più tardi ottoniane. Considerati, invero, provvidenziali i facta narrati nei Libri dei Re, per analogia e prefigurazione, sia S. sia David vennero riconosciuti simboli tipologici e cristologici per mezzo di una prima equazione - S. e David = Cristo -. Tale equazione, con identico processo sempre analogico, fondato sulla geminatio (Cristo = Uomo e Dio per natura), ovviamente modificata da cristologica in cristomimetica (S. e David = Uomo per natura e Dio per grazia), veniva trasferita sull'imperatore attraverso la cerimonia dell'incoronazione per il sacramento dell'unzione ed espressa nella seconda più lata equazione - S. e/o David = Cristo = imperatore - come appare nelle Landes regiae, per es. in questa di Amalario di Metz per Ludovico il Pio (" Divo Hludovico vita! / Novo David perennitas! ") e negli Ordines dei Pontificali dove, nelle preghiere impetranti il soccorso divino sul capo del nuovo imperatore, gli exempla prefigurati venivano esaltati. Exempla, questi di David e di S. che, derivati da quella formula definita, dalla tradizione carolina, concorporatio del Regnum Davidicum con l'Imperium Romanum, erano destinati, almeno fino al concordato di Worms, a essere simbolicamente raffigurati nella tradizione iconografica, e, al tempo stesso, insieme con le altre figurae di Saul e di Samuele, nel pieno dei vari conflitti tra i due poteri, a essere utilizzati, in pro o contra, dagli opposti campioni degli ‛ universalisti ' (ierocratici o teocratici oppure imperialisti o cesaropapisti).
Così si capirà perché con una parabola disegnabile a grandissimo tratto si potesse proprio sul nome esemplare di S., a partire da s. Gerolamo s. Pier Damiano, Pietro Comestore, sino a Ugo di Santo Caro, Nicola da Lyra, pervenire alla serie di problematiche questioni implicanti comunque una non meno dirimente scelta da parte di D. e massime sulla funzione esemplare e figurale di Salomone. Nella varia e lunga tradizione, un posto a parte merita Gioacchino da Fiore che fonda su S. la teoria sua della ‛ terza età ' quando, seguendo sempre la linea esegetica dell'interpretatio nominum, nel Liber Figurarum profetizzerà l'avvento dell'età dello Spirito Santo con formule già consacrate dalla tradizione teologico-politica, ma operando così sottilmente, con la scelta oculata nel contesto linguistico tra la renovatio e la translatio (" non translatione facta sed renovatione concessa ", Concordia Vet. et Nov. Test.), che esprime il modello tutto spirituale dell'attesa gioachimita, da poter offrire una diversa soluzione teocratica della translatio Regni e della ratione peccati di ascendenza gelasiana e decretalista.
S., quindi, alla luce di queste controversie, come già Natàn e David, è da considerarsi muro perimetrale del sistema figurale e provvidenziale e teologico-politico del poeta, e perciò principium individuationis e clavis per aprirne l'intentio. E nella ricerca ardua ma esaltante del simbolo sotteso alla figura di S. - come typus Christi ed exemplum di perfezione regale, infatti, era stato avocato a vicenda sia dagli ierocratici sia dagli antiierocratici (e quali esempi limite valgono Innocenzo III per gli uni e Luigi IX per gli altri) - si dovrà procedere sul filo della più sottile distinzione nel coacervo della tradizione esegetica che, a cominciare da s. Agostino, attraverso s. Isidoro, Rabano Mauro, Ruperto di Deutz, Goffredo Abate, s. Bernardo, Volberone, fino ad Alano da Lilla, ha considerato S. quale typus Christi, ma in relazione alla tradizione ecclesiologica legata alla costruzione del Tempio e per la sua sapienza, e come typus Ecclesiae a partire da s. Gerolamo, con il ricorso alla nominum interpretatio, già rilevata ripetutamente, fino a Rabano Mauro, sì da offrire da un lato gli elementi essenziali per un'esemplarità da impiegare nella polemica e dall'altro il non meno essenziale parametro per aprire l'intenzione di D. volta a recuperare, oltre alla concorporatio della tradizione carolina, contro la formula teologico-politica diadica medievale (imperatore e pontefice), la sua innovativa soluzione triadica biblica e trinitaria (imperatore, sacerdote e profeta), incentrata appunto nel nome di S. e nel suo regno glorioso così prodigiosamente e provvidenzialmente esaltato e voluto da Dio, come si legge nel II e nel III Libro dei Re, al pari dell'Impero di Roma. Ed è in questo contesto teologico-politico e di simbolismo cristomimetico che va cercata la soluzione della profezia del " veltro " e del " DXV " (v. CINQUECENTO DIECI E CINQUE).
A questo vario filone teologico-politico incentrato proprio sui Libri dei Re, interpretati dai maestri in sacra pagina in chiave figurale in quanto narranti i facta relativi alla quarta età nella storia dell'umana salvezza, e quindi concordati ai facta relativi al quarto giorno della creazione, e per conseguenza alla creazione dei duo luminaria (il sole e la luna allegoricamente interpretati come Chiesa e Impero dagli ierocratici), e insieme assunti a prova evidentissima dell'intervento diretto di Dio negli eventi umani per mezzo delle due ben note translationes: " Sacerdotii " nel caso di Eli sostituito da Samuele; " Regni " in quello di Saul sostituito da David (intervento provvidenziale riconfermato - e fondamentale nell'ambito dell'esegesi dantesca - dalla precisa volontà divina nell'elezione di S. al posto del primogenito Adonia per opera di Natàn), sarà da aggiungere la straordinaria fortuna sia del Canticum Canticorum sia del Sapientiae Liber assunti rispettivamente dai filosofi e dagli enciclopedisti del sec. XII - volto alla ‛ composizione ' - e del sec. XIII - atteso alla " clarté, lumière, splendeur " (De Bruyne) - a fondamento dell'estetica medievale.
Infatti se il sec. XII, quanto a S., esalterà soprattutto il Canticum culminando nell'altissima esegesi di s. Bernardo, il sec. XIII con la teoria dell'aequalitas numerosa bonaventuriana e con la struttura architettonica della Summa dell'Aquinate ribadirà, fondendole, le teorie pitagorico-numerologiche fondate sul versetto della Sapienza: " Omnia in mensura et numero et pondere disposuisti " (11, 21), che D. ben conosce e translittera nel Convivio e nella stessa Commedia, ponendoli al fondamento stesso della struttura del poema (v. NUMERO: Il numero nelle opere di Dante).
S., figura esemplare di tutta la varia tradizione medievale, assurge insieme a simbolo e clavis, per entro tutto l'ergasterium del poeta, della stessa teleologica intentio Dantis che direttamente o indirettamente lo menziona o lo richiama con allusioni ora aperte ora chiuse a partire dalle Rime e dalla Vita Nuova fino alla Commedia. Non sarà certo per caso che proprio nella Commedia lo faccia proclamare da s. Tommaso quinta luce... più bella nella schiera dei sapienti (Pd X 109, e cfr. XIII 47) nel cielo del Sole, e gli faccia sottoporre da Beatrice la grossa questione della perfectio corporum a risurrezione avvenuta (Pd XIV 1-18). La scelta di S. da parte di D. e la questione non surse il secondo relativa alla perfezione dei re e affidata a s. Tommaso non può essere soltanto legata al problema della salvezza di S. di cui " disputavano i teologi, alcuni dei quali propendevano a ritenerlo dannato per la sua lussuria senile " (come leggesi ancora nel pur magistrale commento del Sapegno, che qui riflette la tradizione dei primi commentatori e massime del domenicano Benvenuto legato all'explicit del De Regimine principum, II XVI) ma soprattutto al sistema teologico-politico dantesco. D., infatti, volutamente chiamando s. Tommaso a pronunciare l'elogio di S., esalta il proprio sistema fondato sulla concorporatio carolina e, al tempo stesso, costringe l'Aquinate, ben allusivamente, a ritrattarsi con una stupenda palinodia dal momento che non un pontefice ma un re è dichiarato luce... più bella del cielo del Sole (capovolgendo così l'equazione sole-Chiesa in quella tutta dantesca di sole-Impero) e inoltre impiegando la circumscriptio o perifrasi retorica numerologica quinta luce a far di S. addirittura il simbolo stesso del cielo del Sole che nel Convivio era stato comparato a l'Arismetrica: L'altra proprietade del Sole ancor si vede nel numero, del quale è l'Arismetrica: che l'occhio de lo 'ntelletto nol può mirare; però che 'l numero, quant'è in sé considerato, è infinito, e questo non potemo noi intendere (II XIII 15 e 19).
S. è da considerare, dunque, una delle figurae fondamentali nel sistema teologico-politico di D., e non sorprenderà il trovarlo ripetutamente citato.
D. invero lo menziona, per la prima volta, in uno dei sonetti a Forese, Ben ti faranno il nodo Salamone (Rime LXXV 1), in modo ambiguo che ancora aspetta una sicura chiosa (per le discussioni sull'identificazione del personaggio, v. SALOMONE da LUCCA; Tenzone); una sola volta nella Monarchia (III I 3 Salomon... meditandam veritatem... nos docet), mentre a S. allude nella Vita Nuova nel formulare numerologicamente l'equazione Beatrice = 9 (vedi oltre).
Nel Convivio, per contro, D. menziona S. con progressione quasi geometrica a partire da II V 5 de la quale [la sposa e secretaria (di Cristo) Santa Ecclesia] dice Salomone: " Chi è questa che ascende del diserto, piena di quelle cose che dilettano, appoggiata sopra l'amico suo? " (che è insieme traduzione letterale del passo del Canticum: " Quae est ista, quae ascendit de deserto deliciis adfluens, innixa super dilectum suum " [8, 5] e dello stesso interpretazione allegorica - Sponsa = Ecclesia - sulla scorta di Ugo da Santo Caro, s. Tommaso e s. Bernardo); X 10 Veramente per costoro [i miseri volgari] dice Salomone ne lo Ecclesiasta: " E un'altra infermitade pessima vidi sotto lo sole, cioè ricchezze conservate in male del loro signore " (che è traduzione quasi alla lettera del passo scritturale: " Est et alia infirmitas pessima, quam vidi sub sole: / divitiae conservatae in malum domini sui ", 5, 12); XIV 20 Di costei [la Divina Scienza] dice Salomone: " Sessanta sono le regine, e ottanta l'amiche concubine; e de le ancille adolescenti non è numero: una è la colomba mia e la perfetta mia " (che è insieme traduzione letterale di altro passo del Canticum: " sexaginta sunt reginae, et octoginta concubinae, / et adulescentularum non est numerus; / una est columba mea, perfecta mea " [6, 7] e, anche e soprattutto, clavis per intendere retrospettivamente il simbolo numerologico nove, di Beatrice); III XI 12 Onde essa Sapienza dice ne li Proverbi di Salomone: " Io amo coloro che amano me " (che è efficacissima e icastica - io... me - traduzione del passo dei Proverbi: " Ego diligentes me diligo ", 8, 17); XIV 7 e ne li Proverbi di Salomone essa Sapienza dice: " Etternalmente ordinata sono " (che è traduzione del passo scritturale: " Ab aeterno ordinata sum ", 8, 23); XV 16 E però disse Salomone in quello de' Proverbi in persona de la Sapienza: " Quando Iddio apparecchiava li cieli, io era presente; quando con certa legge e con certo giro vallava li abissi, quando suso fermava [l'etera] e suspendeva le fonti de l'acque, quando circuiva lo suo termine al mare e poneva legge a l'acque che non passassero li suoi confini, quando elli appendeva li fondamenti de la terra, con lui io era, disponente tutte le cose, e dilettavami per ciascuno die " (che è passo di rilievo perché, per mezzo della collazione col testo scritturale di cui è diretta traduzione [cfr. 8, 27-30], non solo costituisce un validissimo esempio dell'usus transferendi di D. e quindi tale da facilitare il compito degli editori nel colmare la lacuna - " ethera " con etera - ma anche valida riprova dell'impiego delle fonti secondarie, che in questo caso a proposito della Sapienza non sarà necessariamente il s. Tommaso del Contra Gentiles IV 11, come leggesi, sulla scorta dello Scherillo, nell'ediz. Busnelli-Vandelli, ma più sicuramente la glossa del grande esegeta Ugo di Santo Caro ai Proverbi e i testi relativi agli ‛ attributi ' della Trinità. Qui infatti la Sapienza sembra anticipare la somma sapïenza, come attributo del Figlio, quale apparirà nella Commedia: v. If III 6 o XIX 10). Sempre per il Convivio si vedano anche III XV 18 non chiudete li orecchi a Salomone che ciò vi dice, dicendo che la ‛ via de ' giusti è quasi luce splendiente, che procede e cresce infino al die de la beatitudine' (che è altro passo derivato direttamente sempre dai Proverbi: " iustorum autem semita quasi lux splendens, / procedit et crescit usque ad perfectam diem ", 4, 18); IV II 8 E però Salomone dice ne lo Ecclesiaste: " Tempo è da parlare, e tempo è da tacere " (che è tratto letteralmente dal passo scritturale: " Tempus tacendi et tempus loquendi ", 3, 7); V 2 E però io nel cominciamento di questo capitolo posso parlare con la bocca di Salomone, che in persona de la Sapienza dice ne li suoi Proverbi: " Udite: però che di grandi cose io debbo parlare " (che è passo notevole non solo per l'invocata ‛ autorità ' scritturale trattandosi del capitolo inteso a provocare la duplice via fide et ratione per cui si manifesta il ‛ Giudizio di Dio ', ma anche perché proprio questo passo e ancor più tutto il capitolo e lo stesso IV trattato del Convivio son da considerarsi il precedente necessario della provvidenzialità dell'Impero romano ampiamente disputata nella Monarchia e, soprattutto, perché proprio da questo punto di vista meglio si può intendere il tempo nuovo del Convivio qui inteso, sia pur in nuce, a preparare la coperta polemica contro il De Regimine principum di s. Tommaso che si concluderà nella ritrattazione messa in bocca all'Aquinate stesso nei canti del Paradiso dedicati a S., a s. Francesco e a s. Domenico nel cielo del Sole); VI 18-19 E però si scrive in quello di Sapienza: " Amate lo lume de la sapienza, voi tutti che siete dinanzi a' populi " [cfr. Sap. 6, 3] ... sì che a tutti si può dire quella parola de lo Ecclesiaste " Guai a te, terra, lo cui re è fanciullo, e li cui principi la domane mangiano! "... " Beata la terra lo cui re è nobile e li cui principi [cibo] usano i [n] suo tempo, a bisogno e non a lussuria! " VII 9 e 13 E perché l'uomo da questa infima viltade si guardi, comanda Salomone a colui che 'l valente antecessore hae avuto, nel vigesimo secondo capitolo de li Proverbi: " Non trapasserai li termini antichi che puosero li padri tuoi ", e E però dice Salomone nel quinto capitolo de li Proverbi: " Quelli muore che non ebbe disciplina, e ne la moltitudine de la sua stoltezza sarà ingannato " (che è lezione controversa perché non aderente nel tempo del verbo ‛ morire ' al testo biblico che legge: " Ipse morietur, quia non habuit disciplinam, / et in multitudine stultitiae suae decipietur " [5, 23] e tanto più peculiare se messa in raffronto con l'aderenza al testo del passo precedente: " Ne transgrediaris terminos antiquos, quos posuerunt patres tui ", 22, 28); XII 8 E perché più testimonianza, a ciò ridurre per pruova, si conviene, lascisi stare quanto contra esse [le ricchezze] Salomone e suo padre grida (che è citazione di altissimo valore stilistico per l'impiego sia della preterizione sia della gradatio che culminerà con la testimonianza della verace Scrittura e qui condotta come a una prima pausa efficacissima; quanto ai passi salomonici sia Busnelli-Vandelli sia il Proto sono stati larghi d'indicazioni tutte più che valide e derivate dai Proverbi, dall'Ecclesiaste e dalla Sapienza); XV 7 e 13 Che appo la nostra fede, la quale del tutto è da conservare, sia falsissimo, per Salomone si manifesta... e ciò fa quando dice: " Chi sa se li spiriti de li figliuoli d'Adamo vadano suso, e quelli de le bestie vadano giuso? "; e ancora: E per costoro [i molti... di suo ingegno presuntuosi] dice Salomone ne li Proverbii: " Vedesti l'uomo ratto a rispondere? di lui stoltezza, più che correzione, è da [sperare] " (citazioni interessanti, la prima tratta da Eccl. 3, 21, e la seconda da Prov. 9, 20); XVI 5 E però dice Salomone ne lo Ecclesiastes: " Beata la terra lo cui re è nobile ", che non è altro a dire, se non lo cui rege è perfetto, secondo la perfezione de l'animo e del corpo; e così manifesta per quello che dice dinanzi quando dice: " Guai a te, terra, lo cui rege è pargolo ", cioè non perfetto uomo: e non è pargolo uomo pur per etade, ma per costumi disordinati e per difetto di vita, sì come n'ammaestra lo Filosofo nel primo de l'Etica (passi notevoli dal punto di vista stilistico perché operando l'inversione nelle citazioni, come sempre tradotte alla lettera - " Vae tibi, terra, cuius rex puer est / ... Beata terra, cuius rex nobilis est ", 10, 16-17 -, D. può chiosare i passi stessi derivando da Aristotele e quindi ottenendo identica icasticità rafforzando con l'autorità del filosofo la formula più debole); XXIV 14 e 16 E però dice Salomone, quando intende correggere suo figlio (e questo è lo primo suo comandamento): " Audi, figlio mio, l'ammaestramento del tuo padre ". E poi lo rimuove incontanente da l'altrui reo consiglio e ammaestramento, dicendo: ‛ Non ti possano quello fare di lusinghe né di diletto li peccatori, che tu vadi con loro '; e ancora: E però scrive Salomone ne li Proverbi, che quelli che umilmente e obedientemente sostiene dal correttore le sue corrett[iv]e riprensioni, " sarà glorioso "; e dice ‛ sarà ', a dare ad intendere che elli parla a lo adolescente, che non puote essere, ne la presente etade (di questi passi, tradotti parzialmente alla lettera e insieme liberamente riassunti da passi dei Proverbi [1, 8-15 e 13, 18], sarà da mettere in rilievo il voluto latinismo Audi che intende sottolineare il termine ammaestramento); XXV 2 E però dice Salomone a lo adolescente figlio: " Li schermidori Dio li schernisce, e a li mansueti Dio darà grazia ". E altrove dice: " Rimuovi da te la mala bocca, e li altri atti villani siano di lungi da te ". Per che appare, che necessaria sia questa soavitade, come detto è (in questi passi, tradotti come di consueto dai Proverbi, 3, 34, e 4, 24, sarà da far rilevare che la sostituzione dell'unico " ipse " del testo scritturale con la parola Dio ripetuta due volte in posizione icastica giustifica il periodo conclusivo, quasi glossa, perfino nella sua tensione sintattica che esplode nell'impiego, voluto, della forma verbale monosillabica accentata); XXVII 6 Se bene si mira, da la prudenza vegnono li buoni consigli, li quali conducono sé e altri a buono fine ne le umane cose e operazioni; e questo è quello dono che Salomone, veggendosi al governo del populo essere posto, chiese a Dio, sì come nel terzo libro de li Regi è scritto. Né questo cotale prudente non attende [chi] li domandi ‛ Consigliami ', ma proveggendo per lui, sanza richiesta colui consiglia; sì come la rosa, che non pur a quelli che va a lei per lo suo odore rende quello, ma eziando a qualunque appresso lei va (questo passo, con l'enfasi posta sul termine dono, è già stato indicato da Busnelli-Vandelli come riferito al " dono del consiglio ", uno dei sette doni dello Spirito Santo, e quale precedente dell'episodio di Pd XIII 91-96, ove l'altissima ‛ lode ' incentrata nel nome di S., simbolo della perfezione dei re, si esalta nell'antitetica denuncia e vituperatio dei degeneri reggitori di popoli).
Nella Commedia il nome di S. non compare direttamente, ma viene alluso per mezzo di grandi perifrasi. Tralasciando per il momento il problema della presenza, che nel caso di S. dovrebb'essere plurima nel gruppo dei 24 ‛ seniori ' nella processione di Pg XXIX 83, è probabile che il ‛ senex ' che intona la prima delle formule litaniche dirette a Beatrice - Veni, sponsa, de Libano, Pg XXX 11 -, perché versetto del Canticum, sia Salomone. Ma notevole per le implicazioni collegate al simbolismo numerologico (v. NUMERO, cit.) e tipologico, perché fondamentali nel sistema teologico-politico del poeta, sarà l'impiego della perifrasi numerologica la quinta luce... più bella, Pd X 109 e XIII 47 (ribadito in XIV 34-35 la luce più dia / del minor cerchio) e di quella tipologico-esemplare in Pd XIII 95 [il] re, che chiese senno.
Tra le allusioni alle opere ascritte a S., oltre a quelle che D. stesso ha cura di citare direttamente, andranno sottolineati i due fondamentali riferimenti ai versetti della Sapienza.
Il primo che costituisce il nerbo e diventa tesi del cap. XVI di quel IV trattato del Convivio, così pieno di riferimenti a S., aperto con il v. 11 del salmo 62 (Lo rege si letificherà in Dio, e saranno lodati tutti quelli che giurano in lui, però che serrata è la bocca di coloro che parlano le inique cose, § 1), è continuato con il commento prima e il diretto richiamo poi: Queste parole posso io qui veramente proponere; però che ciascuno vero rege dee massimamente amare la veritade. Ond'è scritto nel libro di Sapienza: " Amate lo lume di sapienza, voi che siete dinanzi a li populi "; e lume di sapienza è essa veritade, che è traduzione del passo: " Diligite lumen sapientiae, omnes qui praeestis populis " (Sap. 6, 23). Il secondo riferimento trovasi in Pd XVIII 91-93 Diligite iustitiam... / qui iudicatis terram (Sap. 1, 1) che, inserito direttamente nel contesto della Commedia, diventa insieme prova multipla sia del modus scribendi di Dio e quindi di esegesi quadrifaria (dal senso letterale a quello allegorico attraverso la M del vocabol quinto, a indicare la Monarchia regnorum, a quello tropologico per mezzo dell'impiego del neologistico apaxlegomenon ‛ ingigliarsi ', a indicare il " lilium iustitiae ", fino a quello anagogico per mezzo della figura dell'aguglia, a indicare insieme l'uccel di Dio [Giove]... sotto l'ombra delle cui sacre penne [Pd VI 7] cento e cent'anni e più il mondo era stato governato dalla doppia stirpe di David e di Enea, e simbolo eletto dei typi Christi), sia di altissima maestria poetico-culturale nella fusione di simbolismi plurimi, da quello numerologico (il 35 delle vocali e consonanti, ottenuto sulla scorta della regola sesta di Ugo da San Vittore per multiplicationem, e cioè cinque volte sette, che è il numero della perfezione temporis et annorum del Cristo, come dimostrato, innovando nel Convivio), a quello tecnico (dal ‛ topos ' del Deuspictor fino al simbolo dell'aguglia sulla scorta delle figurae esperimentate nel De Landibus S. Crucis da Rabano Mauro), a quello retorico (l'impiego del singolare-plurale nella eto-prosopopea dell'aguglia), a quello cromatico (dal bianco di Giove, all'oro della M e delle altre lettere divine, al rosso delle innumerevoli faville, che ripetono il cromatismo del grifone-Cristo), a quello astronomico (espresso in Pd XVIII 115-117 O dolce stella, quali e quante gemme / mi dimostraro che nostra giustizia / effetto sia del ciel cha tu ingemme!).
Un'ultima allusione a S. trovasi nell'epistola a Cangrande, nella cui captatio benevolentiae leggesi. Rerum ne diuturna me nimis incertitudo suspenderet, velut Austri regina Ierusalem petiit, velut Pallas petiit Elicona, Veronam petii fidis oculis discursus audita, ibique magnalia vestra vidi, vidi beneficia simul et tetigi; et quemadmodum prius dictorum ex parte suspicabar excessum, sic posterius ipsa facta excessiva cognovi (XIII 3), e cioè un chiaro riferimento e perfino l'impiego di formule (i verbi ‛ audire ', ‛ videre ' e ‛ tangere ' e il complessivo magnalia) che richiamano il testo scritturale di III Reg. 10, ov'è raccontata la visita della regina di Saba. Infine, sempre nella stessa epistola (§ 6), una citazione dalla Sapienza: nam in Sapientia de sapienza legitur " quoniam infinitus thesaurus est hominibus, quo qui usi sunt, participes facti sunt amicitiae Dei ", e più precisamente da Sap. 7, 14-15, che, se interpretata insieme con la precedente nella sua scoperta allusività, varrà quale riprova dell'importantissima funzione e del valore che S. assunse nel sistema teologico-politico di D. e al tempo stesso, fuor dalla retorica epistolare, dell'ammirazione e speranza riposta in Cangrande.
Due volte S. è citato nel Fiore, entrambe nella forma ‛ Salamone ': la prima (LXV 3) come termine antonomastico di sapienza (che di senno passa Salamone); nell'altra (CIX 5) è parafrasato il passo 30, 8-9 dei Proverbi.
Bibl.- Per l'iconografia relativa ai Libri dei Re, cfr. E. Réau, Iconographie de l'art chrétienne, 5 voll., Parigi 1961. Per le controversie e il simbolismo tipologico di S., cfr. J. Daniélou, Sacramentum futuri, Études sur les origines de la typologie biblique, ibid. 1950; M.D. Chénu, La théologie au douzième siècle, ibid. 1957; H. De Lubac, Exégèse médiévale, Les quatre sens de l'Ecriture, ibid. 1959-64; B. Smalley, The Study of the Bible in the Middle Ages, Notre-Dame, Iudiana, 1964³. Per i riferimenti alla teologia-politica: E. Eichmann, Konigs und Bischofweihe (Sitzsungs berichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Philophisch-philologische und historische Klasse, VI), Monaco 1928; J. Funkenstein, Das Alte Testament im Kampf von Regnum und Sacerdotium zur Zeit des Investiturstreits (dissertazione Univ. di Basilea), Dortmund 1938; É. Gilson, D. et la philosophie, Parigi 1947; M. Maccarrone, Vicarius Christi. Storia del titolo papale, Roma 1952; E.H. Kantorowicz, The King's Two Bodies, A study in mediaeval political theology, Princeton, N.J., 1957; W. Ullmann, The Bible and Principles of Government in the Middle Ages, in La Bibbia nell'alto medioevo, Spoleto 1963; P.E. Schramm, Das Alte und Staatssymbolik des Mittelalters, in La Bibbia, cit. (con ampia bibl. anche sui precedenti lavori dello stesso autore). Per l'estetica medievale: E. De Bruyne, Études d'esthètique médiévale, 3 voll., Tempelhof 1946. Infine cfr. G.R. Sarolli, Prolegomena alla D.C., Firenze 1971; ID., Analitica della D.C., ibid. 1973.