Salute e allocazione delle risorse
Le questioni concernenti l'allocazione delle risorse per l'assistenza sanitaria includono problemi che si situano a vari livelli. Vi è un ampio dibattito sul fatto che il razionamento sia o meno inevitabile, su chi debba prendere le decisioni, e sui criteri in base ai quali eventualmente consultare le persone che usufruiscono dell'assistenza stessa. Dal punto di vista etico, i principali problemi riguardano la contrapposizione tra individuo e comunità e le diverse e alternative concezioni di giustizia nell'allocazione delle risorse. Nel dibattito si è inserita anche l'etica delle virtù, ma rimangono apparentemente insoluti i conflitti tra valori e questioni filosofiche fondamentali, riguardanti non solo le modalità attraverso le quali deve essere erogata l'assistenza sanitaria, ma anche la definizione stessa di salute e la sua relazione con la concezione di una vita che abbia senso.
Introduzione
I problemi riguardanti l'allocazione delle risorse sono tra i più controversi nel campo della bioetica. Innanzi tutto esiste un dibattito sul fatto che le varie forme di razionamento o di allocazione prioritaria siano effettivamente inevitabili: alcuni sostengono che le risorse potrebbero risultare sufficienti se venissero eliminate le prestazioni inutili, mentre altri ritengono che tale strategia sia risolutiva solo in parte. Inoltre, come fa notare D.W. Light, le modalità di questa ripartizione influenzano di per sé la percezione di adeguatezza del finanziamento stesso (Light, 1997). Comunque, quale che sia la loro scarsità, le risorse vanno in ogni caso suddivise e quindi sorge la questione di chi debba prendere le decisioni in proposito e secondo quali criteri. Esistono inoltre problemi fondamentali riguardanti la scelta del tipo di sistema all'interno del quale viene fornita l'assistenza sanitaria e l'individuazione degli scopi di un tale sistema.
Erogazione e scopi dell'assistenza sanitaria
Il primo problema riguarda il confronto tra assistenza sanitaria pubblica e assicurazioni private. Un argomento a favore dell'assistenza sanitaria pubblica è che essa è, per sua natura, più corretta ed equa rispetto alle assicurazioni private, le quali è più probabile che siano accessibili solo ai soggetti benestanti della società.
Le politiche statali di assistenza sanitaria hanno come scopo prioritario quello di garantire che, in tutte le forme di assistenza sanitaria e di assistenza ai disabili erogate dallo Stato, il principio di servizio pubblico sostituisca gli obiettivi di profitto commerciale (Lopez, 1997). In un sistema in cui l'assistenza sanitaria è appannaggio delle assicurazioni private, non solo le fasce più povere della società, ma anche i gruppi con particolari necessità, come le persone con una patologia mentale o con un handicap psichico sono probabilmente discriminati. J. Lopez arriva a sostenere che l'opzione del privato può essere vista come un'infrazione del principio di solidarietà, inteso come "propensione dei cittadini a contribuire all'assistenza sociale di altri con lo scopo di migliorare il livello generale di benessere" (Light, 1997). Per Lopez un sistema pubblico, al contrario, "ha la capacità di porre una maggior enfasi sulla prevenzione e sulla promozione della salute nel senso più ampio, sviluppando il controllo da parte della comunità, oltre che la sua partecipazione efficace" (Light, 1997).
Anche in un sistema a frnanziamento pubblico, tuttavia, possono esserci controversie su quali debbano essere gli scopi del servizio. In Gran Bretagna per esempio, A.J. Culyer ha sostenuto che uno degli obiettivi principali del Servizio sanitario nazionale sia quello di elevare il più possibile la salute dell'intera comunità. Secondo Culyer non solo questo si verifica, ma è bene che sia così. In generale, la salute è una condizione necessaria per il benessere, che è un bene fondamentale (Culyer, 1997). l Harris, tuttavia, ha criticato questa posizione, argomentando che elevare il più possibile il livello di salute dell'intera comunità potrebbe avere l'effetto di sfavorire in modo sistematico alcune sue fasce. Per esempio, la salute collettiva potrebbe essere significativamente incrementata lasciando morire alcune persone (Harris, 1997). La posizione di Culyer è soggetta anche all'obiezione che, di fatto, il Servizio sanitario nazionale non è un servizio che si occupi di salute, ma di malattia.
In Gran Bretagna, il Servizio sanitario nazionale si fonda su tre principi: l'assistenza sanitaria deve essere disponibile per tutti secondo le necessità, deve essere completa e gratuita all'atto dell'erogazione. A. Weale ha attirato l'attenzione sul fatto che questo tipo di assistenza è stata criticata perché non è di qualità elevata (facendo notare che questa critica dipende dalla particolare interpretazione di cosa si intenda per qualità elevata). Egli prende in considerazione la 'triade contraddittoria' costituita da completezza, qualità elevata e disponibilità per tutti. Mentre il Servizio sanitario nazionale inglese viene criticato perché sacrifica la qualità a favore della completezza e della disponibilità per tutti, gli Stati Uniti hanno scelto la qualità a scapito della disponibilità per tutti (Weale, 1998).
Una soluzione al problema della 'triade contraddittoria', come fa notare Weale, è quella di sacrificare la completezza. Si sostiene che la fruibilità generalizzata dei sistemi di assistenza sanitaria si è rivelata irrealizzabile (Lopez, 1997). L'aumentata richiesta di prestazioni, alimentata dalle nuove tecnologie, l'allungamento della vita media e le crescenti aspettative sono coincise con l'avvento di nuovi problemi sanitari e con la crescita di altre pressioni sui bilanci assistenziali degli Stati. Si è quindi capito che è necessario trovare dei metodi per assegnare le risorse all'interno dei sistemi di assistenza sanitaria, dando priorità o ad alcuni pazienti, o ad alcune terapie. Perciò, pur accettando che il Sistema sanitario nazionale debba restare tale, visto il problema dell'espansione della domanda, sono sorte numerose strategie per farvi fronte. Una possibilità è quella di realizzare un sistema a due livelli costituito da un pacchetto di base finanziato dallo Stato al quale aggiungere la possibilità di sottoscrivere un'assicurazione privata. Altre strategie comprendono la selezione di programmi di popolazioni ma, come fa notare Lopez, "nei paesi occidentali industrializzati, dove la questione dell'accesso è stata affrontata mediante programmi nazionali tra loro diversi, che garantiscono un diritto pressoché generalizzato, [ ... ] i recenti sforzi di contenimento dei costi si sono focalizzati su strategie di regolazione. Tuttavia, queste strategie non si concentrano sulla restrizione dell'accesso attraverso la creazione di criteri restrittivi di idoneità [ ... ] In questi programmi quello dell'accesso equo rimane il problema principale" (Lopez, 1997).
Lopez suggerisce che lo scopo di un sistema generalizzato non è solo fornire l'equità nell'accesso, ma favorire l'equità nello stato di salute. Questo, tuttavia, è esattamente uno dei punti principali di contesa nell'interpretazione del concetto di equità in questo contesto. Prima di procedere nella discussione riguardante i diversi concetti di equità, è tuttavia necessario considerare dove debbano essere prese le decisioni importanti sulla distribuzione delle risorse.
Per quanto riguarda il pacchetto minimo, Weale suggerisce che il problema di una simile strategia è che i trattamenti che si propone di escludere tendono a trovarsi comunque agli estremi. Per quanto riguarda l'indicazione di escludere alcuni pazienti, si potrebbe sostenere che l'accesso all'assistenza sanitaria è un diritto fondamentale. Si potrebbe inoltre affermare che la distinzione non è completamente chiara, perché escludere alcuni trattamenti equivale, ipso facto, a escludere alcuni pazienti.
Il diritto all'assistenza sanitaria
Problemi di varia natura insorgono qualora si cerchi di sostenere il diritto universale all'assistenza sanitaria o, all'interno di una data società, il diritto all'assistenza sanitaria per tutti i membri di quella società. Innanzitutto, il concetto di diritto è molto complesso, ed è ancora oggetto di dibattito se il diritto all'assistenza sociale, al contrario del diritto alla libertà, sia o meno tale. Si discute sulle conseguenze del fatto che chi possiede una capacità, come quella di erogare l'assistenza sanitaria, abbia il diritto di venderla a suo piacimento. In secondo luogo, quand'anche fosse accettato che esiste un diritto sociale all'assistenza sanitaria, ciò non risolve il problema di definire in maniera esatta in che cosa consista tale diritto e quanto debba essere estesa l'erogazione dei servizi.
I livelli decisionali
Solitamente viene operata una distinzione tra macro-, meso- e microlivelli decisionali. Al macrolivello vi è il governo, che assegna i fondi complessivi per l'erogazione dell'assistenza sanitaria; al mesolivello gli amministratori locali, che determinano quali servizi debbano essere offerti e quanti fondi debbano essere destinati a ciascun servizio; al microlivello i singoli medici, che stabiliscono quali prestazioni offrire, a quali pazienti, e quali malati debbano far ricorso a specialisti. A ciascun livello esistono problemi etici da risolvere.
Al macrolivello, frequentemente, il dibattito verte su quanto ampia debba essere la spesa pubblica rispetto alle convenzioni private. Da un lato si sostiene che, tra i beni sociali, l'assistenza sanitaria è talmente importante, che le dovrebbero essere destinati fondi maggiori, se necessario anche a scapito di altri beni sociali (fig. 1). D alI ' altra parte c'è chi pensa che stanziamenti aggiuntivi non risolvano il problema: ciò che è necessario è la riduzione degli sprechi e degli interventi inefficaci.
Al mesolivello il dibattito è molto più complicato. Localmente le decisioni sono prese da amministratori che, per definizione, devono fare le scelte più efficaci per ottenere gli scopi del servizio. A questo livello, decidere tra i vari servizi, anche se non esplicitamente tra i pazienti, comporta implicazioni evidenti per coloro che soffrono di patologie non considerate prioritarie, per cui in maniera indiretta danneggia gruppi specifici di pazienti. l fattori da prendere in considerazione comprendono l'efficacia, il costo, gli aspetti etici, le particolari circostanze locali in relazione ai tipi di patologie, che possono essere associate a fattori quali la composizione della popolazione o il suo livello economico. Oltre a questo vi è la questione della credibilità nei confronti della popolazione locale.
Al microlivello i medici decidono l'attribuzione delle risorse tra i singoli pazienti. A questo livello uno degli aspetti più interessanti del dibattito verte sul preteso conflitto tra ciò che si sostiene essere il tradizionale ethos della medicina e la necessità di allo care le risorse. C'è chi sostiene che i medici non dovrebbero avere l'onere di scegliere tra i pazienti, in quanto essi hanno l'obbligo di fare ciò che è meglio per ciascun paziente. D'altro canto c'è chi reputa che, di fatto, i medici hanno sempre preso decisioni di questo tipo, per esempio nel decidere se chiedere o meno un consulto; semplicemente ora il processo è reso esplicito, mentre prima era implicito.
Permangono comunque controversie sul livello al quale si dovrebbero prendere queste decisioni e sulla opportunità di stabilire delle linee guida a livello nazionale per i criteri da adottare, in modo tale che, per esempio, i medici non debbano farsi carico da soli dell'onere di assegnare delle priorità. Light ha proposto diversi argomenti convincenti a favore dell'idea che le vere questioni che l'etica deve affrontare in questo contesto, consistono in disposizioni di natura politica e sociale che dirigano le decisioni di ripartizione 'a valle', fino al livello in cui i medici curano i pazienti (Light, 1997). Sembra comunque inevitabile che i medici dovranno continuare a stabilire queste allocazioni, anche se i criteri guida possono essere uno strumento per ottenere un consenso più ampio; in questo senso sono state proposte varie strategie per consultare l'opinione pubblica.
La consultazione dell'opinione pubblica
L'opinione pubblica è stata spesso consultata sull'allocazione dei fondi per l'assistenza sanitaria, come il famoso esperimento effettuato in Oregon: estendere l'assistenza gratuita ai poveri rinunciando al programma dei trapianti di organo. Questo si scontra con ciò che è stato chiamato il problema della democrazia (Daniels, 1993), e cioè la possibilità che i risultati possano non piacere. Uno studio ha dimostrato che l'opinione pubblica è meno sensibile ai problemi di equità di quanto lo sia chi si occupa di sanità per professione (Stronks et al., 1997). Si pone quindi il problema di trovare una giustificazione teorica alla consultazione dell'opinione pubblica in tale contesto; in effetti, una consultazione di questo tipo sull'allocazione delle risorse non si verifica in altri campi.
Una buona ragione per consultare l'opinione pubblica potrebbe risiedere, come si è detto prima, nella particolare importanza che si riconosce alla salute. Tuttavia non è solo l'assistenza sanitaria a rivestire un ruolo rilevante per la salute pubblica. Le decisioni sulla regolamentazione del traffico e sulla pianificazione ambientale possono essere altrettanto importanti per lo stato di salute della gente. Dunque, l'importanza primaria della salute non può essere considerata una risposta. Un altro punto di vista potrebbe essere quello di considerare la consultazione dell'opinione pubblica come un mezzo per educarla. Nelle nazioni in cui l'assistenza sanitaria è pubblica, è andata crescendo l'aspettativa che la protezione della salute continui a essere totale. Consultare l'opinione pubblica sulle priorità nell'allocazione dei fondi è un modo per far capire che, vista la crescita esponenziale dei costi sanitari, continuare su questa strada risulta semplicemente impossibile. Persino nei paesi dove la protezione totale della salute non costituisce una norma, si è riconosciuta la necessità di contenere i costi; l'esempio più eclatante è offerto dagli Stati Uniti.
Un altro motivo, di natura teorica, per consultare l'opinione pubblica potrebbe basarsi su una visione comunitaria dell'etica. Come ha fatto notare H. Zwart, ciò è attinente alla questione dell'assegnazione di limiti alla medicina. Zwart mette in contrapposizione la prospettiva liberale, che tende a enfatizzare non solo l'autonomia personale, ma anche il diritto di scegliere le prestazioni sanitarie, con la prospettiva comunitaria che, a suo avviso, dovrebbe porsi lo scopo di sviluppare un consenso sugli obiettivi della medicina. Da questo punto di vista "chi agisce secondo morale non dovrebbe essere visto in modo atomistico, ma piuttosto come collocato in una comunità morale dalla quale egli deriva la sua identità morale, le sue sostanziali convinzioni morali e l'indirizzo da seguire" (Zwart, 1993).
Dalla comunità si ottiene, quindi, un consenso su quando, nel caso dell'assistenza sanitaria, si debba intervenire e quando sia preferibile invece accettare la situazione. Un consenso da parte della comunità, tuttavia, non equivale a un voto di maggioranza, che potrebbe essere pregiudizievole per gli interessi dei gruppi di minoranza. H. ten Have suggerisce che un approccio comunitario dipende da una struttura normativa e deontologica che definisca il significato degli interessi comunitari (ten Have, 1993). Egli chiarisce i presupposti della posizione olandese, per esempio, in termini di fondamentale eguaglianza delle persone, fondamentale diritto alla protezione della vita umana e solidarietà.
Si potrebbe obiettare, tuttavia, che in una società pluralista postmoderna un consenso comunitario di questo tipo non è possibile e il concetto di comunità si è indebolito (Poole, 1991). T. van Willigenburg ha inoltre sostenuto che l'efficacia del criterio orientato dalla comunità si basa sulla sua capacità di escludere, di tacitare alcune voci (van Willigenburg, 1993). In questo caso ci si chiede quindi se sia possibile realizzare un qualche tipo di consenso (Moon, 1993) attraverso il continuo dialogo tra gruppi differenti. Si può affermare che quello della bio etica è un campo in cui, in parte a causa della precipua importanza della salute e dell'assistenza sanitaria, il consenso è particolarmente auspicabile.
Ovviamente esiste il problema delle dimensioni della comunità, cioè se ciò che viene previsto debba adattarsi a una comunità locale, regionale o nazionale. L. Doyal ha sostenuto: "Qualunque forma di soddisfazione di un bisogno su scala ridotta, basato su un interesse comunitario locale, può portare a concezioni limitate dei bisogni umani e inibire la crescita di concetti generalizzabili, basati su una più ampia identità collettiva [ ... ]. Il sogno di una politica comunitaria che possa unire gruppi differenti [ ... ] non può essere realizzato se si prescinde proprio da una sorgente di identità, trasversale a gruppi e culture, quale è il bisogno umano" (Doyal e Gough, 1991).
Per gli scopi di un dato sistema di assistenza sanitaria ciò può essere troppo ambizioso, ma ci sono anche posizioni diverse circa la distribuzione globale delle risorse da destinare all'assistenza sanitaria (Attfield, 1990).
Allocazione dei fondi ed etica biomedica
Le contrastanti impostazioni teoriche del liberalismo e del comunitarismo portano a differenti soluzioni per quanto riguarda i principi di allocazione dei fondi considerati accettabili e auspicabili, e il rapporto tra i principi per l'assegnazione di priorità e l'etica biomedica comunemente intesa (fig. 2). Si potrebbe pensare che l'etica medica sia tradizionalmente deontologica, soprattutto per come è stata espressa nei codici professionali, che possono essere basati sui doveri, enfatizzando il dovere professionale di proteggere gli interessi di ciascun paziente e sottolineando i diritti del singolo malato (fig. 3). Il principio della sacralità della vita e il principio dell'obbligo del soccorso - per cui, qualora si possa fare qualcosa con qualunque mezzo per evitare la morte, questo debba essere fatto - potrebbero essere visti in questo contesto. Questo tipo di approccio è individualistico e forse si adatta male alle situazioni in cui è necessario prendere una decisione tra gli interessi contrastanti di più individui. Potrebbe sembrare che il consequenzialismo offra di più, nel senso che sono moralmente buoni i comportamenti che producono conseguenze buone. Come giudicare quali conseguenze siano preferibili? Anche questo giudizio potrebbe essere interpretato in termini di promozione del bene del singolo paziente, in alternativa a una versione utilitaristica che adotti un approccio massimizzante nei confronti di più persone.
Dei quattro principi dell'etica biomedica -l'autonomia, il far del bene, la non nocività e la giustizia - i primi tre, ancora una volta, riguardano gli interessi dei singoli pazienti. È la giustizia che ci porta a prendere in considerazione il problema del contrasto di interessi. Teorie contrapposte, tuttavia, forniscono nozioni diverse di giustizia sociale, e quindi forniscono differenti criteri per la distribuzione delle risorse. Come ha asserito N. Daniels, le complicazioni sorgono proprio dal fatto che individui differenti possono fare appello a principi diversi, seppure perfettamente rispettabili singolarmente, per sostenere le proprie richieste di assistenza sanitaria (Daniels, 1993).
Criteri da rispettare
Mentre l'importanza dei criteri quali l'efficienza e l'efficacia è ampiamente riconosciuta, molte discussioni sono sorte sull'interpretazione dei concetti di giustizia e di equità. Occorre infatti chiedersi se la destinazione delle risorse debba effettuarsi in base a ciò che la gente merita, in base a ciò di cui ha bisogno o in base a ciò che può condurre al miglior risultato.
Il merito
Talvolta è stato detto che l'idea secondo la quale la gente dovrebbe ottenere esattamente ciò che si merita è una delle intuizioni più profonde e durevoli a proposito di giustizia. Nell'allocazione delle risorse, valutare quello che le persone si meritano è un modo per operare delle distinzioni tra loro. L'idea è ben nota, anche se spesso contrastata, nelle riflessioni teoriche di giustizia penale, ma resta il problema di stabilire se sia appropriata nella regolamentazione dell'assistenza sanitaria. Un aspetto da considerare è se lo stile di vita di una persona (o di un gruppo) sia rilevante per decidere se essa meriti o no delle priorità per quanto riguarda l'assistenza sanitaria. Per esempio, se si tratta di forti bevitori o di fumatori allora probabilmente bisognerebbe considerare queste persone come responsabili del proprio stato di salute e non meritevoli di priorità.
Forse però non è appropriato utilizzare questo punto di vista quando occorre assegnare delle priorità. Prima di tutto una visione basata sull'elogio e sul biasimo conduce inevitabilmente a dover attribuire ricompense e punizioni. In secondo luogo, resta il problema di dove tracciare una linea di demarcazione, in quanto tutti noi ci assumiamo alcuni rischi relativamente alla nostra salute, per esempio nelle nostre abitudini rispetto all'esercizio fisico.
L'aspetto punitivo del modello nasce dal considerare l'individuo libero di fare le proprie scelte e quindi responsabile per esse. Ciò è correlato con il particolare concetto di eguaglianza intrinseco nel modello meritocratico. Se si presume che le persone abbiano uguali opportunità di fare scelte riguardanti la propria vita, valutare queste scelte significa rispettare le persone in quanto libere di scegliere.
Queste idee sono anche collegate al concetto di responsabilità individuale nei riguardi della salute. Il problema sta nel fatto che si dà un peso insufficiente alle cause sociali delle malattie e al contesto nel quale le scelte vengono compiute. In realtà il dibattito verte non solo sul fatto che le decisioni sull'allocazione delle risorse debbano o meno esser prese sulla base del merito, ma anche sul fatto che decisioni specifiche vengano prese su questa base. In alcuni casi, un medico potrebbe decidere di negare un certo intervento perché le probabilità di successo sono esigue, mentre la sua decisione potrebbe essere interpretata dagli astanti come un rifiuto motivato dallo stile di vita del paziente (se per esempio il paziente ha una storia di abuso di droghe).
Il bisogno
Una concezione alternativa di allocazione equa sostiene che sia giusto destinare le risorse secondo i bisogni. Come il modello meritocratico, anche questo ha un qualche supporto intuitivo: sicuramente una società giusta dovrebbe dare agli individui ciò di cui hanno bisogno.
Tale approccio è generalmente considerato più egualitario rispetto a quello meritocratico. Esso in realtà si basa su una concezione differente di eguaglianza. Occorre fare una distinzione tra trattamento uguale e trattamento di uguali. Ovviamente uguaglianza non significa dare a tutti uno stesso trattamento, nel senso della stessa prescrizione, perché non tutti hanno bisogno di una data prescrizione. Significa invece che le persone dovrebbero essere trattate come eguali, nel senso che persone con gli stessi bisogni dovrebbero ricevere un'uguale considerazione, indipendentemente dai meriti specifici della singola persona.
Ma come va definito il bisogno? I bisogni relativi all'assistenza sanitaria sono stati definiti dagli economisti in termini di beneficio. Ciò sposta il problema dalla definizione di bisogno a quella di beneficio. I singoli cittadini, gli operatori sanitari e i rappresentanti della comunità possono avere in proposito idee differenti. I singoli cittadini possono considerare un beneficio ricevere ciò che vogliono; gli operatori sanitari possono definire il beneficio in termini di ristabilimento, o quasi, delle condizioni di salute; la comunità può considerare la questione dal punto di vista del recupero di cittadini attivi in seno alla società.
Se si concede ai singoli o ai gruppi la possibilità di definire le proprie necessità, si corre il rischio di dover fronteggiare ciò che si definisce un pozzo senza fondo. Light, tuttavia, ha suggerito che l'asserzione secondo la quale le necessità dell'assistenza sanitaria sono senza fondo costituisce un problema empirico, che può essere esaminato osservando cosa effettivamente avviene in un sistema ben finanziato (Light, 1997). Se sono gli operatori sanitari a stabilire quali siano le necessità, per ovvie ragioni è probabile che essi siano fuorviati dalle proprie specializzazioni e tendano a notare un maggior numero di bisogni insoddisfatti nei settori in cui operano. Anche se potessimo risolvere il problema della definizione, comunque potrebbe non essere possibile soddisfare tutte le necessità identificate. Quindi, tra i vari bisogni si devono stabilire delle priorità; un modo per farlo consiste nel quantificare i risultati. l'utilità La discussione sulla quantificazione dei risultati porta a considerazioni di tipo utilitaristico. Secondo il modello utilitaristico, le priorità devono essere stabilite in base a ciò che si presume porti al miglior risultato possibile. Come l'utilitarismo in generale, anche il suo modello applicativo nel contesto sanitario ha due aspetti: un concetto di utilità e un principio di massima resa. In altre parole, prevede il concetto di successo medico, nonché il principio che si debba ambire a raggiungere tale successo nella misura più ampia possibile. A prima vista potrebbe sembrare che l'utilitarismo abbia poco a che fare con la giustizia e, infatti, è stato criticato come strumento di scelta nelle politiche sanitarie, visto che non contempla la salvaguardia del concetto di inviolabilità dell'individuo (Hunter, 1993). Secondo il concetto di giustizia previsto dall 'utilitarismo, nel calcolo utilitaristico ciascuno conta per uno e nessuno per più di uno. L'interesse per il risultato, tuttavia, non solo trascura lo schema della distribuzione, ma prescinde anche dal potenziale significato dello stato di salute prima della cura (che è enfatizzato nel principio di recupero) al quale spesso si fa riferimento nel definire qualcuno come bisognoso d'aiuto. Ciò nonostante, l'impossibilità pratica di soddisfare tutte le necessità identificabili ha portato a considerare auspicabile la possibilità di misurare in maniera opportuna i risultati.
Misurazione dei risultati
A. Edgar e collaboratori (1995) hanno riassunto le argomentazioni economiche a favore di una misurazione dei risultati mediante il parametro denominato QALY (Quality Adjusted Life Years, anni di vita corretti per la qualità) nel modo seguente. Considerato che le risorse per l'incremento della salute sono scarse, che la definizione di priorità è inevitabile e che l'assegnazione di priorità in base a criteri espliciti è preferibile a una senza criteri, allora elevare il più possibile il livello di salute utilizzando le risorse disponibili è un buon criterio, anche se non l'unico. Si è già parlato prima del problema della necessità di stabilire delle priorità. Che i criteri espliciti siano preferibili a quelli impliciti non trova tuttavia tutti consenzienti, si sostiene infatti che l'assegnazione di priorità è sempre stata praticata in maniera implicita dai medici e che questo vada valutato positivamente perché, tra le altre considerazioni, ha determinato minori apprensioni nei pazienti.
Edgar e collaboratori fanno poi notare che un'efficace misura della qualità della vita deve essere attendibile, valida nella sua capacità di misurare quel che si vuole e sensibile. Deve, per esempio, poter evidenziare cambiamenti che possono essere piccoli, ma importanti dal punto di vista clinico. Gli autori affermano che se i QALY possono essere criticati per la loro potenzialità discriminatoria, o per il fatto di ignorare i bisogni dei singoli individui, questi problemi possono trovare una soluzione. Per esempio, i modelli che considerano i QALY e quelli che considerano i bisogni, possono essere interpretati come complementari invece che competitivi: "L'enfasi che la filosofia dei bisogni pone sul normale funzionamento dell'organismo, e quindi sulla salute come precondizione per una vita normale, può fornire materia per determinare quali sono i parametri di salute più importanti per definire la qualità della vita. D'altro canto, come suggerisce Williams, i QALY possono servire quali strumenti efficaci per misurare il grado di gravità e l'insostituibilità dei bisogni, come anche per risolvere le dispute tra due o più richiedenti in presenza di risorse limitate" (Edgar, 1995).
Nonostante tali tentativi di riconciliare, almeno parzialmente, concezioni contrastanti di giustizia, H.M. Sass ha sostenuto che "le forme tradizionali di giustizia distributiva avranno sempre un successo limitato, in parte a causa dell'imperfezione umana, ma anche perché una giustizia pienamente sviluppata richiede una completa uniformità di servizi e di bisogni riconosciuti" (Sass, 1995).
L'importanza dell'età
l QALY sono spesso stati criticati in quanto discriminano gli anziani, perché ovviamente la distribuzione delle risorse a persone più giovani ha una probabilità superiore di incrementare la salute in termini di numero di anni di vita validi dal punto di vista della qualità. L'idea che l'età possa essere significativa nell'allocazione delle risorse è stata materia di notevoli controversie. Si potrebbe comunque concordare nel considerare l'età importante in riferimento a specifiche condizioni o a determinati trattamenti, in quanto alcune forme di intervento semplicemente sono prive di valore se condotte in determinate fasce di età. Un esempio potrebbe essere lo screening per i tumori della mammella, che è ritenuto inefficace se non addirittura potenzialmente dannoso per le donne più giovani. Più controverso è il dibattito sulla disponibilità di terapie per favorire la fertilità in donne postmenopausa. Comunque, ciò che qui ci interessa maggiormente è l'ipotesi secondo la quale gli anni di un individuo possano essere discriminanti quando si debba decidere, in generale, se persone oltre una certa età non debbano godere di priorità nell'allocazione di fondi per l'assistenza sanitaria. Verranno ora descritte le giustificazioni addotte per questo criterio, che possono conformarsi in misura maggiore o minore ai principi generali descritti in precedenza.
L'ipotesi del tempo equo
L'ipotesi del tempo equo è stata schematizzata da Harris come segue: "L'ipotesi del tempo equo considera l'idea che esista un certo lasso di tempo che noi consideriamo una ragionevole durata di vita, un tempo equo. Diciamo che un'equa durata di vita siano i classici 70 anni. Chiunque non raggiunga i 70 anni patisce, da questo punto di vista, l'ingiustizia di essere eliminato anzitempo. Chi non ha goduto di una ragionevole durata di vita è stato, in effetti, danneggiato. Chi, invece, raggiunge i 70 anni non patisce tale ingiustizia, non ha perso nessuna opportunità, ma piuttosto deve considerare ogni anno in più come una specie di bonus in aggiunta a ciò che poteva ragionevolmente sperare di ottenere. L'ipotesi del tempo equo prevede che a ciascuno sia data un'uguale possibilità di godere di tale tempo e di raggiungere la soglia prevista; ma, una volta che questa viene raggiunta, ciascuno avrà ottenuto ciò che gli spettava. Il resto della sua vita è una specie di bonus che può essere cancellato qualora sia necessario aiutare altri a raggiungere tale soglia" (Harris, 1985).
L'ipotesi del tempo equo prevede il principio di equità delle opportunità; ciascuno dovrebbe avere pari opportunità di ottenere il tempo equo, ma oltre questo eventuali richieste non hanno un peso uguale a quelle dei più giovani.
La durata naturale della vita
Un argomento alternativo per considerare importante l'età è stato proposto da D. Callahan (1987); esso si basa sul concetto di durata naturale della vita.
"Prima voglio proporre una definizione di morte accettabile. Se fossimo d'accordo su di essa, avremmo, di conseguenza, le basi per l'idea relativa alla durata naturale della vita e quindi, forse, un criterio per stabilire gli scopi della medicina nei confronti dell'invecchiamento. La mia definizione di morte accettabile è questa: è accettabile la morte che avviene nel corso di un'esistenza in quello stadio in cui le possibilità offerte dalla vita si sono nel complesso realizzate; gli obblighi morali dell'individuo verso coloro nei confronti dei quali ha delle responsabilità sono stati assolti; la morte del soggetto non sembrerà agli altri un'offesa alla ragione o alla comune sensibilità, né indurrà altri a disperarsi per la limitatezza dell'esistenza umana. L'argomento della durata naturale della vita è un'interpretazione del criterio distributivo basato sui bisogni. È un'interpretazione dei bisogni considerati come ciò che è naturale, dove naturale è inteso non in senso biologico, ma biografico. Lo scopo di un sistema pubblico di assistenza sanitaria non dovrebbe essere quello di prolungare la vita oltre questo stadio. Ciò richiede un ripensamento collettivo del concetto di vita e di accettabilità della morte" (Callahan, 1987).
La teoria di Callahan può essere associata con il concetto di assegnazione delle priorità sulla base del bisogno. Poiché implica un'interpretazione di bisogno, questo deve essere definito a livello di comunità piuttosto che in termini di individuo. Egli afferma:
"Quella di bisogno non sarà un'idea praticabile [ ... ] se non riconosciamo apertamente che è solo in parte un concetto empirico [ ... ] sarà anche un riflesso dei nostri valori, di ciò che riteniamo necessario per una vita accettabile. Nel caso degli anziani, ho proposto che il nostro ideale di vecchiaia dovrebbe essere il raggiungimento di un'età che permetta a ciascuno di noi di assolvere all'ordinaria gamma di possibilità che la vita offre, prevedendo che possa essere necessario considerare una fascia di età, piuttosto che indicare un'età precisa. Riferendoci a questo ideale, gli anziani avrebbero bisogno solo di quelle risorse che consentano loro un'effettiva probabilità di vivere fino a quel punto e, una volta superato quello stadio, di concludere i loro giorni senza dolori e sofferenze evitabili. Perciò definirei necessario per l'anziano innanzitutto poter raggiungere una durata di vita naturale e in seguito vedere alleviate le proprie sofferenze" (Callahan, 1987).
In aggiunta agli argomenti del tempo equo e della durata naturale della vita, è già stato fatto presente che i principi di allocazione basati sulla misurazione dei risultati, quali i QALY, sono stati accusati di essere discriminatori a sfavore degli anziani. Il problema è vedere se argomenti di questo genere debbano essere appoggiati o se ci siano considerazioni contro questa discriminazione degli anziani, che portino a ritenere irrilevante l'età nelle decisioni di allocazione delle risorse. Coloro che si schierano contro questa discriminazione sostengono che il criterio di allocazione basato sull'età, indipendentemente da qualunque altra considerazione, è ingiusto come quello basato sul sesso o sulla razza, e che a un eguale interesse della gente a continuare la propria vita, dovrebbe essere dato uno stesso peso. Harris fa notare, comunque, che per quanto quest'ultima considerazione sia importante, si farebbe un'ingiustizia peggiore non offrendo a una persona la possibilità di vivere per un tempo equo. Nel caso in cui si applichino i QALY, il rifiuto a dare priorità non è basato solo sull'età, ma sulla probabilità di successo e sull'aspettativa di vita.
Etica delle virtù
Come si è già detto, c'è chi pensa che esaminare il problema dell'allocazione delle risorse dal punto di vista dei concetti di giustizia sia impraticabile. Anche il progetto di ricercare un consenso sociale ha i suoi critici. Sass ha sostenuto che nell'ambito del vecchio modo di considerare i sistemi di assistenza sanitaria, il principio della solidarietà sociale era appropriato (Sass, 1995). Attualmente, cambiando le circostanze, è emersa, almeno in Europa, una triade di principi: la responsabilità personale, la solidarietà e la sussidiarietà. A livello di prestazioni di base, la solidarietà verso coloro che si trovano in stato di necessità e la giustizia distributiva rimangono corrette. Oltre questo livello, la sussidiarietà suggerisce che "qualunque cosa possa fare l'individuo, non dovrebbe essere fatta dallo Stato o da istituzioni sociali o servizi equivalenti". Questo semplifica il concetto di responsabilità personale.
La responsabilità, però, non dovrebbe qui essere intesa nei termini del modello meritocratico di giustizia, ma nei termini dell'etica delle virtù. Secondo Sass, con il vecchio sistema le virtù morali di un paziente erano in gran parte interpretate in termini di accondiscendenza e fiducia. Con il nuovo sistema, il paziente deve essere incoraggiato verso un atteggiamento di approvazione e di responsabilità. Questo 'incoraggiamento', probabilmente, richiederebbe un'educazione e dei programmi di sensibilizzazione pubblica, poiché necessita di risposte a domande concernenti che cosa si intende per vivere una vita umana, come quelle prese in considerazione da Callahan.
Guardare ai bisogni del paziente virtuoso non implica idee particolari sul livello a cui prendere le decisioni, sia esso costituito da un consenso a livello locale, da linee guida a livello nazionale o dai singoli medici. Soprattutto nell'ultimo caso, tuttavia, sarebbe forse preferibile che come etica medica venisse adottata l'etica delle virtù. Stabilire quali debbano essere le virtù in questione richiede uno studio, ma probabilmente bisognerà includervi l'integrità e la compassione.
Conclusioni
Weale (1998) ha fatto notare che i conflitti di valori sono inevitabili nel campo dell'allocazione delle risorse da destinare alla salute; essi sorgono non solo tra i differenti concetti di giustizia, ma tra lo stesso concetto di razionamento e le prospettive tradizionali dell'etica medica, tra le definizioni degli economisti e le altre definizioni di necessità e beneficio, tra i concetti liberalisti e comunitari di filosofia politica. L'introduzione dell'etica delle virtù nel dibattito aggiunge un ulteriore fattore di complicazione. La nostra attenzione deve essere rivolta anche alle questioni di politica, di potere e di influenza che sotto stanno a queste discussioni, e alle questioni fondamentali da risolvere riguardanti la natura e la funzione del sistema sanitario, che a loro volta conducono a ulteriori problemi filosofici su come dovremmo definire la salute stessa e la sua relazione con una vita che abbia senso.
Ringraziamenti
Alcune parti di questa pubblicazione sono attinte da un mio precedente lavoro, Justice in priority setting, pubblicato in Rationing in Action (1993) Londra, BMJ Publishing Group, e dal lavoro intrapreso per NHS Working Party on Priority Setting (1996).
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