Salto
Il salto rappresenta una particolare forma di locomozione che consente di superare una certa distanza orizzontale o verticale tramite una fase di volo. È l'andatura normale di alcuni animali, come per es. i canguri e le pulci, mentre altri saltano per superare un ostacolo o per raggiungere rami più alti o più bassi degli alberi, come le scimmie, oppure per iniziare il volo, come le locuste. Per l'uomo i salti costituiscono perlopiù un'attività atletica agonistica e vengono generalmente distinti in salti in estensione (salto in lungo e salto triplo) e salti in elevazione (salto in alto e salto con l'asta).
Prima di staccarsi da terra il saltatore deve imprimere al proprio centro di massa la massima velocità secondo l'angolo più favorevole. Ciò avviene in due fasi successive: la rincorsa, che fornisce energia cinetica al centro di massa, e la spinta, che dura assai meno della rincorsa, in cui il corpo va orientato nella direzione voluta cercando di mantenere la velocità iniziale. Nella prima fase, durante il contatto a terra del piede prima dello stacco, si immagazzina energia elastica nei muscoli e nei tendini della gamba che viene stirata, analogamente a quanto avviene nella corsa (v.); questa energia viene restituita e utilizzata nella seconda fase del contatto quando la gamba che spinge si raddrizza. Se nella prima fase il tempo di stiramento fosse troppo lungo, questo porterebbe a una diminuzione dell'energia elastica immagazzinata e a un abbassamento del centro di massa. È stata infatti osservata una correlazione negativa tra il tempo di contatto e la lunghezza del salto. Dipende dall'abilità dell'atleta utilizzare l'energia cinetica accumulata durante la rincorsa insieme a quella fornita dalla contrazione muscolare, e coordinare esattamente i movimenti tra il momento dell'impatto e quello dello stacco per sfruttare al massimo l'energia elastica. In questa situazione la potenza meccanica totale sviluppata arriva a circa 12.000 W, quasi 17 HP, la potenza di una piccola automobile.
Gli aspetti meccanici della fase di spinta di un salto sono descritti con buona approssimazione dal teorema dell'impulso che afferma l'eguaglianza tra l'impulso, prodotto della forza, F, per il tempo, t, in cui è applicata, e la quantità di moto acquisita, prodotto della massa, m, per la velocità, v, che ha raggiunto il corpo su cui è applicata la forza: Ft = mv.Considerando l'atleta come concentrato nel suo centro di massa e soggetto unicamente alla forza di gravità durante la fase di volo, trascurando quindi la resistenza dell'aria, la traiettoria del salto può essere descritta dalle leggi del moto parabolico. E così la massima distanza orizzontale, l, e la massima altezza, h, possono essere calcolate conoscendo la velocità, v, e l'angolo di stacco, α: l = v2 sin2α/gh = v2 sin2α/2g.Come si vede dalle formule, i valori di l e di h aumentano con il quadrato della velocità e con il diminuire della gravità, g. Tuttavia non sono gli stessi valori di v e di α che ottimizzano il risultato nei due tipi di salto. Durante la fase di volo il corpo del saltatore non compie solo un movimento traslatorio, ma anche di rotazione. Quando il punto di applicazione di una forza, F, non giace sull'asse di rotazione, ma a una certa distanza, r, e normale a questa, si genera un momento di forza, M = Fr, che imprime al corpo un'accelerazione angolare. L'impulso angolare, rappresentato dal prodotto Mt, conferisce al corpo energia cinetica rotazionale. Nei movimenti di rotazione interessa considerare il momento di inerzia, I, di un corpo rispetto a un asse, che è definito dalla somma dei prodotti tra le singole masse e il quadrato delle loro distanze, r, dall'asse. A sua volta il prodotto del momento di inerzia per la velocità angolare, Ω, si chiama momento angolare. Analogamente a quanto avviene per un movimento lineare, anche per quello di rotazione vale il teorema della conservazione del momento: Mt = IΩ.Quando un corpo è in volo il suo momento angolare non può più essere modificato, ma variando la posizione dei diversi segmenti corporei, estendendo o flettendo gli arti, varia il momento di inerzia, I, e di conseguenza la velocità angolare, Ω. Il controllo della velocità angolare nella fase di volo è importante per assumere la posizione necessaria all'atterraggio nel salto in lungo o a superare l'asticella nel salto in alto.
Nel salto in lungo l'atleta deve percorrere in volo la massima distanza partendo da una tavola di stacco che è interrata alla fine della pista di rincorsa e andando a cadere in una fossa ripiena di sabbia umida, su cui rimane l'impronta delle varie parti del corpo che hanno toccato terra. La lunghezza del salto è calcolata dalla distanza tra la linea di stacco e il punto di atterraggio più vicino a essa. La rincorsa è lunga circa 35-45 m, anche se un corridore velocista raggiunge la massima velocità solo dopo 55 m. In pratica su questa distanza viene raggiunto il 90% della massima velocità individuale. Negli ultimi 3-4 passi aumenta la frequenza, e in quello finale, che è sempre il più corto e veloce, il tronco assume una posizione più eretta per ridurre il tempo di contatto e mantenere la velocità orizzontale.
Mentre nella fase di rincorsa si cerca di ottenere la massima velocità possibile, nella fase di stacco bisogna trovare l'angolo ottimale diminuendo la velocità orizzontale e aumentando quella verticale. L'angolo di stacco più favorevole per la lunghezza del salto sarebbe ovviamente 45° (sin2α = 1), tuttavia ciò richiederebbe che la velocità verticale e quella orizzontale fossero eguali, e ciò può essere ottenuto soltanto diminuendo la velocità orizzontale. In media si è osservato che l'angolo di stacco è fra 22° e 18°, corrispondente a un rapporto tra velocità verticale e velocità orizzontale di 1:2,5-1:3. Va inoltre tenuto presente che il centro di massa viene un po' innalzato prima dello stacco dal suolo, quando il soggetto è completamente esteso sulla punta dei piedi, mentre al momento dell'atterraggio è più basso, quindi la sua traiettoria diventerà più lunga. Generalmente la differenza di altezza del centro di massa tra stacco e atterraggio è di circa 0,4 m, ciò comporta un allungamento della traiettoria pari al 5% circa.
Per effetto della spinta impressa dalla gamba e da tutto il corpo al momento dello stacco, all'inizio della fase di volo il centro di massa ha un momento angolare che tende a farlo ruotare in avanti e spinge l'atleta a portare le gambe dietro al centro di massa e al tronco. Durante il volo la traiettoria del centro di massa non può più essere modificata, i momenti lineari e angolari rimangono costanti. Tuttavia durante il volo il saltatore può cambiare il suo atteggiamento per assumere la posizione più propizia all'atterraggio. Alcuni saltatori appena staccati dal suolo portano in avanti le gambe e assumono una posizione seduta. Altri tendono a estendersi per aumentare il momento di inerzia e rallentare la rotazione, e al culmine della parabola sollevano le braccia e iniziano a flettere le gambe in preparazione dell'estensione per l'atterraggio. Altri ancora modificano questa tecnica in una forma più complessa che consiste nell'eseguire una serie di 'scalciate' in aria portando avanti le due gambe una dopo l'altra. La tecnica usata dipende in gran parte dalla durata del volo e quindi dalla lunghezza del salto.
Al momento dell'atterraggio la traiettoria del centro di massa può venire allungata sollevando le gambe in alto e in avanti per ritardare al massimo il momento del contatto con il suolo. Anche questa manovra richiede abilità, in quanto il rischio è di cadere all'indietro quando si puntano i piedi per terra; per evitare questo è necessario, appena toccato il suolo, protendere le braccia e il tronco per conferirgli una rotazione in avanti. Si tratta di un compromesso tra l'ottenere la massima distanza tra lo stacco e il contatto dei piedi sulla sabbia e il conferire una spinta rotatoria in avanti a tutto il corpo: per conseguire il miglior risultato è necessario un perfetto coordinamento dei movimenti. Un atterraggio ben eseguito può, infatti, far guadagnare al saltatore in lungo anche l'8% sulla lunghezza totale.
Le basi fisiche che descrivono il salto triplo sono fondamentalmente le stesse di quelle del salto in lungo; tuttavia la tecnica di questa specialità è diversa. L'atleta, dopo la rincorsa, deve compiere in successione tre stacchi, tre voli e tre atterraggi, ma i movimenti delle tre fasi sono diversi tra loro e vengono denominati: balzo, passo e salto. Nel balzo, lo stacco e l'atterraggio vengono eseguiti dallo stesso piede che inizia immediatamente il passo successivo, questo termina sul piede opposto che dà lo slancio per il terzo e ultimo salto, il quale si conclude con l'atterraggio su entrambi i piedi. Anche le distanze coperte nelle tre fasi sono diverse: il balzo è uguale o un po' più lungo del salto, il passo è il più breve. Il loro contributo alla distanza complessiva è rispettivamente 35-37%, 28-30%, 34-36%. I tempi di contatto a terra aumentano progressivamente da un appoggio all'altro come risultato di una crescente perdita di velocità orizzontale. È importante che il saltatore sappia distribuire adeguatamente lo sforzo. Un balzo troppo lungo, infatti, penalizza il passo e il salto successivi in quanto, atterrando con una velocità troppo elevata, diventa difficile controllare la spinta per il passo seguente. In teoria, per conservare la velocità iniziale, gli angoli di stacco dovrebbero essere piccoli per sfruttare la spinta, e quelli di atterraggio grandi per non decelerare troppo; in pratica, però, ciò non avviene e gli angoli risultano pressoché uguali. Durante la fase di volo, nel balzo e nel passo il tronco deve rimanere eretto per facilitare un atterraggio corretto e una buona spinta nella fase successiva. Nell'ultimo atterraggio, quello che conclude il salto, il saltatore ha più possibilità di cadere all'indietro rispetto al salto in lungo poiché ha meno velocità. È perciò importante riuscire a effettuare una rotazione in avanti sui calcagni subito dopo il contatto con il terreno.
Nel salto in alto l'atleta deve superare, dopo la rincorsa, un'asticella orizzontale appoggiata a dei supporti posti su due sostegni verticali, o ritti, distanti 4 m l'uno dall'altro e oltre i quali si trova la zona di caduta. La tecnica più utilizzata è quella in cui l'atleta passa sopra l'asticella in posizione dorsale; questa tecnica prende il nome da D. Fosbury il quale la utilizzò per primo alle Olimpiadi del 1968; l'altra tecnica prevede il superamento dell'asticella in posizione ventrale. L'altezza effettivamente superata dal saltatore risulta dalla somma di tre differenti termini: 1) altezza del centro di massa del soggetto al momento dello stacco; 2) massimo sollevamento del suo centro di massa in volo; 3) differenza tra la massima altezza raggiunta dal centro di massa e l'altezza dell'asticella. Per quanto riguarda il primo, è evidente che un soggetto alto è avvantaggiato rispetto a uno più basso, in quanto la distanza netta che deve far superare al suo centro di massa è inferiore poiché si stacca da terra a un'altezza maggiore. Il secondo dipende dalla forza dei muscoli estensori e dall'abilità tecnica. Il vantaggio che deriva dalle due tecniche menzionate è rappresentato dal fatto che il terzo termine è negativo: infatti la posizione assunta dal soggetto nel passare sopra l'asticella porta il suo centro di massa all'esterno del corpo, sotto l'asticella.
Grossolanamente si può dire che nelle tecniche di salto dorsale o ventrale il contributo relativo dei tre fattori è rispettivamente 68%, 37% e -5%. L'altezza a cui si solleva il centro di massa del saltatore dipende dalla posizione del corpo e dalla sua velocità verticale allo stacco, che a sua volta dipende dalla velocità verticale all'atterraggio dopo l'ultimo passo della rincorsa, dall'impulso (Ft) trasmesso al corpo dal piede e dal peso stesso del saltatore. Come descritto sopra: v = Ft/m. La rincorsa, almeno per i salti ventrale e dorsale, avviene con un angolo di 20°-30° rispetto alla verticale. Questo permette una maggiore rotazione della gamba libera allo stacco e la possibilità di avere una parte del corpo oltre l'asticella. Certi saltatori utilizzano una rincorsa lungo una traiettoria curva; ciò permette di acquistare meglio un momento angolare parallelo all'asse dell'asticella al momento del distacco da terra. L'ultimo passo è molto più lungo e più lento dei precedenti, la gamba arriva piuttosto inclinata sul terreno, cosicché la componente orizzontale della velocità e quella verticale diventano quasi eguali (tan 45°=1), e si flette per poter esercitare verso l'alto una forza maggiore durante la fase di spinta, sfruttando l'energia elastica immagazzinata nei muscoli e nei tendini. È stato osservato nei migliori atleti che l'abbassamento del centro di massa determinato da questa flessione è correlato con l'altezza raggiunta nel salto. Il tempo di contatto, cioè il tempo nel quale è possibile esercitare la massima forza verticale, è nel salto in alto di 150-200 m/s (il tempo più breve riguarda lo stile Fosbury) contro i 110 m/s del salto in lungo. Si è visto, inoltre, che ogni atleta ha un tempo ottimale di stacco. Per il teorema dell'impulso, un tempo di contatto lungo dovrebbe favorire la velocità verticale allo stacco e quindi l'altezza del salto. Tuttavia il buon saltatore riesce ad aumentare più efficacemente la forza, e quindi l'impulso, quando il tempo di spinta è relativamente più breve. Infatti durante il movimento di flessione/estensione dei muscoli della gamba, il cosiddetto ciclo stiramento/contrazione, l'intervallo tra l'allungamento e l'accorciamento dei muscoli deve essere sufficientemente breve perché l'elevata forza sviluppata durante la contrazione eccentrica possa essere utilizzata nella fase successiva.
La differenza tra la massima altezza raggiunta dal centro di massa e l'altezza dell'asticella dipende dalla posizione del corpo del saltatore quando ha raggiunto l'altezza massima e dai movimenti che compie quando passa sopra l'asticella. Questi movimenti non modificano il momento angolare impartito al corpo allo stacco da terra, ma servono a far superare l'asticella senza farla cadere. È importante che il saltatore acquisti un certo momento angolare allo stacco per avere la torsione e la rotazione necessarie a trovarsi nella posizione voluta sopra l'asticella. Per questo motivo la spinta non deve passare esattamente attraverso il centro di massa, ma deve essere un poco eccentrica. La flessione e la successiva spinta in alto e in avanti della gamba libera e delle braccia serve anche ad aumentare la forza esercitata sul terreno e a innalzare il centro di massa allo stacco. Ciò deve avvenire con la massima velocità possibile al momento dello stacco, perché la loro successiva accelerazione in volo non può più modificare la velocità del centro di massa. Quando i piedi si stanno avvicinando all'asticella e il bacino si trova sopra di essa, le ginocchia vengono estese e il tronco piegato in basso. La flessione e l'estensione degli arti serve inoltre ad aumentare o diminuire la velocità angolare del centro di massa durante il volo. L'atterraggio dipende dallo stile usato; nel salto Fosbury si cade sul dorso cercando di continuare la rotazione allo scopo di ridurre l'impatto con il terreno.
Anche quello con l'asta è un salto in alto, ma l'altezza dell'asticella viene raggiunta con l'ausilio di un'asta impugnata dall'atleta, sulla quale egli fa leva piantandola, dopo una rincorsa, in un'apposita buca posta nel terreno. In questa maniera il saltatore trasforma il movimento lineare e l'energia cinetica della rincorsa in un movimento angolare e in energia cinetica rotazionale. L'estremità fissa dell'asta diventa il centro di rotazione di un pendolo formato dall'asta e dal saltatore, mentre l'altra estremità diventa il centro di rotazione di un secondo pendolo formato dal corpo del saltatore. L'atleta deve coordinare i tempi dei due pendoli, proiettando con un volteggio il suo centro di massa verticalmente sopra l'asta al momento che questa ha quasi raggiunto la posizione verticale. Poiché l'asta è costituita da materiale elastico, essa subisce una deformazione al momento dell'impatto con il terreno, e così immagazzina energia elastica che può essere sfruttata dal saltatore. A queste energie, cinetica ed elastica, si somma il lavoro fatto dal saltatore sull'asta per sollevare ulteriormente il proprio centro di massa.
Come nel salto in alto, anche in quello con l'asta l'altezza superata dal saltatore è la somma di diversi termini: 1) altezza del centro di massa del soggetto al momento dello stacco; 2) altezza a cui viene sollevato il centro di massa mentre il soggetto ruota sull'asta; 3) altezza a cui si solleva il centro di massa quando si è distaccato dall'asta; 4) differenza tra la massima altezza raggiunta dal centro di massa e l'altezza dell'asticella. Il contributo relativo dei quattro termini è all'incirca 23%, 74%, 6%, e -3%. Nella fase di rincorsa, il saltatore raggiunge una velocità compresa tra 8 e 9 m/s; non tutta l'energia cinetica però si trasforma in energia potenziale, in quanto una parte viene dissipata dall'impatto dell'asta sul terreno, una parte nella deformazione dell'asta, e una parte nella deformazione del terreno per la spinta dell'atleta al momento del distacco da terra. L'energia elastica immagazzinata dall'asta dipende dalle sue caratteristiche fisiche, dall'entità e dalla direzione delle forze esercitate su questa. È importante che il saltatore direzioni l'asta in modo tale che la componente parallela al terreno sia grande. È anche determinante la distanza tra il punto più alto di impugnatura dell'asta e il centro di rotazione dell'asta nella buca. Il momento di questa forza è proporzionale a tale distanza: se è troppo grande, il saltatore non riesce a portare l'asta in posizione verticale e cade all'indietro, se è troppo piccola, l'asta raggiunge la posizione verticale con eccessivo anticipo, prima che il saltatore abbia assunto la posizione capovolta per sorpassare l'asticella. L'asta di fibra di vetro è vantaggiosa anche perché questa distanza continua ad aumentare man mano che l'asta si raddrizza durante il salto. In questa fase della traiettoria il saltatore deve sollevare il suo centro di massa sopra l'impugnatura portando le gambe prima in avanti e poi in alto, e quando le gambe sono vicine e parallele all'asta deve prima tirare e poi spingere con forza con le braccia per issarsi sull'asta e prepararsi a lasciarla quando si è raddrizzata. In tale movimento passa attraverso le posizioni chiamate L, J e I; in quest'ultima posizione, completamente diritta, viene minimizzato il momento di inerzia lungo l'asse longitudinale per facilitare la rotazione del corpo. Quando il saltatore si stacca dall'asta deve spingerla indietro per evitare che questa tocchi l'asticella e la faccia cadere.
È interessante notare che per i salti in lungo, triplo e in alto la differenza nelle prestazioni da record tra uomini e donne è di circa il 15%, mentre per il salto con l'asta è del 25%. Va fatto però osservare che il salto con l'asta femminile è una specialità recentissima, inclusa nel programma olimpico per la prima volta alle Olimpiadi di Sydney (2000), e che le praticanti di questo sport sono ancora poche.
In tutti i salti, orizzontali o verticali, è necessario avere grandi masse muscolari per sviluppare una potenza elevata: questo vantaggio è in parte contrastato dal fatto che bisogna anche sollevare da terra un peso proporzionalmente più grande. L'alta statura rappresenta invece un vantaggio per tutti i tipi di salto: nei salti in alto perché il centro di massa parte da una posizione più vicina all'asticella, nei salti in lungo perché la maggiore lunghezza degli arti proiettati in avanti allunga l'atterraggio. I saltatori in alto sono i più alti, 1,90 m, quelli con l'asta un po' meno, 1,85 m, e quelli del salto in lungo e triplo ancora meno, 1,80 m. Il peso corporeo dei saltatori è attorno ai 70-80 kg. Dal momento che si tratta di un movimento quasi esplosivo, pochi passi prima del salto, la potenza aerobica non è una caratteristica fisiologica molto importante per i saltatori, mentre ovviamente la potenza sviluppata direttamente dalla scissione dell'ATP, potenza anaerobica alattacida, risulta fondamentale. Inoltre poiché si tratta di esercizi ad alto contenuto tecnico, specialmente i salti verticali, anche il coordinamento neuromuscolare è un fattore determinante la prestazione.
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